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Tucker Carlson, due mesi dopo Renovatio 21, scopre che i libri di Dugin son spariti da Amazon

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Nel suo show TV serale su Fox News, Tucker Carlson – la personalità giornalistica televisiva più influente degli USA – fa una scoperta di cui Renovatio 21 aveva informato i suoi lettori due mesi fa: i libri del filosofo russo Alexander Dugin sono spariti.

 

Non è che non si trovano, non è che risultano fuori catalogo, non disponibili, etc.: manca proprio la voce che li riguarda, e che fino a qualche mese fa c’era.

 

Come riportato da Renovatio 21 ciò è vero per vari siti Amazon di molteplici nazioni europee che abbiamo testato, compreso il sito italiano.

 

«Quindi, se andate su Amazon per leggere libri scritti da un uomo che ora è sui giornali, e le cui idee sono direttamente connesse ad eventi presenti, cercate un tizio che si chiama Aleksandr Dugin» dice Tucker. «Dugin è uno dei più famosi scrittori russi ed è un filosofo politico che non lavorare per il governo, non lavora per Vladimir Putin, è solo un filosofo».

 

«Quindi se foste interessati a sapere cosa stanno pensando laggiù, cerchereste la pagina dell’autore Dugin su Amazon, ma non trovereste alcun risultato. Sul serio? Un autore importante per essere lasciato fuori da Amazon…»

 

Carlson dice quindi di aver domandato ad Amazon il perché di questa strana mancanza. «Poi abbiamo realizzato che è perché è stato bannato. Allora abbiamo chiesto ad Amazon una lista di tutti i libri degli scrittori bannati dalla loro piattaforma».

 

«E non ce l’hanno data». Il giornalista racconta che dopo alcuni scambi, Amazon avrebbe fornito «una risposta in se parole»:

 

«Amazon complies with all applicable laws». Amazon rispetta tutte le leggi applicabili.

 

 

Carlson comincia quindi a parlare del Primo Emendamento della Costituzione americana, grazie al quale non vi sono leggi per la pubblicazione dei libri. «Il governo non può, in nessuna circostanza, censurare qualsiasi libro. Punto».

 

«Poi abbiamo appreso che Amazon e il Dipartimento di Giustizia starebbero ignorando la nostra Carta dei diritti. Amazon, apparentemente, avrebbe basato la sua decisione su una designazione del Dipartimento del Tesoro riguardo la “disinformazione”» dice Carlson, non rivelando la sua fonte, né il modo in cui ha ottenuto tale informazione.

 

«Tale designazione non si applica solo a Dugin ma anche alla sua famiglia, anche se non a sua figlia, che è stata recentemente assassinata dal governo ucraino … non ci è permesso dirlo… cos’aveva fatto di sbagliato? Beh, immagino che abbia detto una cosa sbagliata, ma va bene, perché stanno lottando per la libertà» dice Carlson con pesante ironia. Per il lettore che non lo ha capito, sta parlando proprio di Darja Platonova, al secolo Darja Dugina, la figlia del filosofo, brutalmente ammazzata con un’autobomba poche settimane fa.

 

«Il punto è che nel nostro Paese, che è molto diverso dall’Ucraina, ci è permesso di leggere qualsiasi cosa vogliamo… ma non possiamo ora, perché l’amministrazione Biden sta domandando che il più grande rivenditore di libri del mondo censuri libri con i quali non essa non è d’accordo» prosegue il conduttore statunitense.

 

«Questa è la più chiara violazione del Primo Emendamento che puoi inventare ad una lezione di giurisprudenza».

 

Quindi, la trasmissione ha sentito il Dipartimento del Tesoro per vedere se confermavano questa storia.

 

La risposta ottenuta fa ritenere a Carlson di aver ottenuto una conferma: «non commentiamo riguardo a questioni di possibile esecuzione, ma il Dipartimento del Tesoro continua a applicare vigorosamente sanzioni relative alla Russia» ha dichiarato un portavoce del Treasury Department.

 

Tucker diviene furioso: «non c’è nessuna base legale per censurare alcun libro se sei il governo americano. Non è permesso. È la cosa principale non-permessa in questo Paese. Punto. Non ci interessa chi ha scritto il libro: ti è permesso leggerlo, puoi leggere qualsiasi libro tu voglia, sei un americano».

