Necrocultura
Provincia di gente squartata: la classifica
«Il Centro Nazionale Trapianti ha elaborato un indice per valutare i risultati delle donazioni di organi e tessuti attraverso il rilascio o il rinnovo della carta d’identità elettronica», ci informa Yahoo News.
«Provincia di gente squartata / in quanto a benessere / in quanto ad ideologia». In realtà, questi versi andrebbero molto asciugati: Italia provincia di gente squartata, e basta.
«L’Indice del Dono 2019, così si chiama, si basa sui dati dei 6.274 comuni in cui è già possibile, in Italia, registrarsi come donatori». Come noto, l’anagrafe è stata resa una rampa di lancio per l’espianto degli organi a cuor battente.
Nel 2019 vi sono state 2.319.223 dichiarazioni (+22,5% rispetto al 2018). Non c’è unanimità: 1.559.171 consensi (il 67,2%, lo 0,3% in meno del 2018) mentre le opposizioni registrate hanno toccato la cifra di 760.052.
Dobbiamo ammettere che è un risultato che non ci aspettavano, e che scalfisce l’apparente granitica narrazione della «donazione» come cosa buona e bella e soprattutto altruista (egoista tu che pretendi che gli organi ti vengano lasciati mentre il cuore ti batte ancora!).
Un terzo degli italiani che sono andati all’anagrafe si oppone alla predazione degli organi. Ha capito che qualcosa, nel racconto rose e fiori, non torna
Quantomeno terzo degli italiani che sono andati all’anagrafe, insomma, non è che nutra dubbi sulla «donazione» (cioè, fuor di lingua orwelliana, sulla predazione) dei propri organi. Proprio si oppone: non lo vuole fare. Ha capito che qualcosa, nel racconto rose e fiori, non torna.
Purtroppo non ci è risparmiata la classifica dei comuni più «virtuosi», perché lasciarsi squartare appena avuto un incidente deve essere diventata una virtù.
«Tra le realtà più virtuose, è Cagliari la città con più di 50mila abitanti che registra il maggior numero di donazioni. Nel 2019 i consensi nel capoluogo sardo hanno superato il 79%. Seguono Sassari e Pordenone, mentre tra i comuni di medie dimensioni (tra i 15 e i 50mila abitanti) la cittadina più virtuosa del 2019 è in provincia di Livorno: Collesalvetti, con un tasso di consensi vicino al 95%» prosegue il portale.
«Il comune più generoso nella classe demografica dai 1000 ai 5mila residenti è Marianopoli, in provincia di Caltanissetta, Sicilia. Qui, nel 2019 non è stata registrata alcuna opposizione. Il paesino più virtuoso tra quelli con meno di mille abitanti è invece in Trentino, al Nord: si tratta di Luserna».
La palma di regione più espiantata del 2019 va alla Valle d’Aosta, ma sul podio salgono anche la Provincia autonoma di Trento (quella retta per decenni dai residui della Democrazia Cristiana) e dalla nobilerrima Sardegna.
Bello il quadretto: l’Italia dei cento campanili, è finalmente, da Nord a Sud, unita in questo stupendo atto d’amore moderno che è lo smembramento utilitaristico delle persone. Dove non riuscirono il Risorgimento e i Savoia, riuscì la «donazione». Applaudite.
Bello il quadretto: l’Italia dei cento campanili, è finalmente, da Nord a Sud, unita in questo stupendo atto d’amore moderno che è lo smembramento utilitaristico delle persone
Tuttavia, questa trionfalistica classifica non si pone neanche lontanamente il problema dell’effetto che essa può fare su chi, come noi e probabilmente larga parte di quel 33% che si oppone, considera la «donazione» (cioè, la predazione) una barbarie infinita.
Chi infatti non crede alla definizione di «morte cerebrale» così come elaborata mezzo secolo fa (tanto tempo: la scienzah non ha fatto nessun passo avanti? Possibile che essa avanzi sempre in direzione della Morte?) vede nascosto nell’espianto di organi un potenziale omicidio per squartamento, che ha come aggravanti:
a) l’impossibilità della vittima di difendersi;
b) il fine economico (i trapianti costano, i farmaci antirigetto ai quali si viene abbonati a vita pure);
c) il fine utilitaristico dell’atto sanguinario (la logica del mors tua vita mea , la filosofia del male minore a fronte di un maggiore godimento della popolazione tipico del pensiero utilitaristico angloide);
d) l’assoluta appartenenza di questo processo a quella che chiamiamo Cultura della Morte, o Necrocultura.
