Eutanasia
Alfie Evans e il calderone dei traditori

Sono passati solo pochi giorni dalla morte del piccolo Alfie, avvenuta per mano dello stato omicida e perverso quale è l’Inghilterra, e il clamore mediatico si è già spento, lasciandosi alle spalle l’infanticidio di un innocente perché, come cantavano i Queen, «The Show Most Go on».
Riprendersi è dura. Metabolizzare impossibile. Forse, per chi vede i primi passi del proprio figlio ancora meno.
Misto a questo dolore però si cela una volontà di giustizia, giustizia che dobbiamo ad Alfie per ciò che, a nome di tutti noi, ha combattuto contro tutto e tutti.
Se si è drammaticamente persa un battaglia – e così è stato – anche a costo di risultare banali occorre dire che la guerra continua, con un’urgenza ancora più grande di prima. Si impone la necessità di separare il grano dalla zizzania, gli amici dai nemici e, soprattutto, svelare i veri volti di tutti i traditori che hanno animato questa triste vicenda e il suo devastante epilogo.
Ora viene il tempo di svelare il vero volto di chi è stato complice di questo omicidio: la neo-chiesa e il Vaticano intero
Abbiamo svelato il vero volto di coloro i quali, in nome della medicina totalitarista e delle leggi omicide hanno condannato al patibolo Alfie Evans. Ora però, per dovere di coscienza, viene il tempo di svelare il vero volto di chi è stato complice di questo omicidio: la neo-chiesa e il Vaticano intero.
Bergoglio e la Pontificia Accademia per la Morte
Dopo le numerose pressioni ricevute da gran parte del mondo, Bergoglio è stato costretto ed intervenire attraverso un tweet il 4 aprile scorso, dove invitava a «continuare ad accompagnare con compassione il piccolo Alfie».
Ad accompagnarlo dove non ci era dato saperlo. Ora, purtroppo, sì.
D’altronde il boia Anthony Hayden, il 20 febbraio scorso, per emettere la sentenza di morte per il piccolo Alfie utilizzò proprio il messaggio sul «fine-vita» inviato da Bergoglio a Mons. Vincenzo Paglia, CEO della Pontificia Accademia per la Vita.
Migliaia di persone chiesero l’intervento del Vescovo di Roma per smentire ed abbattere la strumentalizzazione di queste sue parole. Nessuna risposta pervenne da Santa Marta o adiacenti. Per un semplice motivo: non di strumentalizzazione si era trattato. E a confermarlo fu proprio Paglia, che dando il meglio di sé in un’intervista rilasciata a Tempi il 9 marzo scorso, si guardò bene dal condannare la strumentalizzazione del boia dell’Alta Corte, ma anzi argomentò brillantemente dando ragione ai medici dell’Alder Hey Children’s Hospital:
«Parlare di “soppressione” non è né corretto né rispettoso. Infatti se veramente le ripetute consultazioni mediche hanno mostrato l’inesistenza di un trattamento valido nella situazione in cui il piccolo paziente si trova, la decisione presa non intendeva accorciare la vita, ma sospendere una situazione di accanimento terapeutico».
Il lavoro della PAV è sostanzialmente quello di passare da «Pontificia Accademia della Vita» a «Pontificia Accademia della Morte». Se arriveremo all’eutanasia di stato anche in Italia lo dovremo al Vaticano.
Il lavoro della PAV è sostanzialmente quello di passare da «Pontificia Accademia della Vita» a «Pontificia Accademia della Morte».
Se arriveremo all’eutanasia di stato anche in Italia lo dovremo al Vaticano.
Le briciole erano già state lasciate quando Paglia fu incoraggiato dallo stesso Bergoglio, appena l’anno scorso, con la stesura del codice deontologico vaticano per gli Operatori Sanitari, dove veniva finalmente ammesso che l’idratazione e l’alimentazione dovevano essere concesse «solo se utili».
Di meglio ancora aveva fatto con il Messaggio inviato proprio a Mons. Vincenzo Paglia in occasione del Metting Regionale Europeo della World Medical Association sulle questioni del «fine vita». Qui Bergoglio, ad esempio, così diceva»:
Nessuna differenza viene fatta fra eutanasia attiva ed eutanasia passiva, due facce della medesima medaglia: la morte.
«Vediamo bene, infatti, che non attivare mezzi sproporzionati o sospenderne l’uso, equivale a evitare l’accanimento terapeutico, cioè compiere un’azione che ha un significato etico completamente diverso dall’eutanasia, che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte».
Nessuna differenza viene fatta fra eutanasia attiva ed eutanasia passiva, due facce della medesima medaglia: la morte.
Per chi ha affinato il naso sulla nuova terminologia tanto in auge, è facile constatare come il termine «accanimento terapeutico» svolga un ruolo molto importante per i passi che conducono all’eutanasia di stato
Per chi ha affinato il naso sulla nuova terminologia tanto in auge, è facile constatare come il termine «accanimento terapeutico» svolga un ruolo molto importante per i passi che conducono all’eutanasia di stato. Semplicemente, così facendo, si potrà sempre trovare un appiglio per porre fine alla vita di qualche innocente giudicato troppo indegno per restare in questo mondo tutto pieno di gente per bene, garante di una qualità di vita alta.
