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Immigrazione

I festeggiamenti per la nazionale del Marocco: simbolo perfetto del fallimento dell’integrazione

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Il Marocco ha vinto 3-0 contro la Spagna, passando ai quarti di finale dell’osceno mondiale qatariota.

 

L’avere vinto con la Spagna deve dare ai vicini marocchini, con cui non sono poche le frizioni (Ceuta, Melilla) un certo gusto.

 

Così, per festeggiare, i marocchini immigrati in Ispagna hanno pensato bene di mettere in piedi rivolte e devastazioni in varie città del Paese.

 

 

 

 

 

Non è una novità: il tollerante Belgio, dove ha sede l’ineffabile paradiso di bontà umanitaria che è l’Unione Europea, era stato messo a ferro e fuoco per i festeggiamenti del passaggio agli ottavi. Ricordiamo che Bruxelles è nota per le sue no-go zones, come il quartiere di Molenbek, da cui sarebbero partiti anche membri del commando ISIS che sterminò i ragazzini al Bataclan nel 2015.

 

 

 

Non è noto se per il trauma, anche stavolta, i poliziotti belgi hanno organizzato un’orgia in caserma, così per farsela passare.

 

Qualche fuocherello lo si è visto anche in Francia. Celerini in tenuta antisommossa bersagliati da razzi e petardi. Incendi. Urla d’inferno. Così festeggiano, se perdono non abbiamo idea.

 

 

Gustose anche le rivolte per la vittoria calcistica all’Aia ed Amsterdam – dove, come sa il lettore di Renovatio 21, i marocchini, con la loro mafia detta «Mocro», controllano il traffico di droga e sono la criminalità organizzata più efferata e spudorata, che fanno dei Paesi Bassi «un narco-Stato 2.0».

 

 

Ma veniamo a noi. Ecco l’Italia marocchina in festa perché hanno vinto contro la Spagna. Tanti ragazzotti felici. I marocchini in Italia sono tantissimi, al punto tale che, impropriamente e in modo politicamente scorrettissimo, alcuni chiamano qualsiasi immigrato nordafricano «marocchino».

 

Il censimento 2011 segnalava che vi sarebbero nel nostro Paese 452.424 marocchini, cioè 0,74% del totale degli abitanti dello Stivale. Ovviamente, questi sono quelli registrati. Non abbiamo idea di quanto dobbiamo moltiplicare questo numero se vogliamo provare a pensare quanti sono con gli irregolari: il doppio, il triplo, dieci volte? Non sappiamo. Ma sono tantissimi. E, ad occhio, non sono molto diversi da quelli che stanno in Belgio o in Spagna.

 

Ecco Milano l’altra sera, con una folla immensa di marocchini che festeggia i quarti di finale andando giù per Corso Buenos Aires.

 

 

 

 

 

 

Questa parrebbe essere la famosa piazza Gae Aulenti a Milano, dove è stato allestito un megaschermo. Singolare modo di festeggiare, tirando oggetti.

 

 

Bologna, fumogeno con inedito coretto «Allahu Akbar» in versione stadio. Eccezio.

 

 

Questa è la città di Vicenza. Il traffico di viale Milano, la zona degli immigrati, con le sue laterali piene di negozietti per stranieri, bloccato da auto con il clacson continuo.

 

 

Insomma è festa grande.

 

Dobbiamo dire che sono immagini che ci ricordano altro: la finale del mondiale 2006, quando migliaia di milanesi si riversavano verso piazza San Babila e piazza Duomo.

 

Chi scrive viveva a Milano all’epoca e ricorda perfettamente quel momento: c’era. In viale Venezia, dove la fiumana partita da Buenos Aires transitava per buttarsi nella fontana della divinità padana voluta da Formentini protoleghista, nessuna macchina veniva strattonata. Nessun fumogeno, nessun petardo, razzetto: e avevamo vinto la coppa del Mondo contro la Francia, squadra nemesi della nostra nazionale, in una partita pazzesca (testate, rigori, Materazzi…)

 

La cosa più strana che si potè vedere, testimoniamo, fu che ad una certa da un balcone di un palazzo di viale Venezia spuntò fuori Dino Meneghin. Altissimo, altissimissimo, tirò fuori una bandiera dell’Italia, con il sorrisone che gli riconosciamo. Sotto, un gruppetto di tifosi lo acclamavano. Bum: la vittoria ai mondiali aveva unificato perfino chi al calcio preferisce (giustamente) il basket.

