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Papa Bergoglio contro la «frociaggine». Ci crediamo subito

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Lo scoop lo aveva fatto Dagospia. Oggi lo ha rivendicato diverse volte, e fa pure bene.

 

«Parecchi vescovi italiani riferiscono, basiti, che questa settimana, intervenendo all’assemblea generale della CEI, Papa Francesco ha ribadito pubblicamente, ma a porte chiuse, la sua nota contrarietà ad ammettere al sacerdozio candidati con tendenze omosessuali» scriveva domenica il sito di Roberto D’Agostino.

 

«Sua Santità ha detto, papale papale, che “nella Chiesa c’è troppa aria di frociaggine” e quindi i vescovi devono sempre letteralmente, “mettere fuori dai seminari tutte le checche, anche quelle solo semi orientate”. Testuale».

 

Ora, tutti i giornali nazionali (con un caso, denunziato bonariamente da Dago, di copia-incolla conclamato) e internazionali riportano la notizia bomba.

 

Ma come? Scusate, non è il papa del magistero aereo del «chi sono io per giudicare?»

 

Non era quello che era finito nel 2013 sulla copertina della rivista gay The Advocate come eterosessuale dell’anno?

 

Non è il papa che apre in continuazione ai trans, invitandone una camionata (letteralmente) a pranzo con lui?

 

Chiaro, è una notizia. Il papa si sposta a destra. Il papa torna a fare il papa. Francesco contro l’Opus Gay. Come no.

 

Una notizia incredibile, per tutti. Anche per noi. Ma proprio nel senso etimologico del termine, cioè non credibile.

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Sarebbe bello, innanzitutto, capire come le auguste labbra del pontefice abbiano pronunziato questa parola vagamente desueta: «frociaggine». Un lemma che viene da regioni della lingua italiana che non immaginiamo subito accessibili a Bergoglio (mentre ricordiamo le capacità glottologiche del polacco che attingeva dal vernacolo capitolino «aoh, semo romani»). Il termine, con le c e le g dolci, non è adattissimo agli ispanofoni, specie se di mezzo ci sta pure una doppia e pure una consonante per loro aspirata: che abbia detto «froziahine», o «frochagine», o «frochajine»…?

 

Non è nemmeno irrilevante saperlo. Perché ci siamo fatti una qualche idea di cosa stia accadendo.

 

Dagospia è un sito unico nel suo genere. Il suo fondatore Roberto D’Agostino racconta che agli inizi degli anni Duemila, alle varie feste romane, sentiva venir rivelate con naturalezza dai convitati storie pazzesche – scoop assoluti, buttati lì in tranquillità. Dice che si guardava intorno e non capiva perché i giornalisti presenti, che avevano sentito la notizia con lui, non corressero in rapidità in redazione per battere l’articolo.

 

Così, prese a farlo lui: e così, quello che non si può dire nelle agenzie stampa o sulle testate giornalistiche, cominciò a comparire, senza citare con chiarezza la fonte, su questo sito, sempre dietro una vaga ma invincibile maschera di gossip.

 

Facile capire cosa poi sarebbe successo: i giornalisti stessi, se hanno una notizia da dare ma per qualche ragione non si sentivano di farlo, possono trasmetterla a Dagospia, che, una volta pubblicata, la rende riferibile. Il giornalista può usare come fonte Dagospia, di cui egli stesso è, in realtà la fonte, a copertura, magari, delle fonti veri.

 

È una filiera geniale, infallibile. È anche un modo con cui si possono lanciare operazioni di spin. Ovvero, se volessi fare opera di riposizionamento di un personaggio o di un’istituzione, inizierei facendo filtrare così alcune «rivelazioni».

 

Abbiamo visto che, dopo la Fiducia Supplicans – il documento che apre le porte delle chiese all’omotransessualismo – la chiesa ha incontrato qualche problema (compreso un fulmine), e perfino dei veri e propri «pronunciamenti» da parte di tanto clero, in ispecie in Africa, il continente periferico che tanto dovrebbe stare a cuore al papa dei poveri, ma talmente dei poveri da aver preso l’anello piscatorio con l’inedito nome del Santo poverello di Assisi.

 

Ora, il cardinale Fernandez – anche lui uso alle malaparole, di recente – sta mandando avanti, come annunciato, tutta una serie di iniziative che avrebbero come obiettivo la critica alla teoria del gender.

