Economia
Esportazioni tedesche in Russia dimezzate
Le esportazioni tedesche di merci verso la Russia sono state più che dimezzate a causa della guerra in Ucraina e delle sanzioni imposte alla Russia, ha riferito il Destatis, l’Ufficio federale di statistica della Repubblica Federale Tedesca.
Le esportazioni verso la Russia sono diminuite del 52,9% su base annua a settembre a 1,1 miliardi di euro.
Al contrario, le esportazioni verso gli Stati Uniti, la destinazione più importante per le esportazioni tedesche, sono aumentate del 43,4%, toccando 15,4 miliardi di euro.
Le esportazioni più importanti verso gli Stati Uniti sono state autoveicoli e componenti per un valore di 3,5 miliardi di euro e prodotti farmaceutici per un valore di 2,7 miliardi di euro.
Altri importanti partner commerciali dal lato delle esportazioni sono stati la Francia (10,4 miliardi; + 20%) ei Paesi Bassi (9,2 miliardi; + 3,9%). A settembre la Germania ha esportato beni per un valore totale di 142,1 miliardi di euro, il 20,2% in più rispetto all’anno precedente.
Merci per un valore di 134 miliardi di euro sono state importate in Germania a settembre: si tratta del 31,3% in più rispetto all’anno precedente. Il partner commerciale più importante per le importazioni è stata la Cina, con un aumento del 35% a 16,8 miliardi di euro.
Le importazioni dalla Russia sono diminuite del 37,4% in valore a 1,8 miliardi di euro. Senza gli aumenti dei prezzi, soprattutto nel settore energetico, questo calo sarebbe stato ancora più marcato.
In termini di volume, le importazioni dalla Russia sono state inferiori del 66,6% rispetto all’anno precedente. Le importazioni di petrolio e gas dalla Russia sono diminuite del 49,8% in valore a 800 milioni di euro e del 69,0% in volume a 1,5 milioni di tonnellate.
Tuttavia, il petrolio greggio e il gas naturale sono rimasti i beni importati più importanti dalla Russia. Come noto, Berlino ha da poco nazionalizzato il colosso della distribuzione gasiera Uniper.
Altri beni importanti sono stati coke e prodotti petroliferi (+59,9% a 400 milioni di euro) e metalli (-42,1% a 200 milioni di euro).
La Germania, la cui deindustrializzazione è ammessa perfino su giornali, sta affrontando una crisi economica senza precedenti – una recessione definita «inevitabile» – che si teme diverrà presto una crisi sociale di proporzioni inedite perfino in un Paese dalla storia turbolenta come quello dei tedeschi.
Come riportato da Renovatio 21, un recente studio dell’Istituto dell’Economia Tedesca (IW) aveva calcolato che la carestia di gas distruggerà in Germania 330 mila posti di lavoro.
Sindaci tedeschi stanno domandando a gran voce l’apertura del gasdotto dalla Russia Nord Stream 2, la cui inaugurazione doveva avvenire nei giorni in cui è partita la guerra in Ucraina. Poi si è visto cosa è successo: i Nord Stream sono stati fatti saltare da mano (ufficialmente) ignota. La CIA, a dire la verità, poco tempo prima aveva avvertito i tedeschi.
Anche le grandi industrie tedesche chiedono di rivedere la questione energetica; si moltiplicano nel frattempo le voci che suggeriscono di ritardare il phase-out dell’energia nucleare programmato dalla Merkel, infrantosi contro la triste realtà delle rinnovabili non affidabili.
Il taglio del gas russo potrebbe portare problemi anche alle forze armate USA di stanza in Germania.
Nonostante la riapertura delle centrali a carbone, Berlino sta approntando una strategia di «luoghi di riscaldamento» per cittadini privati dell’uso dei termosifoni, cittadini del maggiore Paese d’Europa ridotti improvvisamente a «sfollati energetici», con indagini che hanno stabilito come un terzo dei tedeschi non riesca a far fronte a spese impreviste.
Il governo Scholz si attende sommosse della popolazione impoverita, affamata ed infreddolita a causa del taglio del gas dalla Russia e delle folli politiche energetiche «verdi» delle decadi Merkel. Alcuni Laender tedeschi hanno discusso la confisca delle armi a persone ritenute pericolose, per esempio i membri del partito Alternative fuer Deuschland, mentre sta proseguendo sull’arena mediatico-politica la demonizzazione dei cosiddetti «estremisti», definizione oramai estesa a chiunque non sia d’accordo con le politiche – e le guerre – dello Stato europeo.
Economia
La deindustrializzazione tedesca accelera
La diminuzione dei posti di lavoro a reddito più elevato nell’industria tedesca accelererà nel 2024, anche oltre i 55.000 già annunciati dalle grandi aziende, perché i posti di lavoro nei fornitori delle grandi aziende, in particolare nel settore automobilistico nel settore mittelstand (ossia le piccole e medie imprese), che devono affrontare un calo in stile «morte lenta», un’immagine usata recentemente dal capo economista di ING Carsten Brzeski.
Da un sondaggio condotto dal consulente aziendale Horvath su 50 fornitori del settore è emerso che il 60% delle aziende tedesche intende ridurre la propria forza lavoro nei prossimi cinque anni.
E le grandi aziende pensano a produrre all’estero e a tagliare posti di lavoro qualificati ben retribuiti nelle loro sedi tedesche.
