Pensiero
L’Europa e il Nuovo Ordine Mondiale secondo il cardinale Ratzinger
Renovatio 21 pubblica il testo del discorso che Joseph Ratzinger, allora cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, pronunziò a Cernobbio l’8 settembre 2001, tre giorni prima della distruzione delle Torri Gemelle.
Questo scritto – destinato al noto evento dell’élite italiana e mondiale sul Lago di Como – circola da anni in rete, e mostra con evidenza le differenze ravvisabili tra il Ratzinger cardinale e il Ratinger papa, per non parlare del Ratzinger «papa emerito», condizione inflitta dal tedesco alla cristianità con la sua rinuncia nel 2013, forse a seguito di complotti indicibili che, pure usciti come scoop, il mondo pare essersi dimenticato.
Nel testo è chiaro come il cardinale Ratzinger avesse presente la questione dei programmi mondialisti di riduzione della popolazione (qui accennata con l’espressione «numerus clausus») e l’ascesa del gender, di cui già allora le menti cattoliche rimaste lucide potevano vedere la portata.
Tuttavia, è necessario sottolineare come le conferenze ONU del Cairo e di Pechino, che del gender furono trampolini di lancio (nonché, come raccontava monsignor Schooyans ne Il complotto ONU contro la vita, ripetuto esercizio di tiro al piccione contro il cattolicesimo, lo Stato Vaticano e i suoi rappresentanti) non siano perentoriamente condannate dal cardinale bavarese, che pare anche piuttosto benigno nei confronti dell’UE – c’è da capire che erano gli anni in cui il papato woytyliano, di cui il Ratzinger era grande stakeholder teologico-filosofico, brigava per ottenere da Bruxelles la famosa inserzione del cristianesimo come radice dell’Europa in documenti e dichiarazioni. Ratzinger, da cardinale, aveva espresso determinate posizioni definite dalla stampa come «intransigenti» – sulla Turchia in Europa, sul rapporto con le chiese scismatiche – sulle quali poi ha fatto 180° da papa. Divenuto Benedetto XVI, Ratzinger avrebbe in altre occasioni accennato al Nuovo Ordine Mondiale – cosa che inquieta anche chi ricorda le parole di estrema lucidità che negli anni aveva pronunciato sull’Apocalisse e la possibile manifestazione «numerica» moderna.
L’idea esposta al seminario degli abbienti di Cernobbio secondo cui la dignità umana – concetto che è possibile ritenere politicamente fondamentale per un cristiano – costituisca un «assoluto» – quando assoluto, per logica, è solo Iddio – costituisce uno scivolamento verso l’antropocentrismo tipico del pensiero post-conciliare, che avvicinò la chiesa sempre più al «dirittoumanismo» tipico dell’ONU, una tendenza che ci ha portati dritti all’era Bergoglio con la chiesa trasformata in una mega-ONG che si occupa, più che della dignità data all’uomo da Dio, di immigrazione e «diritti» vari, sempre più spesso quelli genderisti.
Realtà che costituivano grandi avversari del papato, come l’ONU, ora sono entrati in sovrapposizione totale con la Santa Sede. Si tratta del senso finale di una cospirazione che va avanti da secoli: uccidere Dio, innalzare l’uomo. Per poi, ovviamente, uccidere anche l’uomo – perché esso, invariabilmente, è Imago Dei, immagine del Signore.
RDB
Cosa è l’Europa? Cosa può e deve essere nel quadro complessivo della situazione storica, nella quale ci troviamo all’inizio del terzo millennio cristiano? Dopo la Seconda Guerra Mondiale la ricerca di una identità comune e di una meta comune per l’Europa è entrata in una nuova fase.
Dopo le due guerre suicide, che nella prima metà del ventesimo secolo avevano devastato l’Europa e coinvolto il mondo intero, era divenuto chiaro, che tutti gli Stati europei erano perdenti in questo terribile dramma e che si doveva fare qualunque cosa per evitare la sua ulteriore ripetizione.
L’Europa era sempre stata in passato un continente di contrasti, sconvolto da molteplici conflitti. Il secolo diciannovesimo aveva poi portato con sé la formazione degli Stati nazionali, i cui interessi contrastanti avevano dato una dimensione nuova alla contrapposizione distruttiva.
L’opera di unificazione europea era determinata essenzialmente da due motivazioni.
Di fronte ai nazionalismi che dividevano e di fronte alle ideologie egemoniche, che avevano radicalizzato la contrapposizione nella Seconda Guerra Mondiale, la comune eredità culturale, morale e religiosa dell’Europa doveva plasmare la coscienza delle sue nazioni e dischiudere come identità comune di tutti i suoi popoli la via della pace, una via comune verso il futuro.