 

Diciamo pure, l’atmosfera era tanto, tanto diversa da quella che si vedono in queste immagini, che, di fatto, non è che fanno molto per farci evitare di pensare ad una vera «grande sostituzione» in corso. Laddove c’erano i tifosi italiani, che festeggiavano civilmente, ora ci sono i marocchini, che tirano roba.

 

Non che la cosa stupisca. Renovatio 21 ha parlato del caso bizzarro della Bocconi, che ha un servizio per riaccompagnare a casa gli studenti attraverso il parco antistante, pubblicizzando la cosa senza mai dire perché ve ne sia bisogno.

 

E abbiamo presente cosa è diventata, a capodanno, viale Milano. Negli anni duemila abbiamo visto il bombardamento di petardi dei gruppetti di giovani (ma anche uomini maturi, a dire il vero), dall’aspetto maghrebino, rendere inavvicinabile la piazza della Madonnina a San Silvestro.

 

Non che all’estero sia diverso: ricordo, nel 2001, un capodanno ad Amsterdam: fuggimmo da Piazza Dam, divenuta un inferno di nordafricani che tiravano petardi addosso alla gente – lo posso testimoniare, perché lo vidi con i miei occhi: quei fuochi di artificio che in Italia si mettono in un angolo per allontanarsi con le dita nelle orecchie, quelli li scagliavano apposta contro gruppi di persone inconsapevoli. Poi ridevano.

 

Ricordo bene quella sera: scappando da quella situazione, finimmo in una piazzetta interna, dove assistemmo ad un alterco tra due levantini circondati da un gruppo; quando uno dei due che urlava fece vedere che aveva una pistola infilata nei pantaloni sotto la maglietta, presi con forza la mano della fidanzata, e ce ne andammo anche da lì con rapidità.

 

Il pomeriggio del 1° gennaio, quando tutto sembrava più calmo perché gli stronzi che hanno fatto le ore piccole magari sono a letto, facemmo una passeggiata. Ad un angolo della strada un ragazzo seduto a terra suonava un didgeridoo, lo strumento a fiato australiano, come una grande pipa di legno che, appoggiata al suolo, fa quei suoni tipo bordone – drone. Feci in tempo a vedere tutta la scena: un tizio, anche quello levantino, con il gruppetto di amici levantini, gli buttò un raudo di quelli belli potenti dentro il didgeridoo, senza che il ragazzo si accorgesse o avesse il tempo di reagire. Gli scoppiò praticamente a pochi centimetri dalla bocca, facendogli prendere un colpo. Reagì solo urlando «Happy New Year» in modo sarcastico, mentre i tizi stranieri lo deridevano.

 

Il problema è che si è andati molto oltre, poi. È l’escalation «Eros e Thanatos» che possiamo aspettarci: Dopo i petardi, le violenze sessuali.

 

Prima vi fu Colonia, dove durante il capodanno furono molestate qualcosa come 650 donne. Dapprima, silenzio. Poi emerse che erano in maggioranza provenienti dal Nordafrica, e che avevano usato violenza contro una quantità crescente di donne che, superate le reticenze, cominciarono a parlare: in tutta la Germania, saltò fuori che erano 1200 le donne che avevano sporto denuncia, con 400 nella sola Amburgo – la punta dell’iceberg, ovviamente,

 

Dal Duomo di Colonia al Duomo di Milano: ecco le violenze sessuali in serie sotto il Duomo di Milano, dove agli stranieri con evidenza il petardo molesto non basta più. Almeno dieci ragazze vengono circondate ed aggredite dal branco. I nomi dei fermati paiono tutti nordafricani.

