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Economia

La speculazione non muore mai: 40 banchieri di investimento di Silicon Valley Bank assunti da HSBC

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La banca britannica HSBC ha assunto più di 40 banchieri d’investimento che lavoravano alla Silicon Valley Bank (SVB) prima che andasse a gambe all’aria a marzo. Lo riporta il Financial Times.

 

Come noto, all’epoca HSBC intervenne opportunamente per acquistare la filiale britannica di SVB per 1 sterlina – non diversamente dalle banche popolari venete comprate da Banca Intesa Sanpaolo per 1 euro cadauna.

 

Sulla sponda americana dell’Atlantico, la banca First Citizens ha acquistato gran parte di SVB in un’asta gestita dalla Federal Deposit Insurance Corporation.

 

I 40 banchieri d’investimento appena assunti da HSBC stavano quindi lavorando per First Citizens dopo l’acquisizione; tuttavia si scopre pure che HSBC aveva precedentemente venduto la sua rete bancaria al dettaglio americana a Citizens Bank, pur mantenendo il proprio lato molto più redditizio dell’investment banking – cioè dove regna la speculazione finanziaria.

 

Il Financial Times spiega che «il gruppo di ex banchieri SVB istituirà una nuova pratica bancaria destinata alle società tecnologiche e sanitarie, nonché ai fondi di capitale di rischio»

 

«Le assunzioni fanno parte di uno sforzo da parte di HSBC acquisirà clienti start-up e venture capital che potrebbero essere alla ricerca di nuove relazioni bancarie dopo il fallimento di SVB» continua FT. «Tali clienti sono molto ambiti perché richiedono un’ampia gamma di servizi bancari, dal corporate banking alle offerte pubbliche iniziali».

 

Come riportato da Renovatio 21, due banche israeliane erano riuscite a trasferire almeno un miliardo di dollari dalla SVB prima del suo collasso.

 

Il crollo di SVB e di altre banche americane di media taglia – dette «regionali» da qualcuno – ha innescato una reazione a catena che ha portato alla catastrofe di Credit Suisse, salvata dallo Stato elvetico e fusa con UBS.

 

Ricordiamo invece HSBC per la minaccia di chiusura del conto ai clienti che in pandemia non portavano la mascherina.

 

HSBC è una delle banche al centro di scandali per riciclaggio negli ultimi anni. La banca è stata accusata di operazioni con business considerati vicini ai talebani e di transazioni con ambigui personaggi russi e di manovre con i nordcoreani. Nel 2012 la banca ricevette una multa record da 2 miliardi per i presunti affari con i narcos.

 

HSBC, che sta per Hong Kong Shanghai Bank Corporation, affonda le sue radici nell’Impero Britannico Ottocento, con precisione subito dopo la prima guerra dell’Oppio, nel cui mercato nacque la banca.

 

 

 

 

Immagine di Tony Webster via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

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Economia

La Banca d’Inghilterra lancia l’allarme shock sui prezzi del petrolio

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L’escalation del conflitto tra Iran e Israele potrebbe rendere l’economia globale vulnerabile a uno shock energetico simile a quello degli anni ’70, ha affermato giovedì il governatore della Banca d’Inghilterra, Andrew Bailey, in un’intervista al quotidiano britannico Guardian.

 

L’avvertimento giunge poco dopo l’invasione israeliana del Libano meridionale e il successivo lancio di missili balistici da parte dell’Iran contro Israele. La prospettiva di una guerra regionale totale in Medio Oriente ha immediatamente fatto salire i prezzi del petrolio fino al 3%.

 

I future sul Brent con consegna a dicembre sono saliti dell’1,91% a 75,31 dollari al barile, mentre il greggio US West Texas Intermediate con consegna a novembre è salito del 2,21% a 71,65 dollari al barile, alle 13:25 GMT.

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«Le preoccupazioni geopolitiche sono molto serie», ha affermato Bailey, aggiungendo che l’ente regolatore di Londra stava monitorando gli sviluppi «molto attentamente». «È tragico ciò che sta succedendo. Ci sono ovviamente delle tensioni e il vero problema, quindi, è come potrebbero interagire con alcuni mercati ancora piuttosto tesi in alcuni punti».

 

Il capo della Banca Centrale britannica ha anche avvertito che ci sono dei limiti a ciò che si può fare per impedire l’aumento del costo del greggio se le cose «andassero davvero male».

 

Secondo gli analisti, la prospettiva di un conflitto più ampio in Medio Oriente, che potrebbe interrompere i flussi di petrolio greggio dalla regione, ha messo in ombra le prospettive più solide in termini di offerta globale.

 

«Dopo i primi timori per i rischi geopolitici in Medio Oriente, abbiamo assistito a un ritorno alla calma sui mercati globali, ma, naturalmente, i partecipanti al mercato continuano a tenere d’occhio qualsiasi imminente risposta israeliana», ha detto al Business Standard lo stratega di mercato di IG Yeap Jun Rong.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
 

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Economia

L’industria automobilistica europea verso una «caduta orribile»

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Le case automobilistiche dell’UE stanno attraversando i mesi peggiori dai tempi della pandemia di COVID-19. Lo riporta il tabloid tedesco Bild, che cita un importante esperto del settore.   Le vendite di automobili all’interno dell’Unione sono diminuite di 200.000 veicoli nei primi otto mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e la situazione è destinata a peggiorare, ha dichiarato Ferdinand Dudenhoeffer alla testata. Il Dudenhoeffer è il fondatore ed ex direttore del Center for Automotive Research (CAR), un istituto privato specializzato in analisi di settore e politiche dei trasporti.   Le vendite di auto elettriche sono diminuite dell’8,3% rispetto allo scorso anno, ha sottolineato l’economista, con 140.000 modelli in meno venduti fino ad agosto.