Si cercava una identità europea, che non doveva dissolvere o negare le identità nazionali, ma unirle invece a un livello di unità più alto in una unica comunità di popoli.
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La storia comune doveva essere valorizzata come forza creatrice di pace. Non vi è alcun dubbio che presso i padri fondatori dell’unificazione europea l’eredità cristiana era considerata come il nucleo di questa identità storica, naturalmente non nelle forme confessionali; ciò che è comune a tutti i cristiani sembrava comunque riconoscibile al di là dei confini confessionali come forza unificante dell’agire nel mondo.
Non sembrava neppure incompatibile con i grandi ideali morali dell’illuminismo, che avevano per così dire messo in risalto la dimensione razionale della realtà cristiana e al di là di tutte le contrapposizioni storiche sembrava senz’altro compatibile con gli ideali fondamentali della storia cristiana dell’Europa.
Nei singoli particolari questa intuizione generale non è mai stata ben chiarita del tutto con evidenza; in questo senso sono rimasti qui dei problemi, che esigono di essere approfonditi. Nel momento degli inizi tuttavia la convinzione della compatibilità fra le grandi componenti dell’eredità europea era più forte dei problemi, che esistevano al riguardo.
A questa dimensione storica e morale, che stava all’inizio della unificazione europea, si univa però anche una seconda motivazione.
Il dominio europeo sul mondo, che si era espresso soprattutto nel sistema coloniale e nelle conseguenti connessioni economiche e politiche, con la fine della Seconda guerra mondiale era definitivamente concluso: in questo senso l’Europa come insieme aveva perduto la guerra.
Gli Stati Uniti d’America campeggiavano ora sulla scena della storia mondiale come potenza dominatrice, ma anche il Giappone sconfitto divenne una potenza economica di pari livello, e finalmente l’Unione Sovietica rappresentava con i suoi Stati satelliti un impero, sul quale soprattutto gli Stati del Terzo Mondo cercavano di appoggiarsi in contrapposizione all’America e all’Europa occidentale.
In questa nuova situazione i singoli Stati europei non potevano più presentarsi come interlocutori di pari livello. L’unificazione dei loro interessi in una struttura europea comune era necessaria, se l’Europa voleva continuare ad avere un peso nella politica mondiale.
Gli interessi nazionali dovevano unirsi insieme in un comune interesse europeo. Accanto alla ricerca di un’identità comune derivante dalla storia e creatrice di pace, si poneva l’autoaffermazione di interessi comuni, vi era quindi la volontà di divenire una potenza economica, ciò che rappresenta il presupposto della potenza politica.
Nel corso dello sviluppo degli ultimi cinquant’anni questo secondo aspetto dell’unificazione europea è divenuto sempre più dominante, anzi, quasi esclusivamente determinante. La moneta comune europea è l’espressione più chiara di questo orientamento dell’opera di unificazione europea: l’Europa si presenta come un’unità economica e monetaria, che come tale partecipa alla formazione della storia e reclama un suo proprio spazio.
Karl Marx ha proposto la tesi secondo cui le religioni e le filosofie sarebbero solo sovrastrutture ideologiche di rapporti economici. Ciò non corrisponde totalmente alla verità, si dovrebbe piuttosto parlare di un’influenza reciproca: atteggiamenti spirituali determinano comportamenti economici, situazioni economiche influenzano poi e loro volta retroattivamente modi di vedere religiosi e morali.
Nell’edificazione della potenza economica Europa – dopo gli inizi di orientamento più etico e religioso – era determinante in modo sempre più esclusivo l’interesse economico. Ma ora si rivela nondimeno in modo sempre più chiaro che all’edificazione di strutture e di imprese economiche si accompagnano anche decisioni culturali, che all’inizio sono presenti in modo quasi irriflesso, ma poi esigono con forza di essere chiarificate in modo esplicito.
Le grandi conferenze internazionali come quelle del Cairo e di Pechino sono espressione di una tale ricerca di criteri comuni dell’agire, sono qualcosa di più che una manifestazione di problemi. Le si potrebbero definire come una sorta di concili della cultura mondiale, nel corso delle quali dovrebbero venire formulate certezze comuni ed essere elevate a norme per l’esistenza dell’umanità.
La politica della negazione o della concessione di aiuti economici è una forma di imposizione di tali norme, al riguardo delle quali ci si preoccupa soprattutto del controllo della crescita della popolazione mondiale e dell’obbligatorietà universale dei mezzi previsti per questo scopo.
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Le antiche norme etiche della relazione fra i sessi, come vigevano in Africa nella forma delle tradizioni tribali, nelle grandi culture asiatiche come derivate dalle regole dell’ordine cosmico e nelle religioni monoteistiche a partire dal criterio dei dieci comandamenti, vengono dissolte attraverso un sistema di norme, che da una parte si fonda sulla piena libertà sessuale, dall’altra però ha come contenuto fondamentale il «numerus clausus» della popolazione mondiale e i mezzi tecnici predisposti allo scopo. Una tendenza analoga si riscontra nelle grandi conferenze sul clima.
