Pensiero
Angela, gli ebrei, i massoni, il mistero e Aurelio Peccei
È morto Piero Angela. I coccodrilli su TV, siti e giornali vi avranno già inzuppato il fazzoletto.
Rammentiamo le sue fiammate durante la pandemia. «L’esercito in campo per far rispettare le norme di sicurezza sanitaria? Secondo me è utile. Questo è un virus mortale. Non si può dover chiedere per favore, mettete le mascherine. Quelli che non le usano sono degli untori, sono stati informati che è estremamente rischioso, soprattutto se sono quelli asintomatici» avrebbe dichiarato nel 2020.
Con la mascherina sul mento, la voce gli tremava, ma la convinzione c’era tutta.
«Facciamo l’esempio dell’AIDS. Sapete che c’è gente che è stata condannata in tribunale perché sapendo di essere contagioso comunque ha avuto rapporti con altre persone. È un reato, tu porti in giro la malattia».
E ancora. «Non c’è abbastanza pressione sul pubblico perché rispetti queste regole (…) in attesa del famoso vaccino».
Questo per il Piero Angela pandemico, che da scientista è ovviamente vaccinista, del tipo mistico-fideistico che abbiamo imparato a conoscere.
Tuttavia ci sono un paio di altre cosette che vorremmo ricordare qui del potente divulgatore scientifico RAI, principe di un feudo TV altamente «laico» anche in era democristiana. Sono due robette che probabilmente non leggerete altrove – soprattutto una, molto più significativa delle altre, che sta scritta in fondo all’articolo.
Come sa il lettore di Renovatio 21, «laico» è una parola che può voler dire tante cose. Nel caso della famiglia Angela, la parola può significare l’aderenza ad una tradizione, diciamo così, «illuminista».
Il padre di Piero era Carlo Angela, un medico piemontese che viene ricordato per il suo impegno antifascista: «la dittatura lo confinò praticamente a Villa Turina, una casa di cure per malattie mentali, ma ciò non gli impedì di continuare a mantenere rapporti con la rete antifascista» ricorda un vecchio articolo di Repubblica, che virgoletta un testimone che riconosce che «Angela era una persona riservata, che parlava poco. Aveva la sacralità del silenzio, era un laico rigoroso».
Durante gli anni della Repubblica Sociale, il dottor Carlo Angela «salvò ebrei spacciandoli per ariani», nascondendoli nella clinica che dirigeva. Ciò gli valse, nel 2001, l’onorificenza israeliana di Giusto fra le Nazioni; il suo nome fu quindi nel Giardino dei giusti di Yad Vashem di Gerusalemme, luogo poi visitato dal figlio Piero con abbondanza di foto e resoconti mediatici. Una stele dedicata a Carlo Angela vi è anche nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova, un parco a tema genocidi del XX secolo.
Non vi è mistero attorno all’appartenenza del Carlo Angela alla Massoneria. Fu iniziato nel 1905, raggiungendo il 33º grado del rito scozzese antico ed accettato. Nel secondo dopoguerra ottenne la carica di Maestro Venerabile della Loggia Propaganda all’Oriente di Torino Presidente del Collegio dei Maestri Venerabili della stessa città.
Un rito massonico funebre fu celebrato nel tempo della Loggia Propaganda l’8 giugno 1949, a cinque giorni dalla sua morte.
Carlo Angela è stato celebrato dalla RAI – dove lavorano suo figlio e suo nipote – con un lungometraggio documentario del 2017 intitolato Carlo Angela:un medico stratega.
Ora non c’è prova alcuna che la discendenza del Carlo abbia seguito le medesime iniziazioni.
Tuttavia l’impegno illuminista da parte del Piero c’era tutto.
Non stiamo parlando solo del modo gentile di spiegare la scienza a gambe conserte (mirabilmente canzonato dal Gianfranco D’Angelo di Drive In) con le sue ipnagogiche trasmissioni per lo più fatte di spezzoni di documentari importati (dai veri professionisti dei filmati naturalisti BBC, etc.) e doppiato da Claudio Capone, cioè la compianta voce di Ridge di Beautiful e del primo Luke Skywalker.
Ci riferiamo al CICAP, il «Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale», che ora avrebbe cambiato nome, non sappiamo bene perché, in «Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze». Il CICAP fu creato dopo iniziative di Piero Angela, che nel 2016 ne divenne «Presidente Onorario».
Su esempio di un ente di scettici USA, Angela voleva creare un comitato per la verifica dei presunti fenomeni paranormali – in pratica un fact-checking ante litteram, che però poteva sconfinare nella sfera del mistico: astromanzia, rabdomanzia, taumaturgia, ufologia, spiritismo… Niente sfugge alle verifiche degli in genere baffuti agenti del CICAP.
Essi finirono giocoforza per sconfinare nell’ambito religioso, occupandosi del sangue di San Gennaro e di Medjugorje.