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Questi lavori scompariranno per sempre. Come cita la rivista Focus Holger Schäfer dell’Institut der deutschen Wirtschaft di Colonia: «Se un impianto chimico in Germania chiude, non tornerà più».
Come riportato da Renovatio 21, il CEO di Volkswagen ha annunciato tagli drammatici, mentre Ford ha detto che potrebbe lasciare la Germania.
Il tema della deindustrializzazione nazionale è oramai discusso apertamente sui giornali tedeschi, con tanto di domande retoriche delle grandi testate come il Financial Times che si chiede se per caso la crisi energetica (causata anche dal terrorismo di Stato contro i gasdotti) distruggerà l’industria europea, mentre la recessione tedesca è stata definita «inevitabile».
Uno studio dell’Istituto dell’Economia Tedesca (IW) aveva calcolato che la carestia di gas distruggerà in Germania 330 mila posti di lavoro.
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Immagine di Mond79 via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
Economia
La corte UE ordina ad Apple di pagare all’Irlanda 13 miliardi di euro
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Economia
Il CEO di Volkswagen dice che l’azienda non può continuare come prima
Se si vuole che il gruppo Volkswagen sopravviva, sono necessari grandi cambiamenti. Lo ha dichiarato al quotidiano Bild il CEO dell’azienda, Oliver Blume.
La dichiarazione di Blume segue un annuncio fatto all’inizio di questo mese, secondo cui il più grande produttore di automobili dell’UE potrebbe chiudere almeno due fabbriche in Germania come parte di una campagna di riduzione dei costi. La potenziale chiusura sarebbe una prima volta nella storia quasi novantennale del produttore di automobili.
In un’intervista al tabloid di domenica, il Blume ha difeso i piani per tagli su larga scala. L’attuale situazione economica è «così grave che non possiamo semplicemente continuare come prima», ha ammesso il CEO.
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L’utile operativo della casa automobilistica è sceso del 20% nel primo trimestre del 2024 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel secondo trimestre di quest’anno, gli utili sono scesi di un ulteriore 2,4% rispetto all’anno scorso.
Procedere con i tagli di posti di lavoro farebbe risparmiare alla Volkswagen 4 miliardi di euro, ha affermato Blume. Il consiglio di amministrazione del gruppo Volkswagen stava lavorando a «ulteriori misure» per sopravvivere a un crollo delle vendite di auto, ha aggiunto. La Volkswagen impiega circa 120.000 lavoratori in Germania.
Secondo Blum, le principali sfide che l’industria automobilistica europea deve affrontare derivano dalla pandemia scoppiata quattro anni fa e dall’ingresso sul mercato dei concorrenti asiatici.
«La torta si sta rimpicciolendo e abbiamo più ospiti a tavola», ha affermato il dirigente di vertice del gruppo proprietario di marchi di auto, camion e motociclette come Audi, Bentley, Lamborghini, SEAT, Skoda, Porsche, Scania e Ducati.
L’UE è diventata il più grande mercato estero per i produttori cinesi di veicoli elettrici (EV). Il valore delle importazioni UE di auto elettriche cinesi è salito a 11,5 miliardi di dollari nel 2023, da soli 1,6 miliardi di dollari nel 2020, rappresentando il 37% di tutte le importazioni di EV nel blocco, secondo una ricerca recente.
I critici dei tagli pianificati alla Volkswagen hanno sottolineato che il gruppo ha pagato 4,5 miliardi di euro ai suoi azionisti per l’anno finanziario 2023 a giugno. La presidente del partito politico di sinistra Die Linke, Janine Wissler, ha dichiarato la scorsa settimana al quotidiano Rheinische Post che era «incredibilmente squallido» che la Volkswagen potesse pagare una tale somma in dividendi e ora affermare di non poter impedire chiusure di stabilimenti e perdite di posti di lavoro.
«Se la VW ha davvero bisogno di soldi così urgentemente, allora i principali azionisti… dovrebbero restituire questi 4,5 miliardi di euro», ha affermato.
L’economia tedesca si è contratta nel secondo trimestre di quest’anno, secondo le statistiche ufficiali. La produzione industriale del Paese è scesa più del previsto a luglio, guidata principalmente dalla debole attività nel settore automobilistico, ha riferito Reuters la scorsa settimana.
Il rallentamento ha alimentato i timori che la più grande economia europea potrebbe contrarsi di nuovo nel terzo trimestre e andare in un’altra recessione, dopo averne subita una alla fine dell’anno scorso.
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La pianificazione dei tagli in VW era emersa già una settimana fa, con il Blume che citava tra i fattori alla base della decisione un «ambiente economico difficile» e una «causa di scarsa competitività dell’economia tedesca».
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa Herbert Diess, capo di Volkswagen, aveva chiesto all’UE di perseguire una soluzione negoziata della guerra in Ucraina per il bene dell’economia del continente.
Gli alti costi dell’energia hanno spinto i grandi nomi dell’automotive tedesco a delocalizzare. Volkswagen a inizio anno aveva annunciato che non costruirà più la sua Golf a combustione a Wolfsburg, ma in Polonia.
L’anno passato le principali case automobilistiche tedesche – Volkswagen, Audi, BMW e Mercedes 2 hanno prodotto circa mezzo milione di auto in meno tra gennaio e maggio, rispetto allo stesso periodo del 2019, con un calo di circa il 20%.
Il crollo della produzione di auto nel contesto attuale riguarda anche l’Italia.
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Immagine di Alexander-93 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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