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Economia

Le monete virtuali aprono ad una «società distopica» che «traccerà ogni nostra transazione»

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Robert Kyosaki, imprenditore statunitense noto per un libro di consigli finanziari di estremo successo – Padre ricco padre povero – ha recentemente lanciato il suo allarme sulle CBDC, ossia sulle monete virtuali emesse dalle Banche Centrali.

 

Durante un recente episodio del suo podcast, il Kiyosaki, già autore di testi scritti a quattro mani con Donald Trump, ha avvertito che i CBDC avrebbero aperto la porta a un livello senza precedenti di sorveglianza degli americani.

 

«La principale apprensione con il FedCoin, la CBDC, è che erode la nostra privacy. Tracciando ogni transazione finanziaria, avranno accesso a ogni dettaglio della nostra spesa, del destinatario del nostro denaro e di come allochiamo le nostre risorse», ha affermato l’autore nippo-americano.

 

«In sostanza, replica la società distopica di George Orwell rappresentata nel 1984. Il Grande Fratello monitorerà costantemente la nostra attività finanziaria, e questo è precisamente il problema con la valuta digitale della Banca centrale, o FedCoin», ha aggiunto.

 

«Come individuo, divento nervoso al pensiero di questo. Non voglio che monitorino ogni mia transazione o siano al corrente delle mie abitudini di spesa. È una violazione della mia privacy e non hanno alcun interesse a sapere come scelgo di allocare le mie risorse».

 

Al Kyosaki tuttavia manca una parte, la più importante: mentre il tracciamento di tutte le transazioni è già realtà – lo abbiamo visto con il computo dell’impronta carbonica in banche australiane, canadesi e, ci riferiscono, anche italiane – la vera rivoluzione del controllo dei «bitcoin di Stato» sarà la possibilità la gestione autonoma dello Stato di ogni possibilità economica del cittadino divenuto utente della sua mega-piattaforma.

 

Il che vuol dire che con il denaro programmabile lo Stato potrà in tranquillità non solo prelevare tasse e multe senza il consenso del cittadino-utente, ma potrà inibirgli selettivamente alcuni acquisti (per tipo, tempistica, logistica: pensate a quanto abbiamo vissuto in lockdown, dove si poteva andare solo nel supermercato più vicino del proprio comune, e acquistare solo determinati beni) o addirittura proibirgli del tutto ogni transazione, rendendolo con un clic un vero «paria» senza possibilità di lavorare e alimentarsi – e anche in questo il green pass è stato prodromico.

 

Come riportato da Renovatio 21, in effetti la piattaforma in cui correrà l’euro digitale – che sarà implementato a breve e utilizzato, secondo recenti confessioni private della presidente BCE Christine Lagarde, per sorvegliare gli europei – è la medesima sulla quale hanno costruito la tecnologia del green pass, i cui lavori erano stati iniziati molto prima del COVID.

 

La moneta digitale globale due settimane fa è stata discussa apertamente all’incontro annuale tra Fondo Monetario Internazionale e Banca mondiale.

 

Molto di quello che sta accadendo nel mondo finanziario internazionale – il caos nel mondo delle criptovalute, il crollo di banche piccole e grandi – potrebbe rappresentare parte del processo con cui i vertici imporranno alle masse la fine del contante e l’avvento del denaro-software come sistema centrale della nostra esistenza.

 

 

 

 

Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

 

 

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Economia

La situazione di economia ed energia in Italia. Uno sguardo ai primi mesi 2024

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Sono passati i primi 6 mesi del 2024. Renovatio 21 è tornata a sentire Mario Pagliaro, il ricercatore del CNR e accademico di Europa, che a più riprese abbiamo intervistato sui temi dell’energia e dell’industria. Pagliaro aveva prima anticipato la forte crescita dei prezzi dell’energia nell’estate nel 2021. Da tempo il professore prevede il ritorno dello Stato nell’economia e la necessità di ricostituire l’IRI, l’istituto per la Ricostruzione Industriale che fra il 1933 e il 1993 fece grande l’Italia tramite il principio di un’economia pianificata, cui il mondo pare volente o nolente dover ritornare.

 

La prima domanda non può non riguardare i consumi energetici in Italia. Come sono andati, nei primi 6 mesi dell’anno?