Così è stato con Alfie, e prima ancora con Charlie ed Isaiah.
La pressione mediatica che intanto andava via via crescendo attorno al piccolo bambino condannato a morte, ha spinto Bergoglio ad intervenire nuovamente il 15 aprile con un generico discorso fatto durante il Regina Coeli, e poi con un tweet del 23 aprile scorso in cui si rinnovava l’invito a rispettare il volere dei genitori. Un caso mondiale liquidato in qualche click di tastiera – non certo fatto da lui peraltro – e sempre nel rispetto della terminologia politicamente corretta che parla di volontà, di utilitarismo, ma praticamente mai di Dio e di grave peccato contro di Lui.
Il vescovo di Roma, nella sua intraprendenza progressista e rivoluzionaria ha un evidente difetto: non riesce a fingere.
L’incontro a muso lungo
Un tweet costa nulla, un incontro faccia a faccia, ripreso dalle telecamere e al quale non si può sfuggire costa molto, molto di più.
Il vescovo di Roma, nella sua intraprendenza progressista e rivoluzionaria ha un evidente difetto: non riesce a fingere.
Un po’ come D’Annunzio , che al Vittoriale aveva una sala d’attesa per gli ospiti graditi e una per gli ospiti sgraditi. Il muso lungo mostrato durante l’incontro con Thomas, avvenuto il 18 aprile, è stato peggiore di quello immortalato durante l’incontro con Donald Trump e famiglia.
Le parole da lui pronunziate durante l’udienza generale del mercoledì (avvenuta poco dopo l’appuntamento con il giovane padre di Alfie), e cioè che «l’unico padrone della vita dall’inizio alla fine naturale è Dio», sono state fondamentalmente richieste da Thomas durante l’udienza privata: nulla di più, nulla di meno.
Come viene normale pensare, se a Bergoglio fosse veramente interessato del bambino inglese avrebbe subito disposto l’ordine di dare tre passaporti vaticani alla famiglia, come spesso ha fatto per immigrati musulmani, prendendosi la scena pubblica che ama.
Come viene normale pensare, se a Bergoglio fosse veramente interessato del bambino inglese avrebbe subito disposto l’ordine di dare tre passaporti vaticani alla famiglia, come spesso ha fatto per immigrati musulmani, prendendosi la scena pubblica che ama.
Occorre dire, senza mezzi termini, che se vi è stata una mossa sbagliata essa è stata proprio quella di coinvolgere il CEO di Santa Marta, permettendogli così di lavarsi pubblicamente la coscienza e di passare come eroe dell’ultimo momento, che se la cava con due tweet e poche, assurde, inconsistenti parole.
Fortunatamente però, come è stato ampiamente dimostrato, «chi di tweet ferisce di tweet perisce»: finalmente gran parte del mondo ha capito che è troppo comoda prendersi il palcoscenico standosene in panciolle dietro ad una tastiera.
Il problema è piuttosto di chi, anche mascherando una certa tendenza conservatrice e polemica verso il nuovo pontificato – guai ad andare oltre – gira e rigira torna sempre lì: a voler salvare Bergoglio.
I genitori si erano votati a chiunque, fidandosi ciecamente del Vaticano, ma come vogliamo dimostrare questo è stato un totale fallimento. Di certo non per colpa loro.
Il risultato è stato questo, per buona pace di chi sostiene che le grandi manovre fossero state fatte dietro le quinte. I genitori si erano votati a chiunque, fidandosi ciecamente del Vaticano, ma come vogliamo dimostrare questo è stato un totale fallimento. Di certo non per colpa loro.
C’è chi è andato, come portavoce della famiglia, a chiedere i passaporti in Vaticano: è stato risposto che se si fosse dovuto smuovere mari e monti per Alfie, allora lo si sarebbe dovuto fare per tutti.
Grandi eccellenze incaricate di rapporti diplomatici hanno candidamente fatto capire di non rompere, perché si sarebbe potuto mettere in pericolo il lavoro diplomatico intrapreso dalla Segreteria di Stato Vaticana, che a ben vedere, come al solito, non ha ottenuto nulla.
In forza della diplomazia che nulla costa, nulla compromette ma sempre salva (agli occhi degli ingenui e dei media che li ingozzano) la neo-chiesa tace e abbandona gli agnelli condotti al macello.
In forza della diplomazia che nulla costa, nulla compromette ma sempre salva (agli occhi degli ingenui e dei media che li ingozzano) la neo-chiesa tace e abbandona gli agnelli condotti al macello.
Il disegno è chiaro. Lo è un po’ meno per chi ancora non ha capito che ai lupi piace sbranare le pecore.