Il riduzionismo scientista degli uomini CICAP è per alcuni davvero snervante. Chi scrive ricorda un’affollatissima conferenza di ufologia a San Marino, più di tre lustri fa, dove l’organizzatore al microfono sbottò tutta la sua rabbia contro un’apparizione TV di un tizio CICAP che, invitato ad esprimersi su video di UFO rilasciati dall’esercito messicano, dichiarò che quelle luci filmate dai piloti di caccia erano in realtà riflessi dei pozzi petroliferi di Cuba…
La superstizione, come la Fede (che è ritenuta superstizione), sono da sempre oggetto degli strali del noto club cui apparteneva il papà del Piero, dove si predica la superiorità della ragione sopra ogni cosa, soprattutto verso le credenze popolari e ciò che esce da una visione precisa (bianca o nera, a scacchi, come quel famoso pavimento).
Il mistero, insomma, non esiste: esiste solo la «ragione», qui intesa come la possibilità di spiegare, con le sole conoscenze della scienza attuale, qualsiasi cosa.
Rivoli di questo razionalismo, che per forza di cose va a scontrarsi con il sentire religioso e talvolta la religione organizzata, si possono trovare nei movimenti scettici che vi sono in ogni Paese, dagli USA all’India.
Vi è una ulteriore storia che da anni faceva impazzire il sottobosco della rete: quella che passa per il videografo israeliano Ofer Eshed, già marito di Fiamma Nirenstein, ardente sionista già deputata berlusconiana poi proposta da Netanyahu in era Renzi come ambasciatrice d’Israele a Roma – ma della cosa non se ne fece nulla. La Nirenstein è stata la prima cittadina-parlamentare italiana residente nella colonia ebraica di Gilo, territorio annesso con la guerra dal 1967 e, secondo la comunità internazionale, occupato illegalmente. La cosa fu notata in un articolo del 2008 del quotidiano israeliano Haaretz intitolato «Il “colono” israeliano al servizio del parlamento italiano».
Ora, parrebbe da alcune clip su un canale YouTube che un Ofer Eshed potrebbe aver lavorato per Ulisse e Superquark, due programmi del Piero Angela. Sul perché vi possa essere stata questa collaborazione, non abbiamo idea alcuna. Come potrebbe essere vero il fatto che si tratti semplicemente di filmati venduti.
Niente di che, non sappiamo nemmeno se si tratti di un caso di omonimia. Comunque non lo reputiamo un segno importante, è una coincidenza da nulla.
Non è invece, una coincidenza da nulla l’intreccio tra Piero Angela e Aurelio Peccei, un personaggio di cui talvolta Renovatio 21 vi ha parlato.
Peccei, un altro torinese forse di tradizione «illuminista» che aveva fatto la resistenza antifascista, è uno dei personaggi più oscuri del Novecento. Non esitiamo a conferirgli il titolo di «signore della Necrocultura».
L’idea dei limiti dello sviluppo la dobbiamo a Peccei e alla sua creatura, il Club di Roma, un consesso di potentissimi uniti solo dall’agenda magica di Peccei, che per qualche motivo aveva buoni rapporti con i vertici di qualsiasi realtà globale – pensate ad un Kissinger, o ad uno Klaus Schwab, ma più tetro e più concentrato.
Il concetto che muoveva Peccei di fatto era uno solo: la riduzione della popolazione terrestre.
Fu Peccei a costruire la cultura della decrescita, del controsviluppo, della contrazione industriale, economica, necessaria per salvare il pianeta dalla supposta implosione demografica, che avrebbe portato devastazione, guerra e malattie, nonché la fame su tutto il globo terracqueo.
Quando sentite qualcuno dire «siamo troppi», dovete sapere che la sua lingua è stata caricata decenni fa dal lavoro di Aurelio Peccei.
La potenza del suo Club di Roma fu tale che si sostiene che la politica cinese del figlio unico sia stata indotta da lì: approcciarono un esperto aerospaziale del governo Deng, tale Song Jian, ad una conferenza missilistica a Helsinki, e gli dissero che avevano simulazioni che mostravano il collasso della Repubblica Popolare Cinese se la popolazione non sarebbe stata fermata… Deng, che forse con l’Europa aveva altre aderenze di club avendo studiato a Parigi, attivò la politica autogenocida costata la morte di centinaia di milioni di bambini, facendo diventare Pechino un mega-laboratorio della Cultura della Morte realizzata.
Il documento con cui iniziò tutto fu lo studio che il Club di Roma di Peccei commissionò nel 1972 al politecnico bostoniano MIT, The Limits to Growth («I limiti dello sviluppo»), una primitiva simulazione al computer che ripeteva con gergo scientifico coevo quanto già espresso dal reverendo Malthus, teorico delle atrocità dell’Impero britannico (lavorava per il Collegio della Compagnia delle Indie), secoli prima: fermate la crescita della popolazione e il consumo di risorse o sarà il disastro.
È una delle maschere della Necrocultura che abbiamo imparato a conoscere: quella ecologista.
Peccei non aveva paura di scrivere quello che pensava dell’umanità nei suoi libri, uno dei quali, Campanello d’allarme per il XX secolo, scritto con il vertice del potente gruppo buddista Soka Gakkai (quello di Baggio e della Sabina Guzzanti) Daisaku Ikeda.