Molto male. Il consumo di gas naturale nel primo semestre, pari a poco meno di 31 miliardi di metri cubi è diminuito del 4,5% sul primo semestre 2023. E questo dopo che nel 2023 il consumo di gas in Italia, pari a 61,5 miliardi di metri cubi, era stato il più basso da oltre 25 anni, con un calo del 10,1% sul 2022. Praticamente invariati i consumi petroliferi ai minimi storici – pari a 28,2 milioni di tonnellate nel primo semestre dell’anno. In leggera crescita, poco più dell’1%, i consumi elettrici che da circa 150 miliardi di kWh (chilowattora) nel primo semestre del 2023 passano a 151,6 miliardi nei primi 6 mesi del 2024, trainati dal forte calo dei prezzi elettrici.

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E per quale ragione i consumi energetici italiani sono così bassi?

Perché la produzione industriale è crollata, e non fa che diminuire mese dopo mese rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Considerando l’ultimo dato mensile reso disponibile dall’ISTAT, relativo a maggio, il calo tendenziale della produzione industriale nei primi 5 mesi dell’anno è del 3,4%, rispetto ad un dato già molto basso relativo ai primi 5 mesi del 2023. Dei 16 settori di attività economica considerati dall’ISTAT, solo due mostrano un trend positivo: alimenti e tabacco (+1,2%) e raffinazione del petrolio (+3,3%). Pesantissimi i cali di tessile, abbigliamento, e pelli (-9,3%) e produzione di autoveicoli (-6,7%).

 

E perché le aziende italiane producono così poco?

Perché la domanda interna è bassa, a causa dei bassi salari e dell’invecchiamento della popolazione. E quella estera è crollata, a causa della crisi delle relazioni internazionali deflagrata con la guerra nella ex Unione Sovietica prima, e in Medio Oriente poi. Nel 2023 le esportazioni italiane sono scese in volume del 5%: il fatto che in termini finanziari siano rimaste stabili a quota 626 miliardi di euro rispetto al 2022 è stato dovuto al forte aumento dei prezzi dei beni esportati, pari al 5,3%.

 

La crisi del Mar Rosso che costringe le navi portacontainer provenienti dal Sudest asiatico a circiumnavigare l’Africa ed evitare il passaggio del Canale di Suez ormai da mesi, non fa che aumentare i costi di produzione, e dunque i prezzi delle merci. Un ulteriore forte calo dei volumi di merci italiane esportati nel 2024 pertanto è inevitabile.

 

La guerra nell’ex Unione Sovietica non accenna a concludersi, e la situazione in Medio Oriente si aggrava di giorno in giorno. Cosa dobbiamo attenderci per l’approvvigionamento energetico dell’Italia nell’autunno ormai alle porte?

Non possiamo saperlo. Se la guerra in Medio Oriente dovesse estendersi alle infrastrutture energetiche, ci sarebbero conseguenze molto serie. Il petrolio da raffinare in Italia arriva quasi tutto da Medio Oriente, Azerbaijan e Libia. Se dovessero esserci problemi con i flussi dal Medio Oriente, si andrebbe incontro a una forte carenza di combustibile.

 

Quanto al gas, nel 2023 il calo dei consumi energetici è stato tale che l’Italia ha diminuito le importazioni di gas naturale da tutti i Paesi che la riforniscono. In ordine, questi Paesi sono tre: l’Algeria, che nel 2023 ci ha inviato 23 miliardi di metri cubi (-2,2% su 2022), l’Azerbaigian, che ce ne ha venduti 10 miliardi (-3,2% su 2022) e l’Olanda che ce ne venduti 6,6 miliardi (-13,5% su 2022). La Russia, con 2,8 miliardi di metri cubi (in calo dell’80% sul 2022) e la Libia, con 2,5 miliardi (-3,7% su 2022) sono ormai fornitori marginali. La crescita ha riguardato il solo gas naturale liquefatto, che nel 2023 è cresciuto di poco meno del 17% arrivando a 16,6 miliardi di metri cubi.

 

Lei ha previsto il ritorno dello Stato nell’economia. Ci sono stati progressi, in questo senso, nel primo semestre del 2024?

Certo. Le autostrade sono tornate interamente in mano allo Stato. Ad aprile è stata costituita Autostrade dello Stato. Mai più le autostrade o le strade saranno date in concessione ai privati. La produzione di acciaio è tornata nelle mani dello Stato, che a Taranto ne garantisce la continuità operativa seppure ancora con un solo altoforno in funzione.

 

Lo Stato è il principale azionista della compagnia di bandiera, Ita, nonostante la recente cessione del 41% delle quote alla compagnia di bandiera tedesca. Lo Stato, tramite la Cassa Depositi e Prestiti, possiede il 16,5% della maggiore impresa italiana di costruzioni.