E qui, di lupi travestiti da pastori, ne esistono parecchi. La vena dell’etichetta, dell’esclusiva e del selfie compulsivo o del post demenziale in bacheca, evidentemente fa sì che si possa passare oltre questi “piccoli” dettagli sull’attuale situazione nella Chiesa.
Il «tradizionalismo» e il «conservatorismo» uccidono passivamente
Nel mentre il vescovo di Liverpool taceva, insieme a tutta la codarda e ignava Conferenza Episcopale Inglese.
Il misericordiae vultus con cui si tentò di liquidare Thomas e Kate fu il riflesso perfetto del falso interesse verso l’essere umano che la neo-chiesa vorrebbe mostrare ogni giorno.
Mons. McMahon, infatti, «tradizionalista» tutto d’un pezzo che celebra anche la Messa antica, se ne venne fuori – anch’egli a causa della pressione mediatica che oramai lo aveva schiacciato – dicendo che la diocesi di Liverpool si era interessata alla vicenda dando assistenza spirituale al personale dell’Alder Hey, ma non ai due giovani genitori perché «non sono cattolici».
Il misericordiae vultus con cui si tentò di liquidare Thomas e Kate fu il riflesso perfetto del falso interesse verso l’essere umano che la neo-chiesa vorrebbe mostrare ogni giorno.
A parte il fatto che non è vero – e la famosa lettera che Tom scrisse di conseguenza al suo vescovo ne è la dimostrazione – è curioso notare come il sincretismo tanto in voga funzioni sempre solo quando non c’è da metterci la faccia per cause serie.
Oltre a ciò, McMahon ebbe il coraggio di dire che l’Alder Hey stava sicuramente agendo bene e per l’interesse del bambino e della famiglia Evans. Questo ancor prima dell’incontro con Bergoglio su cui ritorneremo più sotto, per non scombinare l’ordine cronologico dei fatti e le combinazioni di questo calderone.
Il «tradizionalista» McMahon è stato sicuramente sfacciato e ne dovrà rispondere un giorno: come diceva persino Giovanni Paolo II, di cui è certamente figlio spirituale, «arriverà il giudizio di Dio».
Tuttavia non è l’unico che ha le mani macchiate di complicità. Nel suo caso, sicuramente, trattasi di complicità attiva. Vi è però anche chi, con la solita inerzia, è c stato complice passivamente: dov’erano tutti quei cardinali e vescovi che marciano per le vie di Roma a favore della vita con circoli, gruppi, circoletti, sitarelli che si ergono a difensori della vita solo quando non costa una sporcata di mani?
Ché forse qualcuno pensa di potersi salvare con qualche benedizione fatta da casa, magari elogiando il Santo Padre per la premura avuta con Alfie, o con qualche tweet – come nel caso del Card. Sarah, uscito allo scoperto pochi giorni fa con una tweettata, senza nemmeno fare lo sforzo di scrivere una frase sua ma utilizzandone una del Prof. Lejeune – in grado di far salvare «socialmente» – cioè attraverso i social network orwelliani – la faccia?
La cosa più sconvolgente di tutta questa faccenda è stata appunto la codardia mostrata dagli pseudo- conversatori: chi sarebbe intervenuto senza il via libera del biancovestito?
Tutti, e dico tutti, hanno aspettato il lasciapassare di Santa Marta. Dopo di quello, un po’ di coda si è creata, segno tangibile che in questo modello falsificato di chiesa non vi è nessuna sussistenza, nessun onore, nessuna virilità da parte di coloro che vestono il color rosso porpora, insigne martyrium.
La cosa più sconvolgente di tutta questa faccenda è stata appunto la codardia mostrata dagli pseudo- conversatori: chi sarebbe intervenuto senza il via libera del biancovestito?
Un esempio eclatante di questa triste realtà lo ha dato ancora una volta il vescovo di Reggio-Emilia, Mons. Massimo Camisasca, che invece di organizzare Veglie di preghiera per Alfie, si lamentava della «pressione» di alcuni giovani fedeli che, unico gruppo nella sua Diocesi (e questo già da solo può rendere l’idea del fermento spirituale della Diocesi «rossa» reggiana), ne stavano organizzando una in tempi ristrettissimi e tra mille ostacoli ecclesial-burocratici (quando nella stessa Diocesi, con impressionante facilità, spuntano da diverso tempo veglie contro l’omofobia, la transfobia e simili bestialità).
Ebbene, oltre al lamentarsi dell’eccessiva «foga» di questi giovani – fra cui pure il sottoscritto – superbi e mancanti di umiltà nell’osare a chiedere a Sua Eccellenza tempi rapidi, per ovvi motivi che capirebbe chiunque si fosse davvero interessato al caso Alfie Evans (ma evidentemente non era questo il caso), il Vescovo ha lamentato un’idea troppo «battagliera» della Fede cristiana, sposando in toto la versione contraffatta post conciliare di una chiesa traditrice della propria identità missionaria e vuota dell’aspetto Militante che le è proprio.