 

Non solo: nell’intervista a 60 minutes Bergoglio, data ad aprile, Bergoglio ha ribadito il suo no alle donne-sacerdote e alle diaconesse, deludendo il pubblico delle TV dirette dall’establishment americano. (Certo, dopo aver detto che i vescovi conservatori sono «suicidi»)

 

Insomma, Bergoglio si sta riposizionando? Si sta «rifacendo una verginità» sulla questione LGBT?

 

Può essere, tuttavia la manovra, davvero, non è credibile. Perché sappiamo che la questione della «frociaggine» non è superficiale, nel papato del Bergoglio – e forse nemmeno nel suo conclave. La questione è, di fatto, strutturale al papato neocattolico e ai personaggi di cui Bergoglio si è servito.

 

Al contempo, mai sarà credibile qualcuno che oggi lamenta la quantità di omosessuali nei seminari: perché sappiamo che, anche qui, la faccenda è strutturale, con persone che dicono che vari seminari ammettono solo le persone con l’orientamento, e che ovunque, dopo il Concilio, se cominciassero a respingere i gay i seminari dovrebbero chiudere e basta.

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Andiamo con ordine.

 

Non possiamo credere a Bergoglio se ci rammentiamo che la frase «chi sono io per giudicare un gay» non riguardava gli omosessuali in generali, ma uno in particolare, di cui gli aveva chiesto conto, tornando a Roma in aereo dal Brasile, la giornalista Ilze Scamparini.

 

Torniamo con la mente a quel fatale 2013: il papato dell’argentino si aprì proprio con uno scandalo a carattere omosessuale. L’ineffabile vaticanista Sandro Magister scrisse un articolo di inchiesta che finì per dare il titolo alla copertina de L’Espresso: «Il prelato della Lobby gay». Svolgimento: storie degli scandali di un monsignore vicino a Bergoglio durante la sua carriera diplomatica, ad esempio quando era alla nunziatura apostolica in Uruguay.

 

Si trattava di monsignor Battista Ricca, che, scandalo a parte, aveva una funzione che non poteva essere molto distante dal pontefice: era direttore della Domus Sanctae Marthae, cioè Santa Marta, il luogo eletto come dimora del papa al posto degli appartamenti papali.

 

Non solo: nonostante le accuse, e l’attenzione portata sul caso dall’eco immane che ebbe quel «chi sono io per giudicare» (finito perfino nei film di supereroi della Marvel), monsignor Ricca poco dopo fu nominato nuovo prelato dello IOR, la mitica banca vaticana al centro di trame oscure come delle fantasie di certi giornalisti che, un tempo, potevano credere ai complotti e pure cercare di spiegarli.

 

Tuttavia il Ricca non è il caso più significativo. Molto più indicativo, a nostro pare, è il caso del cardinale Teodoro McCarrick. Di fatto plenipotenziario della chiesa in USA, le attività del porporato – che secondo i resoconti dei giornali comportavano peccati al di là dell’omosessualità – sono venute alla luce solo dopo inchieste finite su grandi quotidiani come il New York Times, che hanno dato voce alle vittime.

 

Sulla vicenda McCarrick ovviamente la voce da sentire è quella di monsignor Viganò, che, da nunzio apostolico a Washington aveva potuto comprendere la gravità della questione, di cui riferì al papa.

 

Riportiamo le parole dell’articolo che nel 2018 scrisse il vaticanista Aldo Maria Valli.

 

«L’anno è il 2013, il mese giugno. A Roma c’è una riunione dei nunzi di tutto il mondo e anche Viganò è presente. Emozionato per la prospettiva del primo incontro con il nuovo pontefice, l’arcivescovo si reca a Casa Santa Marta, la residenza scelta da Bergoglio al posto del palazzo apostolico, e chi trova lì? Un cardinale McCarrick sorridente e sereno, che indossa la veste filettata e saluta Viganò facendogli sapere in tono baldanzoso: “Il Papa mi ha ricevuto ieri, domani vado in Cina!”».

 

Tenete a mente la Cina, perché sotto tornerà almeno un paio di volte.

