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Eutanasia

PERCHÉ HANNO UCCISO ALFIE EVANS

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Hanno ucciso Alfie Evans, anche se i media hanno preferito usare altre perifrasi, del tipo «Alfie si è spento».

Perfino i media «cattolici», che avevano impugnato il caso (premiati, talvolta, con un agognato selfie papale), forse per ordini superiori, hanno evitato di chiamare il caso Alfie per quello che è: infanticidio di Stato.

 

A questa domanda, che ognuno si dovrebbe porre, è molto semplice: perché?

Perché siamo arrivati a vedere lo spettacolo, mediaticamente e diplomaticamente osceno, dello Stato moderno che pretende la morte di un suo cittadino innocente?

Perché hanno dimostrato questa ferrea ostinazione (edulcorando la neolingua, potremmo dire: «accanimento non-terapeutico») nel voler soffocare un bambino di pochi mesi?

 

In rete molti si chiedono la solita, semplicissima domanda: cosa c’è dietro?

 

Proviamo a rispondere.

 

Amare lo Stato della Morte

Vogliamo ricordare innanzitutto una coincidenza scioccante: sia nel caso di Charlie Gard che nel caso di Alfie la morte del bambino è sopravvenuta appena dopo che i genitori si sono piegati al compromesso con lo Stato della Morte e i suoi lager ospedalieri.

Una coincidenza scioccante: sia nel caso di Charlie Gard che nel caso di Alfie la morte del bambino è sopravvenuta appena dopo che i genitori si sono piegati al compromesso con lo Stato della Morte e i suoi lager ospedalieri

 

Avevo commentato, alle dichiarazioni di pace con le istituzioni che i Gard fecero alla morte del figlio, con le parole che chiudono il capolavoro di George Orwell 1984: «Egli amava il grande fratello».

Esse rappresentavano la riuscita ri-educazione del protagonista, portato ad amare lo Stato totalitario che lo aveva torturato.

 

Questo mi pare ora lampante: allo Stato moderno nulla importa della vita umana, tantomeno di quella dei suoi cittadini. Non è che per esso i cittadini possono morire: i cittadini devono morire. L’argomento dei costi sanitari, tanto usato dalla propaganda della Germania hitleriana negli anni Trenta e ora tranquillamente discusso nella rubrica di Corrado Augias su Repubblica, è sempre lì pronto a saltar fuori, e non solo dal Ministero della Salute o dal Ministero delle Finanze. È un sentire generale.

 

No, allo Stato moderno della Vita non importa nulla.

 

Di una cosa però allo Stato importa: l’opinione.

Non tanto perché essa genera voti, ma perché senza di essa il collasso è inevitabile.

Così, le dissonanze cognitive vanno piallate, costi quello che costi.

No, allo Stato moderno della Vita non importa nulla. Di una cosa però allo Stato importa: l’opinione

Piegare la volontà dei genitori di Alfie (e, nel pensiero del mostro statale, di tutta l’«Armata» transnazionale che si sono tirati dietro) era cosa di primissima necessità.

 

Riportare la dissidenza fuori dal dubbio tremendo in cui, inevitabile, è arrivata («Che legittimità ha uno Stato che uccide un bambino? Che legittimità ha una medicina che da strumento di cura diviene strumento di morte? Che legittimità ha una magistratura che considera la morte il «miglior interesse» di un suo cittadino?») era talmente essenziale che nell’operazione di normalizzazione è stata coinvolta l’odierna ancella della Morte, ossia la chiesa cattolica: eccoti il comunicato del vescovo di Liverpool che difende un ospedale già piagato da scandali per traffico di organi di bambini, eccoti l’incontro con il «papa» con il muso lungo…

 

La verità sul ruolo della chiesa in tutto questo, la disse un funzionario vaticano ad una signora vicina alla famiglia Evans (diciamo così, nella crisi, una sorta di «segretaria») che letteralmente aggrappata fra urla e pianti per oltre un giorno alla grata del Santo Uffizio (una scena, per chi l’ha testimoniata, straziante) per chiedere la grazia dei passaporti vaticani e di un intervento più diretto del Pontefice, è stata alla fine ricevuta, e liquidata con questa frase «Signora, se lo facciamo per ‘sto bambino, dobbiamo farlo per migliaia di altri».