È tuttavia in Cento pagine per l’avvenire, un libro che hanno sentito il bisogno di ristampare pochi anni fa, che il Peccei tocca vette di trasparenza antiumana:
«Ci siamo chiesti se tutto sommato, rispetto al maestoso fluire dell’evoluzione l’homo sapiens non rappresenti un fenomeno deviante. Se non sia un tentativo ambizioso andato male, un errore di fabbricazione che gli aggiustamenti che assicurano il rinnovarsi della vita si incaricheranno a tempo debito di eliminare o rettificare in qualche modo».
Avete capito da dove vengono quindi Greta Thunberg («la prima Greta Thunberg aveva i baffi e si chiamava Aurelio Peccei» ebbe a dire Angela) e i discorsi apocalittici sul «pianeta Gaia» dei vostri amici eco-vegetariani: da uno strano ricco e potente, già uomo FIAT e Olivetti, inspiegabilmente inserito nel livello decisionale più alto del pianeta.
Quindi, eccovi che nel 1973, ad un anno dall’uscita del rapporto I Limiti dello Sviluppo voluto dal Club di Roma, «Piero Angela prende spunto da questo testo fondamentale in materia di sostenibilità ambientale del progresso tecnologico per realizzare “Dove va il mondo?”». Stiamo copincollando da RaiPlay, il sito della RAI.
«Il programma in quattro puntate intendeva verificare l’attendibilità delle drammatiche previsioni del rapporto, vagliando le posizioni pro e contro di esperti e scienziati. Il primo intervistato è Aurelio Peccei, fondatore del “Club di Roma”, l’ente non governativo che aveva commissionato lo studio del MIT».
«La nostra Terra che galleggia nello spazio con il suo sottilissimo strato di biosfera può accogliere uno sviluppo senza limiti? Oppure le sue stesse dimensioni creano inevitabilmente un limite fisico allo sviluppo» si chiede Angela nei primissimi secondi mentre scorrono immagini in bianco e nero del nostro pianeta. «E quanto siamo lontani, da questo limite? Queste domande se le sono poste in modo concreto un gruppo di scienziati, umanisti, dirigenti di organizzazioni internazionali preoccuparti sulle sorti del futuro riuniti in una associazione denominata Club di Roma».
Uno spottone.
Il lancio è straordinario. «La prima seduta [del Club di Roma] si era svolta qui a Roma, su iniziativa del dottor Aurelio Peccei». Parte l’intervista.
Date un’occhiata voi stessi. In pratica, un’intera serie dedicata al manifesto della decrescita, con lunga intervista a Peccei già al primo episodio.
La vicinanza tra Angela e Peccei è ricordata anche nel fresco necrologio del WWF: «Fu tra i primi infatti, già dagli anni 70, a dare risonanza agli allarmi sul futuro del Pianeta lanciati da Aurelio Peccei e dal Club di Roma fondato dallo stesso Peccei». Ricordiamo, en passant, che tra i personaggi fondatori del WWF c’è il principe Filippo di Edimburgo, quello che voleva reincarnarsi in un patogeno pandemico per decimare la popolazione. Un altro fondatore, il principe neerlandese Bernhard van Lippe-Biesterfeld è stato presidente del Gruppo Bilderberg fino a quando si dovette dimettere per lo scandalo della tangente da 1,1 milioni di dollari avuta dalla Lockheed.
Ma restiamo su Angela e Peccei. Tra i due non vi era un rapporto superficiale.
Con Peccei, disse Angela in un’intervista con il filosofo ateo Telmo Plevani su MicroMega, «mi incontrai poi tantissime volte. Con lui andai, nel 1972-73, ad Algeri, per la conferenza “Reshaping the International Order“, e, nel 1975, a Salisburgo, dove Peccei riuscì a riunire attorno a queste problematiche undici capi di Stato e di governo. Realizzai allora una serie di programmi televisivi su questi temi: Dove va il mondo, in cinque puntate; poi Nel buio degli anni luce, in otto puntate; e un libro, La vasca di Archimede, in cui spiegavo proprio come non ci sia un’azione che non abbia ripercussioni da qualche altra parte».
Diecine di produzioni del servizio pubblico per spiegare i principi del Club di Roma.
Rimirate ancora una volta Angela che intervista Peccei nello spezzone delle Teche RAI.
Guardatelo, parlando di una non meglio precisata «frenata», chiedere all’intervistato di questi mirabolanti «studi di previsioni tecnici su questo sviluppo»
«Nel giro di qualche generazione si va incontro a catastrofi perché superiamo le capacità della Terra» risponde Peccei.
Sappiamo tutti cosa vuol dire. Di lì a pochi anni sarebbe arrivata la legge sull’aborto, vi sarebbero stati interi movimenti che suggerivano la contraccezione e la sterilizzazione. La pillola, flagello steroideo che trasforma e fa ammalare le donne negando la loro stessa natura, era arrivata pochi anni prima.
«Quest’uomo si accresce in peso e in dinamica, e il filo si può spezzare».
Ora immaginate che questo era il canale unico RAI. Immaginate che a quel tempo la TV era considerata verità. «Lo ha detto la televisione» era il riferimento che zittiva tutti.
Capiamo quindi quale possa essere stato l’effetto del lavoro di Angela.
Non ci interessano tutte le cose di ebrei e massoni di cui si è scritto su Piero Angela. A noi basta mandare in play questo breve video.