 

«E se smetti di essere in grado di leggere qualsiasi libro tu voglia, non ha importanza se sei americano, perché sei solo un servo».

 

La sintesi finale è amara ma realistica.

 

Infine, il conduttore californiano dice che Amazon ha rifiutato di fornirgli una lista di altri libri che stanno bannando, e che gli piacerebbe sapere quali siano.

 

Su questo può  aiutare Renovatio 21.

 

Come già riportato quando ci accorgemmo del caso Dugin su Amazon, mancano all’appello, da anni, il libri dello psicologo Joseph Nicolosi, psicanalista pioniere della cosiddetta «teoria riparativa dell’omosessualità», considerata controversa dall’era Obama e fonte di acceso dibattito tra istituzioni psicologiche anche in Italia.

 

Un altro caso che conosciamo bene, da vari anni, è quello dello studioso cattolico dell’Indiana E. Michael Jones, che conosciamo di persona. Su Amazon aveva 40 o 50 testi in forma sia di brevi ebook che di tomi da più di mille pagine. Di colpo poi è sparito tutto.

 

«La censura su Amazon è arrivata senza preavviso o spiegazione» ci disse nel 2020 fa lo stesso Jones, riflettendo sulla gravità della situazione. «Amazon e Google sono ora più potenti dei governi nazionali di Paesi come l’Irlanda e certamente più potenti dei governi statali degli Stati Uniti».

 

«Questo deve cambiare perché hanno il potere di governo ma nessuna responsabilità. Non possiamo mandare a casa Jeff Bezos con il voto anche se gestisce l’equivalente in Internet di un servizio pubblico».

 

Possiamo solo fare illazioni su chi compila le liste di prescrizioni, che poi potrebbero essere fatte arrivare alle grandi piattaforme. Ci sono enti specifici che lo fanno: c’è n’è una, ad esempio, che difende gli interessi di una data etnia, che da sempre segnala il lavoro di E. Michael Jones, e ultimamente è emerso che ce l’ha anche con Tucker Carlson.

 

Anche Renovatio 21, come sapete, è finita da molto prima della pandemia, da prima che divenisse un giornale online da migliaia di articoli all’anno – in un lista nera internazionale, nel cui board ci sono un po’ di direttori della CIA e NSA, e i cui rapporti con Bill Gates non solo facili da comprendere. Ban, shadow ban, disintegrazione degli account sul social sono venuti dopo.

 

Le conseguenze di essere entrati in una di queste liste, spessissimo senza nemmeno saperlo, vi espone a conseguenze future che ora non potete immaginare. Vi potranno cancellare dalle librerie, dai social, anche dalla banca – PayPal dice di aver cambiato idea, ma era uscita la storia per cui avrebbe prelevato 2500 dollari dai conti di utenti accusati di fake news, e vi sono casi in USA di banche vere e proprie che chiudono il conto corrente a persone considerate inopportune (come il generale Flynn e la sua famiglia).

 

«La lista è vita», diceva Schindler’s list. Ora essere in una lista può invece cagionare la vostra morte civile, e magari, un domani, la vostra morte biologica vera e propria.

 

Ribadiamo un concetto che ci è chiaro: la damnatio memoriae dell’antica Roma almeno veniva comminata dal Senato, non da un’azienda, e per crimini noti. Non ti privava del sostentamento, non ti impediva di vivere.

 

Ora è diverso: siamo lontani dalla Roma dei latini, siamo nel mondo del post-diritto, dove comanda un potere opaco che realizza al 100% l’incubo che Kafka descrisse ne Il processo – non sai di cosa sei accusato, non sai perché, non capisci nemmeno cosa ti sta succedendo.

 

Nel frattempo, vi bruciano i libri. Aspetta un attimo, chi è che faceva queste cose qualche tempo fa?

 

 

 

 

Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

 

 

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La Francia ha fatto pressione su Telegram per mettere a tacere i conservatori rumeni: parla Durov

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Il governo francese ha cercato di far sì che Telegram bloccasse le voci conservatrici in Romania prima del ballottaggio presidenziale del Paese, ha affermato domenica il fondatore dell’app di messaggistica, Pavel Durov, mentre i rumeni si recavano alle urne.