 

 

Britannia cambogiana

Ma tutto questo è acqua passata.

L’importante è stato ristabilire la legge, e, magari grazie anche ai tanti articoli e interviste che dal Guardian a Repubblica al Corriere chiedevano a gran voce l’infanticidio, tranquillizzare le persone. Trucidare Alfie era la cosa giusta da fare, e c’è pure qualche prete infame che lo ha detto pubblicamente.

Lo Stato moderno agisce per il vostro bene: questa deve essere la vostra opinione.

 

La Cambogia di Pol Pot aveva interiorizzato questa necessità di avere un popolo sottomesso allo Stato totale perfino nei suoi sentimenti: l’Angkar (parola piuttosto indefinita che può significare «organizzazione», «partito» ma che nei fatti indicava l’ente imperscrutabile e onnipervadente che tutto vedeva e tutto decideva nell’incubo Khmer) era da considerarsi, dice il cambogiano Hong Thong Hoeung, come «unico oggetto d’amore consentito alle persone», che di fatto – dopo estenuanti giornate di lavoro forzato nei campi di riso – venivano fatte accoppiare secondo scelte di governo, con tanto di bambini-soldato armati che, di guardia alla porta delle capanne, dovevano verificare dai suoni l’avvenuta consumazione dei rapporti ordinati dall’Angkar.

L’infanticidio poi, come testimoniano tante storie orrende, era per i Khmer Rossi pratica estremamente comune.

 

L’Angkar non riuscì ad essere credibile, non vinse né i cuori né le opinioni, e collassò.

 

La Britannia invece è una Cambogia che dura da almeno cinque secoli.

 

La common law che ha ordinato la morte di Alfie affonda le sue radici nel Seicento. Essa prevede che i genitori non abbiano «responsabilità assoluta» sui figli, perché questa ricade sulla Corona (=lo Stato), di cui il cittadino è subject, «soggetto», o meglio, «assoggettato».

È per questo paternalismo di Stato  che i genitori di Alfie non sono stati rappresentati in tribunale dai loro legali, ma da un avvocato d’ufficio. Era stata la stessa cosa con Charlie Gard: affidarono il suo caso ad una giovane avvocatessa che la pensava in modo diametralmente opposto rispetto ai Gard, cioè voleva anche lei la morte del piccolo.

 

La Corona è parens patriae, «genitore della patria». Sappiamo che l’esperimento totalista inglese è talmente riuscito che il Capo dello Stato, la Regina, è al contempo anche capo della religione nazionale (la barzelletta anglicana) e pure coinvolta della religione delle élite (la massoneria).

 

È per questo paternalismo di Stato (un paternalismo come quello di Crono, il dio che divorava il suoi figli) che i genitori di Alfie non sono stati rappresentati in tribunale dai loro legali, ma da un avvocato d’ufficio.

Era stata la stessa cosa con Charlie Gard: affidarono il suo caso ad una giovane avvocatessa che la pensava in modo diametralmente opposto rispetto ai Gard, cioè voleva anche lei la morte del piccolo.

 

Accettare l’infanticidio di Stato

Di più: come pare ovvio, con il sistema dei precedenti della common law, il precedente di Alfie spalancherà la porta a migliaia di morti di questo tipo. Oggi il Corriere, organo della normalizzazione italiana, citava che in Inghilterra ci sarebbero stati almeno altri 20 casi simili, privi di clamore. Non è impensabile.

Ora questi casi diventeranno 200, 2000, 20.000, 200.000. Perché la morte si estenderà anche agli adulti.

Con il sistema dei precedenti della common law, il precedente i Alfie spalancherà la porta a migliaia di morti di questo tipo. Ora questi casi diventeranno 200, 2000, 20.000, 200.000. Perché la morte si estenderà anche agli adulti.