Non c’è nessun mistero qui. Tutto ci sembra alla luce del sole, scientificamente spiegabile.
Noi sappiamo perfettamente cosa esso significhi.
Roberto Dal Bosco
Immagine di Niccolò Caranti via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0); immagine ritagliata e resa in bianco e nero.
Pensiero
Mosca bataclanizzata: qual è il messaggio?
Al momento in cui scrivo la conta dei morti del massacro di Mosca è di 60 morti e 140 feriti.
Abbiamo raccolto e mostrato qualche immagine agghiacciante: sì, un commando è entrato in un centro commerciale (su qualche canale ebete di Telegram avete letto che era un municipio: il traduttore automatico dei geni ha tradotto «Crocus City Hall» in «Municipio di Crocus», come se Crocus fosse un quartiere della capitale russa; gli ignoranti che seguite sui social fanno anche questo) con fucili automatici e hanno iniziato a sparare all’impazzata. Sono stati colpiti anche dei bambini, e due dodicenni sarebbero gravi.
È interessante notare quanto siano restii i nostri media a pronunziare, davanti allo schema perfettamente ripetuto, la parola che aveva inondato il discorso pubblico sul terrorismo quasi dieci anni fa: Bataclan.
Il disegno tecnico è il medesimo: colpire la popolazione comune, falciandola con armi a ripetizione e magari qualche bomba suicida o meno, nel momento di massimo svago e massima vulnerabilità – quando va a vedere un concerto. Sparare sulla gente quando è concentrata in un unico punto ed indifesa. Massacrare in maniera massiva per compiere il lavoro del terrorismo, e portare il suo messaggio.
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Mosca è stata bataclanizzata. I grandi media non vogliono dirvelo – perché significherebbe elevare il popolo russo a vittima, dopo due anni di campagna martellante per convincerci che la Russia è carnefice. E poi, soprattutto, nessuno ha voglia davvero di guardarci dentro: se il disegno è lo stesso del Bataclan, gli autori sono gli stessi? I mandanti pure?
Alla rivendicazione dell’ISIS, buttata subito in stampa da tante testate internazionali, non possiamo credere. Curioso, tuttavia, che l’ISIS possa voler colpire la Russia proprio ora, quando l’intervento in Siria è finito da anni…
L’Ucraina, per bocca di un ciarliero e molto visibile tizio consigliere di Zelens’kyj, Mikhailo Podolyak (quello che aveva insultato il papa e il cristianesimo) ha detto non siamo stati noi, mentre altri ucraini hanno ovviamente tirato fuori l’hastatoputin. Chiaramente, ci vogliono far credere, è un false-flag del Cremlino per scatenarsi, anzi, guarda, è la festa personale di Putin per aver vinto l’elezione con quasi il 90% dei voti. Come no. (in rete circolano meme divertenti con il passaporto di un terrorista miracolosamente, come al solito, ritrovato sul luogo del delitto: la foto è quella di un Putin barbuto)
Si tratta della più grande strage terrorista dai primi anni 2000. Qualcuno ricorderà i 130 morti (più quaranta terroristi) e i 700 meriti della crisi del Teatro Dubrovka, quando vennero sequestrati 850 civili da un gruppo di islamisti separatisti ceceni.
Dobbiamo capire che la vittoria sulla questione cecena – e sul terrorismo correlato – è stata la scala d’ingresso di Putin verso il Cremlino. La Cecenia era un disastro che poteva trascinare giù tutta la Russia: un alveare terrorista nel cuore del Paese, e allo stesso tempo un fattore di demoralizzazione devastante per la popolazione. Erano i primissimi tempi di internet, ma già circolavano i video, poi perfezionati da ISIS e compagni, di sgozzamenti di soldati e civili russi.
Putin fu colui che mise fine al pericolo. Da primo ministro ha vinto la Seconda Guerra Cecena, di fatto sottomettendo una fazione in lotta, quella di Kadyrov, il cui figlio ora al potere a Grozny manda i suoi soldati a combattere in Ucraina con adunate oceaniche negli stadi dove si grida «Allahu Akbar» e subito dopo «viva il presidente Putin».
La strage di Dubrovka non è stata la sola. Poco dopo, ci fu il massacro di Beslan, ancora più intollerabile nella volontà terrorista di colpire gli indifesi: il 1 settembre 2004 un gruppo di 32 fondamentalisti separatisti ceceni entrò in una scuola elementare e sequestrò 1200 persone, per maggior parte bimbi. Ricordate quell’immagine: una bomba pronta ad esplodere piazzata dentro il canestro della palestra, e i bambini sotto. Il conto, dopo che gli Spetsnats (le forze speciali russe) liberarono la scuola, fu di oltre trecento morti, di cui 186 bambini, e 700 feriti. Quasi tutta la scuola è stata ferita dal terrorismo.
Si tratta di traumi che i russi pensavano passati. Sono seguiti gli anni putiniani dove stipendi e pensioni sono saliti di 7, 15 volte. Dove il popolo russo, che dopo il 1991 aveva cominciato a perdere un milione di persone l’anno (alcol, disperazione) ha ritrovato la dignità, e, parola chiave per capire Putin e la Russia odierno, rispetto.
