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Geopolitica

La Francia nemica nostra?

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La realtà è che gli immigrati c’entrano poco. O pochino.

 

La realtà è che il dramma diplomatico che si sta consumando tra Parigi e Roma – che il neopremier italiano definisce «reazione aggressiva ed ingiustificata» – è solo un episodio isterico di un conflitto che va avanti da tempo.

 

Qualcuno dirà che questa relazione già aveva i suoi lineamenti due secoli e passa fa. Noi ci accontentiamo di annotare ciò che è accaduto negli ultimi anni, e non è poca roba: ci sono cose da far accapponare la pelle, ci sono cose che fanno vomitare. Prepotenza, calcolo, scherno, forse perfino violenza: con i cugini di Oltralpe non ci hanno fatto mancare niente. Del resto, vale la pena di ricordarlo, solo una potenza atomica, al punto che ci vendono pure il 6% del nostro fabbisogno energetico, genialmente denuclearizzato per via referendaria tra lo champagne di svizzeri e francesi – e poi, lo abbiamo visto, la corrente ce la vendono finché vogliono, ad una certa possono staccarcela, così da mandare lo Stivale un po’ in blackout.

 

Il lettore deve capire che la questione è davvero profonda, e di mezzo c’è davvero tutto, dai miliardi della finanza a presunte bombe come ritorsione per le nostre operazioni in Africa.

 

Ora, tutti ricorderanno la famosa conferenza stampa congiunta Sarkozy-Merkel, quella con i sorrisetti per Berlusconi, dopo la quale si capì che il premier eletto dal popolo doveva sloggiare e far posto all’eurotecnocrate Goldman Sachs di allora, Mario Monti.

 

 

Era il 2011, e non si trattava dell’unico cambiamento rilevante di quei mesi.

 

Ricordate? La «Primavera Araba» era scoppiata anche in Libia, nel modo più violento visto (forse fa eccezione la Siria, ma per ragioni simili), e in breve tempo venne ucciso il vertice supremo del Paese, il colonnello Muhammar Gheddafi, trucidato selvaggiamente a favor di telefonino. Sulla presenza di personale francese nel commando libico che a Sirte massacrò il ras di Tripoli, vi sono delle voci. Seguì la disintegrazione dello Stato libico, con la vasta guerra civile che durra fino ai giorni nostri, e che nel caos potrebbe prevedere, alla fine, pure il ritorno di un Gheddafi sul trono del Paese.

 

L’assassinio di Gheddafi non ha solo un ruolo diretto nella crisi migratoria riversatasi subito dopo sull’Europa tutta e non ancora finita. La fine del dittatore tripolitano aveva risvolti euro-americani notevoli. Perché l’Italia, come l’Europa che lo aveva contrattualizzato per fermare i migranti, aveva trovato la quadra con la Libia: riappacificazioni, richieste di scuse storiche, appalti per le nostre ditte, concessioni per gli idrocarburi, le immagini di Berlusconi che stringe la mano a Gheddafi stampata come grafica su tutti i passaporti libici.

 

Londra e Parigi, no. In un momento di debolezza del governo italiano – rammentate, i risolini, poi il temibile spread usato come arma di distrazione di massa – ne approfittarono, e cominciarono le operazioni di sottrazione: la Libia doveva essere de-italianizzata. E i Gheddafi sterminati – anche perché si cominciava a vociferare di 50 milioni libici finiti nella campagna presidenziale 2007 di Sarkozy… Certo, vi era a Roma una quinta colonna, dentro un partito e alle sfere altissimi del potere politico. Albione appoggiò il deep state francese. L’America pure. Hillary Clinton, allora segretario di Stato di Obama, si lasciò scappare davanti alle telecamere una gioia demoniaca per l’assassinio di Gheddafi: «we came, we saw, he died» disse distorcendo in modo sadico le parole di Giulio Cesare. Poi giù risate inquietanti.

 

 

Non è l’unica cosa poco edificante che sull’argomento esce dal mondo di Hillary. C’è una strana mail inviata al Segretario Di Stato Hillary Clinton (2 aprile 2011) dal funzionario Sidney Blumenthal in cui si dice che Gheddafi voleva sostituire il Franco CFA con un’altra moneta panafricana per liberare dalla Francia l’Africa francofona.

 

Il «nostro» Gheddafi e la Francia

Siamo sempre un po’ scioccati dal constatare come pochi unirono i puntini per vedere che si trattava, con evidenza, di una vera vendetta francese contro l’Italia. Non è solo il fatto che la Total, colosso petrolifero enorme, vuole farsi i pozzi libici scacciando l’ENI. No, c’è qualcosa di personale.

 

Nel 1984 Craxi atterra a Roma dopo un viaggio in Algeria e chiede di vedere subito l’ammiraglio del SISMI Fulvio Martini. Chadli Benjedid, il presidente algerino, aveva rivelato a Craxi che per mettere al sicuro il tratto finale del gasdotto che porta il metano in Italia aveva programmato nientemeno che un’invasione della Tunisia. Craxi lo pregò di non far nulla. Martini lo racconta nel libro Nome in codice Ulisse: «Non fu un brutale colpo di stato: fu un’operazione di politica estera, messa in piedi con intelligenza, prudenza ma anche decisione dagli uomini che guidavano l’Italia in quegli anni. Sì, è vero, l’Italia sostituì Bourghiba con Ben Alì».

 

Così Bourghiba, il presidente pazzo di Tunisi nelle mani dei Francesi, fu sostituito dal «nostro» Ben Alì.

Martini, il vertice dei servizi militari italiani, incontra il suo omologo del DGSE francese: «era il generale Réné Imbot, ex capo di stato maggiore dell’ Armée. Andai da lui, gli spiegai la situazione, gli dissi che l’Italia voleva risolvere le cose nella maniera più cauta possibile, ma che comunque non voleva aspettare che la Tunisia saltasse per aria. Lui fece un errore imperdonabile: mi trattò con arroganza, mi disse che noi italiani non dovevamo neppure avvicinarci alla Tunisia, che quello era impero francese. Io ancora oggi penso che per difendere un impero bisognava avere i mezzi, la capacità ma anche la solidarietà di chi non è proprio l’ultimo carrettiere del Mediterraneo… Imbot era stato nella Legione straniera per vent’anni, aveva guidato i paracadutisti che parteciparono alla repressione nella casbah durante la battaglia di Algeri. Era un soldato, non capiva la politica, ebbe qualche problema con il suo primo ministro Jacques Chirac».

