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I bagni di Kabukicho e la vera storia della Miss Giappone ucraina detronizzata

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La parabola della miss Giappone di natali ucraini si è rivelata estremamente breve. L’elezione a rappresentante della bellezza nipponica di Karolina Shiino, nata in Ucraina nella città di Ternopil’, trasferitasi in Giappone all’età di 5 anni dopo il divorzio dei genitori e le seconde nozze della madre con un uomo giapponese, è durata soltanto dal 22 gennaio al 5 febbraio di quest’anno, quando la donna ha dovuto rinunziare a corona e scettro di più bella del Sol Levante.

 

Se pensate che il problema legato alla sua – secondo alcuni molto opinabile – avvenenza o polemiche di etnocentrismo estetico, vi sbagliate: a rompere le uova nel paniere alla ukromiss, e agli organizzatori del concorso ansiosi di riconoscimento internazionale per il loro beau geste politicamente corretto (cioè, geopoliticamente corretto, cioè militarmente corretto), è stato il famigerato settimanale Shukkan Bunshun, il cui talento nello scoperchiare scandali e altarini già gli è valso il nomignolo di «cannone Bunshun».

 

Tra le vittime del cannone distruttore di reputazioni figurano numerose celebrità nipponiche. È significativo che il tabloid avesse colpito il potentissimo magnate delle boy band locali Johnny Kitayama già nel 2001, 22 anni prima che il suo impero venisse praticamente demolito dallo scoperchiare una sentina di abusi omosessuali sui ragazzi durata anni.

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(Per inciso, si tratta dello stesso periodicoche  ha avuto il merito di rivelare nomi e cognomi dei giovanissimi aguzzini di Junko Furuta, diciottenne giapponese vittima di uno dei più atroci crimini che il Giappone ricordi. L’ordalia che la ragazza ha patito supera a tal punto l’immaginazione che non ha soltanto causato svenimenti in aula durante il processo, ma è stata addirittura ispirazione per un tremendo film gore della efferata serie Guinea Pig, che dominava la scena degli oscuri scambi di VHS negli anni 90. Pregate per Junko, e per i suoi carnefici ancora vivi e con la possibilità di convertirsi. Uno dei carnefici in questione è stato arrestato per tentato omicidio due anni fa, il che pone domande sulla reale capacità di riabilitare del carcere. Ma ho divagato abbastanza…)

 

Lo scandalo in questione è telefonatissimo: chiaramente il giapponese medio vede l’elezione a miss Giappone di una ragazza europea (d’altronde, «l’Ucraina è Europa»: o almeno così scandiva lo slogan della folla maidanista nel 2014 mentre si accendeva la miccia del bagno di sangue che continua tuttora) come un mero tentativo di fare notizia ostentando una vaga coscienza politica di stampo americanoide, e in Giappone mettersi in mostra guadagna solo ostilità da parte dell’opinione pubblica.

 

Lo Shukkan Bunshun ha visto una breccia e ci si è buttato: una ricognizione superficiale sui media sociali è bastata a scoprire che la signorina Shiino stava frequentando tale Maeda Takuma, chirurgo estetico piuttosto social-mediatico, noto anche come «dottor muscolo».

 

 

Il problema è che il nerboruto medico risulta sposato e la ruba-mariti ucraina dopo inizialmente avere protestato di essere all’oscuro di ciò, ha dovuto riconoscere la sua colpa e rinunciare al titolo sull’onda dello scandalo.

 

Nell’assieme la vicenda fa capire come la società nipponica per molti aspetti sia ancora significativamente più conservatrice rispetto a quella Occidente, più incline, ora, ad accettare una celebrità coinvolta in un adulterio. Ciononostante anche il Giappone ha una sua pseudo intellighentsia sinistrorsa suddita di qualsiasi moda culturale arrivi dagli Stati Uniti, il che mi fa inevitabilmente pensare ai cessi di Kabukicho Tower. Per chi non conosce Tokyo: avete presente l’immaginario della fantascienza anni ’80? Blade Runner? William Gibson e il cyberpunk? Ecco, quello è Kabukicho. Neon, rumore, sovraccarico di informazione.

 

Kabukicho Tower è un grattacielo di 225 metri e 48 piani realizzato per riqualificare l’omonimo quartiere, che permane in una zona d’ombra tra malavita e vita notturna, oltretutto a dieci minuti di passeggiata dalla affollatissima mecca nipponica degli appassionati del K-pop e del cibo coreano, Shin Okubo.

 

Per i turisti stranieri è normalissimo scegliere un albergo in questo quartiere per le proprie vacanze, un non giapponese non percepisce alcuna minaccia dal punto di vista della sicurezza, ma per il nipponico medio l’aura di malavita che aleggia sulla zona intimidisce alquanto.

 

Ecco quindi una eccellente idea di riqualificazione: un edificio che comprende cinema multisala, locale per concerti, albergo e una ridda di ristoranti e bar nello sgargiante secondo piano. Il tutto in una zona servita dai mezzi pubblici con una densità inimmaginabile per una città italiana. Nel raggio di 20 minuti a piedi ci sono almeno otto stazioni, di cui una è la più trafficata al mondo – la sola stazione di Shinjuku vede passare due milioni di persone al giorno!

