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Eutanasia

I dati sul suicidio assistito in Canada suggeriscono aumenti inquietanti

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La scorsa settimana la provincia canadese della Columbia Britannica ha pubblicato i dati provinciali 2023 sull’eutanasia, che in Canada si chiama MAiD («medical assistance in Dying», o morte medica assistita).

 

Secondo il rapporto BC Medical Assistance in Dying 2023, sono stati segnalati 2.767 decessi assistiti, il 10% in più rispetto ai 2.515 del 2022.

 

Le «altre condizioni» rappresenterebbero il 32,9% dei decessi per morte assistita nel territorio. Altre condizioni sono state segnalate nelle categorie malattia autoimmune (2,4%), dolore cronico (24,8%), Diabete 9,8%, Fragilità 60,5%, Altre comorbilità* 52,1%.

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La legge canadese MAiD non richiede che una persona sia malata terminale. Diabete, fragilità, dolore cronico e condizioni autoimmuni sono solitamente condizioni croniche e non terminali.

 

Il rapporto non indica le condizioni che comprendono «altre comorbilità», ma indica che i disturbi mentali, in quanto comorbilità, rientrano in tale categoria.

 

In Canada l’eutanasia non è consentita solo per disturbi mentali, ma se una persona soffre di un disturbo mentale e di un’altra condizione di comorbilità, allora può essere idonea ad essere uccisa tramite MAiD.

 

Il rapporto sanitario esclude qualsiasi informazione importante, come un’analisi di morti sospette o un’ulteriore analisi del motivo per cui una persona ha effettivamente chiesto di essere uccisa, ma ne include solo le condizioni.

 

Sulla base dei dati di Ontario, Quebec, British Columbia, Manitoba, Alberta e Nuova Scozia, si prevede che nel 2023 ci saranno circa 15.280 decessi per eutanasia in Canada, scrive su LifeSiteNews l’associazione Euthanasia Prevention Coalition.

 

Di fatto, un canadese ogni 25 viene oggi ucciso dall’eutanasia. L’aumento negli ultimi anni è stato semplicemente vertiginoso. E la classe medica, oramai totalmente traditrice di Ippocrate e venduta all’utilitarismo più sadico e tetro, insiste che va tutto bene.

 

Come riportato da Renovatio 21, qualche mese fa un’altra veterana dell’esercito, divenuta disabile, ha riportato che alcuni funzionari statali avevano risposto alla sua richiesta di avere in casa una rampa per la sedie a rotelle offrendole invece la possibilità di accedere al MAiD – cioè di ucciderla.

 

Ma non è il caso più folle del degrado assassino raggiunto dallo Stato canadese: ecco l’ecologista che chiede di essere ucciso per la sua ansia cronica riguardo al Cambiamento Climatico, ecco i pazienti che chiedono di essere terminati perché stanchi di lockdown, ecco le proposte di uccisione dei malati di mente consenzienti, e magari pure dei neonati. Il tutto, ovviamente, con il corollario industriale, della predazione degli organi, di cui il Paese ora detiene il record mondiale.

 

Il Canada del governo Trudeau – dove il World Economic Forum regna, come rivendicato boriosamente da Klaus Schwab – è il Paese dell’avanguardia della Necrocultura. Se lo Stato può ucciderti, ferirti, degradarti, lo fa subito, e legalmente. Magari pure con spot mistico propalato da grandi società private in linea con il dettato di morte. L’anno scorso in Canada un decesso ogni 25 era dovuto all’eutanasia, che viene servita anche alle pompe funebri.

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A febbraio l’eutanasia è stata offerta anche ad una signora riconosciuta come danneggiata da vaccino COVID.

 

Secondo alcuni, l’eutanasia in Canada – che si muove verso i bambini – sta divenendo come una sorta di principio «sacro» dello Stato moderno.

 

Come abbiamo ripetuto tante volte: lo Stato moderno è fondato sulla Cultura della Morte. La Necrocultura è, incontrovertibilmente, il suo unico sistema operativo. Aborto ed eutanasia (e fecondazione in vitro, e vaccinazioni, anche e soprattutto geniche) sono quindi sue primarie linee di comando.