 

Ben Alì, come noto, fu scacciato solo decenni dopo, nel 2011, all’insorgere della maledetta «Primavera Araba», che iniziò guarda caso proprio da casa sua, con le proteste tunisine scaturite in seguito al suicidio incendiario di un commerciante.

 

Fatto fuori un pezzo «italiano», ne fecero fuori anche un altro, a pochi chilometri: il colonnello Gheddafi.

 

Bombe di vendetta contro l’Italia?

Torniamo alla Prima Repubblica: nella notte tra il 7 e l’8 novembre del 1987, un attentato terroristico distrusse il radiofaro della Marina militare italiana dell’ isola di San Domino, alle Tremiti. La bomba uccise uno dei due «terroristi», uno svizzero quarantatreenne di nome Jean Louis Nater, mentre quell’altro, Samuel Wampfler, un altro svizzero con tanti passaporti e trascorsi rocamboleschi, fu arrestato. Nel 1990 viene condannato a 10 anni, ma non sconta nulla, e sparisce.

 

Si pensò che il colpevole fosse l’allora babau globale Gheddafi, che non aveva lesinato aiuti al terrorismo su ogni latitudine. Qualche giorno prima, il colonnello aveva rivendicato il possesso delle Tremiti, asserendo che lì vi erano i discendenti dei libici deportati dal governo Giolitti (1911) (la cosa risultò totalmente priva di fondamento quando tutta la popolazione si sottopose ad un test del DNA nel 2008).

 

 Nel 1996 sarà il Corriere della Sera a scrivere che non si trattava di Gheddafi, ma di una sorta di vendetta, di Parigi. Un avvertimento – diretto contro le nostre forze armate.

 

Ma come: il Paese nostro confinante, al quale ci uniscono mille legami profondi (la storia, la lingua neolatina, la religione, anche se solo in teoria), avrebbe messo una bomba, pur simbolica, nel nostro territorio?

 

 

La campagna napoleonica del XXI secolo

Bisogna capire che in questi ultimi decenni più che mai l’Italia è stata per Parigi terra di conquista. E non ci riferiamo alle sparate napoleoniche del candidato presidente Zemmour, che arrivò a dipingere in TV una possibile (nuova) invasione francese del Nord Italia.

 

Parliamo dell’economia. Parliamo delle nostre aziende.

 

Secondo un’indagine realizzata qualche anno fa dal gruppo KPMG Corporate Finance per il Corriere della Sera, tra il 2008 e il 2018 le acquisizioni francesi di realtà italiane sono state ben 214, una ventina ogni 12 mesi, con un esborso di 32 miliardi di euro. Davvero una napoleonica campagna d’Italia.

 

Nel 2008, la Banca Nazionale del Lavoro (BNL), un tempo braccio bancario del Ministero del Tesoro, diveniva proprietà di BNP-Paribas.

 

Crédit Agricole, dopo essere andato in soccorso di Banca Intesa mette le mani su Cariparma, Friuladria e 202 sportelli bancari ex Intesa Sanpaolo. Seguono Cassa di Risparmio di La Spezia, una quota consistente del prestatore Agos (credito al consumo), Cassa di Risparmio di Cesena, Cassa di Risparmio di Rimini e Cassa di Risparmio di San Miniato

 

Il latticino italiano è stato sbancato. Parmalat, Galvani, Invernizzi, Locatelli sono stati comprati nel 2011, 2006, 2003 dal gruppo Lactalis, che ha sede a Laval ed è famoso per il Camembert.

 

Lo zucchero Eridania è stato ceduto al gruppo francese Cristal Union, i vini della Tenuta Greppo, che fa il Brunello di Montalcino, sono passati dalla famiglia Biondi Santi alla finanziaria Epi controllata dalla famiglia Descours.

 

Assicurazioni: quattro quinti di Bipiemme Vita dalla Popolare di Milano è andata ai francesi Covéa; la francese Cardif (sempre BNP-Paribas) si è fatta il 51% di BNL Vita. Nel 2016 Unicredit ha ceduto ad Amundi, il suo polo del risparmio gestito, Pioneer.

 

Il lusso italiano è da anni infiltrato o espugnato dai transalpini. LVMH (la sigla che sta per Lous Vuitton Moet-Hennesy), ha acquisito Loro Piana e Bulgari; Arnault, il patron, ha pochi mesi fa ultimato l’acquisto anche di un simbolo di Venezia, l’Hotel Cipriani. Del resto la laguna l’aveva già invasa con la Punta della Dogana, trasformata in un museo personale dove ospitare vomitevoli artisti di arte contemporanea e i divi di Hollywood amici della moglie Salma Hayek, che fa film kolossal in cui emerge casualmente quanto poco carina fosse la famiglia Gucci e quanto meglio quindi sia il marchio italiano sotto la proprietà del megafondo.

 

Il gruppo Kering del miliardario François Pinault – concorrente diretto degli Arnault – ha fatto incetta di marchi italiani dell’alta moda: Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Sergio Rossi, Fendi, Pucci, Brioni (quest’ultimo uno dei marchi preferiti di Donald Trump).

 

Edison, vecchia gloria dell’industria italiana, è di EDF, che sta per Électricité de France. Edipower (Udine), Comat e Frendy Energy, hanno avuto la stessa sorte. Sempre nel settore energetico, è interessante vedere come Suez ha alzato la propria presenza in Acea (il fornitore di luce e gas di Roma) dal 12,4 al 23% comprando le quote dai Caltagirone; mentre Direct Energie ha acquisito da Enel per 36,5 milioni Marcinelle Energie.

 

L’industria ferroviaria italiana praticamente non esiste più: a rilevare la FIAT ferroviaria, nella svendita del 2000, fu il gruppo francese Alstom.

 

I francesi comprano aziende italiane, poi ci piazzano i loro super-manager, che da noi imperano beati. Prendete Mustier (Unicredit), Donnet (Generali), Bernier (Parmalat), Benayoun (Edison).

 

Pare impossibile da pensare, tuttavia non sempre era andata così. Italcementi 30 anni fa divenne un gruppo internazionale quando inglobò Ciments Français.

 

Non è facile nemmeno dimenticare, a fine anni Novanta, la sfilata di Armani in Place Vendome a Parigi annullata a pochi minuti dall’inizio; era un segno di sorpasso italiano, sul quale i francesi intervennero mandando i gendarmi a bloccare le modelle – davvero.