Dobbiamo ricordarci che la definizione di morte cerebrale di Harvard null’altro è se non una convenzione. Un artificio umano, una regola posta lì come un’altra. Come il divieto di fumare nei bar entrato in vigore con la legge Sirchia.
Dobbiamo ricordarci che la definizione di morte cerebrale di Harvard null’altro è se non una convenzione
Una convenzione che è pure stata recepita in modo diverso dai diversi Paesi, per cui, nel medesimo stato fisico, posso risultare morto – cioè squartabile – in un Paese ma non in un altro. Come quando andate a San Marino e la gente, cosa incredibile, fuma nei bar, perché lì mica hanno la legge italiana, e questa questione del tabacco e del cancro si vede che la interpretano in modo diverso.
La classifica delle città squartatrici, quindi, ci fa un po’ orrore.
Non si tratta nemmeno di uno di quei fenomeni di intrattenimento come le liste dei serial killer più prolifici, perché i serial killer fanno molti meno morti (due o tre ordini di grandezza in meno!), non agiscono con i nostri danari delle tasse, e non si ammantano – per il momento di un aura di bontà infallibile. Soprattutto, le probabilità di — incontrare un serial killer e divenirne vittima sono in genere, per lo meno in Italia, molto basse: le probabilità di fare un incidente stradale, e quindi finire candidati all’espianto a cuor battente, sono altissime.
Le probabilità di incontrare un serial killer e divenirne vittima sono molto basse: le probabilità di fare un incidente stradale, e quindi finire candidati all’espianto a cuor battente, sono altissime
Di qui la necessità che avvertiamo, fortissima, di difendere i nostri cari e noi stessi, perché la predazione degli organi, figlia prediletta della Necrocultura medico-statale, è solo un’altra forma di guerra contro la popolazione (su un piano numerico) e contro la Vita (sul piano morale).
Potete chiedere un’opinione a quella famiglia texana il cui bambino si è svegliato poco prima che gli portassero via gli organi, a modulo già firmato dai genitori (lì ti fanno questa cortesia). Ora il ragazzino sta bene.
Cantava Giovanni Lindo Ferretti con i CCCP nell’Italia degli anni Ottanta: «Provincia di gente squartata / in quanto a benessere / in quanto ad ideologia».
In realtà, questi versi andrebbero molto asciugati: Italia provincia di gente squartata, e basta.
E dell’Italia squartata e squartatrice hanno fatto pure la classifica, e ci tengono a farla conoscere. Viviano un’era di morte che è spaventosa quanto impudica.
Roberto Dal Bosco
Necrocultura
Il piano inclinato della morte cerebrale
La civiltà occidentale nel corso dei secoli ha uniformato il suo diritto e la sua morale alla tradizione filosofica secondo cui l’essere umano è composto di anima e corpo e ha nell’anima razionale il principio vitale che lo caratterizza.
Questo principio vitale di natura spirituale, pur essendo nel corpo, non si trova nel cuore, nel cervello né in qualsiasi altro organo, tessuto o funzione. Sulla base di tale assunto, ciò che sostanzia l’uomo non è l’intelletto, né l’autocoscienza e neppure l’interazione sociale, bensì l’anima razionale che contiene in potenza l’uso di tutte queste funzioni.
La vita umana inizia con l’infusione dell’anima nel corpo e termina con la separazione da esso, nel momento in cui l’organismo si dissolve nei suoi elementi.
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I momenti iniziale e finale della vita sono avvolti dal mistero ed è compito della filosofia indagare e speculare su di essi; la morale invece ha il dovere di trattare l’essere umano più innocente e indifeso, l’embrione, come una persona, perché non si può escludere che l’anima venga infusa nell’uomo fin dal momento del concepimento (questa tesi è oggi prevalente tra i teologi e i filosofi) e perché qualsiasi atto aggressivo nei suoi confronti rappresenta, in ogni caso, un attentato alla vita umana.