 

Ma tranquilli, va tutto bene. Il fenomeno avrebbe pure un nome in arabo: taharrush gamea, la «molestia collettiva», che abbiamo visto al Cairo violare la giornalista Lara Logan, salvatasi per miracolo da una violenza sessuale di massa di crudeltà incomprensibile.

 

Non ci vuole davvero molto a comprendere, quindi, che queste immagini di incontenibile «gioia» delle masse immigrate marocchine che mettono a soqquadro tutte le città d’Europa siano la prova definitiva del fallimento dell’integrazione, e del fatto che l’immigrazione è solo un programma di distruzione e sostituzione della società preesistente.

 

Perché mai un marocchino, che vive in Italia, mangia in Italia, magari pure vota in Italia – ius soli! Ius scholae subito! – dovrebbe gioire devastando la città che lo ospita? Ubi panem ibi patria, dicevano gli antichi, ma ciò non sembra essere vero per i nostri immigrati. Sono andati via del Marocco, per venire da noi. Epperò tifano il Marocco, e vandalizzano la nostra terra se questo vince.

 

Che cosa ci stiamo perdendo del ragionamento?

 

La verità è che, con buona pace delle balle propalate dall’oligarcato con contorno di PD, cooperative-mangiatoia, giornali e chiesa cattolica, l’immigrato in nessun modo vuole integrarsi.

 

Non lo dice Renovatio 21, ma un rilievo dell’ISTAT dell’ottobre 2016: due immigrati di seconda generazione su 3 non si identificano nella Nazione o nel popolo italiani: si sente italiano il 38% e il 43% dichiara di «non sentirsi di appartenere all’Italia per quanto riguarda i doveri che avere la cittadinanza comporta».

 

Avete letto bene: il 66,6% dei figli degli immigrati non si sente italiano – e sono quelli cresciuti con la nostra lingua, la nostra scuola, la nostra TV, etc. Non sente di dover sottostare, quindi, alla legge italiana.

 

Ricordate l’origine del concetto di cittadinanza: nell’antichità, lo status di cittadino romano apparteneva ai membri della comunità politica romana, in quanto cittadini della città di Roma (civis romanus); non era legato all’essere un abitante di uno dei domini romani, almeno fino alla Constitutio Antoniniana, emanata dall’imperatore Caracalla nel 212, che concedeva la cittadinanza a tutte le popolazioni abitanti entro i confini dell’Impero.

 

Dire «civis romanus sum», «sono un cittadino romano», era motivo di orgoglio, perché era qualcosa che si era guadagnati duramente, e che dava prestigio e diritti.

 

Oggi invece, secondo la statistica, i figli degli immigrati ci dicono in faccia «civis romanus non sum», e godono.

 

Ora, vi è più chiaro da dove vengono le immagini che stiamo vedendo.

 

Uno chiede: ma allora, se non si sentono italiani, cosa si sentono? In queste sere, magari, si identificano come marocchini. Ma abbiamo visto altre forme acute di dis-identificazione con il Paese che li ospita: Peschiera del Garda. Ricordate? L’estate scorsa, il Garda invaso da migliaia e migliaia di ragazzini richiamati da uno strano messaggio «panafricano» diffuso sul social cinese TikTok, con volontà dichiarata di invadere la località lacustre per liberarla, provvisoriamente, dal controllo «italiano». Ricorderete anche cosa successe alle ragazze in treno: molestate nemmeno più per questioni sessuali, ma perché «italiane» che non potevano stare nel vagone occupato dallo sciame di teenager africani e nordafricani.

 

Come avevamo scritto all’epoca, questa identità «africana», che esiste solo come artificio per opporsi al nemico italiano, sparirà dalle vite dei bimbi nordafricani in pochi anni; a sostituirla, sarò magari un’identificazione con la ummah, la comunità islamica, secondo qualche predicazione salafita o wahabita dell’imam locale, e di lì il senso di appartenenza ancora più grande – più grande del calcio, della musica trap, della spavalderia giovanile – sarà fornito loro dalla jihad.