 

Il problema poi ce lo ha avuto Fincantieri con il produttore di sommergibili francese STX: gli italiani lo hanno rilevato dai coreani, tuttavia i politici francesi, da Macron alla Le Pen, non credono che pacta sunt servanda. L’affare sfumò. Per i golosi ricordiamo che nella faccenda la consulenza era della società del ramo parigino dei Rothschild, antichi datori di lavoro del presidente Macron.

 

Qualcuno può ricordare come nel 2006 con Tremonti Enel tentò di scalare Suez, il secondo gruppo mondiale nel campo della gestione delle acque e dei rifiuti. La risposta fu immediata: per impedirlo, Suez e il colosso pubblico della distribuzione gasiera Gaz de France (GDF) si fusero (ora il gruppo unito si chiama Engie e opera anche in Italia).

 

Negli anni Ottanta, i nomi italiani più noti in Francia, dopo Marcello Mastroianni e Ornella Muti, erano – scrive un vecchissimo articolo del 1990 – Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi, cioè raider dell’economia transalpina. Il secondo, soprattutto, forte di una solida amicizia su Mitterand probabilmente basata su di uno speciale interesse comune – le donne – nella Francia dello statalismo di granito creò perfino un canale privato, La Cinq.

 

Morto Mitterand e il vecchio socialismo francese (oltre a quello italiano) Berlusconi perderà il canale, e si ritroverà, anni dopo, a doversi difendere in casa dagli assalti francesi. La guerra tra Vivendi e Mediaset infuria sui giornali e in tribunali. Il gruppo TV di Cologno Monzese doveva finire nelle mani del magnate Vincent Bolloré, già socio di Telecom Italia con oltre il 23%.

 

Arrivati a Telecom, i francesi ci piazzano un loro uomo di fiducia, un israeliano di nome Genish. Quando ad opporsi allo strapotere francese arriva un hedge fund americano, Elliot, molti italiani cantano vittoria, magari dimenticandosi chi è il suo capo, Paul Singer: grande finanziatore del Partito Repubblicano e del movimento LGBT, Singer è noto per depredare nazioni intere, come nel caso dell’Argentina (dove, lui privato, fece sequestrare come garanzia una nave scuola della marina argentina ormeggiata in un porto del Ghana) del Perù (dove fece sequestrate il jet del presidente Fujimori). Singer, che poi entrerà nel Milan, è anche quello che, come dimostra una sua lettera ai dipendenti, sapeva dell’effetto della pandemia ben prima della maggior parte della popolazione.

 

Sulle telecomunicazioni vale la pena di scrivere due righe: che i francesi detengano un quarto della rete nazionale tramite Telecom, è già un tema che dovrebbe impensierire chiunque consideri la parola «sovranità», quando tutto il mondo sta respingendo i cinesi di Huawei nella costruzione dell’infrastrutture per il 5G per paura che vi installino backdoor.

I vostri dati potrebbero comunque finire : se passate al nuovo, economico ed efficiente gestore di telefonia mobile Iliad, dovete sapere che altro non è che la continuazione italiana del francese Free, creatura dell’imprenditore flamboyant Xavier Niel, arricchitosi con gli annunci «rosa» sul Minitel, il precursore francese di internet, nonché nel business dei peep-show.

 

La saga di Bolloré e Vivendi in TIM, comunque, continua ad appassionare. Un servizio recente di Report ha cercato di fare il punto sulla situazione. Tra le tante rivelazioni con documenti alla mano e scoop con fonti di alto livello, ci ha colpito tuttavia vedere che uno dei dirigenti francesi piazzati da Vivendi non parlava italiano. Chi conosce la facilità con cui, dopo qualche frequentazione attraverso le Alpi, gli italiani imparano il francese e i francesi l’italiano, non può rimanere scioccato, e farsi tutto un film su cosa stiano davvero facendo questi nelle nostre aziende.

 

 

L’arma migratoria usata dalla Francia

Torniamo in Africa – un tema che, dallo scandalo dei diamanti del dittatore cannibale centrafricano Jean-Bedel Bokassa per Giscard D’Estaing al caso del bodyguard «intimo» dei Macron, il maghrebino Benalla, ha un suo peso specifico nelle sorti dei presidenti francesi.

 

La Francia ha costruito nel 1930 un forte in Niger, non lontano dalla città di Agadez, probabilmente per fermare l’avanzata dell’Impero fascista nel Sahel tramite la Libia e il Fezzan. La base, che esiste ancora e anzi, a fianco i francesi ci hanno costruito una base militare dove avrebbero essere ospitati anche i nostri soldati: è noto che, dai tempi di Gentiloni premier, abbiamo per qualche motivo mandato in Africa i nostri soldati ad affiancare i francesi. Non sembrerebbe che lì, tuttavia, i nostri ragazzi ci siano stati.

 

In un articolo illuminante su La Verità dello scorso sabato, Claudio Antonelli scrive che la base, anche 100 anni dopo, serve a contenere l’Italia – o meglio, serve a indebolirla. La riprova è che il complesso militare è costruito proprio sulle vie carovaniere che spingono verso il mediterraneo le masse di immigrati dell’Africa nera, ma mai ha mosso un dito per interrompere, o anche solo limitare il flusso.

 

L’idea di fermare l’immigrazione intervenendo direttamente in Africa è già in giro da tempo: era la proposta che il fondatore del gruppo mercenario Blackwater, Erik Prince, ha fatto negli anni, con Steve Bannon a fargli da eco, per porre fine al disastro migratorio.

 

Ebbene: i galletti, con i loro militari (e forse, i nostri) sono già lì – ma dal fermare i migranti si guardano bene. «Nel 2016, sotto gli occhi dei francesi sono passati, secondo fonti Iom, qualcosa come 291 mila migranti. Nessuno di loro è mai stato fermato o controllato, nonostante le dotazione della base: dai [caccia] Mirage ai droni» scrive La Verità.

 

Un rapporto CESI dà conto del tremendo groviglio di faide tribali attive nella zona: ci sono i Tebu e i Tuareg, sempre in lotta, i Qadhafa (da cui veniva Gheddafi, a protezione del quale combatterono fino alla fine) e gli Awlad Suleiman, che avevano combattuto il ras e che ora avrebbero l’appoggio del generale Haftar, il militare nemico di Gheddafi che dietro di sé ha Egitto, Russia, ovviamente la Francia, forse l’America (è stato per anni residente a Langley, la località della Virginia nota solo per essere la sede la CIA) e forse financo Israele, ma che – come da immagine di eterno perdente che hanno di lui alcuni libici – non riesce a prendersi tutto il Paese.