 

Quindi, il caso Alfie serve essenzialmente proprio a quello: all’accettazione dell’Omicidio di Stato, dell’Infanticidio di Stato, o, se preferite, dell’aborto post-natale: quest’ultimo è un caposaldo della filosofia utilitarista che anima da secoli Albione e che ora, con la retrocessione del Cristianesimo, infetta l’intero Occidente. Ne diremo in un altro articolo.

 

Alfie, quantomeno da un punto di vista giuridico e pure – al netto delle sacche di resistenza – mediatico, ha reso accettabile qualcosa che poco prima era impensabile, radicale.

Così come da Finestra di Overton.

 

È evidente come qualcuno abbia spinto perché la normalizzazione della Morte avvenisse. Casualmente, questo tipo di cambiamenti nella società paiono seguire delle dinamiche, come dire, «epidemiche».

Il caso Alfie serve essenzialmente proprio a quello: all’accettazione dell’Omicidio di Stato, dell’Infanticidio di Stato, o, se preferite, dell’aborto post-natale

 

Fateci caso: l’aborto, l’Inghilterra lo legalizzò nel 1968, gli Stati Uniti e il resto del mondo – l’Italia non fa mai eccezione – seguirono.

 

Lo stesso per la fecondazione in vitro, con il primo «superbaby» nato in provetta (Louise Browne, ora quarantenne un po’ porcina e molto obesa) nata in Inghilterra nel 1978.

 

E poi ancora, recentissimo: il matrimonio omosessuale, a cascata da un paese ad un altro, in un brevissimo lasso di tempo.

Ora c’è il biotestamento, come da legge varata pochi mesi fa dal governo Gentiloni in articulo mortis.

«Best interest» è la bella espressione di semplice e lucida anglofonia per dire «Lebensunwertes Lebens», cioè la «vita indegna di essere vissuta» dei nazisti.

 

«Biotestamento» è la parola gentile per dire eutanasia, o meglio suicidio o omicidio di Stato; «accanicamento terapeutico» – lo abbiamo capito – pure.

 

Così come «best interest» è la bella espressione di semplice e lucida anglofonia per dire «Lebensunwertes Lebens», cioè la «vita indegna di essere vissuta» dei nazisti.

 

Qualcuno sta agendo perché tutto questo diventi perfettamente accettabile: e Alfie era il sacrificio necessario perché l’ordine del nuovo sterminio venga eseguito. Sì, prendetelo proprio come un sacrificio umano: il ritorno del sacrificio umano, tra aborti, embrioni in provetta, eutanasia, droghe e vaccini è esattamente il motivo per cui abbiamo costruito Renovatio 21. La nostra minuscola resistenza alla Cultura della Morte e ai fiumi di sangue che essa demanda. 

Dietro alla morte di Alfie c’è la Necrocultura, il suo programma, la sua potenza. Dietro alla morte di Alfie c’è lo Stato moderno, lo Stato necroculturale

 

Quindi: cosa c’è dietro alla morte di Alfie? Spero lo abbiate capito.

C’è la Necrocultura, il suo programma, la sua potenza.

 

Dietro alla morte di Alfie c’è lo Stato moderno, lo Stato necroculturale. Che va distrutto, cancellato, dimenticato.

 

Il sacrificio umano di Alfie Evans deve insegnarcelo una volta per tutte.

 

 

Roberto Dal Bosco

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Eutanasia

Danimarca: pressioni sul Parlamento per l’OK all’eutanasia

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

 

Una proposta per legalizzare l’eutanasia in Danimarca ha infranto la soglia delle 50.000 firme per presentarla per la prima volta al parlamento danese.

 

Lars Lior Ramsgaard, un infermiere di Aarhus, ha organizzato la petizione. Dice di essere stato ispirato dalla sofferenza dei suoi pazienti e anche di sua madre, che voleva porre fine alla sua vita, ma non ci è riuscita.

 

Nel 2013, ha detto Ramsgaard, un sondaggio finanziato da Palliativt Videncenter, o Palliative Knowledge Center e Trygfonden, un fondo collegato alla compagnia di assicurazioni Tryg, ha rilevato che il 71% della popolazione danese sosteneva l’eutanasia attiva, mentre il 61% dei parlamentari era contrario.

