Satira
I tifosi scozzesi cantano a Re Carlo: «la tua incoronazione ficcatela su per il»
È divenuto virale il filmato di uno stadio pieno di tifosi del Celtic in Scozia in piedi, che battono le mani e cantano all’unisono: «You Can Shove Your Coronation up your arse».
La traduzione letterale del coro dello stadio di Hampden Park è «puoi ficcarti l’incoronazione su per il sedere», anche se non è sbagliato dire che arse si traduca proprio con «culo».
Insomma, i sudditi celtico-calcistici d’Iscozia mandan un segnale chiaro, ed inedito, a Buckingham Palace: «puoi ficcarti l’incoronazione su per il culo». Non è chiaro quale risposta sia arrivata da parte del regnante, che in effetti deve essere preso proprio dalle procedure per far entrare la coronation nella storia.
Il Celtic è la squadra di Glasgow tendenzialmente associata alla comunità cattolica, che magari, in effetti, qualche ruggine con la monarchia di Albione potrebbe conservarla.
La partita della semifinale della coppa di Scozia, in cui i Celtic hanno battuto, del derby di Glasgow, i Rangers 1-0. I Rangers sono la squadra della capitale scozzese associata alla comunità protestante. Anche questo aiuta a spiegare il coro irrispettoso del corpo del sovrano del Regno Unito, nonché capo della chiesa anglicana.
Il video di insulto al sovrano britannico, filmato il 1° maggio, è diventato virale in tutto il mondo.
E non solo in rete: anche i programmi televisivi britannici e australiani lo hanno trasmesso. Per esempio durante alla trasmissione BBC dell’ora di pranzo con Jeremy Vine, che ha riprodotto la clip mentre uno striscione correva lungo la parte inferiore dello schermo con il numero di telefono da chiamare per rispondere alla domanda: «Giurerai fedeltà al re?»
Anche Reuters e il Washington Post hanno preso atto nei giorni scorsi del diffuso interesse per le proteste «Not My King» («non il mio re») organizzate in Gran Bretagna da un gruppo chiamato Republic, che dal 1983 si batte per sostituire la monarchia con una repubblica. I loro manifestanti sono già apparsi agli eventi prima dell’incoronazione, sfoggiando magliette gialle e sventolando cartelli «Not My King».
Il capo organizzatore Graham Smith è entusiasta del fatto che 1.000 persone dovrebbero unirsi alla protesta del Giorno dell’incoronazione della Repubblica a Londra, che si terrà nel punto lungo il percorso della processione dove si trova la statua di Carlo I, il re la cui decapitazione nel 1649 ha portato all’ultima breve repubblica nella storia inglese.
Manifestazioni simili per il giorno dell’incoronazione contro la monarchia sono previste per le capitali della Scozia e del Galles. Graham ha anche assicurato a Reuters che i giovani in Gran Bretagna non sono interessati alla monarchia e, visti gli aumenti del costo della vita, il sostegno della popolazione in genere sta diminuendo.
Si è aperto nel frattempo anche un fronte diplomatico cinese all’incoronazione del Carlo. Il Telegraph ha espresso il disappunto per la decisione del presidente cinese Xi Jinping di inviare come suo rappresentante «l’architetto dell’oppressione di Hong Kong», Han Zheng.
«La Cina è stata accusata di provocazione “oltraggiosa”, poiché Han Zheng, noto per il suo ruolo nella repressione delle proteste di Hong Kong, rappresenterà Pechino alla cerimonia di incoronazione della prossima settimana». Carlo era peraltro presente alla storica cerimonia di passaggio di consegne del 1997 in cui l’Impero britannico restituiva Hong Kong alla Cina. Anche lì, è il caso di ricordare, magari c’è qualche ruggine che perdura dai tempi delle guerre dell’oppio, in cui la Corona inglese bombardava Pechino perché voleva narcotrafficare e drogare liberamente i cinesi.
In passato i tifosi del Celtic avevano fatto negli stadi altri cori e coreografie che attestavano la loro stima nei confronti di Buckungham Palace, per esempio «if you hate the Royal Family clap your hands», cioè «se odi la famiglia reale batti le mani». Clap Clap.
Il canto originale da cui i tifosi del Celtic hanno tratto l’ultimo messaggio per la Corona sembra tuttavia provenire da un coro udito negli scorsi mesi, «You can Stick your Royal Family Up Your Arse», «puoi ficcarti la famiglia reale su per il…».