 

«In questo complicatissimo scenario vanno inseriti gli accordi targati Marco Minniti, l’abile ministro dell’Interno che ha cercato di inserirsi a metà strada tra la cosa e la presenza militare francese» scrive Antonelli. «Va ricordato che la dottrina di Parigi è sempre basata sulla presenza militare. La nostra purtroppo no».

 

«Così Minniti ha giocato di sponda. L’intento era quello di trovare qualcuno in grado di regolare i flussi. A gennaio 20’17 i primi abboccamenti e poi a marzo la firma tra l’Italia ed una sessantina di capi tribù. Denaro, protezione e sostegno in loco». Risultato: i flussi cominciarono a calare – di contro, gli sbarchi sulle coste spagnuolo videro un incremento del 100%.

 

«Purtroppo non è stato possibile scoprire gli effetti della mediazione dell’ex esponente PD. Perché qualcuno è intervenuto per farli saltare: i francesi, ovviamente. Parigi, all’epoca, tramite alcuni giornali, accusò l’Italia di fare accordi sottobanco. Cioè esattamente quello che i francesi fanno da secoli. Da lì l’idea di scardinare pezzo a pezzo ciascuno dei 60 accordi firmati. Il motivo dell’intervento contro la nostra sicurezza nazionale si spiega per un semplice motivo. L’altro lato della medaglia dell’accordo in Fezzan era un aumento della presa italiana nella regione (…) fondamentale per lo scontro tra Tripoli e Bengasi», cioè tra Haftar e il governo tripolino ancora sostenuto da Roma.

 

Si tratta, insomma, di un’operazione, evidente come poco altro, contro il nostro Paese, i suoi interessi legittimi – mentre inviamo soldati in Africa! – colpiti a morte.

 

Siamo all’idea discussa dal libro del professor Kelly M. Greenhill Weapon of Mass Migration (2016): i flussi migratori come arma geopolitica. Lo aveva capito Gheddafi, che la usò fino ad ottenere la fine dell’embargo che desiderava. La utilizza oggi stesso Erdogan, che pochi anni fa, ai tempi della migrazione dalla Siria insanguinata dall’ISIS, chiese e ottenne dall’Europa 5 miliardi di euro per tentare di bloccare qualche immigrato di passaggio in Turchia.

 

Ora bisogna realizzare che l’arma migratoria la sta usando anche Parigi contro l’Italia.

 

Ha senso, quindi, che lo faccia con getti di bile sui giornali ora: con il cambio di governo, non è chiaro ai francesi quanto possano godere della stessa impunità nello svolgimento delle loro campagne finanziarie e geopolitiche.

 

 

La Legione francese piddina

Difficile, del resto, che persista una continuità come quella degli anni del PD.

 

C’è da ricordare la faccenda, eccezionale, dei piddini insigniti della Légion d’Honneur, solenne onorificenza conferita dallo Stato francese. In una lista dei premiati che circola su internet, tra Ufficiale della Légion d’Honneur, Commendatore della Légion d’Honneur, e Légion d’Honneur tout court, troviamo una massa impressionante di piddini, parapiddini e alleati e alleati. Franco Bassanini (2002), Massimo D’Alema (2001), Piero Fassino (2013), Dario Franceschini (2017), Giovanna Melandri (2003), Roberta Pinotti (2017), Giuliano Pisapia (2015), Romano Prodi (2014), Beppe Sala (2016), Walter Veltroni (2000). Nell’elenco compaiono anche Emma Bonino (poteva mancare), e l’ingegner Carlo De Benedetti, che si dice sia stato la tessera numero 1 del PD, anche se ora negano, e poi non sappiamo se contarlo come italiano visto che ora ha giustamente preso la cittadinanza svizzera.

 

C’è da ricordare il caso di Sandro Gozi, anche lui legionato d’onore nel 2014,che fu  sottosegretario agli Affari Europei nel governo Renzi e Gentiloni, poi consulente agli Affari Europei ma nel governo francese (!), infine eurodeputato eletto in una lista sostenuta da Macron. La Meloni arrivò a parlare di tradimento e di revoca di cittadinanza. Ora che è al potere, vedremo cosa farà.

 

C’è da ricordare il caso «clinico» di Enrico Letta, che fu premier filo-Putin (quasi l’unico ad andare all’apertura dei Giochi Olimpici di Sochi) di un governo che, va detto, non dispiaceva a molti conservatori italiani. Poi, lo vedemmo di colpo un po’ depresso quando, con un colpo di palazzo non ancora spiegato, il Renzi gli soffiò il posto di primo ministro. Ci pensarono i francesi: lo fecero Commendatore della Legion d’Onore (2016), ma soprattutto gli diedero un ruolo prestigioso all’Institut d’Etudes politiques de Paris, lui si riebbe, lo fotografarono che faceva balletti coreografati, è tornato in patria irriconoscibile, magrissimo, seriosissimo, intriso di un estremismo di fantasie gosciste (transessuali, ius soli, etc.) che non gli riconoscevamo.

 

Non che stiamo parlando di puri encomi, festicciole diplomatiche con ricco buffet, e medagliette da mettere nel cassetto dei bei ricordi.

 

Non è che possiamo dimenticare l’accordo di Caen. Un patto, firmato da Paolo Gentiloni nel 2015 quando era ministro degli esteri per Renzi, con il quale l’Italia cedeva porzioni di acque territoriali alla Francia. L’accordo non fu mai ratificato dal Parlamento, tuttavia i francesi lo davano già per scontato, al punto che il Ministero dell’Ecologia pubblicava mappe in cui i mari italiani già eran divenuti francesi. Allora vi fu la condanna via Facebook di Giorgia Meloni, che il 18 marzo 2018 scrisse sulla sua pagina Facebook che «in assenza di un intervento del Governo italiano, il 25 marzo entrerà in vigore il Trattato di Caen con il quale verranno scandalosamente sottratti al Mare di Sardegna e al Mar Ligure alcune zone molto pescose e il diritto di sfruttamento di un importante giacimento di idrocarburi recentemente individuato».