Un portavoce del gruppo di fedeli, chiamato al telefono da Mons. Massimo, dopo esser stato abbastanza attaccato per i contenuti anzidetti, cercando di far capire alla Reverendissima Eccellenza l’urgenza oggettiva e non soggettiva della richiesta, si è sentito così rispondere: «Caso strano le vostre sono sempre urgenze prioritarie».
Ve ne sono invece altre, come quelle di far visita alle comunità di cristiani LGBT presenti in diocesi, sicuramente molto più urgenti.
Questa idea di Fede, totalmente appiattita all’ideale mondano e antropocentrico, viene evidenziata in modo lampante nelle ultime righe del comunicato che Sua Eccellenza ha pubblicato all’indomani del contatto con gli organizzatori della Veglia per Alfie reggiana. Dopo aver citato, esaltandole, «le parole del Santo Padre» su Alfie e il caso del francese Vincent Lambert, Camisasca conclude così:
«Benedico perciò ogni iniziativa di preghiera e di supplica a Dio. Non si tratta di una battaglia, ma di una vera affermazione di umanità e di amore all’uomo, a ogni uomo».
Mons. Camisasca, lo stesso Vescovo che non più di un anno fa, davanti agli organizzatori della processione di riparazione del GayPride di Reggio Emilia, ha rimproverato l’iniziativa colpevolizzando il Comitato Beata Giovanna Scopelli di aver favorito il successo mediatico ed economico dell’evento sodomitico.
In quell’occasione la Diocesi reggiana «offrì», per evitare la «vergogna» di tanti cattolici armati di rosario per le strade di Reggio Emilia, l’irrinunciabile proposta di una preghiera fatta al termine delle messe parrocchiali pre-festive del weekend precedente al Gay Pride.
Il segretario del vescovo avrebbe poi anche dichiarato che ci sono tanti bambini ammalati anche qui da noi, e che di cose brutte ne succedono anche nei nostri ospedali italiani: vi ricorda qualcosa? Come a Roma così a Reggio: «Signora, se lo facciamo per Alfie allora dovremmo farlo per tutti…» (il passaporto).
E si pensi che il sito di Notizie Pro Vita mise un cappello ad una lettera inviata a Mons. Camisasca e resa poi pubblica, prendendosi la briga di specificare che «non “la Chiesa”, ma “alcuni uomini di Chiesa” si stanno mostrando insensibili a questa deriva mortifera».
Per quanto ecclesiologicamente possa essere una definizione più precisa, rimane da capire dove sia rimasta l’altra parte degli uomini di chiesa, visto che nessuno si è fatto avanti scegliendo piuttosto la passività che uccide e che ha ucciso Alfie Evans all’azione.
Utilitarismo statal-ecclesiastico
I sonetti proposti anche dopo il gran chiasso mediatico creatosi attorno alla vicenda erano pregni di quell’utilitarismo tanto caro ai cianciatori del Vaticano, che hanno ripetuto ad abundantiam la necessità di un dialogo fra medici e famiglia, all’insegna del più becero e deleterio utilitarismo volontarista che non bada alla difesa della vita del bambino come miracolo voluto da Dio, ma come oggetto di contesa fra una volontà ed un’altra.
I cianciatori del Vaticano hanno ripetuto ad abundantiam la necessità di un dialogo fra medici e famiglia, all’insegna del più becero e deleterio utilitarismo volontarista che non bada alla difesa della vita del bambino come miracolo voluto da Dio, ma come oggetto di contesa fra una volontà ed un’altra.
Paglia, intervistato dalla Rai poche ore dopo il distacco della ventilazione ad Alfie – precisamente il 24 aprile – parlò di «una legge fredda che impedisce di ascoltare i genitori (…) perché la vita non è solo un fatto biologico, ma è relazione, affetto, è sentimento».
Messo in discussione il fatto biologico, come fece durante le prime dichiarazioni, Paglia avallò la tesi personalista secondo la quale è per sentimento o volontà che si deve decidere se porre o non porre fine alla vita di qualcuno: «nella decisione non possono non entrare i genitori, e non basta quindi un tribunale per decidere della vita e della morte».
Se i genitori di Alfie fossero stati d’accordo, ecco che allora Paglia e il calderone infernale che occupa la PAV avrebbe avuto meno gatte da pelare, gioendo per il lieto fine che avrebbe visto la morte di Alfie con imprimatur genitoriale ed ecclesiale (anche Beppino Englaro stava con i genitori di Alfie in effetti).
E per concludere questa tesi di morte autodeterminante, Paglia Vincenzo affermò che è «indispensabile una nuova alleanza fra il campo della medicina e il campo dell’umanità».