Il terrorismo, essenzialmente, è un linguaggio. Ogni atto terroristico ha un messaggio da portare al mondo – questo è quello che ci dicono, almeno. Sappiamo che il messaggio è, in genere, più di uno. C’è un messaggio di superficie, quello dei perpetratori: vogliamo l’indipendenza, vogliamo vendetta, vogliamo la shar’ia, vogliamo la fine dell’occupazione, cose così.
Poi c’è il messaggio profondo, quello dei veri mandanti, di cui non si può discutere, perché non si può saperne nulla.
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Le stragi dei primi 2000 avevano, come messaggio di superficie, la Cecenia: la terra dove Putin aveva riportato l’ordine, promettendo di inseguire i terroristi anche al cesso ed ucciderli lì, disse in una famosa dichiarazione.
Il messaggio profondo possiamo immaginare fosse un altro: lasciaci continuare a depredare la Russia. Il desiderio, profondo ed irrevocabile, dei veri mandanti, che non necessariamente stavano in russo.
I terroristi takfiri ceceni, si è detto, potevano aver legami con oligarchi nemici di Putin riparati all’estero. Era chiaro cosa volevano gli oligarchi ribelli: proseguire, anche per conto dei loro soci occidentali, la razzia resasi possibile con il crollo dell’Unione Sovietica nel decennio di Eltsin, come visibile, ad esempio, nel caso magnate del petrolio Mikhail Khodorkovskij, quello che Pierferdi Casini difendeva al Parlamento italiano, prima di essere imprigionato da Putin si diceva avesse trasferito le sue quote a Lord Nathaniel Jacob Rothschild, quello dei quadri satanici con Marina Abramovic spirato pochi giorni fa. Liberato dalla clemenza di Putin prima delle Olimpiadi 2014 (l’Occidente ringraziò organizzando poco dopo i Giochi di Sochi Piazza Maidan a Kiev), il Khodorkhovskijj ora è tornato a galla per la questione ucraine, i giornali lo definiscono «oppositore di Putin».
Vi sono tuttavia casi più evidenti. Rapporti tra terroristi ed oligarchi furono discussi per uno dei nemici più acerrimi di Putin, l’oligarca riparato a Londra Boris Berezovskij. Una trascrizione di una conversazione telefonica tra Berezovsky e il fondamentalista Movladi Udugov – attualmente uno degli ideologi e il principale propagandista del cosiddetto Emirato del Caucaso, un movimento militante panislamico che rifiuta l’idea di uno stato ceceno meramente indipendente a favore di uno stato islamico che comprenda la maggior parte del Caucaso settentrionale russo e si basi su principi islamici e sulla legge della shar’ia – fu trapelata su uno dei tabloid di Mosca il 10 settembre 1999. Udugov propose di iniziare la guerra del Daghestan per provocare la risposta russa, rovesciare il presidente ceceno Aslan Maskhadov e fondare la nuova repubblica islamica di che sarebbe stata amica della Russia pre-putiniana.
Dopo la Seconda Guerra Cecena, Berezovskij aveva mantenuto i rapporti con i signori della guerra islamisti. Nel 1997, nell’ambito di supposte attività di ricostruzione della Cecenia, fece una donazione di 1 milione di dollari (alcune fonti menzionano 2 milioni di dollari) per una fabbrica di cemento a Grozny. Per tale pagamento fu negli anni accusato di finanziare i terroristi ceceni.
Il 23 marzo 2013 Berezovskij, che bazzicava il World Economic Forum di Davos e aveva avuto un ruolo attivo nella rielezione di Eltsin nel 1996, fu trovato morto nel bagno nella sua villa nel Berkshire, vicino ad Ascot, luogo caro alla nobiltà britannica. Dissero dapprima che era depresso, perché aveva perso una causa con Roman Abramovic (ex patron del Chelsea, anche lui oligarca ebreo ultramiliardario che però si era sottomesso a Putin) e quindi aveva debiti; la polizia inglese invece disse che era una morte senza spiegazioni e volle lanciare un’inchiesta, ma non arrivò a nulla. Si dice prendesse farmaci antidepressivi, e un giorno prima di morire avrebbe detto ad un giornalista londinese che non aveva più niente per cui vivere.
Parlo della morte di Berezovskij perché all’epoca notai come potesse essere correlata ad una strage terrorista dall’altra parte del mondo: il 15 aprile dello stesso anno due bombe esplodono alla Maratona di Boston ammazzando tre persone e ferendone 250. Vengono accusati due fratelli ceceni, Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev. Emerse che loro zio, che i giornali dissero subito si era dissociato dalla deriva islamista dei nipoti, era stato sposato con la figlia di un agente CIA, con cui avrebbe pure convissuto.
Difficile capirci qualcosa: tuttavia, la domanda che mi feci, all’epoca, era: il messaggio profondo della strage bostoniana è che, morto Berezovskij, qualcuno stava chiedendo il riequilibrio di questa rete antirussa occulta che attraversa il mondo.
La mia era solo una supposizione. Di certezze sulle connessioni tra gli americani e gli islamisti ceceni, invece, ne ha Vladimir Putin.