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«I mercati automobilistici più importanti, come Germania e Italia, erano già in leggero calo nei primi otto mesi dell’anno», ha osservato, avvertendo che le cose «non stanno migliorando».   Secondo il Dudenhoeffer, i produttori di automobili stanno ora cercando di compensare le loro perdite aumentando i prezzi. I 20 modelli di auto a benzina più popolari sono già circa il 10% più costosi, ha detto al Bild.   «I prossimi mesi saranno molto difficili per il settore. Peggio di quanto non lo siano stati durante» la pandemia di COVID-19, ha previsto. La Germania sta per essere colpita in modo particolarmente forte, secondo l’esperto, con il mercato che non dovrebbe riprendersi prima del 2026.   Il mese scorso, la più grande casa automobilistica dell’UE, la Volkswagen, aveva annunciato che avrebbe preso in considerazione la chiusura di stabilimenti o licenziamenti in Germania per la prima volta nei suoi 87 anni di storia. L’azienda ha anche annunciato che sarebbe stata costretta a porre fine al suo programma di sicurezza occupazionale, che era stato istituito per posticipare tutti i tagli di posti di lavoro almeno fino al 2029.   All’inizio di settembre, il CEO del gruppo Volkswagen Oliver Blume ha definito la situazione che il mercato automobilistico stava affrontando «altamente impegnativa e seria», aggiungendo che la possibilità di «chiusure di stabilimenti non è più esclusa». La dirigenza aziendale non ha specificato quanti dei 120.000 dipendenti dell’azienda in Germania sarebbero stati licenziati.   La Germania aveva già sofferto una recessione alla fine del 2023. Anche la più grande economia europea si è contratta nel secondo trimestre di quest’anno, secondo le statistiche ufficiali. La debolezza del settore automobilistico è diventata il principale motore del declino della produzione industriale del paese a luglio, ha riferito l’agenzia Reuters a settembre, aggiungendo che la nazione potrebbe affrontare un’altra recessione.   Come riportato da Renovatio 21, già un anno fa si registrava un calo considerevole delle auto elettriche vendute in Germania. Una conseguenza del flop dell’elettromobilità può essere considerata la crisi del produttore di batterie Varta, che ha registrato un calo dei ricavi dell’8,5% nel secondo trimestre 2023.

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A luglio il sindacato FIM-CISL ha presentato ieri un rapporto che evidenzia un autentico crollo nel settore dell’industria delle automobili in Italia. L’industria dell’automotive ha dato segni di forte crisi soprattutto in Germania, Paese in cui le fabbriche di automobili hanno un ruolo precipuo nell’economia forse persino nell’identità nazionale.   L’anno passato le principali case automobilistiche tedesche – Volkswagen, Audi, BMW e Mercedes 2 hanno prodotto circa mezzo milione di auto in meno tra gennaio e maggio, rispetto allo stesso periodo del 2019, con un calo di circa il 20%.   Mesi fa è emerso che il colosso statunitense dell’auto Ford potrebbe lasciare la Germania.

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Immagine di Kārlis Dambrāns via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Economia

La Gran Bretagna chiude l’ultima centrale a carbone

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Dopo 140 anni di sfruttamento dell’energia del carbone, la Gran Bretagna chiuderà questa settimana la sua ultima centrale elettrica a carbone, nel Sud-Ovest di Ratcliffe-on-Soar.

 

Il ministro dell’energia Michael Shanks ha affermato che la Gran Bretagna diventerà una superpotenza nell’energia pulita, tra cui l’energia eolica e quella nucleare.

 

Sotto il precedente governo, erano stati pianificati più di 300 milioni di euro per aiutare a finanziare la produzione di combustibile nucleare avanzato.

 

Il Paese attualmente produce il 16,1% della sua elettricità da otto reattori avanzati raffreddati a gas e un reattore ad acqua pressurizzata. Due nuovi ERP-1750 (1.630 MW ciascuno) dovrebbero essere completati nel 2029. I proprietari sono la francese EDF Energy (Framatome) al 70% e la China General Nuclear Power Group.

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Come riportato da Renovatio 21, la situazione dell’energia atomica in Gran Bretagna divenne complicata negli anni scorsi a seguito dei problemi segnati dall’assenza del gas russo, che spinge il governo di Londra a considerare il razionamento dell’energia elettrica, tra drammatiche previsioni di blackout, bollette impazzite e senso di povertà diffusa registrato dai banchi alimentari.

 

Nel primo 2022, erano circolate notizie secondo cui il governo Johnson aveva deciso di rinviare di 18 mesi la chiusura della centrale nucleare del Somerset a Hinkley Point B, il cui spegnimento era calendarizzato per l’estate dello stesso anno.

 

Tuttavia, il proprietario dell’impianto atomico, il colosso energetico francese EDF, aveva subito inviato un promemoria al personale dell’impianto in cui si diceva che non c’era nessun rinvio.

 

All’epoca EDF sta per tornare al 100% sotto il controllo dello Stato francese – stava cioè per venire ri-nazionalizzata con sullo sfondo di quello che il presidente francese Macron chiama la «rinascita dell’industria nucleare francese», che a quanto pareva intendeva continuare con le centrali in patria (parlava di «rinascimento dell’industria atomica francese…), ma le chiudeva all’estero.

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Immagine di Crep171166 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 Internation

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