In entrambi i casi l’elemento che spinge a ricercare norme è il timore di fronte al carattere limitato delle riserve dell’universo. In entrambi i casi si tratta da una parte di difendere la libertà del rapporto umano con la realtà, ma dall’altra di arginare la conseguenza di una libertà illimitata.
Il terzo tipo di grandi conferenze internazionali, l’incontro delle potenze economiche dominanti per la regolazione dell’economia divenuta globale è diventato il campo di battaglia ideologico dell’era postcomunista. Mentre da una parte tecnica ed economia sono intese come veicolo della libertà radicale degli uomini, la loro onnipresenza con le norme ad essa inerenti viene ora avvertita come dittatura globale e combattuta con una furia anarchica, nella quale la libertà della distruzione si presenta come un elemento essenziale della libertà umana.
Che cosa significa tutto questo per il problema dell’Europa? Significa che il progetto orientato unilateralmente alla costruzione di una potenza economica ora di fatto produce da se stesso una specie di nuovo sistema di valori, che deve essere collaudato per saggiarne la sue capacità di durata e di creare futuro.
La Charta europea recentemente approvata potrebbe essere caratterizzata come un tentativo di trovare una via di mezzo fra questo nuovo canone di valori e i valori classici della tradizione europea.
Come una prima indicazione sarà certamente di aiuto. Ambiguità in punti importanti mostrano nondimeno in modo evidente la problematicità di un tale tentativo di mediazione. Una discussione di fondo sulle questioni soggiacenti non potrà essere evitata. Ciò non è possibile naturalmente nel quadro di questa relazione. Vorrei soltanto cercare di precisare un po’ meglio i problemi che si tratterà di affrontare.
I padri dell’unificazione europea dopo la Seconda guerra mondiale – come abbiamo visto – erano partiti da una fondamentale compatibilità dell’eredità morale del cristianesimo e dell’eredità morale dell’illuminismo europeo. Nell’illuminismo la concezione biblica di Dio era stata mutata in una duplice direzione sotto l’influsso della ragione autonoma: il Dio creatore e sostentatore, che continuamente sostiene e guida il mondo, era divenuto colui che semplicemente aveva dato inizio all’universo. Il concetto di rivelazione era stato abbandonato.
La formula di Spinoza «Deus sive natura» potrebbe essere considerata per molti aspetti come caratteristica della visione dell’illuminismo. Ciò significa però pur sempre che si credeva ad una specie di natura divinamente plasmata e alla capacità dell’uomo di comprendere questa natura e anche di valutarla come istanza razionale.
Il marxismo aveva invece introdotto una rottura radicale: l’attuale mondo è un prodotto dell’evoluzione senza una sua razionalità; il mondo ragionevole l’uomo deve solo farlo emergere dal materiale grezzo irragionevole della realtà.
Questa visione – unita alla filosofia della storia di Hegel, al dogma liberale del progresso e alla sua interpretazione socio-economica – condusse all’attesa della società senza classi, che doveva apparire nel progresso storico come prodotto finale della lotta delle classi e così divenne l’idea morale normativa ultimamente unica: è buono ciò che serve all’avvento di questa condizione di felicità, è cattivo ciò che vi si oppone.
Oggi ci troviamo in un secondo illuminismo, che non solo ha lasciato dietro di sé il «Deus sive natura», ma ha anche smascherato come irrazionale l’ideologia marxista della speranza e al suo posto ha postulato una meta razionale del futuro, che porta il titolo di nuovo ordine mondiale e ora deve divenire a sua volta la norma etica essenziale. Resta in comune con il marxismo l’idea evoluzionistica di un mondo nato da un caso irrazionale e dalle sue regole interne, che pertanto – diversamente da quanto prevedeva l’antica idea di natura – non può contenere in sé nessuna indicazione etica.
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Il tentativo di far derivare dalle regole del gioco dell’evoluzione anche regole del gioco per l’esistenza umana, quindi una specie di nuova etica, è in verità assai diffuso, ma poco convincente.
Crescono le voci di filosofi come Singer, Rorty, Sloterdijk, che ci dicono che l’uomo avrebbe ora il diritto e il dovere di costruire un mondo nuovo su base razionale. Il Nuovo Ordine Mondiale, della cui necessità non si potrebbe dubitare, dovrebbe essere un ordine mondiale della razionalità. Fin qui tutti sono d’accordo.
Ma cosa è razionale? Il criterio di razionalità viene assunto esclusivamente dalle esperienze della produzione tecnica su basi scientifiche. La razionalità è nella direzione della funzionalità, dell’efficacia, dell’accrescimento della qualità della vita.
