Economia
Con la politica attualel’industria tedesca perderà 40-50.000 posti di lavoro
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Il presidente Stefan Wolf della Gesamtmetall (Federazione delle associazioni tedesche dei datori di lavoro dell’industria metalmeccanica ed elettrica) ha previsto una potenziale perdita di posti di lavoro di 40-50.000 nei prossimi tre o quattro anni, ha dichiarato in un’intervista con Funke Media Group, pubblicata il 22 maggio.
Qualcosa deve urgentemente cambiare strutturalmente, ha detto il Wolf. «Non aiuta placare e liquidare la situazione come un calo economico», ha detto, senza rivolgere le sue critiche direttamente al cancelliere tedesco Olaf Scholz.
«Vedo già l’inizio della deindustrializzazione. Ci sono molti trasferimenti in atto, ovunque», ha detto Wolf. Attualmente, ha proseguito l’industriale, sono particolarmente colpite le aziende del settore automobilistico e dei fornitori: «molte aziende sono molto caute. Ci sono molti meno investimenti. A causa delle pessime condizioni quadro qui in Germania, attualmente invece molti soldi fluiscono all’estero. Di conseguenza abbiamo perso oltre 300 miliardi di euro di investimenti».
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Questa cifra è «drammatica», ha avvertito il confindustriale germanico. Se non si effettuano investimenti, la produttività ne risentirà a lungo termine, il che porterà ad una competitività ancora minore, riporta EIRN.
Wolf ha inoltre detto che potrebbe vedere i primi segnali di grandi licenziamenti. «I più grandi fornitori automobilistici hanno già annunciato licenziamenti. E temo che questo stia sviluppando un vero slancio», ha detto. «Se le cose non cambiano rapidamente, assisteremo alla perdita di posti di lavoro, soprattutto nelle attività più basilari come la produzione», ha riferito NTV.
Il tema della deindustrializzazione in Germania (e in Europa) è oramai discusso sempre più apertamente, e rassegnatamente, da giornali e istituzioni.
Come riportato da Renovatio 21, uno degli effetti visibili della deindustrializzazione in corso era stato l’aumento dei prezzi della produzione in Europa registrato tra giugno 2022 e giugno 2023.
In Germania, interi settori dell’industria europea, come in Germania l’automotive e la chimica.
Il tema della deindustrializzazione nazionale è oramai discusso apertamente sui giornali tedeschi, con tanto di domande retoriche delle grandi testate come il Financial Times che si chiede se per caso la crisi energetica (causata anche dal terrorismo di Stato contro i gasdotti) distruggerà l’industria europea, mentre la recessione tedesca è stata definita «inevitabile». Un recente studio dell’Istituto dell’Economia Tedesca (IW) aveva calcolato che la carestia di gas distruggerà in Germania 330 mila posti di lavoro.
Anche le grandi industrie tedesche chiedono di rivedere la questione energetica; si moltiplicano nel frattempo le voci che suggeriscono di ritardare il phase-out dell’energia nucleare programmato dalla Merkel, infrantosi contro la triste realtà delle rinnovabili non affidabili.
L’allarme per la deindustrializzazione dell’Europa è stato suonato pure dal filosofo del linguaggio e attivista politico americano Noam Chomsky.
Il tema della deindustrializzazione nazionale è oramai discusso apertamente sui giornali tedeschi, con tanto di domande retoriche delle grandi testate come il Financial Times che si chiede se per caso la crisi energetica (causata anche dal terrorismo di Stato contro i gasdotti) distruggerà l’industria europea, mentre la recessione tedesca è stata definita «inevitabile». Un recente studio dell’Istituto dell’Economia Tedesca (IW) aveva calcolato che la carestia di gas distruggerà in Germania 330 mila posti di lavoro.
Anche le grandi industrie tedesche chiedono di rivedere la questione energetica; si moltiplicano nel frattempo le voci che suggeriscono di ritardare il phase-out dell’energia nucleare programmato dalla Merkel, infrantosi contro la triste realtà delle rinnovabili non affidabili.
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Come riportato da Renovatio 21, nell’ estate 2022 la BASF e il grande produttore di acciaio tedesco ThyssenKrupp avevano avvertito che senza una fornitura sufficiente di gas naturale, le loro fabbriche potrebbero essere costrette a rimanere inattive o chiudere completamente e potrebbero anche subire danni tecnici. A novembre 2021 la BASF aveva annunciato la chiusura della produzione di fertilizzanti con ammoniaca in Belgio e Germania, a tempo indeterminato. Ciò è andato ad influire anche sulla produzione di additivo per carburante diesel a base di ammoniaca, AdBlue.