Per le medesime ragioni, il principio di precauzione deve essere applicato anche all’individuo di cui non è stata accertata la morte al di là di ogni ragionevole dubbio.
I casi di morte apparente, ossia di ritorno alla vita dopo diverse ore in cui erano scomparse tutte le manifestazioni vitali, stanno a dimostrare che fra il momento della morte accertata e quella reale esiste sempre e comunque un periodo più o meno esteso di vita latente. Pertanto, fintantoché non è possibile avere l’oggettiva certezza dell’avvenuto decesso di un essere umano (l’inizio del processo di decomposizione del corpo) sussiste l’obbligo morale di evitare ogni azione lesiva della sua persona.
Questa impostazione è stata prevalente nel mondo occidentale fino agli anni sessanta per poi essere soppiantata da una visione utilitaristica e materialistica dell’esistenza.
È evidente come il criterio neurologico di morte venne introdotto al fine di stabilire chi conveniva dichiarare morto, non chi era effettivamente deceduto. Nella nuova definizione di morte, commissionata agli esperti di Harvard, al cervello viene arbitrariamente attribuito il ruolo che compete all’anima razionale, ossia dirigere e governare tutti gli organi e funzioni che compongono l’organismo umano.
Quindi, coerentemente con tale impostazione, una lesione cerebrale ritenuta irreparabile comporterebbe la fine dell’essere umano considerato come un tutt’uno integrato, e i segni vitali ancora presenti nell’individuo dichiarato cerebralmente morto costituirebbero dei meri riflessi e/o delle funzioni mantenute in maniera artificiale mediante il supporto farmacologico o l’ausilio di macchinari.
Una volta dichiarata la morte cerebrale, «viene interrotto qualsiasi supporto vitale. I familiari possono voler essere accanto alla persona in quel momento. Hanno bisogno che venga spiegato loro che uno o più arti possono muoversi quando viene interrotta l’assistenza respiratoria o che la persona può addirittura sedersi (talvolta chiamato segno di Lazzaro). Questi movimenti sono causati dalle contrazioni muscolari di riflesso della colonna vertebrale e non significa che la persona non sia in stato di morte cerebrale». (Manuale MSD, diagnosi della morte cerebrale).
Da notare come gli estensori del Manuale, probabilmente per non cadere in dissonanza cognitiva, non se la siano sentita di definire cadaveri per l’appunto le persone che dimenano gli arti perché non riescono a respirare …
La stessa legge 194/1978 sull’aborto volontario, che fissa il limite dell’omicidio dell’innocente entro i primi 90 giorni dal concepimento, poggia le sue basi ideologiche sulla tesi del cervello come sede dell’essere, senza di cui non è possibile considerare il bambino ai primi stadi dello sviluppo come una persona, bensì come un semplice agglomerato di cellule e tessuti.
Non solo, il fatto che per i novatori il cervello costituisca il principio vitale dell’individuo pone in ogni caso il bambino non ancora nato, o comunque non ancora in grado di avere una vita autonoma al di fuori del grembo materno, in una posizione di «inferiorità ontologica»: non è affatto chiaro, infatti, quando un feto o un bambino molto piccolo possa aver sviluppato la quantità richiesta di autocoscienza per poter essere considerato una persona.
Sono note le teorie del filosofo australiano Peter Singer secondo il quale uccidere un neonato non equivale moralmente a uccidere un essere umano razionale e autocosciente e che un malato può essere eliminato se ciò può tornare utile alla società. È quindi interessante notare come Singer sia stato molto critico nei confronti del nuovo criterio di morte cerebrale. Egli riteneva infatti che non ci fosse bisogno di contrabbandare una scelta etica con una indimostrata presunta verità scientifica.
Il recente fatto di cronaca accaduto a Traversetolo in provincia di Parma, in cui due bambini appena nati sarebbero stati uccisi dalla madre e sepolti nel giardino della villetta in cui abitava insieme ai genitori, è emblematico dell’insopportabile ipocrisia di una società che condanna l’eliminazione di un innocente appena nato e al contempo considera un diritto l’uccisione del medesimo bambino innocente poco prima, quando si trova ancora nel grembo materno.