 

Quindi, vedere i marocchini che spaccano le città europee perché la loro squadra vince non è solo la plastica immagine del fallimento definitivo dell’integrazione e di ogni sua aspettativa: no, è il prodromo di una violenza molto più grande, e organizzata, che potrà essere portata sulle nostre città – e magari con qualche arma «scappata» all’Ucraina.

 

Qualcuno ci ha fatto finire qui. C’è un disegno, lo sapete.

 

Sarebbe anche arrivato il momento di cominciare a combatterlo davvero – perché la destra al governo, se non l’avete capito, sta facendo finta anche qui.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

 

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Vaticano: sanzioni più severe per i clandestini

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La Santa Sede ha emanato il 19 dicembre 2024 un decreto che aumenta notevolmente le sanzioni finanziarie e persino le pene detentive per chi entra illegalmente nel territorio dello Stato della Città del Vaticano.

 

Come nota ironicamente InfoCatolica, «la politica di apertura all’immigrazione, legale e clandestina, che Papa Francesco auspica fin dall’inizio del suo pontificato, non trova applicazione in Vaticano, dove è Capo dello Stato». Come ha riferito Specola, dal mese scorso le sanzioni per l’ingresso illegale in Vaticano sono state notevolmente inasprite.

 

Il testo, firmato dal cardinale Fernando Vérgez Alzaga, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, è entrato in vigore subito dopo la sua pubblicazione.

 

Il decreto prevede pene detentive da uno a quattro anni e multe fino a 25mila euro per chi entra nel territorio vaticano con violenza, minaccia o inganno. Quest’ultimo caso comprende azioni quali l’elusione fraudolenta dei sistemi di sicurezza o l’elusione dei controlli alle frontiere.

 

Le sanzioni saranno più severe se l’ingresso illegale avviene utilizzando armi, sostanze pericolose o in gruppo. Inoltre, vengono aumentati di due terzi se si forza un controllo di frontiera mentre si guida un veicolo.

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Il decreto introduce nuove disposizioni in materia di sorvolo non autorizzato dello spazio aereo vaticano, compreso l’uso di droni, con pene fino a tre anni di reclusione.

 

Tra le nuove disposizioni c’è la possibilità di imporre il divieto di accesso al territorio vaticano per un periodo fino a 15 anni per i recidivi, nonché sanzioni amministrative per chi non rispetta le regole di residenza o di uso dei beni concesse nel territorio dello Stato vaticano.

 

Preservare la sicurezza del Vaticano

Il decreto risponde all’urgenza di garantire la sicurezza in un territorio di grande importanza religiosa e diplomatica. In questo senso, le nuove disposizioni rafforzano gli strumenti giuridici a disposizione per prevenire e sanzionare atti idonei a mettere in pericolo l’ordine pubblico o l’integrità dei locali vaticani.

 

Lo svolgimento dell’Anno Santo, con un’affluenza prevista di 40 milioni di pellegrini, è senza dubbio un motivo in più per spiegare l’attuazione di questa nuova legge, e il fatto che sia stata immediatamente applicabile.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Alessandro Cossu via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

 

 

 

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Immigrazione

Immigrato caraibico arrestato per aver sparato e ucciso persone a caso a Rotterdam. Wilders: «deportateli»

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La polizia olandese ha annunciato venerdì l’arresto di un uomo di 24 anni sospettato di aver ucciso a colpi d’arma da fuoco tre persone nella città di Rotterdam nelle ultime due settimane. Lo riporta Remix News.   Secondo il Procuratore generale Hugo Hillenaar, non ci sono indicazioni che le sparatorie siano state motivate da un programma specifico o da rancori personali. Le vittime, nessuna delle quali sembra aver avuto alcun legame tra loro, sarebbero state scelte a caso, seminando paura in tutta la città portuale, che non è abituata a una violenza così indiscriminata.   Giovedì sera la polizia ha arrestato l’uomo, che non ha una residenza fissa, dopo averlo identificato e fotografato in relazione alla sparatoria.   Un’arma è stata recuperata sulla scena del suo arresto. Durante una conferenza stampa, Hillenaar ha dichiarato che il sospettato è nato sull’isola caraibica di Curaçao e in seguito è cresciuto nei Paesi Bassi. In quanto Paese insulare costituente del Regno dei Paesi Bassi, i cittadini di Curaçao non hanno bisogno di alcun visto speciale per trasferirsi nel Paese. Si tratta quindi di un caso di immigrazione interna.

