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La violenza del digitale sulla scuola, tra Intelligenza Artificiale e distruzione della parola. Intervento di Elisabetta Frezza

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Renovatio 21 pubblica l’intervento di Elisabetta Frezza al convegno «Deportazione digitale. Scuola e società tra iperconnessione, virtualità e controllo» tenutosi sabato 11 maggio alla Spezia. 

 

 

Stiamo assistendo a un’invasione capillare e violenta del digitale in tutti gli spazi delle nostre vite, sin dentro gli anfratti più intimi e privati. Dico violenta non perché utilizzi la forza, anzi, ma perché subdolamente si impone senza lasciare alternative o vie di fuga – provate voi a iscrivere un figlio a scuola, a prenotare una visita, a rinnovare un documento, senza un dispositivo informatico. 

 

Sempre di più la macchina, coi suoi algoritmi, condiziona l’uomo, costringendolo a cederle pacchi di informazioni personali e pezzi della propria sfera di libertà. 

 

Il ramo della scienza che si occupa dello studio e della fabbricazione di questi strumenti capaci di compiere meraviglie, fino a simulare (a scimmiottare) alcune funzioni del cervello umano, si chiama «cibernetica».

 

Il kybernètes in greco è il timoniere. La kybernetichè (sott: tèchne) è l’arte di governare la nave. 

 

L’immagine della navigazione come metafora della vita corre lungo tutta la storia del pensiero, della letteratura e della poesia, a partire dai poemi omerici – poemi di navi e di eroi – passando per Platone (che si sofferma sulla prima e la seconda navigazione, cioè sul passaggio dalle vele ai remi quando cadono i venti); per Virgilio (rari nantes in gurgite vasto, primo libro dell’Eneide), per sant’Agostino (che nelle prime pagine del suo commento al Vangelo secondo Giovanni riprende l’immagine del Fedone e la sublima alla luce della fede, e parla con parole stupende del legno della croce a cui aggrapparsi per attraversare il mare della vita e arrivare alla meta).

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La metafora nautica sarà ripresa poi dai poeti del medioevo: da Petrarca, da Dante, col suo Ulisse: «Ma misi me per l’alto mare aperto» (Inferno, XXVI)

 

È dalla notte dei tempi che il timoniere assennato sa che deve preoccuparsi «dell’anno e delle stagioni, del cielo e degli astri», che deve guardare in alto, alle stelle sopra di sé, per trovare l’orientamento. 

 

Oggi invece il timone della nostra nave è serenamente consegnato a una guida aliena, meccanica, che provvede per noi e, così, erode la nostra libertà di decidere la rotta, il libero arbitrio (che è la cifra dell’umano), nella logica del controllo totale. 

 

Ancora una volta i greci ci dicono cos’è che abita le parole. Perché, nel processo in atto di sostituzione dell’uomo (perché di questo alla fine si tratta), nulla è nascosto, tutto è svelato a chi possieda la chiave per leggere le parole e per capire ciò che esse custodiscono. Il tema del linguaggio e delle sue radici lo riprenderemo più avanti.

 

Cerchiamo ora di vedere come siamo arrivati fino qui. Fino a subire questa penetrazione tanto aggressiva, totalizzante e prevaricatrice, della tecnologia.

 

Essa ha potuto avanzare incontrastata in groppa a molti miti: al mito seducente della efficienza, del risparmio di tempo, della comodità, della presunta oggettività delle prestazioni algoritmiche. Al mito della innovazione (il nuovo è sempre bello e buono, per definizione) e dell’eccezionalismo tecnologico, insieme a quello della presunta ineluttabilità del progresso inteso come moto lineare, inarrestabile, trionfale.

 

La sua parte l’ha avuta anche il fascino del volto anarchico e libertario della rete, che ha fatto da volano per l’esplosione delle piattaforme sociali, ma che ha messo in ombra il carattere intrinsecamente autoritario della rete stessa, legata per sua natura alla logica del controllo e del dominio. 

 

Noi siamo facile preda di questa costellazione di miti farlocchi – che sarebbe meglio chiamare superstizioni – soprattutto perché siamo immemori del nostro passato e dei traguardi speculativi raggiunti dagli antichi e da chi, dopo di loro, ha saputo raccoglierne il testimone. Abbiamo perduto le chiavi di accesso a quel patrimonio, un bagaglio di esperienza, sapienza e bellezza accumulato lungo millenni di storia, lasciando campo libero alla conquista.

 

Quante volte sentiamo dire: la tecnologia non si può fermare, è qui per rimanere e, anzi, per guadagnare sempre più terreno. È uno dei ritornelli che la gente ha fatto propri contribuendo, con entusiasmo o con rassegnazione a seconda dei casi, a farlo risuonare dappertutto come un mantra ipnotizzante. Ci siamo autoesentati – sempre per via della famosa comodità – dall’onere del ragionamento, e quindi dalla capacità di formulare qualsiasi giudizio di valore che non vada al di là della ripetizione pappagallesca di quel repertorio fisso di slogan servitici pronti per l’uso.

 

Per spianare la strada a questa cavalcata sono stati usati, poi, vari espedienti pratici. Per esempio, è stata sfruttata la fretta, che è una fretta pretestuosa, ma utile per azzerare il tempo della riflessione. Lo stiamo ora sperimentando con il famigerato PNRR, che ci rovescia addosso valanghe di denaro – denaro sottratto alle nostre tasche e restituitoci a titolo oneroso – ordinandoci come dobbiamo spenderlo entro termini perentori stabiliti da una tabella di marcia implacabile, incalzante.