 

Ma mica è finita. Il gran finale, sempre con il PD al governo nonostante le elezioni perse, lo si è avuto con Draghi (e Mattarella) che firmano con Macron il Trattato del Quirinale, secondo il quale un ministro francese può perfino partecipare ad un nostro Consiglio dei Ministri (!?!). Se avete letto anche solo il 10% di quanto abbiamo scritto sopra, capite bene che siamo alle barzellette.

 

 

La Francia all’angolo. La nostra sovranità pure

Ora, ci sembra chiaro che la polemica di questi giorni è una manovra di aggiustamento. I francesi devono prendere le misure del nuovo governo, perché, almeno al momento, la flotta di suoi legionari nella politica italiana sono lontani dalle stanze dei bottoni.

 

La realtà è che la Francia è alle corde. In Africa, soprattutto, la sua presenza in Mali e in Niger, Paesi francofoni che rivestono una loro importanza per gli affari postcoloniali di Parigi, è ridotto o è stata annullata, complice l’irresistibile ascesa nell’area della sfera di influenza russa, ottenuta grazie al lavoro dei contractor della Wagner.

 

Si tratta di una vera catastrofe: non solo i francesi vengono mandati via, ma pure accusati di essere in realtà pure sostenitori del terrorismo islamista. Non si tratta solo di sparate di politici locali: mi è capitato di sentire questa ricostruzione da un uomo di affari che lavoro con quegli Stati, che mi ha assicurato che la cosa è argomento comune nelle conversazioni della popolazione, che non ritiene quest’idea una teoria del complotto.

 

Abbiamo cercato di segnalare su Renovatio 21 le tappe della disfatta francese in Africa. È stato inevitabile che anche le diplomazie di Mosca e Parigi arrivassero a scontrarsi, anche se sempre nel caso circoscritto degli affari africani.

 

Tuttavia è chiaro che anche in Europa la Francia è in enorme difficoltà. Non c’è feeling con Berlino, e Londra sta fuori. La Spagna non ha potere, la Polonia e i Visegrad sono invece tradizionalisti e financo cattolici, quindi incompatibili con i valori massonici che animano la storia della Repubblica di Francia. L’Italia del Trattato del Quirinale non si sa se sia ancora affidabile, quanto si faccia mettere comodamente i piedi in testa dai messieurs d’Oltralpe.

 

Più tremendo ancora, l’autarchia energetica francese ottenuta dall’ampio uso dell’atomo, si è scoperto, non basta: né per esportare, né per i consumi interni, visto che Macron parla di «fine dell’abbondanza» e spegne i lampioni, scelta pure dolorosa per la ville lumière ed il Paese dei lumi, dove i lampioni, appunto, potevano divenire chiaro simbolo illuministico, cioè massonico (cosa per cui si dice che in quegli anni lo Stato Pontificio li togliesse dalle strade…)

 

La Francia nucleare scopre che dozzine di sue centrali nucleari hanno problemi inaspettati. No, siamo distanti dall’orgoglio della «Francia eterna» di cui parlava il generale De Gaulle. La Francia oggi non ha niente da dire, e non è in grado di guidare nulla. Comprendete il nervosismo: del resto, come usano dire certi anglosassoni, un francese è un italiano di cattivo umore.

 

Dimenticate, per favore, le ricostruzioni secondo cui gli attacchi alla Meloni sarebbero messaggi di Macron nella sfida interna con gli anti-immigrazionisti Le Pen e Zemmour. Ridicolo. Sappiamo come la Francia, anche quella del presidente ragazzino beniamino degli europeisti, con gli immigrati fa quel che vuole – compreso riportarceli con poliziotti francesi che oltrepassano le nostre frontiere, un atto di gravità indicibile, a cui si aggiunge la strana storia, riferita ai carabinieri, degli «anomali controlli» subiti da due cittadini italiani che hanno testimoniato di «quattro uomini, verosimilmente francesi, usciti dalla zona boscosa di località Gimont di Cesana Torinese dove erano nascosti, in tuta mimetica militare con giubbotto antiproiettile ed armati che chiedevano loro in lingua straniera i documenti in lingua straniera intimando loro di non riferire ad alcuno di aver visto uomini armati».

 

È importante realizzare che non abbiamo a che fare con la politica in senso stretto. Abbiamo a che fare con lo stato profondo francese, che ha radici vecchie di secoli, e che di fatto ritiene di aver partorito, con Napoleone, parte dell’Italia moderna, cioè «unificata» e de-cattolicizzata – cioè in una parola massonica.

 

Del resto, sei i tricolori tanto si assomigliano, un motivo c’è.  Il primo tricolore fu issato dalla Repubblica Cispadana, uno Stato fantoccio creato da Napoleone dopo le sue lampanti vittorie nell’avanzata verso l’odiata Venezia. Qualcuno può ricordare di averlo visto sventolare, per ragioni non conosciute, tra i nostri nuotatori medagliati alle Olimpiadi di Sydney 2000, che probabilmente ignoravano che si trattava di un simbolo di sottomissione alla Francia.

 

Che poi, la nuova sottomissione italiana a Parigi passi anche attraverso l’uso indiscriminato dell’arma migratoria, ci sta pure: anche solo per una questione di equilibrio, loro hanno tutte le città devastate dalle banlieue degli immigrati di prima, seconda, terza generazione. Noi no, ma ci stiamo avviando: qualcuno in Francia può aver provato della schadenfreude, la gioia per il dolore altrui, vedendo le immagini dei giovani immigrati che invadono e conquistano Peschiera del Garda. Qualcuno in Francia magari a questo scenario ci ha pure lavorato da anni. Sono ipotesi.

 

È importante capire, tuttavia, che quello che accade tra Italia e Francia non riguarda l’immigrazione, almeno, non riguarda principalmente quello.

 

È un affare molto più abissale, dove è leggibile una lotta che dura da secoli: da una parte, l’Italia ingenua e solare, mansueta e religiosa (a suo modo, anche oggi). Dall’altra le creature dell’abisso massonico che hanno fatto la Rivoluzione infame e l’hanno esportata e inflitta nel resto d’Europa. Da una parte l’Italia e le sue ricchezze, dall’altra la Francia dei predatori, che si caricano le nostre opere d’arte e se le portano al Louvre.

 

No, i problemi di sovranità dell’Italia non sono iniziati con il 1945, e non riguardano solo gli USA.