 

Valli riporta la testimonianza di mons. Viganò: «Allora nulla sapevo della sua lunga amicizia con il Card. Bergoglio e della parte di rilievo che aveva giocato per la sua recente elezione, come lo stesso McCarrick avrebbe successivamente rivelato in una conferenza alla Villanova University ed in un’intervista al Catholic National Reporter, né avevo mai pensato al fatto che aveva partecipato agli incontri preliminari del recente conclave, e al ruolo che aveva potuto avere come elettore in quello del 2005. Non colsi perciò immediatamente il significato del messaggio criptato che McCarrick mi aveva comunicato, ma che mi sarebbe diventato evidente nei giorni immediatamente successivi».

 

La storia prosegue con un secondo incontro, ancora più inquietante del primo.

 

«È il 23 giugno 2013, domenica. Il papa riceve Viganò prima dell’Angelus. Fa alcune affermazioni che all’arcivescovo suonano quanto meno sibilline, poi, di punto in bianco, gli chiede: “Il card. McCarrick com’è?”. Al che il nunzio risponde: “Santo Padre, non so se lei conosce il card. McCarrick, ma se chiede alla Congregazione per i Vescovi c’è un dossier grande così su di lui. Ha corrotto generazioni di seminaristi e di sacerdoti e papa Benedetto gli ha imposto di ritirarsi ad una vita di preghiera e di penitenza”».

 

«Reazione del papa? Nessuna. Anzi, Bergoglio cambia subito argomento. Ma allora, si chiede uno sconcertato Viganò, perché mi ha fatto la domanda?
Il nunzio lo capisce una volta tornato a Washington. Lì apprende che tra il papa e McCarrick c’è uno stretto legame. La domanda posta da Bergoglio al nunzio era dunque una trappola. Sta di fatto che, secondo il racconto di monsignor Viganò, almeno dal 23 giugno 2013 papa Francesco è a conoscenza del caso McCarrick».

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McCarrick, che dalla capitale americana tesseva ogni connessione possibile con la politica, con il potere e perfino con lo sport, fu, ricordiamolo, sberrettato: e che un cardinale perdesse il titolo non capitava da un secolo. Era successo a mons. Louis Billot, unico del XX secolo a rinunciare alla dignità cardinalizia su forte pressione di Pio XI, che non amava la sua contiguità con l’Action Française, il movimento tradizionalista di Charles Maurras condannato dalla Santa Sede nel 1926. Qui siamo davvero da tutt’altra parte.

 

Un’investigazione di un sacerdote riportata dal giornale americano National Catholic Register parla della creazione da parte di McCarrick di una «”pipeline” omosessuale che incanalava i candidati latinoamericani vulnerabili in alcuni seminari statunitensi dove venivano sfruttati sessualmente, e successivamente ordinati come preti attivamente omosessuali in alcune diocesi americane». In pratica, da Paesi come Messico, Porto Rico, Costa Rica, Colombia, il sistema istituito dal cardinale avrebbe preso i candidati scartati per la loro omosessualità per inserirli nei seminari americani.

 

Altro che «troppa frociaggine». Lo vedete da voi: si parla di pipeline, di «tubatura». La questione omosessuale è per la chiesa strutturale, anzi, infrastrutturale. Ed è guidata da uomini vicinissimi al papa.

 

Poco sorprendentemente, la scorsa estate è stato giudicato «inadatto» ad affrontare un processo nei tribunali americani per gli abusi di cui è accusato.

 

Nel frattempo, tuttavia, vale la pena di ricordare quella che potrebbe essere una delle ramificazione più massive della questione McCarrick: il cardinale, che si beava davanti a Viganò della missione cinese impartitagli dal papa gesuita, ha agito come vero e proprio messo papale per l’attivazione delle relazioni con Pechino, processo che avrebbe portato al disastro dell’accordo sino-vaticano, un disastro che gronda ogni giorno delle lacrime e del sangue dei martiri della chiesa sotterranea, con desaparecidos e chiese distrutte – cioè la vera chiesa – cattolica.

 

Non è secondaria, a questo punto, la voce secondo cui monsignor McCarrick, quando era in Cina, dormisse in un seminario della chiesa patriottica cinese, cioè la copia di cartone del cattolicesimo imbastita dal governo del Dragone… i risultati abbiamo visto quali sono stati. Bergoglio si bea dei rapporti «molto rispettosi» col governo ultratotalitario (che ha ucciso, con gli aborti forzati, forse centinaia di milioni di bambini) e il portale mediatico della Santa Sede, in un comunicato in inglese dell’anno passato, si lascia scappare che le persecuzioni dei cristiani in Cina sarebbero «presunte». E ancora: vogliamo credere al controverso miliardario cinese Guo Wengui, ora rifugiato negli USA, che sostiene che il Vaticano sarebbe corrotto con «1,6 miliardi di dollari l’anno per fermare le critiche alla politica religiosa di Pechino»?