 

Così, con queste copiose elargizioni, si crea una sorta di dovere di accaparramento in capo ai destinatari, frenetico, garantito dalla pressione sociale: mica puoi permetterti tu di rifiutare un malloppo che ti piove addosso, chi sei tu per rispedirlo al mittente; e pazienza se questo vuol dire cedere il timone al pilota automatico e non sapere dove questo ti condurrà (oppure saperlo benissimo, ma fare come la famosa scimmietta). Ci si conforma, e basta.

 

Tutta questa operazione è intessuta di una sottile perversione onomastica. A partire dalla trovata retorica, per nulla casuale né innocente, della antropomorfizzazione della macchina: la formula «Intelligenza Artificiale» è un termine di marketing che assimila due entità ontologicamente incompatibili: intelligenza e macchina. Ma si porta dietro l’idea di fare della macchina uno di noi, attribuendole vizi e virtù, e nel contempo contribuisce a nutrire in noi un complesso di inferiorità e a farci accettare la colonizzazione del nostro cervello (e della nostra stessa anima) da parte dell’algoritmo incorporeo. In una sorta di grottesca parodia della metafisica. 

 

In realtà tutta questa tecnologia, anche la cosiddetta IA, è fatta a mano (sull’argomento consiglio di leggere e ascoltare ciò che scrive e dice la bravissima Daniela Tafani). È un manufatto dietro il cui funzionamento c’è, invisibile, una quantità sterminata di individui in carne ed ossa, disposti gerarchicamente in una struttura piramidale di stampo feudale: per lo più sono schiavi sottopagati che, con il loro lavoro, contribuiscono a innalzare la macchina a una dignità che non le appartiene, a renderla agli occhi del mondo «intelligente», smart, affidabile, persino infallibile.

 

La gente si lascia convincere che le macchine capiscono, e possono diventare amici sintetici, consulenti virtuali, assistenti fedeli e iperefficienti. Che per esempio possono individuare un delinquente da arrestare, o un bravo lavoratore da assumere; che possono desumere da una serie di crocette se un ragazzino è un bravo studente e avrà successo nella vita, oppure se è destinato al fallimento. INVALSI è precisamente questa roba qua: è la nuova Pizia che, dal suo impenetrabile onfalòs, predice i destini e preimposta le vite, in modo peraltro incontrollabile e insindacabile da parte umana. E così ingabbia ciascuno, fin da piccolo, nella propria stia. Algoritmicamente. 

 

A scopo egemonico, hanno ideato un meccanismo di cattura che attinge alla magia, alla superstizione: le nostre attitudini naturali, in via di veloce atrofizzazione, noi le proiettiamo sulla macchina, in una specie di transfert.

 

Attenzione però che, quando si antropomorfizzano gli oggetti, succede fatalmente che, correlativamente, si de-umanizzino le persone, che vengono reificate, cosificate.

 

Se uso l’algoritmo per decidere se sarai un bravo studente e poi un lavoratore di successo, o un asino per sempre, io nego che tu sia capace di scegliere, di capire, di migliorare, ti tratto come una cosa. Se dico che il tuo futuro sarà così o colà, di nuovo, ti nego di esserne artefice. Ti rendo, di fatto, un mio schiavo, perché ti tolgo il timone della tua nave.

 

I sistemi di valutazione e classificazione predittiva, che poggiano su basi statistiche, sono un colossale imbroglio: funzionano come funziona una lotteria. È evidente infatti che non è possibile predire il futuro di una persona: il processo di crescita non è mai lineare, ed è imprevedibile. Il guaio qual è? È che, in virtù di un meccanismo noto fin dalla notte dei tempi, le profezie tendono ad autoavverarsi, sono fatte per influenzare le sorti (vedere effetto pigmalione, di cui parla bene Stefano Longagnani).

 

L’IA, in realtà, dicevamo, è fatta a mano: c’è un numero sterminato di omini nel backstage. A parte la manovalanza che provvede materialmente ad assemblare la macchina e a farla funzionare – con uno spaventoso consumo di energia, ed enormi danni ambientali di cui stranamente nessuno parla: e questo fa vedere quanto grande sia l’inganno nel film che ci stanno proiettando davanti –, la materia prima che consente alla macchina di svolgere prestazioni tali da farla sembrare addirittura intelligente, qual è? (perché, come dice Daniela Tafani, non ci è mai venuto in mente di pensare che la lavatrice o la calcolatrice, che pure sono più brave e veloci di noi umani a sbrigare incombenze come fare il bucato o fare i conti, siano intelligenti).

 

La millantata «intelligenza» di certi strumenti dipende dalle informazioni di cui noi li rimpinziamo e che loro ingurgitano e poi risputano fuori sotto forma di eco sintetica di ciò che viaggia nell’etere. In pratica realizzano un’immensa operazione di plagio. Siamo noi ad addestrarli, e a perfezionare sempre più le loro prestazioni. Poi ci inchiniamo a loro e ci lasciamo mettere nel sacco.

 

L’IA insomma è un derivato della sorveglianza, si fonda su un’attività di spionaggio condotta su larga scala. Ma qual è il suo obiettivo ultimo e, quindi, anche il suo movente? Il premio, riservato a pochi, non sono solo ricavi fantasmagorici, ma è l’acquisizione di un potere immenso, perché staccato da ogni responsabilità.

 

Chi controlla «i fili elettrici» su cui transitano questi strumenti detiene il potere di decidere chi può passare e chi no, chi può parlare e chi deve tacere, chi può vivere e chi deve morire.