 

È il caso che gli italiani si diano una svegliata, quindi.

 

La Francia non è nostra amica. Non lo è mai stata, non lo è soprattutto ora.

 

Se abbiamo un governo in grado di capire almeno questo, lo vedremo nei prossimi mesi.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

Geopolitica

463° giorno di guerra

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– Il capo dell’ufficio di Zelens’kyj, Mikhail Podolyak, ha dichiarato che in Ucraina «guardano con piacere» a ciò che sta accadendo a Mosca e nella regione di Mosca e prevedono un aumento del numero di attacchi, anche se Kiev «ovviamente non ha nulla a che fare con loro».

 

– Il quotidiano turco Hurriet dice che sono previste a breve termine in Turchia visite (separate) di Putin e Zelens’kyj.

 

– Immagine degli attacchi dei droni su Mosca.

 

 

 

– «Nella guerra con l’Ucraina, non siamo alleati della Russia. Questa guerra ci preoccupa e influisce direttamente sulle nostre relazioni», ha affermato il primo ministro armeno Nikol Pashinyan in un’intervista alla CNN.

 

– Shoigu:L’esercito russo ha colpito un sistema di difesa aerea Patriot a Kiev nei giorni scorsi. Sono stati distrutti anche grandi depositi di armi a Khmelnitsky, Ternopol e Nikolaev. Le perdite di truppe ucraine questo mese ammontano a oltre 16.000 militari, 16 aerei, 5 elicotteri, 466 UAV, più di 400 carri armati e altri veicoli corazzati

 

– La Germania considera gli attacchi dell’Ucraina sul territorio russo legittimi dal punto di vista del diritto internazionale, ha affermato il portavoce del governo tedesco. Inoltre si è venuto a sapere che la Germania chiude quattro dei cinque consolati russi presenti sul suo territorio.

 

– Secondo le previsioni dell’FMI, il divario del PIL totale dei BRICS e del G7 sarà il 6% entro il 2028.

 

– Macron: se fra qualche mese si aprirà una finestra di trattativa per la pace in Ucraina, credo che il dialogo con le autorità russe al potere debba avere la precedenza sul procedimento penale a carico di Putin.

 

– Gli stoccaggi di gas sono ad un livello record per la stagione nei depositi europei occidentali e i paesi stanno rallentando gli acquisti confidando in un ulteriore calo dei prezzi.

 

– I ministri degli Esteri dei BRICS si sono incontrati in Sudafrica.

 

– Dichiarazioni incendiarie di Kadyrov: «è necessario dichiarare la legge marziale in Russia, utilizzare tutte le risorse di combattimento per spazzare via tutta questa cellula terroristica senza ricorrere alle definizioni “militari ucraini”. Non ci sono militari e politici in Ucraina, solo terroristi. I Paesi europei dovrebbero anche pensare a chi sponsorizzano e a quali condizioni gli forniscono armi. Si ritorcerà contro di loro quando la Russia busserà alla porta, ad esempio, della Germania o della Polonia. E non ci sarà nulla con cui rispondere: tutte le armi sono state impiegate in Ucraina. Infine, anticipo un po’, ma non rivelerò i dettagli. Presto mostreremo nella zona dell’operazione speciale cos’è la vendetta nel pieno senso della parola».

 

– La differenza tra droni russi Geran e quelli iraniani Shahed. I Geran lanciati dal territorio russo potrebbero ipoteticamente colpire qualsiasi città europea.

 

 

– Secondo alcune fonti ci sarebbero di nuovo combattimenti a Shebekino, la località russa della regione di Belgorod al confine con l’Ucraina già interessata da scontri nel recente passato. Contraerea attiva a Belgorod La situazione è ancora molto incerta.

 

– S è verificato un guasto su larga scala nel sistema energetico dell’Ucraina a causa di un’interruzione del funzionamento di una serie di reattori nucleari alle centrali di Yuzhnoukrainskaja e di Khmelnytsky, ha riferito la testata ucraina Strana, citando fonti vicine al ministero dell’energia dell’Ucraina.

 

– Il Parlamento svizzero non autorizza la riesportazione di armi svizzere all’Ucraina da parte di paesi terzi.

 

– Sette società russe sanzionate, tra cui un produttore di elicotteri militari, stanno visitando l’Arabia Saudita questa settimana come parte di una missione commerciale, scrive il Guardian. La delegazione comprende produttori di armi con legami diretti con l’esercito russo, aziende statali e Rosatom. La volontà dell’Arabia Saudita di sviluppare legami commerciali con società russe sotto sanzioni occidentali rischia di causare ulteriori tensioni nelle sue già tese relazioni con Washington.

 

– Antiaerea russa in azione nell’area di Kursk

 

 

– L’OPEC ha vietato ai giornalisti di Wall Street Journal, Bloomberg, Reuters di partecipare alla riunione dell’organizzazione a Vienna il 4 giugno.

 

– Secondo un comunicato dell’amministrazione di Kiev un attacco missilistico russo nella notte sarebbe stato respinto dalla contraerea. La caduta dei rottami avrebbe comunque provocato tre vittime, fra cui due bambini.

 

– Zelens’kyj ha rinnovato la disponibilità tcraina a «risolvere» il problema della Transnistria «se il governo moldavo lo chiederà».

 

– Drone ucraino precipita ed esplode in zona Kaluga, non lontanissimo da Mosca

 

 

 

– Zelens’kyj ha ammesso che la Cambogia sta addestrando i genieri ucraini e la cooperazione continuerà.

 

– L’opposizione bielorussa all’estero ha chiesto all’Occidente il finanziamento di 230-250 milioni di dollari per attività sovversive contro la repubblica, ha dichiarato il capo del KGB bielorusso.

 

– È vero che il Sudafrica ha fornito armi alla Russia? Lavrov: il Sudafrica è un paese sovrano, la Russia pure. Quel che decidono nelle loro relazioni non riguarda gli altri.

 

– Il presidente israeliano Yitzhak Herzog è andato a Baku in visita di Stato.

 

New York Times: la flotta del Nord della marina militare russa è una vera minaccia nell’Artico, dove il cambiamento climatico sta aprendo nuove rotte marittime. Le navi potranno navigare verso le coste orientali degli Stati Uniti attraverso gli stretti tra Groenlandia, Islanda e Gran Bretagna. La Russia rimane un’enorme potenza artica con armi moderne e basi navali nella regione.