 

Il Canada, che è all’avanguardia anche grazie alla potente penetrazione nel suo gabinetto pure rivendicata dal World Economic Forum, è quindi un vero esempio dello Stato basato sempre più sull’eugenetica – cioè sul dominio totale sull’essere umano e l’annientamento della sua dignità di creatura figlia di Dio.

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Eutanasia

Ecco l’eutanasia dell’Italia geografica. Per far nascere le smart city che ci controlleranno

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L’eutanasia è l’eufemismo dietro cui si nasconde la soppressione legalizzata, a spese del contribuente e col patrocinio dello Stato, degli individui considerati inutili, o improduttivi, o semplicemente troppo costosi – e poi magari anche (visto che ci siamo) di quelli ritenuti scomodi o pericolosi per la stabilità sociale.   Per convincere l’opinione pubblica della bontà della operazione è bastato spacciare l’oppio della pietà fasulla – il presunto bene della vittima, il «miglior interesse» del soggetto da eliminare (ricordiamo il «best interest» stabilito da ospedali e giudici per Alfie) – così che, addormentata insieme alla coscienza anche la ragione, uno non sia più in grado di distinguere un atto di misericordia da un delitto; e di capire come si imbocchi così la via maestra per consegnare all’arbitrio del potere non solo la vita di chi sia stato indotto in qualche modo a rinunciarvi, ma anche quella di chi la sua la vorrebbe vivere fino in fondo. Il nuovo concetto da assimilare è che la dignità dell’uomo si identifica con il suo benessere, e questo vada inteso come autonomia psicofisica ed economica.   Lo Stato cavalca da decenni il programma della eutanasia per gli italiani. Lo fa attraverso le trombe della propaganda mediatica e, giuridicamente, attraverso l’attacco concentrico – mosso insieme dalla politica e dalla magistratura, dalle alte cariche istituzionali tanto quanto dalla chiesa – alle norme di garanzia poste dal fu legislatore a presidio del bene sommo della vita, come quella che punisce l’aiuto al suicidio o l’omicidio del consenziente.