Con l’introduzione del rivoluzionario criterio della morte cerebrale, il cogito ergo sum di cartesiana memoria entra prepotentemente nel diritto e nella prassi medica, finendo per relegare l’essere umano nell’angusto ambito dell’autocoscienza.
I casi relativamente recenti di Vincent Lambert in Francia e dei piccoli Charlie Gard e Alfie Evans in Inghilterra, così come altri tragici casi italiani, possono rappresentare casi di persone uccise tramite eutanasia di Stato semplicemente perché bisognosi di cure e assistenza, stanno a dimostrare che una volta ridefinito il criterio di accertamento della morte si è passati consequenzialmente a ridefinire il significato stesso di essere umano, attraverso l’arbitraria distinzione tra vite degne e indegne di essere vissute.
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In altri termini, a prescindere dalla condizione clinica e dallo stato di coscienza in cui si viene a trovare un determinato soggetto, il suo diritto alla vita è subordinato alla «qualità» della sua esistenza, che si fonda essenzialmente sulle capacità intellettive del soggetto.
Pertanto, il vero obiettivo della rivoluzione non era quello di modificare il criterio di accertamento della morte bensì, attraverso di esso, di arrivare a trattare gli esseri umani, nessuno escluso, come corpi senz’anima, ammassi di organi tenuti insieme da principi meramente meccanicistici.
Non stupisce allora come nella società contemporanea l’uomo venga considerato un prodotto, un insieme di «pezzi di ricambio».
Cos’è la fecondazione in vitro (e tutte le pratiche da essa discendenti come l’utero in affitto e l’utilizzo di cellule embrionali per la produzione di farmaci e vaccini) se non la produzione in laboratorio dell’essere umano ridotto a bene di consumo?
Cos’è la cosiddetta «donazione» (meglio dire: predazione) degli organi se non la logica conseguenza della riduzione dell’uomo a merce di scambio?
Cos’è l’eutanasia se non l’omicidio di una persona le cui facoltà intellettive risultano ridotte o latenti?
Cos’è l’infanticidio se non l’inevitabile approdo della Necrocultura imperante il cui fondamento pseudo scientifico è la cosiddetta morte cerebrale?
Alfredo De Matteo
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Immagine di JasonRobertYoungMD via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International;immagine modificata.
Necrocultura
Nunzio apostolico in Germania: l’Europa si sta suicidando con aborto, eutanasia e ideologia di genere
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Bioetica
Bambina partorita nel water. Chi si scandalizza sa che la RU486 fa la stessa cosa?
Sulla base dei rilievi iniziali fatti dai medici del 118 sul corpo della bimba, «l’infanticidio è l’ipotesi più probabile nel caso della neonata trovata morta a Piove di Sacco». Lo riporta l’agenzia ANSA.
Si tratta di un ulteriore caso di morte di neonato che sconvolge l’Italia. Episodi simili sembrano susseguirsi l’uno dopo l’altro.
Secondo quanto riportato, il corpicino della piccola sarebbe stato ritrovato in un bagno di un appartamento collegato ad un night club a Piove di Sacco, nel Padovano, in una zona purtroppo nota alla cronaca nera degli anni passati anche per la cosiddetta «mafia piovese», o «mala del Brenta» – la famosa «banda Maniero», a cui la TV nazionale dedica serie TV, ovviamente negando, come in tutti i casi di grandi produzioni su mafia, camorra, mala romana, che si tratti di qualcosa di anche lontanamente agiografico.
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Secondo articoli apparsi sulla stampa, per l’autopsia la bambina sarebbe morta annegata. L’esame autoptico tuttavia sarà reso disponibile solo tra settimane.
Per la morte sarebbe stata fermata la presunta madre, una donna italo-brasiliana di 29 anni, che ora si troverebbe agli arresti domiciliari, e si sarebbe avvalsa della facoltà di non rispondere.
Secondo la procura, «la neonata era stata trovata morta all’interno del water e appariva essere completamente formata» scrive Fanpage. «Secondo gli inquirenti, la 29enne avrebbe partorito “direttamente all’interno del wc dell’appartamento in cui alloggiava” e sostenuto il parto “senza chiedere l’ausilio di personale sanitario o di altre persone”, tirando lo sciacquone “quando la bambina si trovava già con la testa in basso all’interno del WC, causando così l’annegamento”».