 

– RC-135 americano intercettato da un caccia cinese J-16 sopra il Mar Cinese meridionale.

 

 

– Zelens’kyj in Moldavia al vertice dei leader europei ha incontrato Maia Sandu.

 

– L’accordo bipartisan per evitare un default non limiterà gli aiuti all’Ucraina, ha detto un funzionario della Casa Bianca, mentre gli Stati Uniti cercano di rassicurare Kiev che le armi continueranno a fluire. Qualsiasi ulteriore assistenza militare passerebbe attraverso il Congresso in una misura supplementare che non sarebbe soggetta ai limiti dell’accordo sulla spesa federale.

 

Limes fa il punto sul sostegno occidentale all’Ucraina. L’Italia è undicesima, con 660 milioni di euro. Sul piano militare l’esercito italiano addestra gli Ucraini all’uso del sistema SAMP/T.

 

– Kadyrov: Ora mi rivolgo a chi sta dall’altra parte. A differenza dei media europei e ucraini, che da diversi mesi cercano di spaventarci con un’offensiva fantastica e terrificante, non annunceremo nulla. Invece, vi informo: senza aspettare l’offensiva NATO-ucraina, le unità Akhmat hanno iniziato la loro offensiva. Siamo stanchi di aspettare. I satanisti subiranno la loro meritata punizione.

 

– L’Ucraina ha rifiutato tre volte di accettare dichiarazioni sulla centrale nucleare di Zaporozhye: sia nel formato Mosca-IAEA-Kiev, sia nei formati Mosca-IAEA, Kiev-IAEA. Anche quando Grossi si è offerto di farla per proprio conto, le autorità di Kiev hanno rifiutato. Quindi, il capo dell’AIEA ha deciso di annunciare al Consiglio di sicurezza dell’ONU i prossimi passi per la sicurezza della centrale nucleare. L’Ucraina ne ha preso atto, ma questo non basta, ha affermato Mikhail Ulyanov, rappresentante permanente della Russia presso le organizzazioni internazionali a Vienna. Ha osservato che è troppo presto per valutare la fattibilità dei principi di sicurezza dell’AIEA, i presupposti sono buoni ma solo a condizione che l’Ucraina li osservi.

 

– Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è rifiutato di partecipare al vertice della Comunità politica europea, che si terrà in Moldavia il primo giugno, perché è stato concepito come una «manifestazione di solidarietà contro la Russia».

 

Bloomberg: il Dipartimento della Difesa Usa ha concordato con la società SpaceX di Elon Musk l’acquisto dei terminali del sistema di comunicazione satellitare Starlink per l’Ucraina e la garanzia del loro funzionamento.

 

– Shalva Papuashvili, presidente del parlamento georgiano ha risposto alla domanda sul perché Tbilisi non si unirà alle sanzioni anti-russe: «se scoppia la guerra, saremo soli. Guardiamo l’Ucraina e vediamo che nessuno combatte accanto o al posto del popolo ucraino. Il massimo che l’Occidente può fare è inviare armi. Forniscono armi, ma sul suolo ucraino scorre il sangue di soli ucraini».

 

– Zelens’kyj parla con il premier serbo Vucic nel Summit di Chisinau.

 

 

 

– L’Ucraina non intende rinnovare l’accordo di transito del gas con la Russia, che scade nel 2024, ha affermato Gerhard Reuss, ex capo della compagnia petrolifera e del gas austriaca OMV, citando il viceministro dell’Energia ucraino.

 

– La Polonia chiude, dal 1 giugno, il confine ai camion immatricolati in Russia e Bielorussia. Una misura uguale e opposta è contenuta in un progetto di legge presentato alla Duma.

 

– Il presidente dell’IAEA Grossi nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha esortato a non colpire reattori, combustibile esaurito, infrastrutture critiche e personale della centrale nucleare di Zaporiggia. Ha proposto diversi modi per garantire la sicurezza della centrale, compreso il divieto di sparare nella sua direzione. Grossi ha chiesto che si faccia di tutto per ridurre al minimo la possibilità di un incidente nucleare

 

– Struzzo fugge per le strade di Mosca.

 

 

 

Bloomberg: conti bancari delle società russe in India accumulano fino a 1 miliardo di dollari in rupie ogni mese. Questi fondi sono «intrappolati» praticamente impossibili da spendere a causa delle restrizioni valutarie esistenti.

 

– Borrell: non sono ottimista sulla piega che sta prendendo la guerra in Ucraina la prossima estate. Vedo la chiara intenzione di Putin di vincere.

 

– Nella classifica annuale degli eserciti più potenti del mondo, GlobalFirePower, la Russia ha mantenuto il secondo posto, l’Ucraina è al 15°.

 

 

 

 

Rassegna tratta dal canale Telegram La mia Russia e Intel Slava Z.

 

 

Immagine da Telegram

 

 

 

 

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Geopolitica

Lukashenko: la Russia avrebbe dovuto lanciare l’operazione ucraina nel 2014. «L’Occidente sta preparando un golpe in Bielorussia»

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Il conflitto in Ucraina è iniziato anni fa e «l’unico errore» commesso da Russia e Bielorussia è stato non risolvere prima la questione, ha dichiarato giovedì il presidente bielorusso Alexander Lukashenko.

 

Parlando a una riunione dei capi della sicurezza della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), Lukashenko ha affermato che il conflitto in Ucraina è iniziato anche prima del colpo di stato di Maidan del 2014 a Kiev, che ha estromesso il presidente democraticamente eletto del paese, Viktor Yanukovich.

 

«Sono assolutamente d’accordo con il presidente Putin quando afferma che non siamo stati noi a iniziare questa guerra. Non è nemmeno iniziato nel 2014. È iniziato molto prima del 2014. Abbiamo visto tutto quello che è successo qui: il colpo di stato “marrone” che ha avuto luogo e in cosa è stata portata l’Ucraina», ha dichiarato il presidente bielorusso.

 

Le ostilità erano destinate a scoppiare prima o poi, ha affermato il leader di Minsk, aggiungendo che anche se Mosca non avesse lanciato la sua operazione militare un anno fa, sarebbe stata comunque inevitabile, ma a condizioni ancora peggiori per Russia e Bielorussia.

