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Economia

De-dollarizzazione e disordine mondiale: guerra civile, guerra planetaria

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La notizia della settimana non viene da Kiev o Mariupol o Mosca o Washington.

 

La notizia della settimana (del mese, dell’anno) è venuta da Riyadh. I sauditi hanno detto che stanno pensando di accettare yuan – il renminbi, la valuta cinese – come pagamento per il petrolio esportato.

 

Si tratterebbe, nientemeno, della fine del petroldollaro. Cioè, più in generale, della fine del dollaro come moneta di scambio mondiale. Cioè, la de-dollarizzazione dell’economia planetaria.

 

Per chi non lo sapesse: la primazia economica degli USA si basa in grande parte su questo – il suo danaro è usato in tutto gli scambi fra nazioni. Se il Messico, ad esempio, deve comprare petrolio, lo fa in dollari. Chi glielo vende (Venezuela, Arabia Saudita, Italia, chiunque) riceve dollari che poi utilizzerà in altri scambi.

 

Ciò ha dato per un secolo un vantaggio assoluto agli Stati Uniti. Ciò ha fatto sì che gli americani vivessero una prosperità sconosciuta agli altri Paesi. Immensi investimenti. Immense città. Immense strade. Immense case. Immensi consumi. Immensi eserciti.

 

Tutto questo sta per finire. Gli USA stanno per piombare in una depressione economica nemmeno comparabile a quella del 1929. La povertà, la cui crescita già è visibile ad occhio nudo nelle città americane già da anni, diverrà diffuso al punto da modificare la vecchia definizione degli Stati Uniti come «Paese del Terzo Mondo che ha avuto successo economico»: gli USA diverranno un Paese del Terzo Mondo e basta.

 

Washington nelle scorse settimane si è servita da sola, con lo spettacolare harakiri delle sanzioni alla Russia – lo stesso imposto barbaramente anche a noi europei.

 

Non paga, l’amministrazione Biden ha intelligentemente minacciato anche la Cina e l’India. Le quali, come e più di ogni altro Paese al mondo (hanno, combinate, quasi 3 miliardi di abitanti) necessitano di combustibili, petrolio e gas, che possono comprare anche dalla Russia. Risultato? Nuova Delhi sta esplorando la possibilità di pagare l’energia russa in rupie o rubli. Della copertura finanziaria che darà Pechino a Mosca si è parlato tanto – una copertura che sarà in yuan.

 

A seguire, tutti coloro che hanno rifiutato di condannare Putin, come richiesto dal bullo senile del Delaware (il Sudafrica… perfino il Pakistan) cercheranno con Mosca accordi che, a causa delle sanzioni, giocoforza dovranno bypassare il dollaro.

 

Quindi, il dollaro non diverrà più la valuta mondiale. E da questo partirà la catastrofe. Il nuovo disordine mondiale.

 

La mossa dei sauditi è senza precedenti, perché convalida l’incipiente esclusione del dollaro perfino in una terra «amica» degli USA come l’Arabia Saudita. Come noto, il rapporto tra gli yankee e la teocrazia wahabita non è mai stato in discussione, nonostante la maggior parte dei dirottatori dell’11 settembre fossero sauditi, nonostante i sauditi abbiano squartato un giornalista poco tempo fa. Niente poteva scalfire il continuum Washington-Ryadh. E invece…

 

Ora, non è chiaro cosa abbia spinto il principe Mohammed bin Salman (solo lui può prendere una decisione del genere) a esporsi in questo modo. Gli USA potrebbero reagire con rabbia: improvvisamente, si ricomincerebbe a parlare dell’omicidio Khashoggi, dei morti giustiziati per decapitazione in piazza (81 solo la settimana scorsa), dei diritti delle donne arabe, etc.

 

Qualcuno dice che gli americani potrebbero andare nel panico al punto da invadere l’Arabia Saudita: perché forse a Washington e a Langley è rimasto qualcuno di sufficientemente lucido da capire che questa è una vera minaccia esistenziale per la Superpotenza.