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Sebbene il sospettato fosse noto alle autorità per reati minori, finora gli investigatori non hanno trovato indizi che indichino il movente di questi presunti omicidi.   «È un incubo per tutti a Rotterdam, ma anche per me personalmente e per tutti i professionisti coinvolti, perché qualcuno andava in giro liberamente sparando alle vittime a caso», ha osservato Hillenaar.   La violenza è iniziata il 21 dicembre, quando un uomo di 63 anni è stato colpito alla testa, morendo poi per le ferite riportate. Una settimana dopo, un uomo di 58 anni è stato colpito e ucciso in circostanze simili nello stesso quartiere. Le autorità hanno annunciato che una terza vittima, la cui identità non è stata resa pubblica, è stata anch’essa colpita nella stessa zona, portando la polizia a ritenere che gli omicidi fossero collegati. Tutti e tre gli incidenti hanno mostrato schemi simili, aumentando il senso di allarme a Rotterdam.   Sebbene la violenza armata nei Paesi Bassi sia spesso legata alla criminalità organizzata, la natura apparentemente casuale delle sparatorie ha alimentato la preoccupazione dell’opinione pubblica.   L’ondata di sparatorie ha spinto le autorità locali a lanciare avvertimenti. Le autorità di Rotterdam, in particolare nel distretto sud-orientale di IJselmonde, hanno esortato i residenti a restare vigili ed evitare di uscire da soli di notte o in aree isolate.   «Non uscite da soli, soprattutto in luoghi bui e appartati. Se vedete una situazione sospetta, chiamate immediatamente il 112», si legge in una dichiarazione ufficiale della polizia di Rotterdam.   Il sindaco Carola Schouten ha espresso il suo sollievo per l’arresto del sospettato, affermando che porta una certa rassicurazione a una città che era stata presa dalla paura. Tuttavia, lei e altri funzionari mettono in guardia i residenti affinché rimangano vigili fino alla conclusione completa delle indagini.

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Geert Wilders, leader del Partito per la Libertà (PVV) al governo, è intervenuto sui social media, sottolineando i consigli della polizia e chiedendo misure più severe contro la criminalità.   «Certo, dobbiamo sempre seguire i consigli sensati della polizia, soprattutto ora! Ma in generale, direi: togliete tutta quella feccia, quei criminali, dalle nostre strade. Chiudeteli e deportateli, se possibile!» ha scritto il Wilders.   Anche le cronache italiane hanno riportato negli ultimi giorni numerosi atti insensati di violenza da parte di immigrati.   Nel caso più noto, a Villa Verrucchio, nel riminese, un egiziano ha ferito con il coltello senza motivo quattro persone durante il capodanno, per poi venire ucciso dal carabiniere che tentava di fermarlo. Il militare dell’Arma è ora indagato con l’ipotesi di reato di eccesso di legittima difesa.

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Immagine di Iso Brown FR via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0          
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Immigrazione

Gang pedofile pakistane in Gran Bretagna: Musk chiede la liberazione di Tommy Robinson, l’attivista che ebbe il coraggio l’orrore di denunciare

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Elon Musk ha chiesto il rilascio di Tommy Robinson, un controverso attivista di destra britannico incarcerato a ottobre per aver trasmesso un documentario contenente affermazioni diffamatorie su un giovane rifugiato siriano.

 

Robinson, il cui vero nome è Stephen Yaxley-Lennon, è stato condannato a 18 mesi di prigione per aver affermato in un documentario che un adolescente siriano, aggredito in una scuola secondaria dello Yorkshire nel 2018, aveva una lunga storia di aggressioni nei confronti di studentesse.

 

«Liberate Tommy Robinson!» ha dichiarato Musk in un post su X giovedì, prima di postare un link al documentario diffamatorio.