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Inoltre, lo Stato è socio di fatto di praticamente tutte le imprese italiane cui paga ogni mese parte degli stipendi sotto forma di «Cassa integrazione guadagni». Per avere un’idea di che numeri parliamo, solo a maggio lo Stato pagherà ai lavoratori delle imprese italiane che ne hanno fatto richiesta a INPS ben 47,2 milioni di ore di lavoro: in crescita di quasi 10 milioni di ore rispetto ad aprile (38,1 milioni di ore). Moltiplichi l’importo orario di un lavoratore italiano per 47,2 milioni e avrà idea di che numeri parliamo.

 

È chiaro che è una situazione non sostenibile. Il sistema privato, da solo, non ce la fa più. Ed è altrettanto chiaro che occorre ricostituire immediatamente l’IRI per ricostruire l’industria italiana.

 

Guardando alla questione da un punto di vista complementare. Cosa accadrà dell’economia italiana se lo Stato non tornerà ad esservi protagonista non ricostituendo l’IRI?

Semplicemente, non sarebbe possibile sostenere oltre il costo sociale della Cassa integrazione e degli innumerevoli «bonus» con cui in questi ultimi 5 anni sono stati evitati i licenziamenti di massa.

 

Ai licenziamenti di massa si accompagnerebbe il fallimento generalizzato delle imprese perché la domanda interna crollerebbe immediatamente. Questo si rifletterebbe immediatamente sulle banche, determinando una situazione simile a quella dei primi anni Trenta quando, appunto, il governo costituì l’IRI per salvare le poche imprese italiane dell’epoca e le banche che le avevano finanziate, creando le banche di interesse nazionale, cioè le banche di Stato.

 

Il debito pubblico è ormai a un passo da quota 3mila miliardi. L’Unione Europea avrebbe imposto agli Stati membri il ritorno all’austerità attraverso il ritorno in vigore del cosiddetto «Patto di stabilità e crescita». Ma non c’è alcun modo, concretamente, che questo possa accadare senza che in Italia la situazione sociale precipiti con il fallimento generalizzato non solo delle imprese, ma anche degli Enti locali che già oggi nel Meridione versano quasi tutti in condizioni di dissesto o «predissesto» finanziario.

 

In breve, il Paese è di fronte a scelte di importanza epocale che richiederanno il ritorno alle politiche industriali pubbliche con IRI, ENI e le banche di interesse nazionale che resero l’Italia una grande potenza industriale.

 

La forza dei fatti concreti, per sua incontrovertibile natura, si imporrà sui pregiudizi ideologici del liberismo economico: una dottrina sociale ed economica che il mondo aveva saggiamente abbandonato subito il 1945. E che adesso sarà superata ovunque in via definitiva. A partire, dai prossimi mesi, proprio dall’Italia.

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Economia

Aumento delle importazioni UE di fertilizzanti russi

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Le importazioni di fertilizzanti russi nell’UE sono aumentate del 70%, raggiungendo 1,9 milioni di tonnellate tra gennaio e maggio di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2023, ha riferito martedì Vedomosti, citando i dati di Eurostat.   In termini monetari, gli acquisti del blocco sono ammontati a oltre 649 milioni di euro, con un incremento annuo del 30%.   Solo a maggio, le importazioni sono aumentate del 5% anno su anno a 77,4 milioni di euro in termini monetari e del 17% a 238.400 tonnellate in volume. La crescita è attribuita principalmente a un aumento degli acquisti di letame potassico e fertilizzanti multi-nutrienti, ha osservato l’outlet.

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Nel frattempo, le importazioni UE di fertilizzanti azotati russi sono cresciute del 39% nei primi cinque mesi di quest’anno e hanno raggiunto il 57% degli acquisti totali di fertilizzanti del blocco europeo da Mosca, riporta RT. La Polonia è emersa come uno dei principali acquirenti di urea russa, avendo aumentato le importazioni del 25% a quasi 468.000 tonnellate. È stata seguita da Francia, Germania e Italia, che hanno aumentato gli acquisti rispettivamente del 12%, 11% e 10%.
La testata russa Vedomosti ha osservato che i costi di produzione dei fertilizzanti erano saliti alle stelle in tutta l’Unione nel 2022 a causa dell’aumento dei prezzi del gas naturale. All’epoca, il gigante energetico russo Gazprom, un tempo il principale fornitore di gas dell’UE, aveva ridotto drasticamente le esportazioni verso il blocco a seguito delle sanzioni occidentali e del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream.   L’aumento dei costi di produzione ha costretto i produttori di fertilizzanti azotati dell’UE a ridurre la produzione, mentre alcune aziende hanno dovuto interrompere temporaneamente le attività, costringendo gli agricoltori dell’Unione ad aumentare le importazioni dalla Russia, il più grande produttore ed esportatore di urea al mondo.   L’anno scorso, l’Ufficio federale di statistica (Destatis) ha rivelato che la Germania aveva aumentato gli acquisti di fertilizzanti russi di circa il 334%, da 38.500 tonnellate a luglio 2022 a 167.000 tonnellate a giugno 2023. Nel frattempo, le importazioni di sola urea sono aumentate del 304% nella prima metà del 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.   All’inizio di quest’anno, l’amministratore delegato del produttore chimico norvegese Yara International, Svein Tore Holsether, ha avvertito in un’intervista al Financial Times che la UE stava diventando sempre più dipendente dai fertilizzanti russi, proprio come accadeva con il gas naturale.