 

Da questa transumanza di massa nell’universo virtuale gli unici a trarre un vantaggio effettivo sono i monopolisti della tecnologia, ché è innegabile che ci sia uno strettissimo monopolio in capo a una manciata di soggetti attrezzati con le infrastrutture di calcolo e con un apparato di sorveglianza che surclassa tutti i concorrenti. 

 

Durante la pandemia questi si sono procurati un bottino mai visto, entrando dentro le nostre case a saccheggiare dati, informazioni, immagini. 

 

Ma la pandemia ha sortito un effetto catapulta anche in un altro senso. Ricordiamo tutti il distanziamento sociale, gli arresti domiciliari, l’isolamento protratto: hanno creato la tempesta perfetta per giustificare un salto mostruoso, di qualità e di quantità (e lo hanno dichiarato, questo piano). A quel punto, infatti, lo strumento elettronico era l’unico medium che permetteva di stare al mondo e di comunicare con l’altro da sé, o almeno con un suo ectoplasma.

 

L’esperimento è servito per moltiplicare a dismisura, per normalizzare e legittimare la dipendenza (in senso proprio) dal mezzo telematico, sancendo l’imprescindibilità del suo utilizzo per gli scolari. I ragazzini hanno guadagnato una investitura istituzionale per stare attaccati allo smartphone, e chi se ne importa se questo funziona anche da idrovora di informazioni personali, da braccialetto elettronico, da profilatore, da spacciatore di spazzatura. Sono effetti collaterali evidentemente trascurabili, o disconosciuti.

 

Ora, non occorrono studi scientifici particolari (per quanto ce ne siano a bizzeffe, e siano dirimenti) per capire ciò che è autoevidente: cosa provoca la consuetudine con questi strumenti fin dalla più tenera età. Il cucciolo d’uomo semplicemente smette di fare molte cose, e di apprenderne molte altre, perché al posto suo le farà un algoritmo: è chiaro che le corrispondenti funzioni, fisiche e cerebrali, appaltate alla protesi, sono inibite sul nascere o si atrofizzano. Peccato che si tratti di attitudini non marginali, ma essenziali, letteralmente fondanti. 

 

La pandemia è stata il trampolino di lancio per la scuola 4.0, in via di rapidissimo allestimento (dicevamo della fretta, appunto…), che non è altro che una immensa sala giochi in cui la tempesta di immagini sostituisce lo studio delle leggi della realtà.

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Da tempo i libri di testo (ciò che ne rimane) sono sempre più zeppi di immagini e vuoti di parole, e le poche parole, appunto, sono ridotte a slogan: specchio impressionante del degrado didattico e cognitivo dilagante. 

 

I quaderni sono, sempre più, sostituiti dai tablet, la penna dalla tastiera. E così si perde l’abilità, l’arte dello scrivere a mano – in particolare della scrittura corsiva – oltre che del disegnare. Si inibisce l’esercizio della manualità fine e tutte le attitudini che si sviluppano col praticarla, a partire dalla memoria (c’è un detto russo che dice «la mano ricorda, ruka pomnit»: la mente si appropria del concetto anche attraverso il corpo, la memoria muscolare che passa per la mano). Senza contare poi che la grafia è una proprietà esclusiva del suo autore, è un connotato distintivo, e il toglierla di mezzo è una via maestra per l’omologazione e la spersonalizzazione. 

 

Ma a ben vedere, è proprio nella lingua, con particolare riguardo alla scrittura (ai gràmmata) che si radica la distinzione tra uomo e animale. Anche l’animale infatti possiede un linguaggio. Ma il linguaggio dell’uomo non è un mero flusso di suoni. Questo è un argomento approfondito in modo mirabile dal prof. Agamben (nel suo saggio La voce umana). Già gli antichi avevano ben capito come il linguaggio umano consti di due piani distinti: il piano del lessico, cioè il sistema di segni (gli ònoma), e il piano del discorso (il logos).

 

I grammata (le lettere, letteralmente: ciò che è scritto) sono la struttura elementare, l’elemento indivisibile, atomico, della lingua: stanno dentro la voce (en té foné) e rendono la voce significante, intellegibile, in quanto scrivibile. Questo è un passaggio fondamentale: la grafia sposta il linguaggio da un piano sensoriale a un altro, cioè dall’orecchio allo sguardo (dal binomio voce-orecchio, a quello mano-occhio) ed è ciò che permette di vedere la voce, di leggerla. Ma non solo: permette di oggettivare la lingua, di articolarla e, quindi, di dominarla. L’uomo, separando da sé la sua lingua, fa diventare il linguaggio uno straordinario, potentissimo strumento di conoscenza. Il linguaggio animale manca di questo fondamentale momento costitutivo. 

 

Alla luce di queste pur sommarie osservazioni, pensiamo dunque a quali ricadute abbia il togliere di mezzo a scuola il magistero e l’esperienza della scrittura, la consuetudine col segno e con il processo di astrazione che vi è collegato, l’esercizio della parola: visto che, appunto, è attraverso questi elementi che l’uomo lascia traccia di sé, perché può fissare il suo messaggio e, fissandolo, lo tramanda.

 

Allora nel diluvio di scemenze di cui la scuola è divenuta teatro, vale la pena ribadire una ovvietà di cui però si sta perdendo contezza. Qual è la funzione della scuola? Alla scuola spetta l’esclusiva di un compito specifico e indispensabile in una compagine sociale, che altrimenti nessun altro svolge: quello innanzitutto di alfabetizzare e, quindi, di trasmettere la conoscenza (con particolare riguardo agli invarianti e alle conoscenze che hanno resistito alla prova del tempo); di iniziare al sapere teoretico, che vuol dire afferrare le cause, elevarsi alle leggi, agli universali, che sono strumenti di comprensione della realtà. Ma è la parola la chiave di accesso al deposito di scienza, arte, letteratura, che non va certo ascritto semplicisticamente alla categoria del passato, ma a quella del durevole, dell’essenziale, dell’eterno. Dell’irrinunciabile.