In una sequenza di tensione rivelatrice del documentario che Oliver Stone ha dedicato a Putin – un’intervista di ore e ore tra il 2015 e il 2016 – il presidente russo dà una notizia piuttosto gigantesca: racconta che gli USA, trovati ad aver contatti con i terroristi ceceni, hanno risposto alle rimostranze del Cremlino dicendo che essi erano autorizzati diplomaticamente a parlare con chi volevano.
Putin era visibilmente scosso: la Cecenia, per lui che l’aveva vinta come prima missione della sua carriera ai vertici, significava tanto: il dolore di tanti morti, il rischio di far finire la Russia, ancora una volta, in una spirale di razzia e violenza, in pratica di farla sparire dalla storia.
Discorsi simili sono stati fatti poche settimane fa nell’intervista che Putin ha concesso a Tucker Carlson. Il presidente russo lo aveva ripetuto ai giornalisti anche l’anno scorso: «nel Caucaso l’Occidente sosteneva Al-Qaeda». Washington appoggia il terrorismo antirusso, in sintesi. Per gli italiani che si ricordano quando – al tempo non c’era la parola «complottista» – si parlava della Strategia della Tensione, non è una storia tanto campata in aria.
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E quindi, qual è il messaggio della strage terrorista al Crocus di ieri sera?
È lo stesso, crediamo, di quello di quando l’anno scorso hanno bombardato a Mosca Darja Dugina o a San Pietroburgo il blogger Vladen Tatarskij: vogliono ri-cecenizzare la Russia.
Vogliono riportare le lancette indietro a quegli anni, quando Mosca era debole, il popolo incerto ed impaurito, e le risorse del bicontinente libere per i rapaci internazionali. Quando c’era il terrorismo islamico, usato come solvente da un potere superiore per distruggere definitivamente ogni potere indipendente per la Russia e piegare nella paura la psiche del popolo russo.
Tutto questo è durato fino a Putin. I mandanti non hanno mai accettato di aver perso. E quindi, nell’ora del trionfo politico e popolare di Putin, ripetono il messaggio. Puoi anche vincere le elezioni, puoi anche avere l’affetto del tuo popolo: noi te lo possiamo portar via a suon di mitragliate terrorista. Puoi vincere la guerra ucraina, noi massacreremo le famiglie ai concerti a Mosca. Lo faremo con i ceceni, con gli ucraini, con i daghestani, con i nazisti russi, con chiunque potremo manovrare.
Ora, da temere, più che il messaggio, che è chiaro, è la risposta che darà Putin.
Perché, come è evidente, potrebbe essere l’innesco della Terza Guerra, che di fatto l’élite occidentale, brama affannosamente.
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
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Occulto
Feto trovato in uno stagno. Chi ce lo ha messo? E soprattutto: perché?
Leesburg è storica cittadina di 40 mila abitanti nello Stato americano della Virginia. Si trova vicino al fiume Potomac, quello che passa per la capitale Washington.
Leesburg è il capoluogo di contea della contea di Loudoun – praticamente omonima della piccolo paesino francese che nel Seicento fu teatro della possessione di massa delle suore di un convento, da cui il romanzo I diavoli di Loudun di Aldous Huxley – il luogo finito nelle cronache negli scorsi mesi per il clamore seguito alle presunte molestie sessuali subite da una ragazzina adolescente in un «bagno transgender» ad opera di uno studente transessuale. Lo scandalo si moltiplicò quando la repressione si abbattè sui genitori che protestavano negli incontri con i dirigenti della scuola, con il padre della giovane vittima arrestato dalla polizia durante un meeting.
Lo scorso 12 marzo il dipartimento di polizia locale della piccola città americana ha emanato un comunicato stampa agghiacciante.
Vi si dichiara che l’11 marzo, «il dipartimento di polizia di Leesburg è stato allertato intorno alle 16:33 da un membro della comunità che ha scoperto il corpo di un feto a termine nello stagno dietro Park Gate Drive, a Leesburg». L’espressione inglese usata per il bambino, «late term», indica un bambino nato tra 41 settimane e 0 giorni e 41 settimane e 6 giorni.
Il feto è stato trasportato all’ufficio del capo medico legale della Virginia per l’autopsia.
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«Questa è una situazione profondamente tragica», ha detto il capo della polizia di Leesburg, Thea Pirnat. «Esortiamo chiunque abbia informazioni a farsi avanti, non solo per il bene delle indagini, ma anche per garantire che a chi ne ha bisogno ricevano cure e servizi medici adeguati».
La polizia ha anche ricordato alla gente del luogo le risorse disponibili per le donne incinte, inclusa l’opzione per la consegna sicura e anonima dei neonati secondo le leggi Safe Haven della Virginia, con le quali i genitori possono consegnare il proprio bambino se ha 30 giorni o meno, insomma come si faceva un tempo con la ruota degli esposti.
«La legge fornisce protezione dalla responsabilità penale e civile in alcuni procedimenti penali e procedimenti civili per i genitori che consegnano in sicurezza i loro bambini», dichiara il dipartimento. «La legge consente a un genitore di rivendicare una difesa affermativa davanti all’accusa se l’accusa si basa esclusivamente sul fatto che il genitore ha lasciato il bambino in un luogo sicuro designato».