 

«L’ unico errore» commesso dai due paesi è stato quello di continuare i loro sforzi per risolvere il conflitto attraverso la diplomazia, piuttosto che avviare prima un’azione militare, ha insistito Lukashenko. «Tutto stava portando a questo. Probabilmente l’unico errore che abbiamo commesso è stato non aver risolto questo problema nel 2014-2015, quando l’Ucraina non aveva né un esercito né determinazione».

 

Secondo Lukashenko, l’attuale presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj – così come i suoi predecessori Petr Poroshenko e Yanukovich – di fatto non ha fatto nulla per garantire una «esistenza pacifica» ai cittadini del Paese. Essi «non volevano la guerra», ma a quanto pare vi sono stati spinti, ha affermato Lukashenko, aggiungendo che i sostenitori occidentali di Kiev hanno ammesso apertamente di aver utilizzato gli sforzi diplomatici prolungati per risolvere la crisi semplicemente come un ripiego per armare e addestrare l’esercito ucraino.

 

«Hanno francamente ammesso di aver fatto di tutto per preparare l’Ucraina a una guerra con la Russia», ha affermato il Lukashenko, riferendosi alle osservazioni dell’ex cancelliere tedesco Angela Merkel e dell’ex presidente francese François Hollande. Entrambe le figure hanno affermato che gli accordi di Minsk, firmati nel 2014 e nel 2015 come presunta tabella di marcia per la pace nell’ex Donbass ucraino, erano un mezzo per guadagnare tempo per rafforzare le forze ucraine.

 

Lukashenko ha poi affermato che i Paesi occidentali insieme all’Ucraina stanno preparando un «violento cambio di regime», cioè un colpo di stato in Bielorussia. Il presidente bielorusso ha insistito sul fatto che le forze di sicurezza di Minsk sono preparate alla minaccia e non lasceranno che uno scenario del genere si materializzi.

 

«In Polonia, Lituania e, purtroppo, Ucraina, vengono addestrati membri illegali di gruppi armati» ha continuato Lukashenko. Gli agenti, secondo Lukashenko, intendono creare «cellule estremiste dormienti» in Bielorussia.

 

Il presidente ha citato le recenti operazioni congiunte con le forze di sicurezza russe, durante le quali sarebbero stati sequestrati esplosivi. «Questo fatto significa che non ci lasceranno soli», ha predetto.

 

Lukashenko ha affermato che i cittadini bielorussi contrari al suo governo stanno combattendo per l’Ucraina e stanno acquisendo esperienza di combattimento sul fronte.

 

A differenza delle proteste del 2020, l’Occidente sta ora sollecitando l’opposizione del Paese a impegnarsi in atti di violenza armata e sta finanziando tali attività, ha elaborato Lukashenko, avvertendo gli altri Stati membri della CSI che potrebbero incontrare minacce simili in futuro e chiedendo una maggiore cooperazione in materia di sicurezza.

 

Apparendo sul canale televisivo polacco Polsat alla fine del mese scorso, il generale in pensione Waldemar Skrzypczak ha invitato le autorità di Varsavia a «prepararsi per una rivolta in Bielorussia», insistendo sul fatto che ciò «accadrà», riporta RT.

 

«Dobbiamo essere pronti a sostenere le truppe che effettueranno l’operazione contro Lukashenko. Abbiamo motivi per aiutarli, proprio come aiutiamo l’Ucraina», ha affermato il generale, ex viceministro della difesa polacco per gli armamenti.

 

Commentando le osservazioni del generale, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha osservato che la Russia ha l’obbligo di garantire la sicurezza della Bielorussia, «cosa che faremo di fronte a minacce così evidenti».

 

 

 

 

 

Immagine di Homoatrox via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

 

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Geopolitica

Medvedev afferma che i funzionari britannici in Ucraina possono ora essere considerati obiettivi legittimi

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Medvedev torna a minacciare la Gran Bretagna che sostiene gli attacchi ucraini alla Russia.

 

In risposta a una dichiarazione rilasciata ieri dal ministro degli Esteri britannico James Cleverly secondo cui l’Ucraina aveva il «diritto di proiettare la forza oltre i suoi confini», cioè attaccare la Russia, l’ex presidente e ora vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev ha affermato che il Regno Unito fornisce all’Ucraina materiale e specialisti e sta conducendo una «guerra non dichiarata» contro la Russia e che quindi i funzionari britannici diventano «un obiettivo militare legittimo».

 

«I goffi funzionari del Regno Unito, nostro eterno nemico, dovrebbero ricordare che nel quadro del diritto internazionale universalmente accettato che regola la guerra moderna, comprese le Convenzioni dell’Aia e di Ginevra con i loro protocolli aggiuntivi, il loro stato può anche essere qualificato come essere in guerra» ha dichiarato l’ex presidente della Federazione Russa.

 

«Oggi, il Regno Unito agisce come alleato dell’Ucraina fornendole aiuti militari sotto forma di attrezzature e specialisti, cioè, de facto sta conducendo una guerra non dichiarata contro la Russia. Stando così le cose, qualsiasi suo funzionario pubblico (militare o civile, che faciliti la guerra) può essere considerato un obiettivo militare legittimo».

 

La situazione tra Londra e Mosca sta aggravandosi ulteriormente con l’ultima fornitura britannica a Kiev, i missili Storm Shadow, che hanno gittata tale da poter colpire l’entroterra russo.

 

Come riportato da Renovatio 21, pochi giorni fa il Medvedev aveva definito Londra «nemico eterno» della Russia, sottolineando che i droni Poseidon sarebbero in grado di sommergere l’isola con tsunami radioattivi. A inizio anno era emerso che sono state date alle forze ucraine anche proiettili all’uranio impoverito, che, secondo alcuni avrebbero causato una nube radioattiva che minaccia l’Europa. Londra avrebbe avuto un ruolo anche negli attacchi antirussi nel Mar Nero degli scorsi mesi, al punto che Mosca ha convocato l’ambasciatore britannico per chiederne conto.

 

In un video-omaggio per l’incoronazione di re Carlo III, l’Esercito ucraino aveva ringraziato dettagliosamente Londra per ogni tipo di arma inviato.

 

Medvedev a inizio mese aveva parlato di «nemici della Russia» che starebbero «conducendo l’umanità alla Terza Guerra Mondiale e alla catastrofe globale». In questi mesi altre volte ha parlato  di Terza Guerra Mondiale e di pericolo di «giorno del giudizio», ossia di olocausto termonucleare globale.

 

 

 

 

Immagini di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

 

 

 

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