 

Durov non ha nominato direttamente il Paese responsabile della richiesta, ma ha pubblicato un’emoji di una baguette, un riferimento appena velato alla Francia. Durov, che possiede la cittadinanza di Russia, Francia, Emirati Arabi Uniti e Saint Kitts e Nevis, ha dichiarato di aver respinto la richiesta.

 

«Telegram non limiterà le libertà degli utenti rumeni né bloccherà i loro canali politici», ha affermato in un post, aggiungendo che «non si può “difendere la democrazia” distruggendo la democrazia».

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«Non si può “combattere l’interferenza elettorale” interferendo con le elezioni. O si ha libertà di parola ed elezioni libere, oppure non si ha».

 

Il ministero degli Esteri francese ha prontamente reagito definendo la dichiarazione di Durov un «falso». «Le recenti accuse contro la Francia sono solo una manovra diversiva rispetto alle reali minacce di ingerenza contro la Romania», ha affermato in una lunga dichiarazione su X. Le autorità rumene non hanno commentato le dichiarazioni di Durov.

 

Il ballottaggio presidenziale di domenica vede contrapposti il ​​feroce critico dell’UE George Simion e il sindaco di Bucarest e centrista Nicusor Dan.

 

Simion, che si oppone agli aiuti militari a Kiev e a cui è stato impedito di visitare l’Ucraina, ha stravinto al primo turno, ottenendo il 40% dei voti il ​​4 maggio. Ciò ha innescato il crollo del governo di coalizione filo-occidentale di Bucarest. Dan è noto per essere un candidato fermamente pro-UE e pro-NATO, che ha definito il sostegno della Romania a Kiev vitale per la sicurezza nazionale.

 

Simion ha già accusato Parigi di aver tentato di sabotare le elezioni. «Stanno investendo molti soldi e facendo pressioni – tramite il loro ambasciatore qui e tramite istituzioni straniere – per privare il popolo rumeno del suo voto», aveva dichiarato venerdì all’imprenditore e blogger Mario Nawfal.

 

 

Negli ultimi mesi la Francia è emersa come uno dei sostenitori più accaniti e aggressivi di Kiev, mentre gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Donald Trump, si sono mossi verso il sostegno al processo di pace tra Mosca e Kiev.

 

L’anno scorso, le autorità francesi hanno accusato Durov di aver favorito la distribuzione di materiale di sfruttamento sessuale minorile e di traffico di droga a causa di presunte carenze nella moderazione di Telegram. È stato arrestato all’aeroporto di Parigi-Le Bourget ad agosto, prima di essere rilasciato su cauzione di 5 milioni di euro. Durov, che ha negato ogni illecito, è stato infine autorizzato a lasciare la Francia a marzo.

 

Elon Musk ha espresso il suo sostegno al collega imprenditore tecnologico Pavel Durov dopo che il fondatore di Telegram ha dichiarato di aver respinto la richiesta del governo francese di bloccare i contenuti politici conservatori sulla piattaforma di messaggistica.

 

Musk, azionista di maggioranza della piattaforma di social media X, ha risposto alle osservazioni di Durov con un breve post: «Hear, hear!» («Ecco, ecco!»)

 

Nelle scorse ore il Durov ha continuato a rivelare ulteriori dettagli su un presunto tentativo da parte dell’agenzia di intelligence estera francese di fare pressione su di lui affinché censurasse le voci conservatrici sulla sua piattaforma, liquidando le loro presunte preoccupazioni umanitarie come una «tattica di manipolazione».

 

Domenica, Durov ha accusato il capo della Direzione Generale per la Sicurezza Esterna (DGSE), Nicolas Lerner, di avergli chiesto di chiudere i canali Telegram rumeni prima del ballottaggio presidenziale. La DGSE ha respinto le accuse di ingerenza politica, insistendo di aver contattato Durov in diverse occasioni solo per «ricordargli con fermezza le responsabilità della sua azienda, e le sue personali, nella prevenzione delle minacce terroristiche e della pornografia infantile».

 

«L’Intelligence estera francese ha confermato di avermi incontrato, presumibilmente per combattere il terrorismo e la pornografia infantile. In realtà, la pornografia infantile non è mai stata menzionata. Volevano gli indirizzi IP dei sospetti terroristi in Francia, ma il loro obiettivo principale è sempre stato la geopolitica: Romania, Moldavia, Ucraina», ha scritto Durov in un post su X lunedì.