 

Il danno che si causa negando questi insegnamenti fondamentali si misura anche se si considera come sia per l’apprendimento della lingua materna, sia per quello del linguaggio matematico (i due sono strettamente apparentati), esiste una finestra temporale di opportunità, un periodo dentro il quale la natura ha posto una particolare sensibilità a fissare le parole e la musicalità della lingua, a stamparla nella memoria in modo indelebile. Passata questa fase, diventa difficile recuperare il terreno perduto.

 

Ecco perché il primo dei servizi che la scuola dovrebbe onorare è proprio quello di coltivare il linguaggio affinché tutti siano in grado di esprimersi, e siano in grado di ascoltare e di comprendere gli altri, e così di uscire dal proprio guscio autoreferenziale superando la limitatezza e l’istintività della propria esperienza contingente attraverso la conoscenza delle leggi che la regolano. È solo così che la scuola può essere davvero vivaio e palestra di libertà, e può restituire ai più giovani, insieme alla cognizione della realtà e insieme al senso delle dimensioni che servono a prendere le misure della realtà – vale a dire l’altezza, la profondità, la distanza – anche una solidità interiore andata quasi completamente distrutta. 

 

Senza la parola, infatti, non c’è comunicazione, col suo valore catartico. Prima ancora, senza la parola non c’è ragionamento. Nello sforzo di parlare, di leggere, di scrivere, cova il seme della libertà – dove libertà è il sapersi emancipare da visioni settarie, parziali, ideologiche, imposte dall’esterno, per imparare a interpretare autonomamente la realtà, sulla scorta delle scoperte di chi ci ha preceduto. 

 

Tutto questo è contrario esatto di ciò che fa oggi la scuola: la scuola oggi serve pacchetti ideologici pronti, preconfezionati e prescrittivi. Non insegna, fa propaganda; fa da ripetitore dei media e si appropria dei suoi stessi slogan, dei suoi codici corrivi.

 

Nel giugno 2023 Giorgio Agamben pubblicava uno dei suoi interventi brevi che ci hanno accompagnato in questi ultimi anni di delirio, dal titolo «Virgole e fiamme».

 

«A un amico che gli parlava del bombardamento di Shanghai da parte dei giapponesi, Karl Kraus rispose: “So che niente ha senso se la casa brucia. Ma finché possibile, io mi occupo delle virgole, perché se la gente che doveva farlo avesse badato a che tutte le virgole fossero nel punto giusto, Shangay non sarebbe bruciata”. Come sempre, lo scherzo nasconde qui una verità che vale la pena di ricordare. Gli uomini hanno nel linguaggio la loro dimora vitale e se pensano e agiscono male, è perché è innanzitutto viziato il rapporto con la loro lingua».

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«Noi viviamo da tempo in una lingua impoverita e devastata (…) la nostra lingua si è ridotta a un piccolo numero di frasi fatte, il vocabolario non è mai stato così stretto e consunto, il frasario dei media impone ovunque la sua miserabile norma, nelle aule universitarie si tengono lezioni in cattivo inglese su Dante: come pretendere in simili condizioni che qualcuno riesca a formulare un pensiero corretto e ad agire in conseguenza con probità e avvedutezza? Nemmeno stupisce che chi maneggia una simile lingua abbia perso ogni consapevolezza del rapporto tra lingua e verità e creda pertanto di poter usare secondo il suo tristo profitto parole che non corrispondono più ad alcuna realtà, fino al punto di non rendersi più conto di star mentendo»

 

«La verità di cui qui parliamo non è solo la corrispondenza tra discorso e fatti, ma, ancor prima di questa, la memoria dell’apostrofe che il linguaggio rivolge al bambino che proferisce commosso le sue prime parole. Uomini che hanno smarrito ogni ricordo di questo sommesso, esigente, amoroso richiamo sono letteralmente capaci, come abbiamo visto in questi ultimi anni, di qualsiasi scelleratezza. Continuiamo, pertanto, a occuparci delle virgole anche se la casa brucia, parliamo tra noi con cura senz’alcuna retorica, prestando ascolto non soltanto a quello che diciamo, ma anche a quello che ci dice la lingua, a quel piccolo soffio che si chiamava un tempo ispirazione e che resta il dono più prezioso che, a volte, il linguaggio – che sia canone letterario o dialetto – può farci».

 

La parola ha un valore fondante. C’è un legame inscindibile tra lingua e pensiero, tra categorie grammaticali e categorie logico-filosofiche. Tanto che è difficile per il pensiero sfuggire alla struttura grammaticale in cui si esprime. E le nostre categorie grammaticali riprendono la terminologia aristotelica: per noi, cioè, l’alfabeto del pensiero sono le categorie della lingua greca – non è certo un caso che da tempo cerchino di uccidere il liceo classico, che possiede l’esclusiva dello studio della lingua greca: e ce la faranno grazie all’orientamento vincolante, che non vi orienterà più nessuno, così morirà per asfissia. 