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Ma lo Stato ha segnata in agenda anche l’eutanasia dell’Italia stessa. Cioè del corpo e dell’anima di una nazione.   Non è una frase ad effetto. Basta leggere il recente documento governativo intitolato «Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027» per rendersi conto che vengono utilizzati la stessa retorica e lo stesso gergo con i quali si promuove l’amorevole accompagnamento a morire di un essere umano.   «Aree interne» è un’espressione vaga e asettica con cui si definiscono 4.000 comuni che, situati in tutte le Regioni italiane, condividono la caratteristica di trovarsi a una certa distanza dai grandi agglomerati urbani, dove nel frattempo sono stati radunati tutti i servizi essenziali quali scuole, ospedali, centri commerciali, mezzi pubblici (e perché sennò starebbero implacabilmente chiudendo tante piccole strutture territoriali floride e funzionanti?).   Non ci vive poca gente, nelle aree interne: nel complesso, circa 13 milioni di italiani, cioè ben il 23% della popolazione, un cittadino della Repubblica su quattro.   Su questi luoghi per anni è aleggiata la fumosa retorica del «rilancio», con qualche parvenza di investimento capace sulla carta di infondere loro rinnovata vitalità. Ora non più. La vera volontà dello Stato si è slatentizzata con la pronuncia e la pubblicazione di una sentenza di condanna a morte. «Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile». «Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza». «Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento». Sta tutto scritto nel documento PNSAI.   Impossibile non notare qui l’assonanza totale, testuale, letterale, con il linguaggio dell’eutanasia.  
È proprio così: lo Stato moderno non persegue soltanto la dolce morte dei suoi cittadini, ma perfino quella di ampie porzioni del Paese reale. Un’eutanasia collettiva, un’eutanasia geografica, un’eutanasia civile. Lo Stato spopolatore – un concetto che avrebbe dovuto essere chiaro da sempre ai sedicenti pro-life se fossero intelligenti, o anche solo onesti – ora non ha più il pudore di nascondersi: in nome del popolo italiano, stabilisce che almeno un quarto della propria terra vada deumanizzata, devitalizzata, cancellata. Per il suo bene e per il bene della collettività.   E che quel che resta della popolazione, secondo il grande imperativo dell’era kalergica, vada fatta migrare. Migranti interni: cioè, secondo definizione, «sfollati». Da mettere dove? Da mettere nelle megalopoli.   Perché la città metropolitana (nome ebete che per qualche ragione è stato affibbiato ad alcune province) è ben più di un insieme di palazzi e di persone, di vie e di piazze e di chiese: è forse il più grande progetto di ingegneria sociale del XXI secolo.   La città è diventata il luogo deputato a concentrare – sì, proprio come nei campi – la popolazione, al fine di controllarla. Quando parlano di smart city, o città di 15 minuti, intendono precisamente questo: un luogo di biosorveglianza elettronica totale sull’essere umano, nella prospettiva del credito sociale. E pazienza per quelli, che non sono nemmeno pochi, che avrebbero voluto scappare in mezzo ai monti o alla campagna per sfuggire alla angoscia e al logorio della morsa urbana. Se la mettessero via.   C’è da capire che non si tratta di una improvvisa levata di ingegno di un governo in cerca di sopravvivere. Si tratta dell’ossequioso tributo a un piano globale risalente che, nel periodo in cui ancora i disegni egemonici di una élite predatrice e assassina erano al di fuori dei radar dei più, si chiamava Agenda 21, il «piano d’azione per lo sviluppo sostenibile» uscito dalla Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (UNCED) svoltasi a Rio de Janeiro nel 1992.   In quegli anni, una immobiliarista californiana di nome Rosa Koire notò come il suo stesso lavoro (che prevedeva la vendita di abitazioni nelle zone extraurbane dove la tipica famiglia piccola-medio borghese americana ambisce a farsi la casetta) fosse profondamente intaccato dalla trasformazione in atto, con tanto di veri e propri agenti sguinzagliati nelle istituzioni locali e nel tessuto sociale per assicurare ad essa buon fine. Il suo libro Behind the Green Mask: U.N. Agenda 21 («Dietro la maschera verde: l’Agenda 21 dell’ONU») dettaglia l’orrore di questo immenso progetto concepito a tavolino per deportare la popolazione rurale e schiacciarla nelle città.   L’abbandono programmato di ciò che si trova al di fuori dallo spazio cittadino produce risultati visibili ad occhio nudo: borghi fantasma, case diroccate, rovine edilizie, strade che spariscono conquistate dalla natura.   Laddove c’era l’uomo arrivano le bestie feroci. Ricchi oligarchi comprano distese di terreno per popolarle di grandi predatori, deterrente notevole per le famiglie appassionate di pic-nic. Se ci pensiamo, non è uno scenario molto lontano da quanto stiamo vedendo in Italia con il grande ritorno dell’orso o del lupo: la bestia selvatica può essere a suo modo uno strumento di eutanasia geografica, di cancellazione dell’umanità dalle «aree interne».

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In qualche maniera era tutto già scritto. Eppure, si rimane sconvolti dalla brutalità con cui il governo espone il piano di spopolamento di aree enormi, che hanno – tutte! – alle proprie spalle una storia millenaria fatta di terra e di uomini, di racconti e di spirito. Del resto, la Finestra di Overton sullo Stato, e il Superstato, che ci considera superflui è aperta da tempo: da tempo il malthusianesimo, più o meno camuffato, fa da colonna sonora ai programmi delle scuole di ogni ordine e grado dove si inculca un senso terminale dell’esistenza e si pratica subdolamente (ma neanche troppo) il culto della morte.   Ora è spalancata anche un’altra finestra, sulla necessità di vivere sotto una rete capillare di controllo biotecnologico, alla quale la tessera verde ci ha abituato e che l’euro digitale renderà impossibile da scansare. Col favore dell’estate e del silenzio, sono proclamati terminali, a cuore battente, quattromila organismi sociali giudicati per decreto senza speranza.   Vogliono l’eutanasia dell’essere umano e l’eutanasia delle comunità nelle quali si esprime. L’eutanasia della geografia e della memoria di un Paese intero. Anche e soprattutto, vogliono l’eutanasia della sua libertà.   L’Occidente, punto cardinale del tramonto, interpreta alla lettera il suo nome e il destino che vi è scritto.   Roberto Dal Bosco Elisabetta Frezza