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Un altro personaggio interessante attorno a Bergoglio: lo conoscete padre James Martin? Ne abbiamo parlato: è gesuita, e si può ritenere il prete cattolico più filo-LGBT d’America (quindi, del mondo) quello promosso un’immagine tratta da una serie di opere blasfeme e omoerotiche che mostrano Gesù Cristo come omosessuale, esaltato le unioni civili tra persone dello stesso sesso e descritto vedere Dio come maschio come «dannoso». Tutto ciò, invece che cagionargli una sanzione da parte della gerarchia, lo ha fatto promuovere: è Bergoglio stesso che lo porta in palmo di mano, spendendosi in pubblici elogi per il più noto sacerdote filo-LGBT del mondo.

 

Lo scorso novembre Bergoglio aveva dapprima concesso un’udienza privata al Martin, per poi elogiarlo pubblicamente durante l’assemblea plenaria del Dicastero per le comunicazioni vaticane. Il gesuita filo-omofilo era stato quindi alle masse di ragazzi, tra musica techno sparata da sacerdoti DJ e pissidi Ikeadurante la Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona.

 

Con la pubblicazione della Fiducia Supplicans, padre Martin non ha perso tempo: pochi giorni dopo aveva già impartito la sua prima «benedizione» di una coppia omosessuale a Nuova York dopo la pubblicazione del nuovo documento vaticano.

 

Nel 2022, il Martin aveva dichiarato in pratica che la dottrina del catechismo sull’omosessualità uccide, in quanto porterebbe taluni alla morte per suicidio. Il papa in risposta gli scrisse una lettera: «vi incoraggio a continuare a lavorare sulla cultura dell’incontro, che accorcia le distanze e ci arricchisce delle nostre differenze, come ha fatto Gesù, che si è fatto vicino a tutti».

 

Non che si tratti solo di personaggi che paiono essere dirette emanazioni del potere papale. Prendete la storia del mese scorso di suor Jeannune Gramick, una religiosa pro-LGBT: Bergoglio le ha detto che i transessuali «devono essere integrati nella società». L’ambasciata americana presso la Santa Sede deve aver capito l’antifona: ecco che ogni anno, nel mese di giugno – cioè i 30 e passa giorni di celebrazione dell’orgoglio gaio – viene issata fuori dalle finestre diplomatiche la bandiera arcobalenata, l’anno scorso pure in versione trans (sapete, con il trangolino rosa, blu, bianco, etc…)

 

Nel mucchio arcobaleno, mettiamoci pure i danari vaticani elargiti al film biografico su Elton John. E, soprattutto, non lasciamoci fuori Grindr.

 

Da Grindr, ripete da tempo Renovatio 21, potrebbe dipendere la strana mansuetudine con cui Roma tratta Pechino, in ispecie quando quest’ultima vìola spaventosamente gli accordi sino-vaticani, con il Partito Comunista Cinese che nomina i vescovi che vuole e li insedia dove meglio ritiene.

 

Grindr è la app di incontri – da cui discende Tinder e ogni altro epigono – dedicata ai soli gay. Si dice siano presenti vari consacrati (notoriamente, la quantità di omosessuali in Curia è secondo alcune analisi piuttosto alta), per un periodo finì nelle mani dei cinesi, che acquistarono la società.

 

Della pericolosità della situazione si rese subito conto l’amministrazione Trump, la quale chiese alla Cina di farla tornare in mano americana, perché i servizi USA paventavano che le informazioni contenute in quella app (tra cui alcune davvero delicate, ) mettessero a rischio la sicurezza nazionale: quante persone, nell’esercito e nella pubblica amministrazione, nel governo e nelle grandi aziende, potevano essere ricattate?

 

Cosa piuttosto incredibile, la Cina acconsentì, e l’applicazione dei festini omosessuali tornò di proprietà americana. È lecito pensare che qualche copia dei file i cinesi li abbiano tenuti. E quindi, che ci sia verso pezzi grossi della Curia da parte del Partito Comunista Cinese anche un possibile ricatto basato sui dati dell’app di Sodoma?