 

Ma il rapporto tra lingua e pensiero è biunivoco, cioè: se è vero che la lingua determina il pensiero, è d’altra parte vero che il pensiero a sua volta plasma la lingua nella quale si esprime. E il luogo privilegiato in cui si manifesta questa tensione, questo scambio, è la poesia, regno dei mille significati: i poeti infatti creano la lingua travalicando le sue strutture. Essi attingono al momento sorgivo, pregrammaticale, della lingua e arrivano ad esprimere l’indicibile, «quel piccolo soffio che si chiamava un tempo ispirazione e che resta il dono più prezioso che, a volte, il linguaggio…può farci».

 

Sta di fatto che l’uso della parola vera (non adulterata o corrotta), della parola che mantiene la presa sulla realtà che designa, della parola nel suo nitore sorgivo, è il contrario esatto della barbarie degli slogan coniati a fini di propaganda. 

 

La parola è simbolo. Simbolo significa unione (syn-ballo), e una parola che rappresenti carnalmente la realtà è capace di unire gli uomini con le cose, con gli altri uomini, e con il Creatore. La parola, in quanto simbolo assoluto, universale, è un ponte tra le creature; intimità con il mistero del visibile e dell’invisibile. 

 

È ovvio che l’artificio nulla ha a che fare con tutto ciò, recide questo nesso con lo spirito, spegne questa magia, toglie alla parola la sua anima.

 

Concludo con il prologo del Vangelo di san Giovanni, che comincia così: «Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, κα λόγος ν πρς τν θεόν, κα θες ν λόγος». «In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio». E prosegue più avanti: «Κα λόγος σρξ γένετο κα ἐσκήνωσεν ν μν». «…E il Verbo si fece carne, e venne ad abitare (lett: piantò la sua tenda) tra noi…»

 

Da sempre l’uomo vive la tentazione di mettersi al posto di Dio, autoattribuendosi i tratti divini di onniscienza e onnipotenza. È così che imbocca la via dell’autodistruzione. Lo sapevano bene anche gli antichi, che hanno cantato la hybris (la tracotanza, il superamento dei limiti) come causa della rovina delle stirpi.

 

Oggi le frontiere della tecnica, sfruttando la fascinazione del progresso, nell’inseguire l’obiettivo del controllo totale degli individui e delle comunità, arrivano a dis-umanizzare l’uomo. Ad aspirare ciò che gli è proprio, ad ammutolirlo (a togliergli la voce). Nel tentativo di reificarlo, standardizzarlo, manipolarlo –sono giunti a manomettere il suo codice fondamentale, la sua struttura più profonda: il genoma.

 

Per riprogrammarlo (in lingua barbara si dice «resettare»: il reset, appunto). Quindi da un lato lo si vuole despiritualizzare, dall’altro però disincarnare, smaterializzare. Si potrebbe dire, in una parola, de-creare. In una specie di creazione rovesciata. C’è insomma, in tutto ciò, il tratto diabolico, perverso, dell’inversione. 

 

La profondità di quanto sta accadendo con la deportazione digitale è tale da intaccare il nucleo duro dell’umana natura, la cifra stessa dell’umano. Ecco perché non possiamo permetterci di lasciare che il contagio corra incontrastato, di rassegnarci alla sostituzione in atto, ma dobbiamo attrezzarci, e attrezzare chi ci succede, per custodire il fuoco: che è il logos, la parola, il simbolo. Ciò che ci consente di stabilire un legame con i nostri simili, coi quali abbiamo in comune qualcosa che risiede nel profondo del cuore e che, allo stesso tempo, ci trascende e ci sovrasta – e che ha a che fare con la legge naturale. 

 

È l’unico modo, questo, che ciascuno di noi ha per onorare la propria sacra libertà (che è tale perché riconosce il limite), tenere il timone della propria nave, essere ciberneta di se stesso in quanto capace di guardare il cielo.

 

Elisabetta Frezza

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La Tanzania nega lo scoppio di un virus Marburg nonostante le accuse dell’OMS

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Il ministero della Salute della Tanzania ha negato la presenza del virus Marburg simile all’Ebola nel paese, confermando che i test di laboratorio sui casi sospetti della malattia letale nella regione di Kagera sono risultati negativi. Ciò segue i resoconti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sui casi sospetti.   Il ministro della Salute del Paese ha affermato in una nota diffusa mercoledì che «tutti gli individui sospettati sono risultati negativi al virus di Marburg».   L’OMS ha sottolineato che gli individui nella regione di Kagera avevano manifestato sintomi compatibili con il virus di Marburg, tra cui febbre, vomito di sangue ed emorragie esterne.   Nel corso di una conferenza stampa virtuale tenutasi giovedì a Ginevra, il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha esortato la Tanzania a inviare i campioni raccolti ai laboratori di riferimento internazionali e a raccogliere ulteriori campioni in linea con le procedure standard.   In risposta alle preoccupazioni dell’OMS, la Tanzania ha sottolineato di aver rafforzato i propri sistemi di sorveglianza sanitaria per individuare e rispondere tempestivamente alle minacce.