«Per quanto concerne il paziente, egli non è padrone di se stesso, del proprio corpo, del proprio spirito. Non può dunque disporne liberamente. Per quanto riguarda i medici, nessuno al mondo, nessuna persona privata, nessuna umana pietà, può autorizzare il medico alla diretta distruzione della vita; il suo ufficio non è di distruggere la vita ma di salvarla». Pio XII, 1957
Giusto per fare un salto indietro nel tempo, quando la Chiesa era Cattolica, è bene vedere quanto disse Pio XII, nel 1957, durante un discorso fatto agli operatori sanitari sulla rianimazione:
«Per quanto concerne il paziente, egli non è padrone di se stesso, del proprio corpo, del proprio spirito. Non può dunque disporne liberamente. Per quanto riguarda i medici, nessuno al mondo, nessuna persona privata, nessuna umana pietà, può autorizzare il medico alla diretta distruzione della vita; il suo ufficio non è di distruggere la vita ma di salvarla».
Con Alfie è avvenuto l’esatto opposto, con placet della neo-chiesa traditrice del proprio mandato.
A tale proposito colpisce anche il comunicato emesso dall’Accademia “Giovanni Paolo II per la Vita e la Famiglia” del 26 aprile, una costola staccatasi dalla PAV.
Nella dichiarazione, i membri partono da un presupposto che sembra scivolare sullo stesso errore a cui abbiamo or ora accennato, dando come prioritaria la riflessione sul rapporto genitori-bambino e Stato-bambino: «La domanda più ovvia che dovrebbe pungolare la nostra coscienza collettiva è: chi ha il diritto naturale di prendersi cura di Alfie e salvaguardare il suo migliore interesse? È lo Stato o sono i genitori del bambino? È evidente che i genitori, in virtù della relazione genitore-figlio, hanno il diritto naturale di agire nel miglior interesse e benessere del loro bambino; e l’esercizio di questo diritto non può essere negato ingiustamente dall’interferenza dello Stato coercitivo, tranne nei casi di abuso e negligenza».
Chi doveva essere un’alternativa alla Pontificia Accademia per la Vita, finisce per partire dagli stessi presupposti, se vogliamo espressi meglio.
Il comunicato non parte infatti nel modo giusto, e cioè affermando in maniera inequivocabile e primaria che Dio solo dona la vita, Dio solo la toglie. Noi abbiamo certo il dovere di custodire la vita facendo tutto ciò che possiamo ed adorando la volontà di Dio comunque vadano le cose. Solo per questo motivo si poteva appoggiare, ma secondariamente, la richiesta dei genitori di trasferire il figlio denunciando come violazione dei basilari e fondamentali diritti umani la negazione di essa.
Abbattuti ed invertiti faustianamente i motivi principali per cui difendere la vita, Vaticano & Co., in mezzo alla nebulosa di parole ambigue e meramente antropocentriche, arriva evidentemente a destare anche quel principio, per certi versi assurdo, che permette di fare obiezione di coscienza.
Quell’obiezione di coscienza che il povero Padre Gabriele Brusco aveva posto all’attenzione del personale sanitario e medico dell’Alder Hey, facendo presente che esiste una morale, un’etica e un codice deontologico per cui potersi rifiutare di prendere parte ad un atto che si ritiene illecito moralmente e in coscienza.
Alfie, insieme ai suoi genitori, sono stati lasciati nel più totale abbandono: medico, umano e spirituale.
Questa civile proposta, è evidente, dev’esser costata lui molto cara: non solo è stato denigrato da tutta l’equipe dell’ospedale inglese – tanto per capire quale dialogo e quale «alleanza fra medici e genitori» si sarebbe potuta stabilire, ma, casualmente a ridosso con l’incontro quasi carbonaro avvenuto fra Bergoglio e Mons. McMahon il 25 aprile scorso a Roma, Padre Gabriele è stato urgentemente richiamato a Londra da un suo superiore.
Di lui non si ha più traccia e Alfie, insieme ai suoi genitori, sono stati lasciati nel più totale abbandono: medico, umano e spirituale.
Le passerelle dell’Ospedale Bambin Gesù
Secondo alcuni però, il grande operato di Bergoglio e del Vaticano non starebbe solo nell’azione intrapresa attraverso Mons. Cavina – rivelatasi poi nulla, come già detto – ma anche e soprattutto nell’intervento dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma. In merito a questo sono doverose alcune, serie precisazioni.
Le varie passerelle tenutesi a Liverpool dal Presidente dell’ospedale romano non possono passare inosservate, soprattutto per le modalità di azione in cui è stata gestita la vicenda del piccolo Alfie.
La Consulta di Bioetica, pronunciandosi attraverso un comunicato agghiacciante, ha però colpito nel segno quando ha evidenziato che «già nel settembre 2017 la famiglia Evans aveva richiesto il parere di due specialisti indipendenti e di tre esperti del Bambin Gesù, i quali hanno cooperato coi medici dell’Adler Hey Hospital, giungendo alla unanime conclusione che “la condizione di Alfie è irreversibile e non più curabile” (Alfie’s condition is irreversible and untreatable). È sulla scorta di questa terribile realtà che i medici dell’ospedale di Liverpool si sono chiesti “se continuare il trattamento di Alfie fosse nel suo miglior interesse” o l’insistenza fosse una forma di accanimento terapeutico e hanno sentito il dovere professionale e morale di dare una risposta precisa, ossia quest’ultima».