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L’imprenditore di origine russa ha sostenuto che Telegram combatte da tempo gli abusi sui minori attraverso «divieti di pubblicazione di contenuti, team di moderazione dedicati, linee telefoniche dedicate per le ONG e report giornalieri sulla trasparenza dei contenuti vietati».

 

«Affermare falsamente che Telegram non abbia fatto nulla per rimuovere la pornografia infantile è una tattica di manipolazione», ha aggiunto, insistendo sul fatto che gli sforzi di moderazione compiuti da Telegram sono stati «verificabili» almeno dal 2018.

 

Alla fine dell’anno scorso, i canali Telegram delle principali testate giornalistiche russe sono stati resi inaccessibili in tutta l’UE. Durov ha criticato la decisione, sostenendo che l’Unione impone più censura e restrizioni ai media rispetto alla Russia.

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Immagine da Telegram

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Microsoft riesce ad uccidere anche Skype

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Skype, il servizio pionieristico di chiamate via Internet, ha ufficialmente chiuso i battenti il ​​5 maggio 2025, dopo quasi 22 anni di attività. Lo ha rivelato la stessa Microsoft, che starebbe invece concentrando la propria attenzione sulla promozione dell’applicazione Teams.   Software all’epoca davvero rivoluzioanrio, Skype fu lanciato originariamente nell’agosto 2003 da Niklas Zennstrom, Janus Friis e altri quattro sviluppatori estoni, offrendo agli utenti la possibilità di effettuare chiamate vocali e videochiamate gratuite o a basso costo tramite internet. Il nome del programma deriva da «sky peer-to-peer», il nome con cui gli sviluppatori ne descrivevano la funzionalità. In precedenza, i due informatici avevano lanciato il programma di condivisione file peer-to-peer KaZaA, una sorta di Napster che andò incontro a controversie in vari Paesi.   Skype divenne presto un fenomeno globale, consentendo sia chiamate gratuite tra utenti che, a pagamento, chiamate verso telefoni fissi e cellulari in tutto il mondo. Al suo apice, a metà degli anni 2010, Skype contava oltre 300 milioni di utenti mensili ed era ampiamente considerato un pioniere della comunicazione basata su internet.

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Il software ha cambiato proprietario diverse volte nel corso degli anni prima di essere acquisita da Microsoft nel 2011 per 8,5 miliardi di dollari. Da allora, l’azienda ha gradualmente spostato le risorse verso la piattaforma Teams, che ora si posiziona come il suo prodotto principale per le comunicazioni aziendali e personali.   L’ascesa di servizi concorrenti come Zoom, WhatsApp, FaceTime e Google Meet ha contribuito in ultima analisi al calo di popolarità di Skype negli ultimi anni. Alla fine di febbraio 2025, Microsoft ha annunciato la chiusura di Skype e ha invitato gli utenti a passare a Teams, consentendo loro di mantenere i vecchi contatti e la cronologia delle chat. L’azienda ha affermato che i dati saranno disponibili per il trasferimento fino a gennaio 2026, dopodiché verranno eliminati definitivamente.   Si tratta dell’ennesimo morto per Microsoft che tocca progetti un tempo innovativi e vincenti: molti hanno in mente il caso di Nokia, prospera azienda di cellulari che aveva tirato avanti un’intera nazione, la Finlandia, prima di finire tra le fauci del colosso di Bill Gates, e di fatto sparire dal radar dei consumatori e lanciare licenziamenti di massa che perdurano ancora oggi.   Nokia era un tempo il più grande, rinomato, apprezzato produttore di telefoni cellulari. I problemi di mercato sono arrivati dopo che aveva siglato una partnership con Microsoft, che successivamente ha rilevato l’intero business di telefonia mobile di Nokia.  
  L’allora amministratore delegato assunto da Nokia, Stephen Elop, era stato a capo della divisione business di Microsoft. Si trattava del primo CEO non finlandese dell’azienda in 149 anni di storia. Dopo la scalata del gruppo di Bill Gates a Nokia, si sentì ogni sorta di speculazione, tanto che Elop ha negato pubblicamente di essere stato il «cavallo di Troia» di Microsoft per conquistare Nokia.   La crisi di Nokia ha ingenerato ramificazioni in tutta la Finlandia, che un tempo vedeva nell’azienda un grande simbolo dell’orgoglio nazionale, creando disoccupazione e malcontento. Nel 2000 l’azienda costituiva il 4% del PIL finlandese, e il 21% delle esportazioni totali, nonché il 70% della Borsa di Helsinki.   Altri prodotti Microsoft si sono rivelati fallimenti clamorosi, come il sistema operativo Windows Vista, che avrebbe dovuto essere implementato nella maggior parte dei computer del mondo.   Molti ricordano con ironia anche Clippy, personaggio animato a forma di graffetta che doveva, molto in teoria, aiutare gli utenti dei vecchi sistemi operativi, finendo invece per divenire lo zimbello di chiunque usasse il PC.  