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La regione di Kagera aveva già sperimentato un’epidemia del virus Marburg nel marzo 2023. Tale epidemia aveva causato nove casi confermati e sei decessi.   Il virus di Marburg, precedentemente noto come febbre emorragica di Marburg, è stato identificato per la prima volta nel 1967 in seguito a epidemie simultanee a Marburg, in Germania, e a Belgrado, in Serbia. È una malattia altamente infettiva simile all’Ebola che deriva dal contatto con fluidi corporei o superfici contaminate.   Il Ruanda ha confermato di recente che i pipistrelli sono la probabile fonte dei primi casi registrati del virus di Marburg.   Nel 2023, la Tanzania e la Guinea Equatoriale hanno segnalato casi di malattia, dopo i focolai in Ghana nel 2022 e in Uganda nel 2017.   Come riportato da Renovatio 21, vi era stato allarme alla stazione di Amburgo pochi mesi fa quando due persone provenienti dal Ruanda avevano mostrato dei sintomi mentre erano in treno. La banchina di arrivo del treno era stata quindi isolata dalle autorità tedesche.   Come riportato da Renovatio 21, l’OMS aveva dichiarato il focolaio di Marburg in Ghana, per poi convocare una riunione «urgente» sulla diffusione del virus.   La Russia sta sviluppando un vaccino contro il morbo.   Tre anni fa il dottor Robert Malone, pioniere del vaccino mRNA, in una trasmissione di Steve Bannon parlò di un possibile «super virus» cinese da «febbre emorragica simile all’Ebola» che poteva derivare dalla vaccinazione di massa.   La Tanzania è uno dei Paesi che, su iniziativa dell’allora presidente John Magufuli, si oppose alla narrativa pandemica e rifiutò i vaccini COVID. Il Magufuli, chimico di formazione, morì nel marzo 2021 nella città portuale di Dar es Salaam. Aveva 61 anni.

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Immagine di NIAID via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Vaccini e Morte in culla, studio dimostra che le iniezioni nei bambini prematuri aumentano notevolmente il rischio di apnea

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

I neonati prematuri ospedalizzati hanno avuto un’incidenza di apnea del 170% più alta entro 48 ore dalla ricezione delle vaccinazioni di routine del 2° mese rispetto ai neonati non vaccinati, secondo un nuovo studio. Gli autori hanno affermato che lo studio supporta le attuali raccomandazioni sui vaccini, ma alcuni scienziati non sono d’accordo e hanno sollevato preoccupazioni sulla SIDS.

 

Secondo i dati di un nuovo studio, nei neonati prematuri ricoverati in ospedale si è riscontrata un’incidenza di apnea del 170% superiore entro 48 ore dalla ricezione delle vaccinazioni di routine del secondo mese rispetto ai neonati non vaccinati.

 

Lo studio, pubblicato il 6 gennaio su JAMA Pediatrics, ha definito l’apnea «come una pausa respiratoria superiore a 20 secondi o una pausa respiratoria superiore a 15 secondi con bradicardia associata» – o una bassa frequenza cardiaca inferiore a 80 battiti al minuto.

 

Considerando che i neonati prematuri ricevono le vaccinazioni di routine contemporaneamente ai neonati a termine, lo studio ha cercato di determinare se le vaccinazioni di routine a 2 mesi comportassero un aumento del rischio di apnea.

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Gli autori hanno concluso: «il numero e la durata simili di eventi apnoici e la mancanza di gravi eventi avversi suggeriscono che le attuali raccomandazioni vaccinali per i neonati prematuri ospedalizzati sono appropriate».

 

Tuttavia, Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso Children’s Health Defense , ha affermato che gli autori sono giunti a questa conclusione «ignorando i rischi» evidenti nei loro stessi dati.

 

«Un neonato prematuro affetto da apnea probabilmente trascorrerà più tempo in terapia intensiva neonatale, esponendosi ulteriormente alle infezioni contratte in ospedale», ha affermato Jablonowski. «Questo si aggiunge agli altri fattori di rischio per l’apnea, come morte, insufficienza respiratoria, problemi polmonari a lungo termine e ritardo della crescita».

 

In un post su Substack, il cardiologo Dr. Peter McCullough ha suggerito che «è concepibile» che con sette vaccini all’età di 2 mesi e 16 vaccini a 12-15 mesi, «la vaccinazione combinata potrebbe essere associata a significative apnee non monitorate, convulsioni febbrili o entrambe, con conseguente sindrome della morte improvvisa del lattante [SIDS] a casa».

 

La biologa Christina Parks, Ph.D. , esperta di come i vaccini influenzano il sistema immunitario, ha detto a The Defender che lo studio conferma «ciò che hanno dimostrato studi precedenti sui neonati prematuri: che la vaccinazione induce stress cardiorespiratorio che si manifesta come rallentamento della frequenza cardiaca (bradicardia) e della respirazione, nonché come cessazione della respirazione (apnea) per brevi periodi di tempo».

 

Parks ha affermato che il fatto che «i rischi noti non siano stati implicati come potenziali cause della SIDS è inammissibile a questo punto».

 

Uno studio suggerisce che un approccio vaccinale «universale» non è appropriato per i neonati prematuri

Il ricercatore scientifico e autore James Lyons-Weiler, Ph.D. , ha dichiarato a The Defender che lo studio «è un campanello d’allarme» che evidenzia come le vaccinazioni di routine, in particolare nei neonati prematuri, possano comportare rischi trascurati.

 

«L’aumentata incidenza di apnea nei neonati prematuri vaccinati suggerisce che l’approccio unico alla vaccinazione potrebbe non essere appropriato per una popolazione così vulnerabile», ha affermato Lyons-Weiler. «Sottolinea la necessità di considerare le differenze fisiologiche individuali, in particolare in coloro con sistemi sottosviluppati, e di adattare di conseguenza le pratiche vaccinali».

 

Lyons-Weiler ha affermato che gli autori dello studio sembrano dare priorità ai benefici più ampi per la salute pubblica della vaccinazione rispetto ai rischi individuali dimostrati nello studio. Ha affermato:

 

«Si presume che i rischi di apnea a breve termine siano superati dalla protezione a lungo termine contro le malattie infettive. Tuttavia, questa conclusione trascura questioni critiche sui risultati a lungo termine per questi neonati, in particolare se gli episodi di apnea hanno conseguenze neurologiche persistenti. Tuttavia, non ci hanno pensato davvero. Quanto vale la vita di un neonato prematuro?»