Lo sfruttamento della natura, che vi è connesso, diviene sempre più un problema a motivo dei disagi ambientali che stanno divenendo drammatici. Con molta maggiore disinvoltura avanza frattanto la manipolazione dell’uomo su di se stesso.
Le visioni di Huxley divengono decisamente realtà: l’essere umano non deve più essere generato irrazionalmente, ma prodotto razionalmente. Ma dell’uomo come prodotto dispone l’uomo. Gli esemplari imperfetti vanno scartati, per tendere all’uomo perfetto, sulla via della pianificazione e della produzione.
La sofferenza deve scomparire, la vita essere solo piacevole. Tali visioni radicali sono ancora isolate, per lo più in molte maniere attenuate, ma il principio di comportamento, secondo cui è lecito all’uomo fare tutto ciò che è in grado di fare, si afferma sempre di più. La possibilità come tale diviene un criterio per sé sufficiente. In un mondo pensato in modo evoluzionistico è anche di per sé evidente che non possano esistere valori assoluti, ciò che è sempre cattivo e ciò che è sempre buono, ma la ponderazione dei beni rappresenta l’unica via per il discernimento di norme morali. Ciò però allora significa che scopi più elevati, presunti risultati ad esempio per la guarigione di malattie, giustificano anche lo sfruttamento dell’uomo, se solo il bene sperato appare abbastanza grande.
Ma così nascono nuove oppressioni, e nasce una nuova classe dominante. Ultimamente, del destino degli altri uomini, decidono coloro che dispongono del potere scientifico e coloro che amministrano i mezzi. Non restare indietro nella ricerca diviene un obbligo cui non ci si può sottrarre, che decide esso stesso la sua direzione.
Quale consiglio si può dare all’Europa e al mondo in questa situazione? Come specificamente europea in questa situazione appare oggi proprio la separazione da ogni tradizione etica e il puntare solo sulla razionalità tecnica e le sue possibilità.
Ma non diverrà in realtà un ordine mondiale con questi fondamenti un’utopia dell’orrore?
Non ha forse bisogno l’Europa, non ha forse bisogno il mondo proprio di elementi correttivi e partire dalla sua grande tradizione e dalle grandi tradizioni etiche dell’umanità?
L’intangibilità della dignità umana dovrebbe diventare il pilastro fondamentale degli ordinamenti etici, che non dovrebbe essere toccato.
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Solo se l’uomo si riconosce come scopo finale e solo se l’uomo è sacro e intangibile per l’uomo, possiamo avere fiducia l’uno nell’altro e vivere insieme nella pace. Non esiste nessuna ponderazione di beni che giustifichi di trattare l’uomo come materiale di esperimento per fini più alti.
Solo se noi vediamo qui un assoluto, che si colloca al di sopra di tutte le ponderazioni di beni, noi agiamo in modo veramente etico e non per mezzo di calcoli.
Intangibilità della dignità umana – ciò significa allora anche che questa dignità vale per ogni essere umano, che questa dignità vale per ciascuno che abbia un volto umano e appartenga biologicamente alla specie umana. Criteri di funzionalità non possono qui avere alcun valore. Anche l’essere umano sofferente, disabile, non ancora nato è un essere umano.
Vorrei aggiungere che a questo deve essere unito anche il rispetto per l’origine dell’uomo dalla comunione di un uomo e di una donna. L’essere umano non può divenire un prodotto. Egli non può essere prodotto, può solo essere generato. E perciò la protezione della particolare dignità della comunione fra uomo e donna, sulla quale si fonda il futuro dell’umanità, deve essere annoverata fra le costanti etiche di ogni società umana.
Ma tutto questo è possibile solo, se acquisiamo anche un senso nuovo per la dignità della sofferenza. Imparare a vivere significa anche imparare a soffrire. Perciò è richiesto anche rispetto per il sacro. La fedeltà nel Dio creatore è la più sicura garanzia della dignità dell’uomo. Non può essere imposta a nessuno, ma poiché è un grande bene per la comunità, può avanzare la pretesa del rispetto da parte dei non credenti.
È vero: la razionalità è un contrassegno essenziale della cultura europea. Con questa, da un certo punto di vista, essa ha conquistato il mondo, perché la forma di razionalità sviluppatasi innanzitutto in Europa informa oggi la vita di tutti i continenti. Ma questa razionalità può divenire devastante, se essa si separa dalle sue radici e innalza a unico criterio la possibilità tecnica di poter fare. Il legame con le due grandi fonti del sapere – la natura e la storia – è necessario.
Ambedue gli ambiti non parlano semplicemente di per sé, ma da entrambi può derivare un’indicazione di cammino. Lo sfruttamento della natura, che si ribella a un utilizzo indiscriminato, ha messo in movimento nuove riflessioni circa le indicazioni di cammino, che derivano dalla natura stessa.