Il tipo di approccio è perciò da considerarsi errato in partenza, perché si pronuncia sulla condizione clinica del bambino – e quindi sull’impossibilità di curarlo – e non su quel «prendersi cura» di lui nonostante la malattia, peraltro giammai veramente diagnosticata. Grazie a questo tipo di sentenza, sia l’Alder Hey che la Consulta di Bioetica hanno potuto spazzare via la volontà portata in campo mesi dopo dall’ospedale della Santa Sede.
Svista, o coscienza di ciò che si stava facendo?
La Consulta di Bioetica ha fondamentalmente ragione. Come mai il Bambin Gesù di Roma, da settembre fino a poco tempo prima che il caso arrivasse alle Alte Corti di boia inglesi, ha taciuto?
Se si permette ai necrocultori di attaccarsi a qualcosa, si è loro complici. Ecco perché la Consulta di Bioetica ha fondamentalmente ragione. Come mai il Bambin Gesù di Roma, da settembre fino a poco tempo prima che il caso arrivasse alle Alte Corti di boia inglesi, ha taciuto?
Abbiamo visto Mariella Enoc farsi intervistare dietro alle gigantografie di Bergoglio; l’abbiamo vista volare a Liverpool «non per portare via il bambino ma per esprimere ai genitori la vicinanza del Santo Padre».
Qual è stato allora, veramente, il loro ruolo in tutta questa macabra vicenda?
Quale contributo hanno portato attraverso il loro dialogo che però, casualmente, è diventato importante solo quando il clamore mediatico non poteva permettere a nessuno di sottrarsi?
E da settembre a poco tempo fa, dove erano finiti tutti coloro che ora piangono Alfie?
Qualcuno dice che se ne sono semplicemente fregati.
La Enoc, il giorno stesso della morte del piccolo, dicendosi addolorata ha ribadito l’importanza di «continuare a lavorare tutti insieme e a investire sulla ricerca scientifica perché si possa dare una possibilità a questi bambini e una risposta a queste famiglie». Allo stesso tempo, ha continuato, «dobbiamo anche iniziare una vera riflessione comune, a livello internazionale: dobbiamo mettere insieme scienziati, clinici, pazienti, famiglie istituzioni, perché non si ripetano questi scontri e queste battaglie ideologiche».
Il tipo di battaglia sarebbe solo dunque di natura ideologica.
Inutile commentare.
E’ invece interessante collegarsi al discorso della «ricerca scientifica».
Mercoledì 25 aprile, mentre Bergoglio incontrava il vescovo di Liverpool, sul Corriere della Sera appariva un’intervista rilasciata dalla Enoc sul caso del piccolo Alfie.
«La nostra funzione non è guarire, ma curare, e per cura intendo ogni forma di sostegno» dice la Enoc in veste di Presidente del Bambin Gesù contraddicendo quantomeno le modalità del settembre 2017.
«Bisogna capire le origini genetiche di questa malattia, innanzitutto, per tutelare la giovane mamma nelle future gravidanze»: Non sembra azzardato interpretare le parole della Enoc, pur mantenendo il beneficio del dubbio, come una corsa ai ripari per proporre come potrebbero proporre ai Gard (il caso di Charlie fu relativo appunto ad una patologia mitocondriale) la «Three Parents IVF»: il programma per la fecondazione in vitro a tre genitori.
«Noi avremmo accolto Alfie garantendo le terapie necessarie, senza accanimento terapeutico». Cedendo sui termini tanto cari al sistema eutanatico («accanimento terapeutico»), e che Bergoglio e Paglia amano sovente ripetere, la Enoc arriva poi a parlare curiosamente di genetica:
«Bisogna capire le origini genetiche di questa malattia, innanzitutto, per tutelare la giovane mamma nelle future gravidanze».
Cosa vuol dire questo? Proviamo a rispondere.
Tutti sospettano che dietro alla malattia neurodegenerativa di Alfie vi sia, come ne caso di Charlie Gard, una malattia mitocondriale di natura genetica.
Non sembra azzardato interpretare le parole della Enoc, pur mantenendo il beneficio del dubbio, come una corsa ai ripari per proporre come potrebbero proporre ai Gard (il caso di Charlie fu relativo appunto ad una patologia mitocondriale) la «Three Parents IVF»: il programma per la fecondazione in vitro a tre genitori.
Se si scoprisse che la madre è portatrice sana, in provetta saranno pronti a creare il bambino a tre genitori.
Come? Facendo fecondare uno spermatozoo con un ovulo che ha il nucleo della «madre» e i mitocondri – se di malattia mitocondriale si tratterà – di un’altra «madre».
Geneticamente parlando il bambino sarà figlio non di uno, non di due, ma bensì di tre genitori. Alcuni microbiologi «cattolici», fra cui dei padri domenicani, si stanno del resto adoperando per poter presto affermare che la modifica dei geni per ottenere pazienti ancora più sani delle persone normalmente sane deve essere permessa moralmente.
Questi, dunque, i futuri interessi “scientifici” degli ospedali italiani?