 

Parks ha osservato che lo studio non ha presentato un’analisi di quali potrebbero essere le potenziali cause dell’aumentata incidenza di apnea nei neonati vaccinati. «La totale mancanza di interesse nei meccanismi attraverso cui la vaccinazione sta aumentando la sofferenza cardiorespiratoria nei neonati è anche in qualche modo scioccante».

 

Jablonowski ha osservato che il programma di vaccinazione infantile dei Centers for Disease Control and Prevention è stato ampliato da quando è stato condotto lo studio, dal 2018 al 2021.

 

«Se questo studio fosse stato condotto oggi, con il programma di immunizzazione del CDC in rapida espansione, i neonati avrebbero ricevuto Prevnar 20 invece di Prevnar 13, quindi sette antigeni aggiuntivi per il vaccino pneumococcico, il vaccino contro il rotavirus, fino a cinque antigeni in più e un anticorpo monoclonale per il virus respiratorio sinciziale», ha affermato Jablonowski.

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Quattro neonati vaccinati presentavano casi sospetti di sepsi

Jablonowski ha anche evidenziato un risultato meno enfatizzato dello studio: quattro neonati vaccinati avevano casi sospetti di sepsi, una condizione in cui il corpo risponde in modo improprio a un’infezione. Per fare un confronto, solo un neonato non vaccinato ha un caso sospetto di sepsi.

 

«La scoperta più sorprendente di questo studio non sono stati i suoi risultati primari o secondari, ma un risultato esplorativo riguardante la sepsi» ha detto Jablonowski.

 

«Nessuno esperto di reazioni avverse ai vaccini si sorprenderebbe se quattro neonati vaccinati, rispetto a un neonato non vaccinato, presentassero febbre. Tutti dovrebbero sorprendersi se quattro neonati vaccinati, rispetto a un neonato non vaccinato, avessero emocolture o fossero stati trattati con antibiotici per un timore di sepsi».

 

«L’assalto dei cinque vaccini dello studio, che coprono 19 antigeni, somministrati simultaneamente, ha imitato i sintomi della sepsi o ha degradato il sistema immunitario così gravemente da consentire a un agente patogeno di mettere piede?»

 

Studi precedenti hanno confermato il rischio di sepsi infantile dopo la vaccinazione, ha affermato Parks.

 

«Tradizionalmente, i medici davano per scontato che la sepsi infantile fosse dovuta a un’infezione batterica e la curavano con antibiotici anche quando non si riusciva a identificare alcuna infezione batterica. Tuttavia, questi studi precedenti hanno dimostrato che in realtà era la vaccinazione a portare a questo stato iperinfiammatorio potenzialmente letale», ha affermato Parks.

 

Secondo la scienziata indipendente francese Hélène Banoun, Ph.D., lo studio conferma una tesi medica francese pubblicata nel 2013. Tale studio ha esaminato 144 neonati prematuri, scoprendo che il 68% dei neonati ha sperimentato eventi cardiorespiratori significativi dopo la vaccinazione.

 

«Presi insieme, tutti questi studi dimostrano che la vaccinazione provoca uno stress estremo, e potenzialmente letale, al corpo del neonato e più il corpo è piccolo, meno risorse ha per resistere a tale stress», ha affermato Parks.

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I vaccini contenenti alluminio possono rappresentare un rischio particolare per i neonati prematuri

Lyons-Weiler ha affermato che i risultati dello studio forniscono anche un’indicazione del rischio connesso alla somministrazione di più vaccini contemporaneamente o in un breve lasso di tempo, in particolare nei neonati e nei bambini piccoli.

 

«I neonati prematuri hanno già un sistema immunitario e neurologico sottosviluppato e il carico cumulativo di alluminio derivante da più vaccini potrebbe esacerbare rischi come l’apnea», ha affermato. «Questo studio suggerisce che la vaccinazione combinata in tali popolazioni deve essere attentamente rivalutata».

 

Ha anche notato che alcuni vaccini somministrati di routine ai neonati contengono alluminio. Ha analizzato i potenziali rischi della somministrazione di tali vaccini ai neonati sul suo Substack.

 

«È noto che gli adiuvanti di alluminio innescano l’attivazione immunitaria e l’infiammazione, il che potrebbe avere un impatto sulla stabilità respiratoria e neurologica nei neonati prematuri», ha affermato Lyons-Weiler. «Purtroppo, lo studio non ha esplorato meccanismi specifici, come gli adiuvanti di alluminio, che potrebbero spiegare l’aumento osservato di apnea. Questa è una svista significativa».

 

I sali di alluminio «sono potenti attivatori immunitari e potrebbero scatenare un’infiammazione sistemica, interrompendo il controllo respiratorio», ha affermato Lyons-Weiler. Ha affermato che la vaccinazione infantile potrebbe anche stimolare la produzione di citochine, «che potrebbero interferire con i percorsi neurologici immaturi responsabili della regolazione della respirazione».

 

«La somministrazione simultanea di più vaccini aumenta il carico di attivazione immunitaria e l’esposizione cumulativa all’alluminio, aggravando i rischi», ha affermato Lyons-Weiler.