 

L’idea sembra essere sempre più popolare. Nel 2018 una proposta simile ha raccolto solo 8.386 firme e nel 2019 altre 1.409. Tuttavia, l’Associazione medica danese chiede ai parlamentari di respingere la proposta.

 

«Ci sono molte ragioni per questo: non pensiamo che la sofferenza debba essere gestita uccidendo le persone; abbiamo paura della china scivolosa che vediamo nei paesi in cui è stata introdotta l’eutanasia; e pensiamo che si dovrebbe investire in adeguate cure palliative di fine vita», ha affermato Klaus Klausen, presidente del comitato etico dell’associazione.

 

Il presidente del consiglio etico danese, Leif Vestergaard Pedersen, teme che la legalizzazione manderebbe un messaggio tossico ai giovani disabili.

 

«È di grande importanza per l’opportunità di vivere una vita davvero buona per i giovani disabili che siano riconosciuti e rispettati dalla società», afferma. «Lo cambieremo se diciamo che le persone disabili possono scegliere di morire se lo desiderano, perché crediamo che le loro vite non valgano la pena di essere vissute».

 

 

Michael Cook

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

Immagine di Pierre Phaneuf via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

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Eutanasia

Perché la California è in ritardo rispetto al Canada nella morte assistita?

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

 

Nel 2016 sia il Canada che la California hanno legalizzato la morte assistita. Ma da allora al 2021, 31.664 canadesi – il 3,3% di tutti i decessi – sono morti ai sensi del disegno di legge C-14, rispetto ai 3.344 californiani ai sensi dell’End of Life Option Act. Cosa spiega la differenza?

 

Questo è l’argomento di un affascinante (e ad accesso aperto) articolo sull’American Journal of Bioethics del bioeticista canadese Daryl Pullman.

 

Identifica diversi possibili fattori.

 

I criteri per l’accesso alla morte assistita sono diversi. Tutte le giurisdizioni statunitensi in cui è legale richiedono che il paziente abbia «una condizione terminale incurabile con un’aspettativa di vita di sei mesi o meno». In Canada, tutto ciò che serviva era una «morte naturale ragionevolmente prevedibile», sebbene questo criterio si sia costantemente ampliato e non sia più applicabile. Tutto ciò che serve ora è «una condizione medica grave e irrimediabile», che non deve essere terminale. «Ora è chiaro che la legislazione canadese non riguarda principalmente l’accelerazione della morte per i malati terminali», commenta Pullman, «ma in modo più ampio la fine della sofferenza indipendentemente dalla vicinanza di tale sofferenza alla morte naturale di un paziente».

 

In queste circostanze, l’assistenza medica al morente «diventa una soluzione efficace a una varietà di problemi complessi, medici, sociali o altro».

 

La modalità della morte e il ruolo dei professionisti medici. In California, i medici possono prescrivere una dose letale di farmaci, ma è loro vietato partecipare attivamente all’interruzione della vita di un paziente. Il paziente deve ingoiarlo da solo.

 

Circa il 30-35% delle persone non ha mai compilato la prescrizione o, dopo averla compilata, ha deciso di non usarla ed è morto per cause naturali. In Canada, solo l’1,9% dei pazienti approvati per l’eutanasia ha ritirato la richiesta.

 

«Il fatto che una percentuale significativa di malati terminali negli Stati Uniti che avviano il processo non lo porti mai a termine, suggerisce che il processo stesso funge da salvaguardia per garantire che solo coloro che si impegnano pienamente e costantemente a porre fine alla propria vita sperimentino una morte assistita dal medico. In altre parole, il protocollo della California mira a garantire che questa decisione così importante e definitiva sia davvero autonoma» commenta Pullman.

 

In California, quindi, i medici sono a debita distanza dal processo di morte. Ma in Canada sono i principali agenti. Ciò non significa che i medici canadesi siano coercitivi. Ma i loro atteggiamenti contano di più:

 

«Ma quando un paziente si avvicina a un professionista medico intento a esplorare l’opzione di una morte assistita, il modo in cui quel professionista interagisce con il paziente può fare molto per influenzare la decisione del paziente, indipendentemente dall’intenzione di non essere direttivo. In effetti, lo stesso sforzo di non essere direttivi al di fuori di una visione ristretta di cosa significhi rispettare l'”autonomia del paziente” potrebbe essere percepito come un avallo di tale opzione».