«L’indagine viene trattata con la massima serietà e sensibilità» afferma il dipartimento nel comunicato. Per il resto, vista la mancanza di aggiornamenti sul caso, possiamo forse usare la famosa espressione giornalistica: la polizia brancola nel buio.
La verità è che, con grande probabilità, non si farà molto per risalire a chi ha abbandonato al bambino – anche se, a pensarci, la genetica di consumo in voga negli USA, con cui si stanno prendendo serial killer che l’avevano fatta franca per decenni, potrebbe aiutare ad avvicinarsi quantomeno ai genitori del piccolo.
Il vescovo della diocesi di Arlington Michael F. Burbidge ha espresso «grande dolore» per la scoperta. «Esorto i fedeli della diocesi e tutte le persone di buona volontà ad unirsi a me nella preghiera per la madre del bambino e per chiunque sia coinvolto in questo incidente».
Il problema è che chiunque in questo caso parte con un’idea che, per quanto non dimostrata, è persistente: si tratta di un caso di degrado, un segno orrendo di disagio sociale, un effetto del livello di bassezza cui è sprofondata la società… Cose così. Inevitabile, a questo punto, che salti fuori anche quello che dice che con l’aborto si risolveva tutto. È il tema dell’antica canzone di Elio e le Storie Tese: Cassonetto differenziato per il frutto del peccato.
Eccerto, se il bambino veniva fatto a pezzi nel grembo materno, gli sarebbe stato risparmiato di finire in uno stagno. La minuta voce utilitarista dentro ogni cittadino sincero-democratico dice: così non soffriva. In verità, in tanti, specie se interessati al mantenimento dell’establishment, vorrebbero dire che, uccidendolo semplicemente prima grazie alle leggi feticide, ci risparmiavamo l’orrore, lo scandalo, i quindici minuti di destabilizzazione sociale conseguenti all’orripilante scoperta.
Crediamo che ci sia la possibilità che si sbaglino tutti: polizia, abortisti, vescovi, pro-life pregatori vari. Potrebbe essere che si stiano ponendo la domanda sbagliata. Potrebbe essere che stiano guardando al dito invece che alla luna. Perché su Renovatio 21 stiamo, da tempo, sviluppando l’idea che tali ritrovamenti, che avvengono di continuo in tante parti del mondo, non siano casuali, e nemmeno siano tutti scaturigini del degrado sociale della società odierna.
Abbiamo sotto gli occhi tanti strani casi italiani, di cui da tempo stiamo tentando di iniziare un censimento.
Per esempio, nell’aprile 2006 a Terlizzi (provincia di Bari), in un cimitero, trovano sotterrato maldestramente un feto di sesso maschile di tre mesi: il bambino è inserito in un barattolo di vetro.
Nel 2017 in provincia di Benevento, i carabinieri del comando provinciale trovano «un barattolo in vetro, con all’interno un oggetto dalle presunte fattezze di un feto umano» che sarebbe stata messa, anche qui, nel verde, «in un’area prospiciente il fiume Calore, seminascosto dietro un terrapieno». Poco dopo, rientra tutto: si trattava di «due guanti in tessuto, avvolti tra loro con dello spago che erano stati riempiti con una sostanza spugnosa» scrivono i giornali. Insomma, uno «stupido scherzo», dissero. Caso chiuso.
A metà novembre 2019, in uno spazio verde di Piazza Benfica, a Torino, un signore che porta a passeggio un cane si accorge che qualcuno aveva messo lì un contenitore con all’interno, visibile nel liquido trasparente di conservazione, un feto embrionale. Dal primo esame svolto all’epoca dei sanitari fu detto che il feto aveva tra le 10 e le 15 settimane. Mesi dopo il Pubblico Ministero chiederà l’archiviazione. I giornali dicono che «il giallo è risolto» perché il feto risalirebbe ad almeno vent’anni prima. Ciò ovviamente non spiega nulla, ma basta trasmettere al lettore sincero-democratico che va tutto bene. Circolare, niente da vedere qui.
Giugno 2023, Bassano del Grappa, provincia di Vicenza: in una zona di campagna i carabinieri, secondo quanto riportato, stavano conducendo un’operazione antidroga, andando a cercare luoghi dove gli spacciatori potrebbero nascondere gli stupefacenti. Durante il setaccio, dietro un cespuglio, gli agenti scoprono un barattolo, con dentro un essere umano grande quanto il palmo di una mano. Un feto di sei mesi, conservato in un liquido che probabilmente è formalina. I giornali locali parlano di «ipotesi di riti satanici», ma come sempre, l’eterna «pista del satanismo» va a sparire dopo pochi giorni, come tutta la storia.
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Poi giace da qualche parte, enorme e dimenticato, il caso di Granarolo. Febbraio 2022: un ragazzo che recupera ferro vecchio e altri materiali nelle industrie si reca presso un capannone per eseguire una raccolta. Gli viene detto di portare via anche dei bidoni gialli, sono una quarantina, tutti accatastati lungo un muro, tra altri rifiuti. Il suo compito sarebbe di «smaltirli da qualche parte». Lui ne apre uno: è pieno di un liquido di colore verde. Dentro vi galleggia un feto umano. Il ragazzo si spaventa. Filma la situazione, poi chiama la polizia. Sembra di capire, quindi, che di feti mica ce ne era solo uno: forse che tutti quei bidoni gialli contenevano feti? Da dove provenivano? Di chi erano figli? Cosa ci facevano lì… quanti erano?