 

Tuttavia, pensiamo che prima potrebbero essere esplorate altre soluzioni: magari un’improvvisa fiammata di terrorismo, oppure, non troppo improbabile, l’esplosione della pace con l’Iran, acerrimo nemico dei Saud, il quale tuttavia sta ora trovando la quadra diplomatica

 

Se il petrolio viene de-dollarizzato, se il mondo viene de-dollarizzato, è inconcepibile pensare che non vi sia come conseguenza una guerra da qualche parte: del resto, a questo serve il più grande esercito del mondo, con le sue migliaia di testate atomiche e i suoi trilioni di investimenti.

 

Come dicevamo, potrebbe aversi una guerra in Medio Oriente, magari anche di poca intensità, ma in grado, a causa del mercato petrolifero, di fare impazzire l’economia mondiale.

 

Oppure, l’occasione potrebbe proprio essere la Russia: tornare alla causa del problema – cioè le stupide sanzioni suicide comminate da Biden a Mosca, con l’effetto di riallineare il mondo con il Cremlino.

 

Insomma, prendere la palla al balzo: una guerra definitiva con la Russia aiuterebbe a scongiurare lo spettro della carestia nazionale dovuta alla de-dollarizzazione. Una guerra alla Russia significa, ovviamente, la Terza Guerra Mondiale.

 

Con l’America che vince, tutti tornerebbero a togliersi il cappello dinanzi al vecchio sceriffo. Tuttavia, la guerra bisogna vincerla: siamo sicuri che gli americani possono farlo? Dopo aver dato prove pessime in ogni conflitto dopo la Seconda Guerra Mondiale (Corea, Vietnam, Iraq, Afghanistan) abbiamo certezza che una guerra con i russi si possa vincere?

 

Abbiamo capito: la de-dollarizzazione provocherà violenza globale. Su questo non bisogna avere dubbi.

 

Tuttavia, c’è una possibilità che questo non accada. Perché la prospettiva della povertà più disperante potrebbe indurre alla situazione che tanti oramai preconizzano: la Seconda Guerra Civile americana.

 

Non abbiamo idea di come potrebbe essere combattuta. È vero che la popolazione civile è armata fino ai denti in quelle milizie di cui parla la stessa Carta dei Diritti, tuttavia è altrettanto vero che un impiego dell’esercito USA contro il proprio popolo lo schiaccerebbe in poco tempo: pensate a quanto gli USA padroneggino ora l’uso di droni.

 

Abbiamo idea, però, del fatto che una seconda guerra civile americana avrebbe lo stesso effetto che ebbe la prima: il ritiro temporaneo degli USA dall’Arena internazionale: in Italia, nel 1860, gli USA tifavano ovviamente per il massone Garibaldi e per l’Unità risorgimentale, ma dovettero togliere l’attenzione, perché il Paese era in fiamme.

 

Una guerra civile americana annullerebbe la NATO, decapiterebbe l’Occidente della sua leadership novecentesca. Il mondo non avrebbe più un padrone, e l’unica superpotenza (per atomiche, per solidità) resterebbe… la Russia.

 

Una bella eterogenesi dei fini: sanzioni e minacce, armi agli ucraini: e come risultato la fine degli Stati Uniti per come li conosciamo.

 

Si tratta decisamente dell’opera di un demente – e lo diciamo letteralmente.

 

Tuttavia, non possiamo non pensare a quale ondata di caos si svilupperebbe anche in Europa.

 

Gli Europei, condizionati all’americanismo come cani di Pavlov, riuscirebbero a capire il rischio e pure l’occasione del crollo dell’Impero americano?

 

Qualcuno in Europa sta pensando a questa prospettiva – più che mai concreta? Qualcuno si sta preparando?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

Economia

Amazon abbandona il sistema senza casse nei negozi: si è scoperto che la sua IA era alimentata da 1.000 lavoratori umani

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Il colosso dell’e-commerce Amazon starebbe rinunziando alla sua speciale tecnologia «Just Walk Out» che permetteva ai clienti di mettere la spesa nella borsa e lasciare il negozio senza dover fare la fila alla cassa. Lo riporta The Information, testata californiana che si occupa del business della grande tecnologia.

 

La tecnologia, disponibile solo nella metà dei negozi Amazon Fresh, utilizzava una serie di telecamere e sensori per tracciare ciò con cui gli acquirenti lasciavano il negozio. Tuttavia, secondo quanto si apprende, invece di chiudere il ciclo tecnologico con la pura automazione e l’intelligenza artificiale, l’azienda ha dovuto fare affidamento anche su un esercito di oltre 1.000 lavoratori in India, che fungevano da cassieri a distanza.