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Un sito chiamato Killed by Microsoft agisce da «cimitero» dei prodotti uccisi dal colosso informatico. Si va da Microsoft Publisher (programma di impaginazione, con cui tanti giornalini scolastici venivano fatti negli anni Novanta) all’assistente Cortana, da Paint 3D Windows Mixed Reality, passando per WordPad, Windos Live Mail, Windows Media Center, Silverlight, la piattaforma Groove Music, l’enciclopedia Encarta, il lettore mp3 Zune e lo Windows Phone, disintegrato da iPhone e Android.   Sono solo alcuni dei nomi di quella che, di fatto, è una strage.   Il motivo di questi fallimenti seriali, secondo alcuni, è dovuto al modello di ingegneria antiquato di Microsoft, che è top-down: ossia ciò che bisogna vendere lo decidono i soloni all’interno dell’azienda, e non i clienti. Lo chiamano waterfall engineering («ingegneria a cascata»), e presuppone che ogni componente di un prodotto, invece che essere testata sulla realtà con i feedback degli utenti, viene decisa dal vertice. Se ci pensiamo, non è diverso dalla politica vaccinale globale promossa dal fondatore di Microsoft Bill Gates.   Skype è stato per moltissimo un momento di libertà irripetibile: parlare tranquillamente con i propri cari dall’altra parte del mondo era un lusso che poteva spingerci a dire che sì, la modernità fa pure delle cose buone. L’app era tuttavia divenuta sempre più inutilizzabile da quando fu comprata da Microsoft, con punte di grottesco come il caricamento automatico di Skype all’avvio di tutti i sistemi operativi Windows 10, una funzione che, almeno noi, non siamo riusciti mai far cessare. Tuttavia la memoria del beneficio che si poteva trarne è grande.   Bill Gates è riuscito a rovinare anche questo ricordo. Tuttavia, non è il danno principale che ha fatto.

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Immagine di Mark Doliner via Flickr pubblicata su licenza CC BY-SA 2.0  
 
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Vaccini, l’Unione Europea utilizzerà il Digital Services Act per reprimere la «disinformazione» online sui vaccini

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L’Unione Europea ha iniziato a far leva sulla controversa legge sulla censura, il Digital Services Act (DSA), per intensificare la repressione di quella che definisce «disinformazione» sullecampagne di vaccinazione. Lo riporta Reclaim the Net.

 

Definendo la campagna come necessaria per la salvaguardia della democrazia, la Commissione Europea ha indicato il Piano d’azione europeo per la democrazia e un Codice di condotta rafforzato contro la disinformazione come misure fondamentali. Secondo la Commissione, queste iniziative, in linea con il DSA, creano un «quadro solido» per regolamentare i contenuti sulle principali piattaforme online e sui motori di ricerca.

 

Citando un forte aumento dei casi di morbillo in tutta Europa, la Commissione ha richiamato l’attenzione sui programmi di immunizzazione.

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«La Commissione è molto preoccupata per l’impennata dei casi di morbillo segnalati in Europa, soprattutto perché il numero è raddoppiato nel 2024 rispetto al 2023» ha avvertito un portavoce per la salute, parlando a Vaccines Today. Il portavoce ha osservato che l’istituzione sta collaborando attivamente con le autorità sanitarie nazionali e il Centro europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (ECDC) per gestire le epidemie.