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificata  
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Autismo

Il Canada non esclude l’eutanasia per i bambini autistici

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I documenti mostrano che la Sanità canadese ha finanziato un progetto di ricerca universitario riguardante le «opinioni dei giovani» sull’eutanasia, che includeva una breve discussione sulla possibilità che i bambini affetti da autismo grave possano mai essere ammessi alla morte nell’ambito del programma nazionale di «Assistenza medica al suicidio», detto MAiD.

 

I documenti, resi pubblici da Rebel News, mostrano che il ministero della Salute canadese ha donato circa 549.068 dollari a un progetto di ricerca quadriennale con la Dalhousie University in Canada per studiare «le opinioni dei giovani sulle cure di fine vita, le cure palliative e la MAiD».

 

I documenti interni risalgono al 2024 e riguardano catene di posta elettronica, consultabili qui, in merito al dibattito sulla possibilità di consentire il MAID ai minorenni.

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In uno scambio di email si vede una funzionaria di Health Canada, che faceva parte del team per le cure di fine vita per gli indigeni, chiedere a due burocrati di alto livello dell’unità MAiD «come dovrebbe rispondere il dipartimento alla corrispondenza pubblica in merito al fatto che l’autismo grave soddisfi i criteri di ammissibilità per il MAuD?»

 

Una bozza di risposta includeva la seguente risposta: «la vostra posizione sarà attentamente valutata man mano che il governo procede con la legislazione MAD».

 

Vale la pena notare che questa bozza di risposta è stata poi estratta da una versione successiva delle note interne.

 

Sebbene la bozza di risposta non approvi la pratica del MAiD per i bambini autistici, gli attivisti chiedono da tempo l’espansione del programma nazionale di eutanasia, sostenendo specificamente che la pratica consenta l’uccisione dei cosiddetti «minori maturi» e di coloro che soffrono esclusivamente di disturbi mentali. Di fatto, l’estensione dell’eutanasia per i malati mentali dovrebbe diventare legge nel 2027, in seguito all’approvazione del disegno di legge C-7 nel 2021.

 

I dati più recenti mostrano che l’iniezione letale MAiD è la sesta causa di morte in Canada: nel 2022, Health Canada ha segnalato che 13.241 canadesi sono morti a causa dell’iniezione letale MAiD. Questa cifra rappresenta il 4,1% di tutti i decessi nel Paese quell’anno e rappresenta un aumento del 31,2% rispetto al 2021, il primo anno in cui l’eutanasia è stata disponibile per coloro che non erano malati terminali.

 

 

Vale la pena notare che il Partito Conservatore canadese ha tentato per qualche tempo di opporsi all’espansione del MAiD, ma i recenti tentativi legislativi di fermarla del tutto, invece di limitarsi a ritardarla, come attraverso il disegno di legge C-314, sono falliti.

 

Come riportato da Renovatio 21, la finestra di Overton sull’eutanasia dei bambini autistici (e sui danneggiati da vaccino) è aperta da diverso tempo. Da notare che uno studio di due anni fa dimostrava che di fatto l’eutanasia delle persone autistiche in Olanda era già iniziata.

 

Renovatio 21 lo aveva preconizzato apertis verbiis già nel lontano settembre 2017, in quella che fu forse la prima (o al massimo la seconda) conferenza pubblica . Era un incontro pubblico organizzato da Renovatio 21 a Reggio Emilia sul tema caldo di cui giorni: l’obbligo vaccinale per i nostri figli – la famosa «legge Lorenzin», che ha impedito a tanti bambini non vaccinati di frequentare le scuole materne, praticamente un test per quanto sarebbe successo tre anni dopo con sieri mRNA e green pass.

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«Abbiamo visto che eliminano completamente i down, perché la loro è una vita indegna di essere vissuta» dicevo indicando il caso dell’Islanda down-free. «E una vita indegna di essere vissuta, va eliminata… voi pensate che sia impossibile? Il re cattolico del Belgio nel 2014 ha firmato una legge per cui si può fare l’eutanasia del bambino, basta che il bambino sia “consenziente”… l’eutanasia infantile è arrivata… qualcuno lo chiama aborto post-natale».