 

Di questo progetto denominato «Just Walk Out» – uno stratagemma di marketing per convincere più clienti a fare acquisti nei suoi negozi, minando attivamente il mercato del lavoro locale – forse non ne sentiremo la mancanza.

 

Nel 2018 Amazon ha iniziato a lanciare il suo sistema «Just Walk Out», che avrebbe dovuto rivoluzionare l’esperienza di vendita al dettaglio con l’intelligenza artificiale in tutto il mondo. Diverse altre società, tra cui Walmart, hanno seguito l’esempio annunciando negozi simili senza cassiere.

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Tuttavia più di cinque anni dopo, il sistema sembra essere diventato sempre più un peso. Stando sempre a quanto riportato da The Information, la tecnologia era troppo lenta e costosa da implementare, con i cassieri in outsourcing che avrebbero impiegato ore per inviare i dati in modo che i clienti potessero ricevere le loro ricevute.

 

Oltre a fare affidamento su manodopera a basso costo e in outsourcing e invece di pagare salari equi a livello locale, le critiche hanno anche messo in dubbio la pratica di Amazon di raccogliere una quantità gigantesca di dati sensibili, compreso il comportamento dei clienti in negozio, trasformando una rapida visita al negozio in un incubo per la privacy, scrive Futurism.

 

L’anno scorso, il gruppo di difesa dei consumatori Surveillance Technology Oversight Project, aveva intentato un’azione legale collettiva contro Amazon, accusando la società di non aver informato i clienti che stava vendendo segretamente dati a Starbucks a scopo di lucro.

 

Nonostante la spinta aggressiva nel mercato al dettaglio, l’impatto dei negozi di alimentari di Amazon negli Stati Uniti, è ancora notevolmente inferiore a quella dei suoi concorrenti quali Walmart, Costco e Kroger, come sottolinea Gizmodo.

 

Invece di «Just Walk Out», Amazon ora scommette su scanner e schermi incorporati nel carrello della spesa chiamato «Dash Carts». Resta da vedere se i «Dash Carts» si riveleranno meno invasivi dal punto di vista della privacy dei dati.

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Immagine di Sikander Iqbal via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

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Economia

FMI e Banca Mondiale si incontrano a Washington «all’ombra della guerra»

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I capi delle due più grandi istituzioni finanziarie mondialiste, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale si starebbero incontrando a Washington in queste ore per discutere il rischio sistemico che comporta la guerra in corso. Lo riporta il giornalista britannico Martin Wolf, che serve come principale commentatore economico del Financial Times.   L’articolo si intitola oscuramente «L’ombra della guerra si allunga sull’economia globale».   L’editorialista britannico afferma che «i politici stanno camminando sulle uova» per una serie di ragioni, incluso il fatto che «un quinto della fornitura mondiale di petrolio è passata attraverso lo Stretto di Hormuz, in fondo al Golfo, nel 2018. Questo è il punto di strozzatura della fornitura di energia globale».   «Una guerra tra Iran e Israele, che includa forse gli Stati Uniti, potrebbe essere devastante» avverte l’Economist. «I politici responsabili dell’economia mondiale riuniti a Washington questa settimana per le riunioni primaverili del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale sono spettatori: possono solo sperare che i saggi consigli prevalgano in Medio Oriente».

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«Se il disastro fosse davvero evitato, come potrebbe essere l’economia mondiale?» si chiede la pubblicazione britannica.   Come riportato da Renovatio 21, lo scorso dicembre il FMI pubblicò un rapporto i cui dati suggerivano come il dollaro stesse perdendo il suo dominio sull’economia mondiale.   Durante le usuali incontri primaverili tra FMI e Banca Mondiale dell’anno passato si era discusso, invece, delle valute digitali di Stato – le famigerate CBDC.   Il progetto di una CBDC globale, una valuta digitale sintetica globale controllata dalle banche centrali, ha lunga storia. Nel 2019, prima di pandemia, dedollarizzazionesuperinflazione e crash bancari che stiamo vedendo, l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ne aveva parlato all’annuale incontro dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming nel 2019.   Come riportato da Renovatio 21, l’euro digitale sembra in piattaforma di lancio, e la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde sembra aver ammesso che sarà usato per la sorveglianza dei cittadini.