Come avevamo predetto su queste colonne, anche questa storia di feti abbandonati sparisce immediatamente dai radar. Non ci è chiaro cosa abbiamo fatto le autorità, se una qualche ricostruzione è stata data: avevano detto che forse centravano musei e università, ma era davvero così? Qualche responsabilità è stata assegnata? Qualche indagine è stata conclusa? Stiamo cercando, ma sembra proprio che, come avevamo preconizzato, notizie sulla vicenda non sono state più date – nel disinteresse totale di curia, politici locali, ebetudine pro-life organizzata varia. Va così.
Ora, il pensiero che stiamo sviluppando è quello per cui tutti questi casi di feti «abbandonati» non siano effetti casuali del disagio sociale. Potrebbe essere, invece, parti di un disegno «religioso» con forme e dimensioni ancora sconosciute. I feti non sono lasciati lì per caso: sembrano, in molti di questi casi, disposti appositamente, secondo regole precise, forse geografiche, ambientali.
Ci aveva colpito, ad esempio, che in Italia i bambini imbarattolati venissero trovati per lo più nel verde, in mezzo al nulla: cespugli, aiuole, campagne, lungo argine. Un po’ come il feto di Leesburg, trovato non in una fogna, ma in un placido specchio d’acqua, tra i verdi giardini delle casette residenziali lì attorno.
Renovatio 21 aveva fatto delle ipotesi: la società post-cristiana è in realtà divenuta anche post-satanista, dove il satanismo non più legato a messe nere e formule magiche varie, ma innestata invece nel discorso dei «diritti umani», come il feticidio e i rapporti contronatura, ora divenuti legge dello Stato moderno. Il caso del Tempio di Satana, che vuole aprire cliniche abortiste in nome della libertà religiosa, costruisce altari satanici da piazzare a Natale nei Palazzi del potere e organizza festoni satanici con green pass e mascherina obbligatori, va in questa direzione.
Ma quindi, perché la disseminazione dei feti?
Abbiamo pensato che forse, la disposizione di questi feti potrebbe suggerire che li si voglia nascondere, come si fa con gli amuleti maledetti affinché persistano la loro funzione contro la vittima: sepolti nell’erba, occultati, ma presenti nella loro drammatica verità. Delle bandierine dell’universo post-satanista, delle «antenne» con la loro funzione: reliquie occulte, ripetitori del messaggio, dell’energia del Male.
Un feto a termine ucciso e impiantato nel territorio può volere dire: qui si fa l’aborto. E il fatto che nel caso della Virginia si trattasse di un bambino late term, potrebbe fare pensare qualcuno: nel grande paradosso del presente americano, la Corte Suprema elimina l’aborto come diritto federale mentre una parte della politica parla apertamente di late term abortion, cioè della possibilità di abortire fino al momento della nascita, o pure dopo.
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Se vuole essere un segnale politico per la situazione attuale, il bambino a termine ucciso nello stagno offre un messaggio chiarissimo. Continueremo, andremo avanti anche con l’età dei sacrificandi. Questa terra è nostra.
Non è sbagliato pensare che, in questo piano metafisico, vi sia chi all’aborto dedica riti occulti – perché esso è la porta ideale per il ritorno del sacrificio umano, l’inversione definitiva della religione divina, per cui non è più Dio che si sacrifica per l’uomo (come sulla Santa Croce, come nella Santa Messa), ma l’uomo che si sacrifica per gli dei dei pagani – i quali sono, come dice il Salmo, tutti demòni.
Il sacrificio umano è, per il momento, illegale, l’aborto no – ed ecco che quindi che essi devono proteggerlo ad ogni costo, attendendo che la fetta superiore del panino, l’eutanasia, scenda giù schiacciando noi in mezzo, fino a rendere l’intera popolazione sacrificabile in ogni momento. Fino a disintegrare una volta per tutte la dignità umana, e rendere la vita spendibile, sprecabile a piacimento. Fino al Regno Sociale di Satana.
Vorremmo andare oltre. Stiamo tentando di raccogliere materiale per farci un’idea sui continui casi dei feti nei cassonetti che funestavano in passato le cronache italiane. Forse non era esattamente come pensavamo. Forse anche lì si trattava di un messaggio, della disposizione di antenne oscure, della diffusione del segnale dell’Inferno.
Quando avremo tempo, ce ne occuperemo.
Nel frattempo, preghiamo il lettore: dai gruppi che vi parlano di difesa della vita, di lotta contro l’aborto – magari chiedendovi con automatica insistenza dei danari – state alla larga.
Con evidenza, non hanno capito nulla di quello che sta accadendo. La loro funzione, forse, è proprio quella di farci continuare a non comprendere forme e proporzioni di questa guerra occulta.
Roberto Dal Bosco
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Immagine su licenza Envato, rielaborata
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