Conclusione
La neo-chiesa e tutto l’aria mefitica che ha girato dal Vaticano fino a Liverpool ha responsabilità gravi. Le brecce che sono state aperte negli anni passati sui temi bioetici hanno raggiunto il loro apice, oggi.
Da Ratzinger che fu iscritto all’elenco dei donatori di organi definendo la donazione «un atto spontaneo» e di amore – creando i presupposti tecnici per permettere ai predatori diabolici di parlare di «apertura nella Chiesa» per quanto riguarda la cosiddetta morte cerebrale – fino a giungere alla Pontificia Accademia della Vita che vuole palesemente l’eutanasia di Stato.
Alfie è la nuova vittima sacrificata, che fa comodo, che rompe gli argini ancora rimasti in piedi sotto il boato di silenzio di una neo-chiesa complice e sfacciatamente colpevole. Al Cardinal Nichols è stata affidata la conclusione di questo racconto dell’orrore, senza che nessuno, e dico nessuno, levasse la voce contro le sue bestialità pronunciate a cadavere caldo.
L’incontro e i sorrisi a 33 denti fra Bergoglio e Katy Perry, avvenuto il giorno dopo la morte di Alfie, tracciano un evidente interessamento per i personaggi a cui tutt’alpiù bisognerebbe sputare in faccia. Nota satanista per stessa ammissione dei genitori, la Perry è per logica conseguenza una grande cultrice dei diritti LGBT e dell’eutanasia.
Conoscendo i suoi videoclip parasatanisti, sarà probabilmente contenta che il bambino Alfie sia stato sacrificato al Male.
Tutti gli accordi presi nel silenzio e nel calo del clamore mediatico ne sono la triste riprova: Alfie è morto da solo.
La sua morte è stata overtianamente accettata nel momento in cui tutti, “cattolici” in primis, hanno detto straziati e con fare edulcorato che «Alfie si è spento», che «Alfie è volato via».
Chi ama la vera Chiesa – è il caso di dirlo – oggi deve odiare il Vaticano insieme a tutto l’aria metifica che lo circonda. Bisogna distruggere le fondamenta di questa neo-chiesa, staccarsi da essa, denunciarla. Essa è la rappresentazione più anticristica che vi possa essere e sta preparando, con gran cura, il gran trono su cui far sedere l’Antico Avversario.
Eppure Thomas lo aveva detto nello stesso pomeriggio in cui poi, misteriosamente, calò il silenzio: «Il Papa venga qui a vedere cosa sta succedendo»…
Chi ama la vera Chiesa – è il caso di dirlo – oggi deve odiare il Vaticano insieme a tutto l’aria metifica che lo circonda.
Bisogna distruggere le fondamenta di questa neo-chiesa, staccarsi da essa, denunciarla. Essa è la rappresentazione più anticristica che vi possa essere e sta preparando, con gran cura, il gran trono su cui far sedere l’Antico Avversario.
Il piccolo gregge di fedeli deve opporsi con tutte le forze possibili.
L’intercessione di quei piccoli martiri uccisi in sfregio a Dio sarà con noi.
Il loro sangue innocente sarà quello che si abbatterà insieme al braccio di Cristo su tutto il calderone di morte che è stato creato contro di loro, contro il miracolo della Vita fin dal suo concepimento che è, in fondo, la perfetta immagine riflessa dell’Incarnazione di Nostro Signore, unico Padrone di tutte le cose, della Vita e della Morte, dando Vita Eterna ai giusti e dannazione senza fine ai malvagi.
Cristiano Lugli
Eutanasia
Eutanasia, verso leggi più permissive in Australia

Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
La prima eutanasia legale nello stato australiano di Victoria ha avuto luogo il 15 luglio 2019. Quasi quattro anni dopo, i sostenitori chiedono l’allentamento di alcune delle 68 tutele previste dalla legislazione.
A giugno lo Stato dovrebbe condurre una revisione della legislazione. È improbabile trovare che dovrebbe essere più severo. Un editoriale del quotidiano più influente dello Stato, The Age, si è lamentato del fatto che «ci sono molti ostacoli che hanno reso difficile l’accesso».
Raccomanda in particolare tre misure. In primo luogo, ai medici dovrebbe essere consentito «di utilizzare dispositivi elettronici quando comunicano con coloro che cercano di ottenere l’accesso all’eutanasia». Questa restrizione è stata introdotta dal governo federale per proteggere le persone vulnerabili dal suicidio. Ma i sostenitori della morte assistita affermano che le telefonate o Zoom renderanno più facile per le persone nelle regioni periferiche consultare i medici.
In secondo luogo, ora che tutti gli stati confinanti hanno legalizzato l’eutanasia, il requisito di residenza di un anno dovrebbe essere eliminato.
E terzo, «a livello statale, la maggior parte delle altre giurisdizioni non impedisce ai medici di avviare conversazioni a condizione che forniscano informazioni su tutte le opzioni, comprese le cure palliative. Questo è un cambiamento sensato che dovrebbe essere adottato in Victoria».