Dominio sulla natura nel senso del racconto biblico della creazione non significa utilizzazione violenta della natura, ma la comprensione delle sue possibilità interiori ed esige così quella forma accurata di utilizzazione, nella quale l’uomo si mette al servizio della natura e la natura a servizio dell’uomo. L’origine stessa dell’uomo è un processo insieme naturale ed umano: nella relazione fra un uomo e una donna l’elemento naturale e quello spirituale si uniscono nello specificamente umano, che non si può disprezzare senza danno.
Così anche le esperienze storiche dell’uomo, che si sono riflesse nelle grandi religioni, sono fonti permanenti di conoscenza, di indicazioni per la ragione, che interessano anche colui che non può identificarsi con nessuna di queste tradizioni. Riflettere prescindendo da esse e vivere senza prenderle in considerazione, sarebbe una presunzione, che alla fine lascerebbe l’uomo disorientato e vuoto.
Con tutto questo non si è data nessuna risposta conclusiva all’interrogativo circa i fondamenti dell’Europa. Si è voluto semplicemente tracciare le linee del compito, che ci sta davanti. Lavorarci è urgente.
Joseph Ratzinger
Immagine screenshot da YouTube
Pensiero
«Preghiera» pagana a Zeus ed Apollo recitata durante cerimonia di accensione della torcia olimpica. Quanti sacrifici umani verranno fatti, poi, con l’aborto-doping?
🗣️ “Apollo, God of sun, and the idea of light, send your rays and light the sacred torch for the hospitable city of Paris. And you, Zeus, give peace to all peoples on earth and wreath the winners of the Sacred Race.”#Paris2024 | @Paris2024 pic.twitter.com/FHMEmJ134U
— The Olympic Games (@Olympics) April 16, 2024
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Pensiero
Foreign Fighter USA dal fronte ucraino trovato armato in Piazza San Pietro. Perché?
È davvero forte il titolo che ha dato ieri l’edizione romana de la Repubblica, il giornale che ha dato la notizia: «Super ricercato Usa arrestato armato durante l’udienza del Papa: “Vengo dal fronte di guerra ucraino”».
«Cosa ci faceva un americano armato come un macellaio a Roma?» si chiede il quotidiano degli Agnelli. «Cosa ci faceva uno dei più pericolosi e ricercati criminali dello Stato di New York, nella top twelve dei “most wanted“, armato sino ai denti a Piazza San Pietro e arrivato direttamente dall’Ucraina? Moises Tejada, cinquantaquattrenne statunitense, negli USA è “classificato come estremamente violento”, così è scritto sul sito del New York State Department of Corrections and Community Supervision’s Office of Special investigations».
Viene specificato che nelle avvertenze è posto un monito preciso: «se lo vedete chiamate subito le forze dell’ordine, non cercate di fermare questi soggetti da soli poiché sono particolarmente pericolosi».
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Il fatto, leggiamo, risale a quasi dieci giorni fa. «I nostri poliziotti, ispettorato Vaticano, l’hanno notato (…) nell’Urbe. Non un giorno qualsiasi, poiché piazza San Pietro era affollatissima per l’udienza generale del Papa».
Poi parte la descrizioni delle doti extrasensoriali delle italiche forze dell’ordine: «Gli agenti senza sapere chi fosse, grazie anche al loro intuito, non gli hanno mai levato gli occhi di dosso, nemmeno per un secondo, fino a decidere di fermarlo e, infine, perquisirlo» continua il quotidiano fondato dal «laico» Scalfari, che pure anche lui qualche visita in Vaticano, nei primi giorni del papa preferito dai massoni, se l’era fatti per intervistare proprio l’inquilino di Santa Marta.
Ma torniamo in Piazza San Pietro, con i poliziotti premonitori. Lo hanno fermato, e «l’istinto aveva dato loro ragione. La scoperta delle armi che hanno trovato addosso all’americano gli ha lasciati interdetti: perché andare in giro con tre coltelli, uno con la doppia lama, da venti centimetri ciascuno? Per farne cosa?»
Già, una bella domanda. A cui epperò mica nessuno vuole dare risposta, neanche ci prova. Qualche giornale di destra, a denti stretti, ha provato a parlare di «segnale», ma buttandola là.
Quindi: un criminale americano super-ricercato, violentissimo, che dal fronte ucraino finisce, armato di coltelli, in Vaticano. Non abbiamo idea del perché. Interessante. Assai.
Apprendiamo che l’uomo, tale Moises Tejada «è planato sull’Urbe una decina di giorni fa, così hanno potuto verificare gli investigatori attraverso l’analisi del passaporto, dalla Moldavia dove era da poco arrivato da Kiev».