La tragedia della bambina del water Piove di Sacco arriva dopo lo shock del ritrovamento dei neonati morti di Traversetolo, in provincia di Parma, che secondo l’accusa sarebbero stati partoriti della giovane madre e sepolti nel giardino della villetta di famiglia, senza che nessuno si accorgesse di nulla.
Si tratta di un trend? C’è un lato nuovo della maternità che sta emergendo?
Per chi conosce il lato oscuro della riproduzione nell’ora presente, in realtà la sorpresa è poca: la società, lo sappiamo, si avvicina sempre di più all’autorizzazione dell’infanticidio, chiamato pudicamente «aborto post-natale». Filosofi e bioeticisti rilanciano l’opzione da diversi anni. Politici di rilievo del Partito Democratico USA come il governatore della Virginia Ralph Northamhanno discusso apertamente l’idea che medico e madre del neonato possano, a pochi momenti dalla nascita, decidere di sopprimere in bambini. In pratica: l’infanticidio è da un pezzo nella finestra di Overton.
Nel mondo in cui l’aborto è un diritto – o, per alcuni, un «obbligo sacro», un sacramento – come lamentare il pendio scivoloso che porta l’uccisione del bambino oltre il limite della nascita? È anche quello, alla fine, solo un confine arbitrario, una convenzione – né più né meno come la «morte cerebrale», in base alla quale in questo stesso momento quantità di persone stanno venendo squartate in ospedale e depredati dei loro organi mentre il cuore batte ancora.
Tuttavia, è un’altra immensa ipocrisia che vogliamo qui segnalare.
Abbondano ora in rete le immancabili analisi dei Soloni che parlano di «territorio alla deriva», «malessere profondo della società», e via sbadigliando. Gli editorialisti, gli opinionisti, gli psicologi mediatici, i giornalisti direttorazzi, i socio-sapientoni, quelli che il mondo lo capiscono benissimo per stipendio (eccerto), sono scandalizzati da questa storia del pargolo finito del water, con i giornali che suggeriscono anche che sarebbe stato tirato lo sciacquone come per liberarsene. Raro orrore. No?
Ebbene, informiamo i benpensanti salariati con il ditino alzato che partorire il bambino nel water è la norma dell’aborto chimico.
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L’«interruzione volontaria di gravidanza con metodo» farmacologico, la cui implementazione è stata voluta con forza dalla politica e inflitto ancora più efficacemente durante il biennio pandemico, agisce esattamente in questo modo: la pastiglia di mifepristone (RU486) uccide l’embrione, una successiva assunzione (dopo 48 ore) di una prostaglandina (misoprostolo, gemeprost) provoca l’espulsione.
La RU486 è stata approvata dall’AIFA nel 2009. Tuttavia secondo le linee guida l’assunzione del farmaco figlicida dovrebbe comportare un ricovero ospedaliero «obbligatorio» di tre giorni continuativi con assegnazione di posto letto per il pernottamento, di modo che avvenga in nosocomio «l’intera procedura abortiva, nelle sue diverse fasi».
Quindici anni fa, momento dell’immissione del farmaco nel sistema nazionale, il Consiglio Superiore di Sanità stabilì che, a differenza della Francia dove le pillole possono prendersi a casa, in Italia il percorso di aborto farmacologico dovesse avvenire in ricovero ospedaliero «dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento».
Tuttavia, in almeno tre regioni – Toscana, Emilia-Romagna, Lazio – la pillola era programmata per essere disponibile anche senza ospedalizzazione. Nel 2015 una nota della Sanità del Piemonte scriveva che «7.311 donne hanno usufruito della RU486 presso l’ospedale Sant’Anna, primo in Italia». Nello stesso comunicato, era specificato che «per quanto riguarda le IVG fino a 49 giorni e gli aborti interni, complessivamente, il 99% delle donne non è stata ricoverata per tre giorni ed ha potuto lasciare l’ospedale tra la somministrazione del mifepristone e quella della prostaglandina due giorni dopo. Nel tempo tale percentuale è diventata prossima al 100% e negli ultimi tre anni solo 4 donne su 3.217 sono rimaste ricoverate».
Il vincolo dei tre giorni in ospedale fu quindi definitivamente rimosso dal ministro della Salute Roberto Speranza nel 2020.