Gli stessi fecero anche capire che non avevano intenzione di inginocchiarsi dinanzi alla morte della sovrana Elisabetta, mostrando invece, come ai tempi di Guglielmo Wallace, le terga.
La storia di Carlo, lo sappiamo, non è stata limpidissima, dalla morte Diana ai milioni presi dalla famiglia Bin Laden in buste di plastica.
Tuttavia non sono i dettagli di cronaca, pur speciosi, ad essere rilevanti: a preoccupare è l’appartenenza della stirpe alla Cultura della Morte, quella che sostiene – passandosi il compito geneticamente, da Filippo a Carlo a Guglielmo ed Enrico – la riduzione della popolazione e quindi l’astio verso l’essere umano.
Dietro alla facciata ecologista, senza neanche tanto grattare, gli Windsor (che in realtà non sono britannici e non si chiamano Coburgo Gotha: Windsor è il nome di un paesino inglese che suonava bene per il rebranding del loro casato tedesco) si rivelano arconti della Necrocultura – sono una famiglia della morte. Chiedete ad Alfie Evans, a Charlie Gard, a tantissimi di cui non conosceremo mai il nome.
Questo i cattolici di tutto il mondo, in effetti, dovrebbero cantarlo in coro.
Immagine screenshot da YouTube
Animali
«Pigcasso», il maiale pittore, è morto. L’arte contemporanea può rinascere nei porcili?
Lutto nel mondo dell’arte contemporanea per la perdita di uno dei suoi migliori, ed autentici, artisti.
Pigcasso – un maiale di 500 chili noto per la sua capacità di «dipingere» con il naso e un pennello – è morto in Sud Africa all’età di otto anni, dopo aver sofferto di artrite reumatoide cronica. Lo ha comunicato lo scorso mercoledì la sua proprietaria.
In una dichiarazione a Caters News, Joanne Lefson – artista 52enne e attivista per i diritti degli animali – ha annunciato che l’inarrivabile suino pingitore era deceduto dopo che i suoi sintomi erano rapidamente peggiorati nel settembre 2023. All’inizio di ottobre, il Pigcasso aveva perso l’uso delle sue zampe posteriori a causa della calcificazione della parte inferiore della colonna vertebrale.
«C’è molta tristezza per il fatto che una figura così ispiratrice per il benessere degli animali sia scomparsa, ma celebriamo anche una vita ben vissuta e la profonda differenza che ha fatto», ha detto Lefson.
In loving memory of Pigcasso who has sadly passed away.
Rescued from a factory farm in South Africa, Pigcasso changed the hearts and minds of so many, encouraging them to reconsider how they saw farmed animals. She will leave a lasting legacy.
Video: Farm Sanctuary SA pic.twitter.com/DYL1U8HVVx
— Compassion in World Farming (@ciwf) March 7, 2024
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Nel 2016, la Lefson aveva salvato Pigcasso, che allora aveva quattro settimane, da un allevamento intensivo poco prima di essere mandato al macello. Da lì, il porco è stato trasferito a Franschhoek, in Sud Africa, in un rifugio per animali da fattoria «salvati».
Ad un certo punto, la Lefson aveva notato che il porcello avrebbe mangiato o distrutto tutto ciò che era rimasto nella sua stalla, tranne un pennello. La donna animalista ebbe quindi l’idea di insegnare ai maiali a usare la spazzola coltivando l’interesse della bestia per l’arte.
«Questo non è solo un maiale pittore, tutt’altro. Si tratta di una collaborazione seria e altamente creativa in cui lavoro e mi impegno attraverso un “pennello in movimento” per sviluppare opere d’arte dinamiche che ispirano e sfidano lo status quo», scrive orgogliosamente l’attivista sul suo sito web.
Il progetto zoologico-artistico è stato soprannominato «LEFSON + SWINE» e il suo scopo era sottolineare la «disconnessione e la discordia dell’umanità con il nostro pianeta» e concentrarsi sul «cibo» che scegliamo di mangiare e sugli effetti dannosi che l’agricoltura animale ha sull’ambiente e sul benessere degli animali.
Nel corso della sua carriera artistica, il geniale suino ha venduto le sue opere per un valore di oltre 1 milione di dollari, cosa che gli ha garantito dei record mondiali e il titolo di primo artista-animale a cui è dedicata una mostra d’arte personale, nonché il primato dell’opera d’arte più costosa dipinta da una bestia.