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Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno era stato rilevato che la dipendenza dell’UE dalle importazioni di fertilizzanti russi era in aumento.   Come riportato da Renovatio 21la Russia è un esportatore di fertilizzante di importanza fondamentale per l’agricoltura mondiale. La filiera del fertilizzante è stata messa in stato di squilibrio dalle sanzioni seguite allo scoppio della guerra russo-ucraina, con scarsità di sostanze e aumento vertiginoso dei prezzichiusura di stabilimenti europei e conseguente rischio per la produzione di cibo globale.   È stato ipotizzato che il caos riguardo ai fertilizzanti sia parte di un attacco organizzato alle forniture globali. Capi di Stato africani tre settimane fa hanno chiesto alla UE la liberazione di 200 mila tonnellate di fertilizzante russo ferme nei porti europei.   La crisi dei fertilizzanti è dietro al fenomeno dei campi incolti che anche il lettore potrebbe aver visto con i suoi occhi nelle campagne vicino casa.

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Economia

L’UE approva il primo pagamento da 4,2 miliardi di euro a Kiev

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Gli ambasciatori del Consiglio europeo hanno votato a favore dell’invio della prima tranche del piano da 50 miliardi di euro per finanziare l’Ucraina fino al 2027.

 

Noto come Ukraine Facility, il programma è stato istituito l’estate scorsa con l’obiettivo di fornire un «sostegno finanziario prevedibile» a Kiev.

 

«Oggi gli ambasciatori hanno adottato la prima tranche del regolamento del piano per l’Ucraina, aprendo la strada al trasferimento di quasi 4,2 miliardi di euro per sostenere la ripresa, la ricostruzione e la modernizzazione dell’Ucraina», ha annunciato la presidenza ungherese del Consiglio su X.

 

Ora il consiglio deve seguire una procedura scritta per erogare effettivamente i fondi.

 

Secondo il Consiglio Europeo, lo strumento per l’Ucraina è stato concepito «come uno strumento flessibile adattato alle sfide senza precedenti del sostegno a un paese in guerra e che garantisce prevedibilità, trasparenza e rendicontazione dei fondi».

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L’UE ha infine approvato fino a 50 miliardi di euro per il progetto, a partire da quest’anno e fino al 2027, «per tutti i tipi di supporto». Il denaro verrà erogato tramite sovvenzioni, prestiti, investimenti e aiuti diretti.

 

Il piano è stato effettivamente lanciato a marzo, con circa 7,8 miliardi di euro inviati in base ad accordi «ad interim e preliminari». I pagamenti trimestrali regolari previsti dal Piano Ucraina dipenderanno dal fatto che Kiev soddisfi i «requisiti pre-concordati», secondo Bruxelles.

 

Il finanziamento di mercoledì è separato dal programma per prestare all’Ucraina circa 1,4 miliardi di euro dagli interessi maturati sui beni sovrani russi congelati nell’UE dal 2022. Mosca ha accusato Bruxelles di «furto» per aver congelati più di 200 miliardi di euro di beni della Banca Centrale russa dopo l’inizio del conflitto in Ucraina.

Le preoccupazioni legali hanno impedito all’UE di sequestrare direttamente i fondi, ma il blocco si è arreso alle pressioni degli USA per utilizzare invece gli interessi da essi derivanti. Il valore dei prestiti a tempo indeterminato generati in questo modo è stato stimato in 3 miliardi di euro all’anno.

 

La prima rata, pari a 1,4 miliardi di euro, sarà inviata a Kiev all’inizio di agosto, ha affermato il commissario per la politica estera dell’UE Josep Borrell.

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Immagine di Vincent WR via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

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