«In commissariato, in manette, con l’accusa di porto abusivo d’armi e resistenza, gli agenti hanno scoperto che negli USA, precisamente nello stato di New York, è considerato un “most wanted“». Pare che il personaggio si sarebbe reso responsabile di sequestri di agenti immobiliari che rapinava e riempiva di botte. Chiedeva appuntamenti per vedere case di lusso, poi aggrediva violentemente gli immobiliaristi per poi lasciarli seminudi nelle abitazioni.
Strano modus operandi, che forse parla di una tipologia specifica di personalità.
«Insomma, più che un criminale tutto tondo, una persona fuori controllo degna però di essere inserita tra i maggiori ricercati dello Stato» continua Repubblica. «A questo punto investigatori e inquirenti si sono domandati: come mai uno degli uomini più ricercati a New York è riuscito a lasciare il Paese in aereo e dirigersi a Kiev?»
È bello che il giornale degli Elkann guidato da Maurizio Molinari trovi, per una volta, di farsi una domanda vera. Specie considerando i rapporti non idilliaci di ambedue – gli Elkann e Molinari – con la Russia. Perché la Russia c’entra anche qui.
«A febbraio del 2022 ha abbandonato gli USA e si è diretto in Ucraina (come emerge dal suo passaporto) dove ha spiegato ai magistrati di aver combattuto, gli ha perfino mostrato delle foto in mimetica, armato di pistole e fucili». Il nostro è un Foreign Fighter, quindi, e non fa nulla per nasconderlo – c’è da capirlo, del resto, perché abbiamo visto, a dispetto di una legge specifica, l’Italia fischiettare sui Foreign Fighter pro-Kiev, mentre ci ricordiamo di subitanei arresti in aeroporto per quelli sospettati di aver combattuto per conto dei russi.
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Ma torniamo alle domande che Repubblica pone, e cerchiamo di accennare noi una mezza risposta, fatta della solita nuvola di puntini che sarà compito del lettore unire da sé.
In primis, ricordiamo che, per quanto riguarda la facilità con cui si possono spostare dagli USA all’Ucraina certi criminali. Ci viene in mente la vicenda del veterano americano incriminato dal Dipartimento di Giustizia USA per l’omicidio di una coppia in Florida, molto misteriosamente comparso a «lavorare» al fronte in Ucraina come «volontario», nonostante su di lui penda una richiesta di estradizione da parte di Washington. Il personaggio, che in America avrebbe minato la casa della moglie incinta, cercato di ucciderla, e poi ammazzato una coppia di «donatori» che volevano dare danaro alla sua causa, avrebbe aderito nel 2015 ad una milizia di estrema destra e, secondo documenti trapelati dalla divisione penale del Dipartimento di giustizia dell’Ufficio per gli affari internazionali il veterano americano in Ucraina avrebbe «presumibilmente preso come prigionieri non combattenti, li avrebbe picchiati con i pugni, li avrebbe presi a calci, li avrebbe picchiati con un calzino pieno di pietre e li avrebbe tenuti sott’acqua».
In secundis, vediamo come la personalità con tratti di violenza parossistica pure non è rara tra la manovalanza estera mandata in Donbass – anche prima dell’invio delle truppe russe il 24 febbraio 2022. Nel caso sopracitato, secondo il sito Ukr-leaks che raccoglie i documenti trapelati, un testimone – poi arrestato negli USA – avrebbe quindi anche raccontato di come il veterano americano avrebbe picchiato e annegato la ragazza, mentre un altro membro del gruppo, un australiano, le avrebbe somministrato iniezioni di adrenalina in modo che la giovane non perdesse conoscenza. «Tutto questo è stato filmato dalla telecamera» scrive il sito.
Diciamo di più: tali tipi di profili, inclini alla violenza parossistica sino all’essere insensata, ultrasadica, non solo sono comuni nelle guerre sporche degli USA in giro per il mondo, sono necessari.
La creazione delle forze neonaziste che servono il regime di Kiev – cioè lo Stato profondo americano – è stata operata per anni andando a lavorarsi le parti della popolazione che più si sarebbero prestate alla psicologia della violenza indiscriminata: ecco serviti al serbatoio immenso di braccia tatuate e teste rasate che sono le curve degli stadi le teorie di Bandera. È un processo di radicalizzazione, che non deve essere stato differente da quello di ISIS e Al-Qaeda. Lo si vede bene, descritto anche con una certa mesta poesia, nel film Syriana. È un qualcosa che, nemmeno più a denti stretti, cominciano a temere i servizi di sicurezza americani e pure qualche politico goscista francese: i Foreign Fighter di ritorno, radicalizzati in Ucraina in maniera totale, di ritorno a casa, magari pure con qualche arma di quelle «donate» a Kiev.