Il Pigcasso è stato descritto come «l’artista non umano di maggior successo nella storia del mondo». Ora, la sua eredità «continua attraverso il santuario e la nostra missione di ispirare un mondo più gentile e sostenibile per tutti», ha affermato la Lefsona.
Il porco-pittore non è il primo quadrupede che si cimenta con tela e pennello. In passato la società ha dovuto subire anche le immagini di scimpanzè ed elefanti addestrati a scarabocchiare col colore. Tali immagini vengono spesse propalate dagli animalisti per sottolineare la bontà della loro filosofia fondamentale, l’antispecismo, ossia la negazione di qualsiasi differenza tra l’uomo e le bestie.
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Di certo, possiamo dire che nella porcheria assoluta che è divenuta l’arte contemporanea, l’esistenza di un artista che è porco materialmente (e non solo esteticamente, filosoficamente, umanamente) è un atto di sincerità rivoluzionaria.
A questo punto, si dovrebbe attendere la proposta di qualche testa calda: chiudiamo la Biennale, e al posto dei suoi antichi padiglioni internazionali piazziamo dei porcili che sfornino orde di Pigcassi, di Maialengeli, Porcavaggi, etc..
L’idea, tuttavia, ora potrebbe cadere nel vuoto: l’attuale presidente della Fondazione Biennale di Venezia, lì piazzato in quest’era meloniana, è il giornalista Pietrangelo Buttafuoco, che circa una diecina di anni fa si è convertito all’islam prendendo, in onore dell’emiro della Sicilia, il nome di Giafar al-Siqili.
Il maiale, vogliam qui ricordare, è considerato un animale impuro anche secondo certa tradizione ebraica che risale ai libri del Levitico e Deuteromonio, al Talmud e soprattutto alla letteratura halakica della Torah, che considera fuori dal kasherut («adeguatezza») il suino, qui in compagnia di molluschi e crostacei. Considerando l’importanza che hanno avuto artisti, collezionisti e mecenati (come la famiglia i Guggenheim, o i Sackler) ebrei per musei e gallerie, in ispecie in America, non ci è chiaro come certo rabbinato ortodosso, che arbitra il concetto di kasher, potrebbe reagire verso i propri correligionari impegnati nel mondo dell’arte.
Il sogno della rinascita mondiale dell’arte per via porcina è forse quindi, almeno al momento, da rimandarsi.
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Satira
Avviso ai lettori: padre Pizzarro non esiste. Ma potrebbero farlo papa
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Arte
Comico americano va avanti con le battute contro la follia transgender
Il nuovo spettacolo del comico americano Dave Chappelle The Dreamer mette alla berlina il transgenderismo raccontando un aneddoto della vita dello stand-up comedian.
Chappelle, comico nero di fede musulmana definito da molti il miglior comico vivente, negli scorsi anni ha avuto tremendi problemi a causa di sue battute sui transessuali. The Closer il suo speciale su Netflix del 2021 ha attirato critiche al vetriolo e richieste da parte di cancellazione da parte dei goscisti, con proteste organizzate perfino da parte degli stessi lavoratori di Netflix. In seguito, ad un evento pubblico a Los Angeles, Chappelle era stato addirittura attaccato fisicamente sul palco.
Nel nuovo spettacolo il comico torna brevemente sull’argomento con leggiadra, mirabile maestria.
In una clip diventata virale sui social media, lo Chappelle racconta di quando il compianto collega Norm McDonald (e tutto il segmento pare come un omaggio al suo stile) lo ha portato a conoscere Jim Carrey, un comico il cui talento, dice Chappelle, non è replicabile: «Norm sapeva che io ero il più grande fan di Jim Carrey al mondo… Jim Carrey è dotato di un talento che non puoi praticare, non puoi esercitartici… che talento donato da Dio, ero affascinato da lui, e Norm lo sapeva».
Dave Chappelle racconta un aneddoto su Jim Carrey per parlare del suo rapporto con i trans. pic.twitter.com/apd3yMvPpG
— Renovatio 21 (@21_renovatio) January 6, 2024
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McDonald, che stava lavorando ad una pellicola con Carrey, organizzò quindi l’incontro. Al momento dell’incontro Carrey era sul set del film Man on the Moon (1999), un film biografico sul comedian Andy Kaufman.
Carrey aveva approcciato la produzione praticando quello che si chiama method acting, una tecnica attoriale che prevede l’immedesimazione totale nel personaggio recitato, al punto che, anche fuori scena, si deve parlare, pensare, agire sempre immedesimati nella storia. In quell’occasione, ricorda lo Chappelle, il Carrey voleva che tutti lo chiamassero «Andy».