 

«Quindi io mi chiedo, e sono conscio della forza di questa mia domanda: quanti anni ci vorranno prima che i bambini autistici finiranno in questo calderone?»

 

Il video è sparito da YouTube per «violazione delle linee guida». Su X invece è ancora visibile.

 

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Eutanasia

L’Assemblea Nazionale francese ha votato per la morte

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La legge detta «aiuto a morire» è appena stata approvata in prima lettura dall’Assemblea nazionale con 305 voti favorevoli, 199 contrari e 57 astensioni.   Si tratta di un progetto eutanatico per il suicidio assistito dallo Stato che respinto nel giugno 2024, quando l’Assemblea nazionale fu sciolta e includeva, nello stesso disegno di legge, la morte assistita e la promozione delle cure palliative.   «L’unione di questi due progetti opposti nella stessa legge aveva lo scopo di farci credere che si trattasse di due facce della stessa medaglia. E questo ha costretto coloro che desideravano le cure palliative ad accettare l’eutanasia» scrive il dottor Philippe de Geofroy sul La Porte Latine. Tuttavia questi due aspetti sono molto diversi. Le cure palliative consistono nell’accompagnare il malato terminale fino alla fine del suo percorso di vita, cercando di aiutarlo e di alleviarlo «non solo dal dolore fisico e psicologico, ma anche a livello sociale e spirituale», come indicato nello statuto della Società francese di cure palliative e di assistenza (SFAP).