È il «jihadismo ucronazista» coltivato dall’Occidente per questo conflitto e forse per il prossimo – quello contro la stessa popolazione europea da trascinare nell’anarco-tirannia, come scritto tante volte da Renovatio 21.
Prendi una generazione impoverita (i soldi sono andati tutti agli oligarchi, gli stessi che poi hanno finanziato le milizie ucronaziste), la riempi di ideali che risuonano con il testosterone giovanile, sangue e suolo, la violenza come principale valuta sociale… aggiungi appoggi politici, armi, etc. Quello che ottieni è guerra. Morte e distruzione. Cioè quello che serve ai pupari per creare il cambiamento geopolitico.
È bene ricordare che se diciamo «nazisti», stiamo dicendo davvero «nazisti», oppure anche peggio. Strapagati giornalisti italiani ci hanno detto che i ragazzi con la svastica leggono Kant, la realtà è che i «nazionalisti integralisti» ucraini sono stati capaci di crudeltà che hanno impressionato pure gente di stomaco. È il caso di quel famigerato skinhead americano tatuatissimo, un altro volontario del fronte ucraino che aveva dichiarato che mai aveva visto una violenza del genere.
Girava un video, già prima della guerra, intitolato «gli ebrei si beccano la corda». Il contenuto: una donna incinta e suo marito, presumibilmente di origine giudaica, venivano linciati dai miliziani. Dicevano che si trattava di propaganda russa, non era vero. I nazisti ucraini non esistono. Salta fuori che, anche se i due non sono ebrei, il video è vero: e che i nazisti ucraini non solo esistono, ma sono capaci di gesti così indicibili da far pensare, più che altro, a vere caricature dei nazisti.
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E allora, torniamo alla domanda vera: perché? Perché il supercriminale Foreign Fighter ucraino stava in Piazza San Pietro?
Ah, poi c’è chi si chiede come abbiano fatto a beccarlo: alcuni non sono disposti ad accettare subito la storia dell’intuito da chiaroveggenti dei nostri, pur bravissimi certo, poliziotti zona Vaticano. Qui le ipotesi possibili sono due.
La prima: in Vaticano ci sono telecamere dotate di tecnologia face recognition, ma forse non si può dire, perché in Italia non si capisce se siano esattamente legali, e la Santa Sede non è Italia ma, pensano gli attuali occupanti del Soglio, è meglio non dirlo troppo spesso. Quindi: voi che su Facebook scrivete commenti contro Bergoglio, occhio.
La seconda: qualcuno ha fatto una soffiata, e ha avvertito i nostri che il tizio, ecco la foto segnaletica, era diretto da quelle parti. Qui si aprirebbero altre questioni cui ovviamente non sapremmo rispondere in alcun modo. Se lo ha mandato qualcuno, chi lo ha mandato? A fare cosa? Chi ha spifferato? Con che fine? Era avvertire di un pericolo, o era, più sottilmente, far comprendere a qualcuno, che c’è quel pericolo esiste?
Roba abissale, giuochi di specchi sacri e geopolitici come ai tempi di Ali Agca e le piste che incrociano i lupi grigi (altri giovani radicalizzati contro la Russia…), servizi bulgari, frati belgi legati alla CIA (come suggerì in un’intervista, sornione e diabolico, Andreotti), magari pure la Madonna di Fatima, et pour cause.
Possiamo solo buttare lì qualche altro puntino per il lettore. Sappiamo che il rapporto del papa con l’Ucraina, partito con un bacio alla bandiera della Centuria di Maidan (proprio ad un’udienza del mercoledì), passato per una politica di relazioni sterile, falsa e millantatoria, finito con vari insulti da parte Ucraina, è quello che è.
Lui ce l’ha messa tutta: ha taciuto quando hanno attaccato un suo sacerdote – sì, un prete cattolico, ad Uzhgorod – quando aveva osato pregare per la pace, ha provato a vendere ai giornalisti l’idea che la sua conversazione a Budapest con Ilarione – gerarca modernista e filocattolico del Patriarcato di Mosca finito rimosso, e che peraltro ora, dopo la Fiducia Supplicans, di Roma non ne vuole più sapere nulla – serviva alla pace, aveva mandato avanti Zuppi (idea geniale) a Kiev, aveva accettato che Zelens’kyj si sedesse prima di lui da ospite nell’incontro in Vaticano durante l’Italian tour del comico ucraino finito chez Bruno Vespa. (Qualcuno, in Russia, dice che il vertice tra Francesco e il comico TV divenuto presidente, invece, abbia alle spalle un famoso cardinale inglese…)
Bergoglio si era beccato gli insulti del consigliere di Zelens’kyj Mikhailo Podolyak, che sul Corriere della Sera (dove sennò) attaccò il papa e il cristianesimo tutto. Poi, con la storia dell’appello ai negoziati lanciato dall’argentino alla testata svizzera, ecco le offese anche del ministro degli Esteri già «bambino di Chernobyl» in Irpinia Kuleba, che ha insinuato di antichi rapporti della Santa Sede con il nazismo (il bue che dice all’asino… ecco quella storia lì).