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Immagine di World Bank Photo Collection via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
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Economia

La Bank of America lancia un allarme sul petrolio a 130 dollari

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Una guerra totale tra Israele e Iran potrebbe far salire i prezzi del petrolio di 30-40 dollari al barile, hanno detto ai clienti gli esperti della Bank of America in una nota di ricerca vista dall’emittente statunitense CNBC.

 

Teheran e Gerusalemme Ovest si scambiano minacce da quando l’Iran ha condotto il suo primo attacco militare diretto contro lo Stato Ebraico lo scorso fine settimana, in rappresaglia per un sospetto attacco aereo israeliano sulla missione diplomatica iraniana in Siria all’inizio di questo mese.

 

Se le ostilità si trasformassero in un conflitto prolungato che colpisse le infrastrutture energetiche e interrompesse le forniture di greggio iraniano, il prezzo del Brent di riferimento globale potrebbe aumentare «sostanzialmente» a 130 dollari nel secondo trimestre di quest’anno, ha affermato martedì una nota di ricerca della Bank of America, secondo cui CNBC, aggiungendo che il petrolio greggio statunitense potrebbe salire a 123 dollari.

 

Secondo quanto riferito, lo scenario presuppone che la produzione petrolifera iraniana diminuisca fino a 1,5 milioni di barili al giorno (BPD). Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), l’Iran, membro fondatore dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), produce circa 3,2 milioni di barili di petrolio al giorno.

 

L’anno scorso Teheran si è classificata come la seconda maggiore fonte di crescita dell’offerta al mondo dopo gli Stati Uniti.

 

Se un conflitto portasse a sconvolgimenti al di fuori dell’Iran, come ad esempio la perdita del mercato di 2 milioni di barili al giorno o più, i prezzi potrebbero aumentare di 50 dollari al barile, secondo la nota. Il Brent alla fine si attesterà intorno ai 100 dollari nel 2025, mentre il benchmark statunitense West Texas Intermediate (WTI) scenderà a 93 dollari, secondo le previsioni.

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Il prezzo del greggio Brent è salito a oltre 91 dollari al barile all’inizio di questo mese dopo che Teheran ha minacciato ritorsioni contro Israele. Tuttavia, come ha sottolineato il team di economia globale della banca, nei giorni successivi allo sciopero di ritorsione i prezzi del petrolio greggio sono crollati a causa «delle limitate vittime e dei danni» che ha causato.

 

Gli analisti hanno avvertito che la reazione del mercato «potrebbe non riflettere le implicazioni economiche e geopolitiche a medio termine» del primo attacco militare diretto dell’Iran contro Israele.

 

Se una guerra fosse limitata alle due nazioni, la Bank of America vedrebbe un impatto minimo sulla crescita economica degli Stati Uniti e sulla politica monetaria della Federal Reserve. Una guerra regionale generale, tuttavia, potrebbe avere un impatto sostanziale sugli Stati Uniti, secondo l’istituzione.

 

I futures del Brent venivano scambiati a 86,6 dollari al barile alle 11:29 GMT sull’Intercontinental Exchange (ICE). I futures WTI venivano scambiati a 82 dollari al barile a New York, scrive RT.

 

Come riportato da Renovatio 21, i prezzi del petrolio sono stati scossi anche dagli attacchi ucraini alle infrastrutture petrolifere russe, una politica bellica rivendicata dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba nella richiesta di fornire ulteriori armi a Kiev. La spinta al prezzo del petrolio data dagli attacchi dei droni ucraini su raffinerie russe è stata evidente quattro settimane fa, con il costo dell’oro nero salito a 86 dollari dopo un episodio.

 

Il petrolio è particolarmente sensibile alle questioni geopolitiche: nelle ultime ore, quando si erano sparse le voci di un imminente attacco iraniano ad Israele, il prezzo del greggio era schizzato sopra i 90 dollari al barile. La tensione nel Golfo di Aden, con gli Houthi che attaccano perfino le petroliere russe, contribuisce al caos sui mercati, con Goldman Sachs che ritiene che i prezzi potrebbero perfino raddoppiare. Dopo i forti aumenti registrati nel terzo trimestre 2023, Fitch Rating ha comunicato che il petrolio potrebbe toccare i 120 dollari.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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