L’editoriale trascura di menzionare che tali conversazioni potrebbero aver portato allo scandalo dei veterani canadesi a cui è stata offerta l’eutanasia come opzione appropriata per le loro disabilità.
Come hanno sottolineato i critici della legge canadese sulla morte assistita : «nessuno dovrebbe suggerire a un’altra persona, specialmente a una persona che vive con una disabilità, che la sua vita non è degna di essere vissuta».
L’editoriale conclude: «nonostante tutta la paura e l’odio che si sono generati quando le leggi sull’eutanasia sono state approvate dal Parlamento, si sono dimostrate straordinariamente senza controversie nella pratica. Queste sono buone leggi che, con alcune riforme pragmatiche e ragionevoli, potrebbero essere migliorate».
Michael Cook
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Immagine di Melbpal via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Eutanasia
Il capo dell’eutanasia belga spiega l’aumento del 10%.

Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Perché sempre più persone ricorrono all’eutanasia in Belgio?
Il numero di casi di eutanasia in Belgio è aumentato del 9,85% rispetto all’anno precedente nel 2022, secondo i dati pubblicati il 17 febbraio dalla Commissione federale per il controllo e la valutazione dell’eutanasia. Il numero di persone decedute è stato di 2.966, il 2,5% dei decessi in Belgio.
Il capo della Commissione, il dott. Wim Distelmans, ha spiegato a VRT, un sito di notizie belga, che «c’è un aumento dei casi di eutanasia registrati. Questo perché c’è più consapevolezza sulla legge sull’eutanasia tra la popolazione, sospettiamo».
Dal 2002, quando l’eutanasia è stata legalizzata, più neerlandesi che francofoni hanno cercato aiuto per morire. Tuttavia, il rapporto sta diventando più piccolo. «L’anno scorso il rapporto era del 70% di madrelingua olandese rispetto al 30% di madrelingua francese», afferma Distelmans. «All’inizio, quel rapporto era 80-20».
Cosa spiega il cambiamento? Il numero di parlanti olandesi sta crescendo, ma a un ritmo più lento.
Distelmans ritiene che la cattiva pubblicità per il processo di eutanasia dopo il caso di Tina Nys potrebbe avere qualcosa a che fare con questo. La donna di 38 anni è stata soppressa nel 2010, ma la sua famiglia ha affermato che le procedure previste dalla legge non erano state rispettate. Tre medici sono stati processati. Sono stati esonerati, ma l’incidente potrebbe aver scoraggiato alcune persone nelle Fiandre, dove il caso era più nelle notizie, dall’approfittare dell’eutanasia legale.
Distelmans ha affermato che 61 stranieri, per lo più francesi, sono stati soppressi nel 2022.
«La legge belga sull’eutanasia non richiede che qualcuno debba essere belga. Sempre più stranieri lo hanno capito e vengono in Belgio tramite Internet. Il fatto che ciò stia accadendo indica che anche quei Paesi dovrebbero votare per una legge sull’eutanasia in modo che i loro abitanti non debbano venire in Belgio», ha affermato.
Michael Cook
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Eutanasia
La Svizzera inizia con l’eutanasia dei carcerati

Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Per la prima volta in Svizzera, un detenuto di una prigione ha posto fine alla sua vita con l’aiuto di un’organizzazione di suicidio assistito, Exit.
Il prigioniero maschio era stato detenuto a Bostadel, vicino a Zurigo. È morto il 28 febbraio. Exit ha rifiutato di rilasciare il nome dell’uomo per motivi di privacy.
Le autorità di Zurigo hanno dichiarato ai media che il diritto al suicidio assistito si applica anche ai detenuti a causa del loro diritto all’«autodeterminazione». La procedura si svolge normalmente a casa. In alcuni cantoni può svolgersi anche in case di cura o ospedali. Il suicidio del prigioniero è avvenuto fuori dal carcere.
La questione del suicidio assistito del prigioniero è stata dibattuta in Svizzera per diversi anni. Nel 2018 Peter Vogt, uno stupratore che sconta l’ergastolo, ha chiesto il suicidio assistito, ma la sua richiesta è stata respinta. «È più umano voler suicidarsi che essere sepolto vivo per gli anni a venire», ha scritto all’agenzia di stampa AFP, dicendo che soffriva di molteplici malattie come insufficienza renale e cardiaca.
Un articolo pubblicato l’anno scorso sull’importante rivista Bioethics, sosteneva che i detenuti dovrebbero avere il diritto al suicidio assistito, specialmente se non c’è la pena di morte. Yoann Della Croce, dell’Università di Ginevra, ha sostenuto che «il diritto di accedere al suicidio assistito è da intendersi come una libertà che non può essere sottratta ai detenuti».
Inoltre, dice, sebbene i detenuti manchino di autonomia, questo non è necessariamente un ostacolo. «Non c’è alcuna differenza sostanziale tra la situazione dei detenuti e altri casi come una grave disabilità a seguito di un incidente».
Michael Cook
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