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La Tokyu, azienda che gestisce il progetto, ha però pensato bene di fidarsi dell’opinione di qualche abitante della dimensione parallela social-mediatica e di costruire toilettes gender-free nel suddetto secondo piano riservato alla ristorazione.

 

I bagni prevedevano uno spazio comune da cui si poteva accedere a due latrine per gli uomini, due per le donne, otto ad accesso indiscriminato e una per disabili.

 

Il sottoscritto ha sentito il richiamo di madre natura passando da quelle parti: mi sono ritrovato in ambasce davanti all’entrata assieme a due ragazzi attorno ai vent’anni che si dicevano a vicenda: «non ci riesco, è troppo strano, proprio non riesco ad entrare!»

 

Proprio no: a un uomo normale non può che sembrare sbagliato entrare in un bagno in cui ci sono anche delle donne.

 

E viceversa: nei giorni successivi all’apertura i social media sono stati investiti dalle lamentele delle utenti che esprimevano il grande disagio e l’ansia causati dal condividere uno spazio intimo con esponenti del sesso opposto. (Il sesso opposto: gustate la nostalgia in queste parole, occidentali)

 

Nonostante l’introduzione progressiva di personale di sorveglianza e paratie, quattro mesi dopo l’apertura i bagni unisex sono stati definitivamente eliminati e il buonsenso ha alla fine prevalso.

 

Da tutto questo credo si possa trarre una conclusione semplice ma pregnante: ai giapponesi – ai quali peraltro dobbiamo la magnifica arte e civiltà dei water elettronici Toto – potrebbero non piacere i cessi occidentali.

 

Taro Negishi

Corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo

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Immagine di Dick Thomas Johnson via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

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I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.   L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.   Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.   Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un pò il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.   Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un pò in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza..   Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.   Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.

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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.   Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.   Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.   Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.   Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.   I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.   Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perchè secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».   Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perchè incapace a tutto sotto ogni bandiera.   Patrizia Fermani

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Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Le nazioni devono basarsi sulle proprie tradizioni storiche e spirituali, oltre che su una «visione sovrana del mondo», mentre plasmano il loro avvenire, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio scritto ai partecipanti del II Simposio Internazionale «Inventare il Futuro» a Mosca. L’evento, in programma il 7 e 8 ottobre, accoglierà oltre 7.000 partecipanti provenienti da quasi 80 Paesi.

 

Discussioni aperte e innovative sul futuro dell’umanità supportano i governi nel rispondere adeguatamente alle nuove sfide, ha osservato il presidente russo. «Le conclusioni e i risultati di un dialogo così profondo e sostanziale sono di grande valore», ha aggiunto Putin. «Sono fiducioso che dobbiamo creare il nostro futuro sulla base di una visione del mondo sovrana».

 

Promosso su iniziativa del presidente russo, il simposio comprende circa 50 eventi, organizzati in tre aree tematiche: società, tecnologia e cooperazione globale. Il forum ospiterà oltre 200 relatori provenienti da Russia, Cina, Stati Uniti, Italia e da Paesi di Africa, America Latina, Medio Oriente e Sud-est asiatico, che discuteranno di temi che spaziano dalle sfide demografiche all’intelligenza artificiale (IA) e all’esplorazione spaziale.

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Nel primo giorno del simposio si è svolta una tavola rotonda incentrata sul futuro delle tecnologie di intelligenza artificiale e sul loro potenziale di diventare non solo uno strumento professionale di nicchia, ma una base per un’infrastruttura globale e un nuovo «linguaggio della realtà» per governi e imprese private.

 

Un altro dibattito tenutosi martedì si è concentrato sulle prospettive di collaborazione tra Russia e Africa nei prossimi decenni, fino al 2063. Mosca mira a rafforzare i legami con il continente, promuovendo attivamente la condivisione di tecnologie con le nazioni africane, contribuendo a garantire la sicurezza regionale e sostenendo la sovranità degli attori locali, oltre a favorire un approccio più equo nelle relazioni internazionali.

 

Al forum del Club Valdai, a Sochi, giorni prima Putin aveva parlato dei «valori tradizionali» anche in merito alla «disgustosa atrocità» dell’assassinio di Charlie Kirk.

 

«Sapete, questa disgustosa atrocità, e ancora di più, dal vivo», ha detto Putin a un forum organizzato dal Valdai Discussion Club a Sochi, in Russia. «In effetti, l’abbiamo vista tutti, ma non so, è davvero disgustoso. Era orribile». «Prima di tutto, naturalmente, porgo le mie condoglianze alla famiglia del signor Kirk e a tutti i suoi cari», ha continuato il leader russo. «Siamo solidali e solidali, soprattutto perché ha difeso quei valori tradizionali».

 

Putina aveva aggiunto che la sparatoria mortale è il segno di una «profonda frattura nella società», secondo Reuters. «Negli Stati Uniti, non credo ci sia bisogno di aggravare la situazione all’esterno, perché la leadership politica del Paese sta cercando di ristabilire l’ordine a livello nazionale», ha affermato Putin.

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La questione di Heidegger

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Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».   Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».   Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.   Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.

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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.   Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.   L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.   Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.    

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  Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International  
 
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