 

La Commissione sostiene che i bassi tassi di vaccinazione, descritti come copertura «subottimale», favoriscano la diffusione di malattie come il morbillo, che altrimenti potrebbero essere prevenute attraverso una «vaccinazione sicura ed efficace».

 

«A quanto pare, sono in corso iniziative per sostenere i governi nazionali nel rafforzare i programmi di vaccinazione e garantire una fornitura costante di vaccini in tutta l’UE, reprimendo al contempo la libertà di parola online» scrive Reclaim the Net.

 

La sfiducia del pubblico nelle autorità sanitarie e nelle campagne di vaccinazione viene spesso indicata come la causa principale del calo dei tassi di immunizzazione. I funzionari dell’UE sono pronti ad attribuire la colpa a quella che definiscono «disinformazione», suggerendo che qualsiasi narrazione divergente dalle posizioni ufficiali sia intrinsecamente pericolosa.

 

La Commissione ha sottolineato che «proteggere l’Europa dagli effetti dannosi della disinformazione, della manipolazione delle informazioni e delle interferenze è una priorità assoluta per la Commissione», chiarendo il suo impegno a controllare in modo aggressivo la libertà di parola con il pretesto della salute pubblica.

 

 

Nel frattempo, il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), l’apparato diplomatico e di intelligence dell’UE, ha intensificato il monitoraggio e l’analisi dei flussi di informazioni. Lavorando a stretto contatto con gli Stati membri e le organizzazioni internazionali, ora contrasta la cosiddetta disinformazione in una gamma sempre più ampia di settori politici, sollevando serie preoccupazioni circa un’eccessiva influenza politica.

 

Parallelamente alla sua spinta alla censura, la Commissione continua a lanciare una serie di campagne di pubbliche relazioni volte a guidare i cittadini verso punti di vista preferenziali.

 

Iniziative come «United in Protection» promuovono la vaccinazione utilizzando «informazioni affidabili e basate sull’evidenza», sebbene ciò che si qualifica come «affidabile» sia determinato esclusivamente dalle autorità. L’UE ha inoltre creato il Portale europeo di informazione sulle vaccinazioni e ha collaborato con organismi come l’ECDC e l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) per saturare il dibattito pubblico con messaggi approvati ufficialmente.

 

La promozione della vaccinazione è profondamente radicata nei quadri politici dell’UE. Il piano europeo per la lotta contro il cancro e il programma EU4Health sono ora legati alla promozione dei vaccini, con progetti come «Overcoming Obstacles to Vaccination» («Superare gli ostacoli alla vaccinazione») che mirano a rimuovere ciò che è considerato d’intralcio alla vaccinazione, il tutto liquidando le legittime esitazioni pubbliche come ostacoli da superare piuttosto che preoccupazioni da affrontare.

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Come noto, il presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, è stata ascoltata in un processo per la gestione della fornitura di vaccini mRNA – il famoso caso dei messaggini scambiati con il capo di Pfizer Albert Bourla.

 

L’Ursula è inoltre incappata in ulteriore scandalo famigliare basato riguardo proprio l’mRNA, quando è emerso un conflitto di interessi con il marito, che lavora presso un’azienda di terapia genica, partecipante ad una cordata di aziende-università che dovrebbe intercettare fondi europei.

 

Come riportato da Renovatio 21, un anno fa a HERA (Health Emergency Preparedness and Response), il braccio operativo della Commissione Europea, aveva siglato un accordo con l’azienda farmaceutica britannica Seqirus per la fornitura di 665.000 dosi di vaccino per uso umano contro l’influenza aviaria.

 

La censura in Europa aveva subito un’accelerazione decisiva la scorsa estate, quando sulla scia delle elezioni europee, i vertici dell’Unione stanno lavorando per rendere ancora più controverso il DSA, che molti 0sservatori hanno definito come una legge di censura radicale.

 

Il DSA è di fatto  l’eurolegge che di fatto metterà il bavaglio a internet. Nella prima fase, ad essere soggetti al DSA sono i grandi social network; più avanti toccherà agli altri, e abbiamo certezza – visto che il nome dietro alla legge è lo stesso che ci ha messo in una lista nera (anzi, in più di una) da anni – anche a Renovatio 21.

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