 

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Robinson, non nuovo a controversie, è un ardente critico dell’immigrazione di massa e dell’Islam, ed è stato una delle voci principali della destra che ha condannato lo scandalo delle «grooming gang», in cui gruppi di uomini asiatici hanno violentato e torturato migliaia di ragazze minorenni in città nel nord dell’Inghilterra negli ultimi due decenni. Quasi tutti gli autori erano uomini pakistani e le vittime ragazze britanniche bianche.

 

Indagini ufficiali hanno poi scoperto che i successivi governi britannici hanno rifiutato di indagare sullo scandalo, mentre la polizia ha gestito male i casi, arrestato le vittime e insabbiato l’esistenza delle gang.

 

In una serie di post pubblicati giovedì e venerdì, Musk ha attirato l’attenzione su alcuni dei casi più eclatanti di cattiva gestione dello scandalo da parte della polizia, tra cui un episodio a Rotherham, in cui gli agenti hanno arrestato un padre che aveva tentato di salvare la figlia da una casa in cui veniva violentata, e un altro in cui hanno arrestato una vittima di stupro senza interrogare i presunti autori.

 

Lo scandalo è stato un caso di «male sponsorizzato dallo Stato», ha scritto Musk in un post.

 

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Musk ha condiviso post di condanna nei confronti di Lord Ahmed, sindaco musulmano di Rotherham, in seguito ritenuto colpevole di violenza sessuale su due bambini, e del Primo Ministro Keir Starmer, che ha guidato il Crown Prosecutorial Service tra il 2008 e il 2013.

 

«Nel Regno Unito, crimini gravi come lo stupro richiedono l’approvazione del Crown Prosecution Service affinché la polizia possa incriminare i sospettati», ha scritto lo Elon. «Chi era a capo del CPS quando alle gang di stupratori era permesso di sfruttare le giovani ragazze senza affrontare la giustizia? Keir Starmer, 2008-2013».

 

 

«Starmer è stato complice dello STUPRO DELLA GRAN BRETAGNA», ha continuato in un altro post, aggiungendo che il primo ministro «deve andarsene e deve affrontare le accuse per la sua complicità nel peggior crimine di massa nella storia della Gran Bretagna».

 


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Musk ha anche condiviso un sondaggio che mostra un diffuso malcontento nei confronti del governo di Starmer, dichiarando che «in Gran Bretagna si dovrebbero indire nuove elezioni».

 

Il magnate della Tesla, che in precedenza si era scontrato con Starmer per la repressione del dissenso online da parte del primo ministro in seguito a una serie di rivolte quest’estate, ha descritto il partito Reform UK di Nigel Farage come «l’unico modo per salvare» il Regno Unito.

 

Musk in precedenza aveva incontrato Farage nella tenuta di Mar-a-Lago del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump in Florida, con alcuni organi di informazione che sostenevano che aveva promesso fino a 100 milioni di dollari a sostegno del partito britannico. Musk, tuttavia, ha negato le voci.

 

Come riportato da Renovatio 21, la scorsa estate Musk si era scagliato contro lo Starmer in merito alle rivolte anti-immigrazione nel Regno Unito. Più di una dozzina di città e centri abitati erano stati teatro di proteste caotiche, innescate da una strage con coltello a Southport, in Inghilterra.

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Musk ha affermato che «la guerra civile è inevitabile», commentando un video su X (ex Twitter) che mostrava gli scontri di strada. Il video è stato pubblicato da un utente che ha suggerito che la causa principale fosse l’immigrazione di massa nel Regno Unito e le politiche di frontiera aperta.

 

Lo stesso Musk in un post ha lanciato l’hashtag #TwoTierKeir, a indicare la politica a doppio livello implementata oramai apertamente dallo Starmerro.

 

Pochi giorni dopo, il commissario della Metropolitan Police di Londra ha minacciato di incriminare gli stranieri per «istigazione all’odio» online, indicando Elon Musk, come qualcuno che potrebbe essere perseguito.

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Immagine di Shayan Barjesteh van Waalwijk van Doorn via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International.

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