Lo scorso 26 luglio 2023, la BASF dichiarava la riduzione della la produzione di prodotti a base di gas naturale come materia prima. Ciò includeva l’ammoniaca, che è importante per i fertilizzanti, nonché per la plastica e altri beni, in particolare il diesel detto DEF, un altro prodotto necessario alle Nazioni (il trasporto merci avviene per lo più con questo tipo di combustibile) colpito in modo totale dalle sanzioni antirusse. Nel febbraio 2023 BASF ha tagliato 2.600 posti di lavoro. Contro la deindustrializzazione si sono registrate nelle ultime settimane le posizioni dei sindacati tedeschi.
«Stiamo rischiando una massiccia deindustrializzazione del continente europeo e le conseguenze a lungo termine di ciò possono essere davvero molto, molto profonde», aveva affermato lo scorso ottobre il primo ministro belg Alexander De Croo al Financial Times, con il timore di disordini sociali, perché «la gente si arrabbierà».
Come riportato da Renovatio 21, la deindustrializzazione è ciò che con probabilità ha salvato l’Italia dai blackout che potevano scatenarsi con la presente crisi energetica.
Secondo il giornalista d’inchiesta premio Pulitzer Seymour Hersh, il gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2 è stato fatto saltare dagli americani per deindustrializzare la Germania cagionando un immane danno economico all’Europa tutta.
Se qualcuno si chiede quale può essere il fine di questo processo di povertà e morte, abbiamo scritto la risposta in un articolo su Renovatio 21: deindustrializzare per deumanizzare.
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La Banca Centrale d’Israele promuove lo Shekel Digitale
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Economia
Moody’s avverte di declassamenti sui cattivi prestiti immobiliari di sei banche regionali
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Il canale televisivo statunitense CNBC ha riferito lo scorso 6 giugno che a maggio i prestiti in sofferenza relativi agli immobili commerciali (CRE) hanno raggiunto poco meno dell’1% del patrimonio delle banche commerciali con sede negli Stati Uniti, pari a 23,3 trilioni di dollari.
Ciò porterebbe i crediti inesigibili CRE a 220 miliardi di dollari di debito in sofferenza. Pur rappresentando l’1% degli asset, i crediti inesigibili CRE equivarrebbero a un più pericoloso 10% del capitale azionario totale delle banche con sede negli Stati Uniti, che ad aprile era di 2,3 trilioni di dollari.
Il 5 giugno Moody’s Investors Service ha emesso avvisi di «revisione per downgrade» su sei banche commerciali regionali statunitensi, il cui patrimonio complessivo ammonta a circa 200 miliardi di dollari, a causa dell’ampia quota di asset CRE detenuta da tali banche nei loro portafogli.
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In pratica, il terremoto delle banche regionali americane partito due anni fa non sembra essere stato assorbito.
Come noto, a crollare per prima fu la Silicon Valley Bank. Seguì la First Republic Bank. Banche più grandi divorarono quindi quel che ne rimaneva. Il crash, per qualche ragione, non investì le banche israeliane che avevano 1 miliardo di depositi nella Silicon Valley Bank.
L’effetto domino arrivò fino in Isvizzera, dove collassò Credit Suisse, che fu fusa, su spinta del governo elvetico, con il colosso bancario UBS. Il salvataggio dell’Istituto di credito elvetico, tramite acquisizione da parte di UBS, è stato operato grazie alla liquidità fornita a UBS dalla Banca Nazionale Svizzera – cioè dallo Stato elvetico, che ha salvato così la sua principale industria nazionale – un settore che, come noto, ha i suoi lati oscuri.
Qualcuno cominciò a sussurrare che la banca successiva a saltare sarebbe stata Deutsche Bank, la nona banca più grande del mondo, certificando la trasformazione da crisi bancaria regionale a crisi finanziaria sistemica globale. La stessa Deutsche aveva pubblicato uno studio in cui avvertiva che «un’ondata di default è imminente».
Renovatio 21 ritiene che un collasso bancario transnazionale sia funzionale all’introduzione di una moneta digitale di Stato, la CBDC in caricamento presso quasi ogni ministero delle Finanze del mondo e nelle strutture sovranazionali come FMI, Banca Mondiale o come l’Unione Europea, dove la presidente BCE Christine Lagarde ha confessato che la valuta elettronica europea – l’euro digitale – sarà utilizzato per la sorveglianza.
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Immagine di Sweeneyr via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Economia
Un articolo generato dall’AI ha mandato a zero il mega-fondo dell'(ex) amico di Bill Gates?
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