E quindi è naturale pensare che, in tali condizioni, l’espulsione del figlio avviene nella quasi totalità dei casi nel bagno di casa. E la quantità di bimbi scaricati nel cesso non può che essere massiva.
Proprio così: tanti bambini, anche oggi stesso, stanno venendo partoriti nel water, con la madre che poco dopo tira l’acqua – esattamente come sarebbe successo a Piove di Sacco, con grande scandalo di quelli che benpensano.
Renovatio 21, quando tratta del tema, non manca di ricordare il proseguo. Perché la questione, tirato lo sciacquone, per la madre finisce, ma per il bambino no.
E allora, cerchiamo di vedere il resto della storia dagli occhi del piccolo espulso dal grembo materno: finisce giù per la tubatura, assiame a liquami ed escrementi, per poi finire direttamente nella fogna, dove vivono tante creature: insetti, pesci, anfibi, topi – questi ultimi con un fiuto notorio, e immaginiamo una carne giovanissima, ricca di cellule staminali, quanto possa risultare irresistibile.
Questa storia di bambini finiti nelle fogne e divorati dalle bestie manca stranamente dalle cronache recenti della RU486: proprio pochi giorni fa la Regione Emilia-Romagna (sempre all’avanguardia per quanto concerne l’aborto: pensiamo alle NIP, gli esami non invasivi che ti dicono subito se il bambino che porti in grembo è down, così da poter decidere che fare) ha aggiornato i profili di assistenza per la IVG – acronimo orwelliano per «feticidio» – tramite metodi farmacologici, istituendo definitivamente l’assunzione del «pesticida umano» a livello domestico.
Nessun giornale, nemmeno quelli sedicenti «cattolici», sembra voler pensare al destino dei bambini nel water. Pare di capire: a seconda dell’età dal concepimento, ci sono bambini-toilette di Serie A e di Serie B. Dei primi si può parlare, dei secondi no, nemmeno quando si dovrebbe.
Quindi: sì, l’Italia è il Paese dove, passando per una legge che ne autorizza la distruzione chimica, i feti finiscono nella tazza del cesso e nella fogna, ogni giorno. A decine, forse a centinaia – chi può avere questi numeri? Come vengono conteggiati? È possibile farlo?
Pure vogliamo rammentare, en passant, che mentre la tragedia dei feti uccisi agisce su tutti i livelli, visibili ed invisibili, qualcuno sta andando in giro per l’Italia a sotterrare barattoli di vetro con dentro feti, come se si trattasse di piccoli occulti capitelli di questo maleficio sui piccoli esseri umani. Gli scandalizzati di mestiere, pro-vita o meno che siano, non sanno nemmeno di cosa stiamo parlando. E quelli che lo sanno, fanno finta di niente, fischiettosamente.
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Prima di gridare allo scandalo, quindi, pensiamo a quella che è la realtà. La stampa mainstream fa il suo lavoro: vuole fissarvi sul dito e non sulla luna, sulla pagliuzza invece che sulla trave. Vuole istupidirvi, rendervi ciechi rispetto al dominio della Necrocultura sul nostro mondo, sulle nostre stesse esistenze.
Diventa chiaro a tutti cosa diviene quindi questa storia: è un fenomeno di proiezione, di sfogo programmato. La società concentra su un singolo caso – possiamo dire che si tratta di un capro espiatorio? – il male che la pervade tutta, istituzionalmente e profondamente.
Dunque, caro cittadino sincero-democratico, caro contribuente perbene, caro italiano postcattolico, caro genitore borghese pronto alla provetta e alla siringa RNA, ora lancia pure le tue pietre contro la «spogliarellista», mentre tua moglie, tua figlia, tua sorella, la tua amante, la tua collega, la tua fidanzata, la tua vicina, tua madre partoriscono bambini nel cesso.
Sono i tuoi figli, i tuoi nipoti – sono il prossimo tuo, sono il futuro dell’umanità, sono l’Imago Dei, l’immagine di Dio resa carne.
Caro italiano adulto, sopravvissuto per qualche ragione anni fa allo sciacquone della Cultura della Morte: quanto ancora per capire sotto quale incantesimo malefico ti trovi?
Roberto Dal Bosco
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