 

Questa storia della critica alla «frociaggine», capite, per noi è sempre più difficile da credere al di fuori della disperata, goffa trovata pubblicitaria.

 

Perché viviamo in un’epoca dove – è capitato in Emilia un paio di anni fa – un prete che annuncia di voler lasciare la tonaca deve specificare di essere eterosessuale. Proprio così: evidentemente bisogna pensare che la norma, nella chiesa attuale, sia l’omosessualità.

 

E quindi, i discorsi sui seminari pieni di «checche»… quanto sono credibili in una chiesa dove l’omosessualità è dilagata perfino – come dimostrano tutti questi casi – a livello della struttura, dell’infrastruttura stessa dell’istituzione?

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Credere ora al papa argentino e alla sua avversione per i preti omosessuali significa, per tutti coloro che hanno un po’ seguito la materia, cancellare dalla mente tutte quelle voci, che abbiamo visto godere pure di qualche testimonianza in alto nella gerarchia, su un ruolo della famosa «lobby gay» in Vaticano per l’elezione al Soglio di Bergoglio.

 

Ci rendiamo conto che è quello che, orwellianamente, si aspettano: con la mente satura e spaventata, intossicata dalle spike riformattabile a piacere, dobbiamo ora metterci in testa la storia del Bergoglio contrario ai gay e alla loro presenza nella neochiesa cattolica.

 

Purtroppo per lui, dobbiamo dire che non ci rammentiamo solo di McCarrick, ma anche di del presbitero cileno Karadima, del prete ciellino don Inzoli, della Casita de Dios. Di più: ci torna alla mente, di colpo, la celebrazione che papa Francesco fece di Don Milani, proprio nel momento in cui la sua figura era improvvisamente tacciata, sui giornali nazionali, di qualcosa di tremendo.

 

Qui però si va da altre parti. E per quelle cose non c’è nemmeno una parola bonaria e vagamente vezzeggiativa come «frociaggine». Da quelle parti c’è altro: c’è l’indicibile.

 

E l’indicibile, accusano in tanti, nella chiesa infiltrata da Satana e sempre di casa.

 

Roberto Dal Bosco

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Ministro contro sacerdote spagnuolo che ha negato la comunione a un politico omosessuale: rischia il processo. Sotto tiro anche le terapie di conversione

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Un prete cattolico in Spagna potrebbe dover affrontare accuse penali per aver negato l’Eucaristia ad un politico apertamente omosessuale. Lo riporta il sito cattolico The Pillar.   Negare la Comunione «è contrario alla Costituzione spagnola», ha affermato la ministra socialista per l’Uguaglianza Ana Redondo in un’intervista a gennaio, sostenendo che la Chiesa cattolica «non può, anche in assenza di una legge specifica, essere sottratta alle regole costituzionali, al principio di uguaglianza e di non discriminazione dell’articolo 14».   «Non puoi discriminare un cittadino LGTBI e chiedergli di scegliere la sua fede o la sua condizione sessuale», ha aggiunto. «Questo è chiaramente discriminatorio e spero che ci sarà una sfida», nel senso di un’azione legale..   La Redondo ha risposto a una dichiarazione del sindaco socialista della cittadina di Torrecaballeros nella provincia di Segovia. L’11 gennaio, Ruben Garcia de Andres ha scritto su X che il suo parroco gli aveva negato la Santa Comunione a causa della sua relazione omosessuale pubblica.   Garcia ha affermato che gli è stata negata l’Eucaristia «a causa della mia condizione sessuale e della convivenza con il mio partner».  