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«L’eutanasia, anche se mascherata dal “suicidio assistito”, consiste nell’abbandonarla sotto l’egida dell’umanesimo e di altri “buoni sentimenti”» scrive de Geogroy, che scrive che «l’attuale Primo Ministro, François Bayrou, che si definisce cattolico, ha tergiversato senza troppa convinzione, ma non è riuscito a resistere alla forza della lobby pro-eutanasia guidata da Olivier Falorni, il parlamentare che ha redatto la relazione sulla legge». Di fatto il Bayrou è riuscito ad ottenere solo una concessione simbolica, vale a dire la separazione dei due aspetti dell’eutanasia e delle cure palliative in due leggi distinte.   Secondo i criteri di ammissibilità al suicidio assistito, il richiedente deve essere maggiorenne, di nazionalità francese e risiedere stabilmente e regolarmente in Francia, e deve essere affetto da una «malattia grave e incurabile, qualunque ne sia la causa, che metta in pericolo la vita, in fase avanzata» o «terminale». Ciò significa che siamo entrati in «un processo irreversibile caratterizzato dal peggioramento dello stato di salute del malato e che incide sulla sua qualità di vita».   Sono stati sollevati molti commenti contro la natura relativamente vaga di queste definizioni. «Si riscontra nello spostamento antropologico che ancora una volta costituisce la trasgressione del divieto “Non uccidere”. Quanto alle linee rosse e alle barriere insormontabili, abbiamo visto cosa significano negli ultimi 50 anni con l’evoluzione della legislazione sull’interruzione di gravidanza, passata da eccezione alla regola del rispetto della vita a diritto fondamentale sancito dalla Costituzione» scrive il medico. «Le barriere possono essere invalicabili, ma possono essere spostate con una piccola spinta».   Il paziente deve inoltre presentare «una sofferenza fisica e psicologica costante» che è «o refrattaria al trattamento o insopportabile a seconda della persona» quando ha «scelto di non ricevere o di interrompere» il trattamento. La sofferenza psicologica da sola non è sufficiente per «trarre beneficio» dal «suicidio assistito», specifica il testo.  
  «Questa condizione richiede due osservazioni: la prima riguarda la legittimità morale di interrompere il trattamento quando diventa doloroso e non vi è alcuna speranza di guarigione. La cessazione dell’ostinazione irragionevole, anche se comporta la perdita di alcuni giorni di dolorosa fine della vita, non è in alcun modo paragonabile all’eutanasia» commenta de Geofroy.   «La seconda osservazione riguarda la sofferenza fisica o psicologica resistente alle cure. Tutti i medici di cure palliative ci dicono che quando un paziente con gravi sofferenze morali e psicologiche viene curato correttamente, quasi tutte le richieste di eutanasia scompaiono». È importante sottolineare che oggigiorno esistono molti metodi efficaci per far scomparire il dolore e restituire un certo benessere al paziente. Ci sono però casi in cui ciò è impossibile. Si può allora proporre al paziente una sedazione proporzionata «ma dopo che questi abbia potuto soddisfare i suoi gravi doveri morali, sia materiali che spirituali».   La richiesta deve essere rivolta espressamente al medico, che ha circa due settimane di tempo per decidere e comunicarlo al medico curante. Può rivolgersi a uno specialista che ha accesso alla cartella clinica del paziente e a un operatore sanitario coinvolto nel trattamento in corso, ma la decisione finale, che deve essere scritta e motivata, spetta a lui.   Il testo prevede inoltre che l’autosomministrazione della sostanza giuridica resti la regola (ciò corrisponde a ciò che viene chiamato suicidio assistito), ma, se il paziente non è in grado di farlo, la somministrazione può essere effettuata da un medico o da un infermiere. Per il momento esiste una clausola di coscienza specifica per gli operatori sanitari che consente loro di rifiutare di eseguire questa procedura. Questa clausola probabilmente non esisterà per i farmacisti, come già avviene per i prodotti abortivi, perché non sono considerati «ausiliari medici».   «Oggi questa legge si basa sulla partecipazione volontaria della futura vittima. Cosa succederà domani? Si può temere una rapida evoluzione delle cose, come si è visto con la legge Veil del 1975, ma anche più di recente in altri Paesi che hanno legiferato sull’eutanasia, come il Belgio e il Canada. Ricordiamo che la legge Claeys-Leonetti del 2016 ha introdotto il concetto di direttive anticipate opponibili al medico, consentendo a un adulto di esprimere le proprie volontà in merito al fine della propria vita» scrive il medico francese, citando la legge che 50 anni iniziò l’aborto di Stato nel Paese.   «Anche se si può contestare questa nozione di direttive anticipate, che si fonda sulla nozione “sacrosanta” di autonomia, sembra comunque ragionevole utilizzarla per indicare che si rifiuta l’eutanasia e anche per esprimere il desiderio di una sedazione che, se necessaria, resti proporzionata e non sistematicamente “profonda fino alla morte”».   «È stato quindi appena compiuto un passo importante verso la legalizzazione dell’eutanasia. Ma il processo legislativo non è ancora completato. Si prevede che il Senato esaminerà questa legge all’inizio dell’autunno. La camera alta è un po’ più conservatrice dell’Assemblea nazionale» continua il dottor de Geofroy. «Possiamo sperare, senza sognare troppo, che il testo non venga votato, almeno nella sua forma attuale. Alcuni senatori hanno espresso opinioni dissenzienti, ma non è ancora chiaro cosa emergerà dal voto finale. L’obiettivo del governo rimane quello di far sì che la legge venga adottata prima della fine del mandato quinquennale. In caso di stallo, non si può escludere del tutto la possibilità di un referendum».

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Va notata la dichiarazione di un giovane deputato del partito macroniano Renaissance (ex En Marche) Charles Sitzenstuhl durante i dibattiti parlamentari.   «Credevo di aver capito che quando si è più a sinistra, la vocazione primaria resta quella di proteggere i deboli, di proteggere i vulnerabili (…) avete appena votato un emendamento che mirava a eliminare la protezione per le persone che hanno problemi di discernimento, cosa che per voi non ha creato alcuna difficoltà».   Come riportato da Renovatio 21, tutti i Paesi Europei, dal Portogallo all’Irlanda alla Spagna all’Estonia, galoppano verso la dolce morte di Stato, che ha attecchito anche in Gran Bretagna, Colombia, Danimarca e Australia, mentre Paesi come il Canada hanno già raggiunto livelli parossistici di sterminio eutanatico, dove vengono istituite vere e proprie case della morte funzionari statali propongono direttamente  ai disabili di farsi uccidere.

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