 

Scrivendo su Substack, Lyons-Weiler ha chiesto che i vaccini che non contengono alluminio siano considerati prioritari. Ha anche chiesto di ritardare la vaccinazione dei neonati «non a rischio immediato di infezione da epatite B o che hanno episodi respiratori o cardiaci dopo la vaccinazione» e ha proposto un dosaggio basato sul peso «per tenere conto della massa corporea inferiore e della funzionalità renale sottosviluppata dei neonati prematuri».

 

«Ritardare le vaccinazioni non essenziali fino a una maggiore maturità fisiologica potrebbe rappresentare una strada più sicura da seguire», ha scritto Lyons-Weiler.

 

Michael Nevradakis

Ph.D.

 

© 9 gennaio 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

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Essere genitori

Bambini pagati per giocare con bambole transgender

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L’Università del Minnesota ha tentato di pagare effettivamente i bambini per giocare con le cosiddette «bambole transgender». Lo riporta LifeSite, che cita le testate Daily Wire e Campus Reform.   Un annuncio è stato pubblicato su Instagram dal National Center for Gender Spectrum Health; il centro fa parte del «programma sulla sessualità umana» presso la facoltà di medicina dell’Università del Minnesota, Stato retto dal governatore Tim Walz, già candidato perdente alla vicepresidenza USA con Kamala Harris, convinto sostenitore delle pratiche di cambio di genere per giovanissimi.   «Parliamo di genere. Vogliamo sentire i bambini transgender e gender diversi tra i 5 e i 10 anni e i loro genitori su una nuova attività pratica per parlare di genere e corpi! Bambini e genitori si incontreranno un paio di volte in gruppi con altri per giocare e darci idee sulle attività» scrive l’annuncio.  
 
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Secondo il post sul social, il compenso per la partecipazione ammontava a una cifra compresa tra 20 dollari e 60 dollari, e la pubblicità su Instagram indirizzava i potenziali partecipanti interessati ad una email universitaria chiamata mygenderdolls.   Il sito Campus Reform scrive che tali «My Gender Dolls sono pubblicizzate come uno «strumento terapeutico» per «bambini transgender e gender diverse». Il progetto mira a insegnare l’ideologia di genere ai bambini, che possono scambiare i «genitali e gli organi riproduttivi interni» delle bambole per «mostrare che la loro identità di genere è valida indipendentemente dalle parti che hanno».   «In breve, un centro associato alla facoltà di medicina di una prestigiosa università americana ha cercato di pagare i bambini per giocare con bambole che consentivano loro di mescolare e abbinare peni e vagine per affermare l’idea che sesso biologico e “genere” non sono sinonimi ma distinti» scrive LifeSite. «Questo è forse il miglior microcosmo che abbia mai visto di ciò che Mary Harrington ha chiamato “Ideologia Lego della carne”», o «gnosticismo Lego della carne».  

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L’altra testata interessata al caso, il Daily Wire, non è stato in grado di confermare se qualche genitore avesse iscritto i propri figli a questo programma di bambole transgender o meno.   Campus Reform ha osservato che il National Center for Gender Spectrum Health «ha anche prodotto un manuale per “supportare l’educazione al piacere sessuale” per gli uomini transgender dopo un intervento chirurgico genitale transgender» e che la missione del centro è «1) promuovere la borsa di studio da parte di coloro che si identificano come transgender; 2) promuovere un empirismo basato sull’esperienza reale vissuta dalle persone transgender; 3) sfidare la cisnormatività nell’assistenza sanitaria; e 4) promuovere il piacere e la sessualità positiva per tutti i corpi».   Il centro esiste per garantire una parvenza di rispettabilità accademica all’ideologia di genere che promuove tentando di affermare la disforia di genere nei bambini che probabilmente erano confusi da altri ideologi di genere per cominciare. Non è solo l’Università del Minnesota; Campus Reform ha notato che la Syracuse University ha avuto un «Trans Support Day» il 23 marzo che ha offerto «supporto terapeutico per i genitori di giovani trans» e «uno spazio per i giovani per entrare in contatto»; l’Università del Missouri e la Washington University «avevano anche condotto “transizioni di genere” sui bambini fino a quando una legge statale ha reso tali procedure illegali il 28 agosto 2023».   Anche i «giocattoli transgender» non sono una novità, ricorda LifeSite. La Mattel ha lanciato una bambola «Laverne Cox»; Cox è l’attore transessuale che è apparsa sulla famigerata copertina di TIME nel 2014 con il titolo «Transgender Tipping Point», il «punto di svolta transgender.   Un’altra bambola, chiamata «Sam», è stata creata per «fermare la transfobia prima che inizi».   «È sinistro e sovversivo pensare che le bambole per bambini, giocattoli creati per incoraggiare gli istinti naturali di accudimento e usati in giochi per bambini come “casa” o da bambine che fingono di essere madri, siano ora usati come strumento dagli attivisti trans per ingannare i bambini e fargli credere che i cambiamenti di sesso siano possibili» scrive LifeSite.  

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Come riportato da Renovatio 21, quattro anni fa era divenuto virale un video inquietante nel quale si vedeva che una bambola di largo consumo aveva un «pulsante segreto» che la faceva gemere ed ansimare.   Il mese scorso il produttore di giocattoli per bambini Mattel si è scusato per un errore di stampa sulle scatole di alcune delle sue nuove bambole, che indirizzava erroneamente gli acquirenti a un sito web pornografico.   Come riportato da Renovatio 21, il film kolossal 2023 Barbie è stato messo al bando in alcuni Paesi del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia per la presenza di tematiche LGBT e femministe che contraddicono «fede e morale». Anche la parlamentare russa Maria Butina, passata per le carceri americane a causa del Russiagate, ha chiesto che il film venisse bandito nel suo Paese.

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