«Jim Carrey era così immerso in quel ruolo che dal momento in cui si svegliava al momento in cui andava a letto lui viveva la sua vita come Andy Kaufman… quando dicevano “cut” [cioè in italiano “stop”, il comando del regista o del suo aiuto per far fermare le cineprese alla fine di un’inquadratura, ndr] quel nigga era ancora Andy Kaufman».
«Nigga» è un termine che significa letteralmente «negro», una parola che parrebbe proibito usare (è un tabù, la chiamano «N word», «parola con la N»), ma a Chappelle, come a molti altri afroamericani, pare invece sia consentito usare. Il vocabolo sembra poter essere utilizzata dal gergo dei neri americani come sinonimo di «persona»; il fenomeno non lo rende dissimile dal termine delle lingue Bantu muntu, che parimenti può significare persona (se nera: se bianca invece si tratta di muzungu) e parimenti viene considerato estremamente offensivo e razzista se pronunciata da un bianco. Ma stiamo divagando.
Chappelle, riferendosi a Carrey, racconta che «tutti nella troupe lo chiamavano Andy». «Quando sono entrato nella stanza dove dovevo incontrarlo ho urlato “Jim Carrey!” e tutti hanno detto “Noooo!”, chiamalo Andy».
«Quando è arrivato ha cominciato a comportarsi in modo strano… e io… pronto? Andy?» racconta ancora stranito il comico nero.
«Ora, con il senno di poi, quanto fottutamente fortunato sono stato a vedere uno dei più grandi artisti del mio tempo immerso in uno dei processi più sfidanti di tutta la sua carriera? Sono davvero fortunato ad aver visto questa cosa».
«Tuttavia mentre ciò stava succedendo… io sono rimasto molto deluso. Perché volevo incontrare Jim Carrey e ho dovuto fingere che questo nigga fosse Andy Kaufman per tutto il pomeriggio. Era chiaramente Jim Carrey. Potevo guardarlo e vedere chiaramente che era Jim Carrey», dice Chappelle.
Quindi, la battuta finale, «dico tutto questo per dire… è così che mi fanno sentire le persone trans».
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«Se voi ragazzi siete venuti qui stasera allo spettacolo pensando che avrei preso di nuovo in giro quelle persone, siete venuti allo spettacolo sbagliato» dice il comico riferendosi ai transgender. «Non sto più scherzando con quelle persone. Non ne valeva la pena. Non dico un cazzo su di loro. Forse tre o quattro volte stasera, ma questo è tutto. Sono stanco di parlare di loro. E vuoi sapere perché sono stanco di parlarne? Perché queste persone si comportavano come se avessi bisogno che fossero divertenti. Beh, è ridicolo. Non ho bisogno di voi. Ho una prospettiva completamente nuova in arrivo. Ragazzi, non ve lo aspettate. Non farò più battute sui trans».
«Ad essere onesto con voi, ho cercato di riparare il mio rapporto con la comunità transgender perché non voglio che pensino che non mi piacciono. Sai come l’ho riparato? Ho scritto un’opera teatrale. L’ho fatto. Perché so che i gay adorano le commedie. È un’opera molto triste, ma è commovente. Parla di una donna transgender nera il cui pronome è, purtroppo, “negro”. È strappalacrime. Alla fine dello spettacolo muore di solitudine perché i progressisti bianchi non sanno come parlarle. È triste».
Annunciando di averne avuto abbastanza dei problemi con i trans («non ne vale la pena»), lo Chappelle dichiara di voler prendersela da ora con i portatori di handicap.
«Sapete cosa farò stasera? Stasera farò tutte le battute sugli handicap. Beh, non sono organizzati come i gay, e adoro colpire in basso».
Il particolare, il comico ha fatto battute su un ex deputato americano in sedia a rotelle, Madison Cawthorn, scherzando sul fatto che, non venendo rieletto, «ha perso la sedia». Il giovane Cawthorn ha dichiarato ai media di aver trovato divertenti le battute di Chappelle, che è il suo comico preferito.
Come riportato da Renovatio 21, l’esclusione di Cawthorn dalla politica è arrivata dopo che questi aveva iniziato a parlare di festini orgiastici a base di droga e sesso a cui partecipano i politici di Washington. Cawthorn aveva inoltre definito il presidente ucraino Zelens’kyj come un gangster.
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