 

Pullman ritiene che il sistema canadese stia effettivamente medicalizzando il suicidio. «Il Canada sta scendendo rapidamente su [un] pendio scivoloso, e finora la slitta sembra solo guadagnare velocità».

 

E conclude che «gli Stati Uniti dovrebbero tenere d’occhio il Canada in modo da evitare il precipitoso scivolamento che sta accadendo lì».

 

 

Michael Cook

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

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Eutanasia

Influencer canadese celebra in rete l’eutanasia della nonna: «non sei eccitata all’idea di morire?»

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Un’influencer canadese ha pubblicato un video in cui celebra l’eutanasia di sua nonna.

 

Nel video, divenuto ora virale in rete, la giovane, bella chioma e vestiti eleganti, dentro a quella che sembra essere una bella casa, chiede alla nonna (elegante pure lei): «Quali sono i tuoi pensieri mentre ti avvicini al giorno?». La nonna, scopriamo, ha appena avuto una diagnosi di malattia terminale.

 

«È come la luce alla fine del tunnel», risponde la nonna, aggiungendo che gli operatori sanitari le hanno assicurato che può ancora cambiare idea. La nipote, intanto, continua a guardare la telecamera passandosi la mano per sistemarsi i capelli.

 

Il tutto è condito da una musichetta di chitarra acustica: si tratta proprio di quella specie di video che chiamano talvolta «ispirazionali».

 

 

L’anziana signora spiega quindi come funzionano le iniezioni letali e che ha scelto di sottoporsi all’eutanasia in ospedale piuttosto che a casa sua. «Sono entrata in silenzio, vorrei uscire in silenzio», ha detto.

 

La nipote, sempre senza mai guardarla, ma guardando la telecamera e il suo pubblico, domanda: «sei nervosa? Sei eccitata? Come ti senti?»

 

La nonna risponde solerte: «non vedo l’ora. Basta porre fine alla dipendenza, nessun controllo».

 

Non si tratta ad ogni modo della prima volta che l’eutanasia fa capolino nei video delle star della rete.

 

Una vedette dei social media francese, l’influencer Olympe quattro mesi fa aveva annunciato che avrebbe optato per il suicidio assistito.

 

Come ha notato Ross Douthat in un articolo sul Paese pilota del fondamentalismo eutanatico – il Canada – il suicidio assistito sta diventando una sorta di sacramento per il mondo moderno.

 

In Canada si moltiplicano i casi di richieste di eutanasia per povertà, depressione etc., e vi sono pure casi di «suggerimenti» da parte di personale statale nei confronti di disabili e spot pubblicitari che potrebbero pure contenere riferimenti alla Blue Whale. L’eutanasia dei bambini è in arrivo anche a Ottawa. Come conseguenza, il Paese è divenuto leader mondiale nella «donazione» (cioè, nella predazione) degli organi.

 

Un altro Paese di fondamentalismo eutanatico è vicino a noi: la Catalogna, dove una guardia giurata che aveva assaltato a pistolate i colleghi ha chiesto di essere ucciso, per il suo dolore di disabile (è stato ferito dal successivo scontro con la polizia), prima del processo che lo avrebbe visto imputato per il brutale attacco ai colleghi. È stato, ovviamente, accontentato.

 

L’eutanasia è legale in altri Paesi come Belgio (Regno-baluardo), Colombia (dove si è registrato uno spaventoso aumento dei casi), Lussemburgo (che numericamente è numero uno mondiale), Paesi Bassi (dove è iniziata l’eutanasia dei bambini), Nuova Zelanda (che ha approvato per via referendaria e dove si era ipotizzato di eutanatizzare anche i pazienti COVID) e Spagna (dove la chiesa crea «zone franche» a prova di eutanasia), Austria oltre a diversi Stati in Australia.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Parlamento portoghese ha recentemente approvato in modo forzoso la legge eutanasica, ignorando il veto posto dal presidente Marcelo Rebelo de Sousa.

 

 

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