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L’uomo omosessuale ha quindi accusato parti della Chiesa cattolica segoviana di «omofobia» e ha lamentato che «per la Chiesa di Segovia, la primavera di Francesco non è arrivata».   Il Garcia ha lasciato intendere che Papa Francesco avrebbe disapprovato la negazione della Santa Eucaristia in questo caso, dato il suo passato sostegno all’agenda omotransessualista, incluso il permesso di «benedizione» per le coppie dello stesso sesso .   The Pillar riporta che un’altra coppia omosessuale ha denunciato che lo stesso sacerdote, padre Felicien Malanza Munganga, originario del Congo, le ha negato la Santa Comunione.   In una dichiarazione pubblicata il 12 gennaio, il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) ha chiesto al nuovo vescovo di Segovia di «porre fine alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale nella Chiesa di Segovia». Il PSOE ha accennato a possibili azioni legali, affermando che «la legislazione del nostro Paese ha caratterizzato i crimini d’odio basati sull’orientamento sessuale e siamo convinti che questa situazione finirà alla radice, poiché nessuno vuole percorrere quella strada».   La diocesi di Segovia ha pubblicato una dichiarazione in risposta al PSOE, affermando che il sacerdote non ha agito in modo «omofobo e discriminatorio».   «In ottemperanza al suo ministero e seguendo le regole della Chiesa universale sulla ricezione della Santa Comunione», dice la nota, il sacerdote è stato costretto a negare la Comunione alle persone dello stesso sesso che vivono in forma matrimoniale, cosa che può accadere anche tra persone eterosessuali senza vincolo matrimoniale».   «Non si tratta di omofobia o discriminazione, poiché la Comunione non viene negata a causa della condizione omosessuale, ma per difendere il carattere sacro dell’Eucaristia», prosegue la dichiarazione.   La diocesi ha affermato che la richiesta del PSOE di Segovia è un «giudizio diffamatorio» e una «ingerenza inammissibile negli affari interni della Chiesa, nonché un attacco alla libertà religiosa garantita dalla Costituzione».   «I cattolici sanno che per ricevere l’Eucaristia, siano essi omosessuali o eterosessuali, sono richieste alcune condizioni oggettive di moralità, e la Chiesa ha l’autorità di negare la Comunione quando queste non vengono rispettate, soprattutto se ciò provoca scandalo tra i fedeli, come è accaduto nei casi di Segovia».

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La Chiesa cattolica ha sempre proibito agli individui impenitenti di ricevere la Comunione, secondo le parole di San Paolo, che scrive nella prima lettera ai Corinzi: «Cosicchè chi mangi il pane o beva il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore» (1Cor 11, 27).   Il paragrafo 915 del Codice di Diritto Canonico stabilisce che «devono essere allontanati dal ricevere la Divina Eucaristia coloro che sono pubblicamente indegni».   La Chiesa in Spagna potrebbe essere perseguitata legalmente anche per altri motivi a causa del suo insegnamento e della sua pratica apostolica sul matrimonio e sulla famiglia, scrive LifeSite.   Il ministro spagnolo per l’uguaglianza Redondo ha anche detto nell’intervista che avrebbe incontrato il vescovo spagnolo per discutere la questione di sette diocesi spagnole accusate di sostenere la «terapia di conversione» per gli omosessuali, che è illegale e punibile con una multa in Spagna. Molte diocesi hanno negato tale accusa e hanno affermato di aver semplicemente tenuto colloqui con persone precedentemente coinvolte in attività omosessuali.   Il ministro Redondo ha affermato che si aspetta che la Corte costituzionale spagnola «chiarisca in una sentenza in che misura ciò incide sul principio di uguaglianza e non discriminazione». «Non esiste alcuna legge che proibisca le regole ecclesiastiche, ma queste regole ecclesiastiche devono essere interpretate secondo la Costituzione e secondo il principio di uguaglianza», ha affermato.

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Trump firmerà un ordine esecutivo che vieta ai trans di entrare nell’esercito

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Il presidente Donald Trump dovrebbe firmare oggi degli ordini esecutivi che licenzieranno sia le persone che si identificano come «transgender», sia i programmi «Diversità, equità e inclusione» (DEI) delle forze armate statunitensi.

 

L’attivista Charlie Kirk di Turning Point USA ha riferito su X che il Presidente metterà al bando «i membri transgender in servizio e i programmi DEI militari».

 

«Le persone che combattono gravi malattie mentali non hanno posto nell’esercito», ha aggiunto Kirk. «Fate in modo che aiutino e che escano dalle forze armate».

 

Il New York Post ha riferito oggi che il Dipartimento della Difesa dovrà elaborare e attuare la nuova politica dopo che il Presidente avrà firmato l’ordine. Il Post ha citato un documento della Casa Bianca che «annuncia l’ordine sui soldati transgender» e che recita «La coesione unita richiede alti livelli di integrità e stabilità tra i membri del servizio» e che non dovrebbe esserci «nessuna sistemazione per niente di meno che resilienza, forza e capacità di resistere a richieste fisiche straordinarie».

 

«Gli individui che non sono in grado di soddisfare questi requisiti non possono prestare servizio nell’esercito. Questo è il caso da decenni».