Davvero, il ragazzo biancovestito in sedia a rotelle ce l’aveva messa tutta, o almeno aveva fatto finta, almeno per un po’. Adesso, chissà cosa vogliono dirgli.
Anche perché ad essere arrabbiati con lui mica sono solo quelli della banda di Kiev. Qualche mese fa è partita la rabbia dei rabbini, perché questa equidistanza vaticana con i palestinesi (fra cui, ricordiamo, la Chiesa cattolica ha molti, molti fedeli) non si poteva sentire. Anche lì: il sudamericano si era impegnato, nel 2017 aveva pure visitato la tomba del fondatore del sionismo Teodoro Herzl (ma perché?) a fianco di un soddisfattissimo premier Netanyahu, quello che adesso chiamano macellaio genocida, sconfessando il suo predecessore papa San Pio X che, in modo leggermente diverso, quando Herzl gli chiese l’appoggio per far tornare gli ebrei in Palestina gli promise che la Chiesa si sarebbe opposta con ogni forza al progetto.
Ma un patatrac presso il Sacro Palazzo cuore della cristianità globale farebbe comodo a tanti altri.
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Sappiamo come funziona il pensiero dei padroni del vapore: il programma va mandato avanti per traumi. Le società umane si manipolano shock dopo shock. Presidenti uccisi, presidenti rapiti, bombe nelle piazze, nelle stazioni, aerei dirottati, torri che cascano, guerre, invasioni, pandemie.
Aggiungiamo anche un altro pensiero, sul quale non ci dilungheremo qui. Durante la guerra del Vietnam la CIA organizzò uno sforzo operativo chiamato Phoenix Program, che doveva distruggere fisicamente e moralmente il sistema dei Viet Cong attraverso rapimenti, infiltrazioni, assassinii, terrorismo, torture. Secondo alcuni, il Phoenix Program prevedeva la creazione vera e propria di serial killer. Soldati americani capaci di violenze infinite, psicopatici al punto da essere più considerabili per i nemici come vampiri (con atti di cannibalismo inclusi) che non come nemici, in grado quindi di scatenare timori ancestrali nei vietnamiti comunisti.
C’è chi dice che l’effetto più evidente di questo programma siano stati i continui casi di assassini seriali registrati in USA negli anni Settanta e Ottanta. Moltissimi di questi soggetti, divenuti popolari grazie a stampa, TV e cinema, avevano un passato tra i militari americani, alcuni proprio direttamente in Vietnam. Se ci fate caso, dopo gli anni Novanta – in cui il fenomeno divenne una costante, più che nella cronaca nera, nella cultura popolare – i serial killer sono spariti.
Dove sono finiti gli assassini seriali? Sono scomparsi? O forse, dice qualcuno con malizia, ne hanno «chiuso la fabbrica»? E la fabbrica, magari, si può riaprire? L’hanno riaperta?
Una volta potevi parlare dei patsy, dei capri espiatori usati nei grandi misteri storici, e non prenderti del complottista. Ricordo ancora i tempi in cui credere che Lee Harvey Oswald fosse un matto manipolato (anche lui con trascorsi militari significativi…) piazzato lì per prendersi la colpa del regicidio Kennedy non era una bestemmia, anzi era la norma.
Ora c’è da aver paura anche solo a fare delle ipotesi. Ma non solo per l’etichetta di pazzotico che ti possono affibbiare i benpensanti, i fact-checker, gli algoritmi censori dei social e dei motori di ricerca. C’è da aver paura di averci ragione.
Che cosa sono disposti a fare, questi mostri, per far bruciare ancora di più il mondo?
A quale altro regicidio dobbiamo assistere?
Quale efferata crudeltà li sazierà mai?
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
La giovenca rossa dell’anticristo è arrivata a Gerusalemme
ALERT 🚨 – The fanatical Zionists from Temple Mount Org have announced that April 22nd is their day to slaughter the much-vaunted #RedHeifer in Jerusalem to realise their version of the End Times messianic prophecy… https://t.co/HLo9nYbGvi pic.twitter.com/JYfs5dHORg
— Patrick Henningsen (@21WIRE) April 12, 2024
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Also to be precise: the red heifer isn't technically a sacrifice. It is slaughtered and burned on the Mt. of Olives but not on an altar. The ashes are used to make a mixture that is used in the purification process for entering the inner courtyard of the Temple Mount. Practical…
— Kassy Akiva (@KassyDillon) April 4, 2024
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