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Sottolinea inoltre l’ovvio riguardo alla cosiddetta operazione di «cambio di sesso»: «possono volerci almeno 12 mesi prima che un individuo completi i trattamenti dopo l’operazione di transizione, che spesso comporta l’uso di narcotici pesanti. Durante questo periodo, non sono fisicamente in grado di soddisfare i requisiti di prontezza militare e necessitano di cure mediche continue. Ciò non favorisce la distribuzione o altri requisiti di prontezza».

 

Il Post ha anche citato una statistica del 2014 che suggeriva che anche allora c’erano circa 15.500 militari statunitensi che si identificavano come «transgender».

 

Nel suo primo giorno in carica quest’anno, il presidente Trump ha revocato un ordine esecutivo del regime di Biden che consentiva alle persone con identità di genere incerte di arruolarsi nell’esercito.

 

L’ordinanza di Biden ha reso «politica degli Stati Uniti garantire che tutti i [cosiddetti] individui transgender che desiderano prestare servizio nell’esercito degli Stati Uniti e possono soddisfare gli standard appropriati possano farlo apertamente» e senza presunte «discriminazioni», revocando la decisione del primo mandato del presidente Trump di vietare alle persone con confusione di genere di arruolarsi nell’esercito.

 

Il presidente in carica ha anche revocato altri ordini di Biden su transgenderismo e omosessualità, tra cui diversi relativi a «identità di genere» e «orientamento sessuale».

 

Il presidente Trump ha anche reso una politica del governo degli Stati Uniti quella di far sì che esistano solo due sessi, maschile e femminile.

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Immagine di pubblico dominio CCo via Flickr

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«Vescova» episcopaliana predica contro Trump ad una funzione in sua presenza

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Una «vescova» della diocesi episcopaliana di Washington ha attaccato duramente Donald Trump durante un sermone tenuto in sua presenza.   Gli episcopaliani sono una sorta di versione americana degli anglicani, dove pure le vescove (o vescovesse) sono state grottescamente introdotte da anni.   La vescova Mariann Edgar Budde, durante una funzione alla Cattedrale di Canterbury della capitale americana, ha criticato severamente dal pulpito Donald Trump, che era presente con la famiglia e con il vicepresidente JD Vance, per le sue posizioni su LGBT, sui bambini trans, e sugli immigrati. Si tratta delle grandi priorità della sinistra globale, divenuta letteralmente per gli anglicanoidi, e più o meno anche per i cattolici fedeli a Bergoglio.   «Ci sono bambini gay, lesbiche e transgender in famiglie democratiche, repubblicane e indipendenti, alcuni dei quali temono per la propria vita» ha predicato la Budde, sostenendo che «la grande maggioranza degli immigrati non sono criminali», ma «buoni vicini» e «fedeli membri» di comunità religiose.  

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Mercoledì il presidente Donald Trump ha criticato duramente la reverenda vescova, dopo che ha pronunciato un sermone politicizzato di sinistra durante la funzione di preghiera inaugurale di martedì mattina presso la cattedrale nazionale di Washington.   «Il cosiddetto vescovo che ha parlato al National Prayer Service martedì mattina era un radicale di sinistra che odiava Trump in modo duro. Ha portato la sua chiesa nel mondo della politica in modo molto scortese. Era cattivo nei toni, e non convincente o intelligente», ha scritto Trump su Truth Social.   «Non ha menzionato il gran numero di migranti illegali che sono entrati nel nostro Paese e hanno ucciso persone. Molti sono stati trasferiti da prigioni e istituti psichiatrici. È un’ondata di criminalità gigantesca quella che sta avvenendo negli USA. A parte le sue dichiarazioni inappropriate, il servizio è stato molto noioso e poco stimolante. Non è molto brava nel suo lavoro! Lei e la sua chiesa devono delle scuse al pubblico!»   Mercoledì la Budde è apparsa anche al programma The View, – seguitissimo programma per casalinghe noto per l’odio assoluto contro Donald Trump (da quando è in politica: prima era accolto con gioia come ospite che faceva salire gli ascolti – dove ha affermato che è stato Trump a politicizzare il suo discorso.   Perché Trump (che sulla carta è segnato come un protestante nondenominational, cioè senza affiliazione precisa) e Vance (che è convertito cattolico, e accanto aveva la moglie Usha, induista) debbano sottoporsi al ridicolo rito di una vescovessa, prima ancora che sentire le sue omelie, rimane un mistero.

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