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Economia

La Francia manderà l’Italia in blackout?

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Il conto primo o poi lo avremo pagato. Tanto più che dall’altra parte del cavo vi è un Paese che ci è tradizionalmente ostile: la Francia.

 

E così, sul giornale degli Agnelli-Elkann (questi ultimi, in origine rabbini parigini) dobbiamo leggere che, sulla via francigena dell’elettricità, si prepara una catastrofe energetica ulteriore per l’Italia.

 

«La Francia minaccia concretamente di tagliare la fornitura elettrica all’Italia nel corso dei prossimi due anni, a causa delle difficoltà interne legate all’inoperatività di circa la metà dei suoi reattori nucleari che sono impegnati in manutenzione» scrive La Repubblica.

 

L’Italia importa dalla Francia una certa quantità di energia elettrica, che si pensa attorno al 4-5%. Si tratta di una cifra non esattamente trascurabile: provate a pensare, facendo una proporzione veloce, a tre milioni di italiani che rimangono senza luce.

 

La dipendenza da Francia e Svizzera è arrivata con la decisione, partorita dal referendum antinucleare del 1986 (l’unico referendum davvero rispettato!) di chiudere le nostre centrali atomiche.

 

Ora, l’«equilibrio è a rischio perché EDF, il colosso energetico francese che è stato appena nazionalizzato, avrebbe avvisato i gestori della rete italiana della possibilità di bloccare il dispacciamento verso questa sponda delle Alpi nel 2023 e 2024, per privilegiare le esigenze interne» scrive il quotidiano di Largo Fochetti. «La produzione elettrica transalpina dal nucleare è destinata a precipitare ai mini da trent’anni, trasformando Parigi da un esportatore netto di elettricità a un importatore. Un problema che si somma ai ben noti in arrivo in questi mesi da Mosca».

 

Renovatio 21 vi ha già parlato dello strano momento che la Francia sta vivendo riguardo al nucleare: nega al governo britannico  di prolungare la vita della centrale di Hinkley Point B (di proprietà della rinazionalizzata EDF), si trova a fare manutenzioni impreviste, fa andare avanti gli impianti anche se l’acqua per il raffreddamento ha una temperatura fuori norma, il tutto mentre Macron parla di razionamenti e «fine dell’abbondanza», vuol spegnere lampioni e monumenti ma al contempo parla di «rinascita dell’industria nucleare francese».

 

Ora, i responsabili della rete elettrica sentiti da Repubblica minimizzano. Al di là della possibilità di ulteriori razionamenti o addirittura blackout causati dal fornitore francese, noi pensiamo alla politica intraeuropea: pensiamo al famoso Trattato del Quirinale.

 

Pensavamo che il Trattato firmato da Draghi e Macron chez-Mattarella fosse una fregatura; ora abbiamo la prova che fra i due Paesi non è possibile un rapporto che non sia la predazione da parte di Parigi delle nostre risorse: la quantità di imprese e società italiane finite apertamente o subdolamente sotto influenza francese crediamo sia sotto gli occhi di tutti.

 

Ma non è solo l’Italia che piangerà, lo sappiamo bene.

 

In Germania, il quotidiano Neue Osnabrücker Zeitung ha riferito il 16 settembre che l’associazione locale dei servizi pubblici del Paese, la VKU, ha previsto che i prezzi dell’elettricità quest’anno potrebbero aumentare fino al 60%.

 

Cose belle arrivano anche dai confini dell’impero suicida UE, la Moldavia.

 

Seguendo quanto fatto dal potere in Polonia e dalla Deutsche Bank in Germania,  il governo moldavo ha aperto un sito web dedicato: per raccogliere legna per questo inverno.

 

«Il sito fornisce informazioni sulla silvicoltura più vicina, facilitando così il processo di fornitura alla popolazione di legna da ardere per il riscaldamento», ha affermato in una nota il servizio stampa del Gabinetto dei ministri di Chisinau.

 

La Moldavia, come tanti altri Paesi, sta affrontando una catastrofe: i prezzi del gas sono quintuplicati nel 2022; l’inflazione complessiva è superiore al 30%; e il governo sta esortando la popolazione a ridurre il più possibile il consumo di gas. La Moldavia avrebbe anche una scadenza per il 1° ottobre per negoziare il rimborso del debito con la russa Gazprom, altrimenti potrebbe vedere le sue forniture di gas tagliate del tutto.

 

Nel frattempo, in tutto il mondo vediamo la nuova corsa alla costruzione di centrali atomiche. L’Olanda le vuole. La Corea del Sud le vuole. Il Giappone continua a riaccendere le centrali. Gran parte della Germania, pure qualche ministro, vorrebbe tenersela. La Cina va dritta nonostante misteri e disastri appena scampati (in centrali dove ha investito pure Hunter Biden).

 

Inutile ricordare al lettore chi domina la produzione di energia nucleare, con ampia expertise sulla tecnologia, nel mondo: bravi, la Federazione Russa.

 

Ricordando sempre che pure Bill Gates, novello Montgomery Burns, sta costruendo una sua centrale atomica in Wyoming.

 

E l’Italia?

 

Ferma al referendum di quasi 40 anni fa, quando c’erano ancora i Verdi, un partito tra i tanti (Socialisti, Democristiani, Socialdemocratici, Repubblicani, Liberali) spazzati via pochi anni dopo: il danno fatto, tuttavia, è rimasto con noi, e lo patiremo in modo assai doloroso.

 

Tra qualche giorno il Paese voterà un nuovo Parlamento: qualcuno ha sentito parlare di nucleare da qualche parte?

 

Del resto, sappiamo che l’Italia denuclearizzata è un grande affare per il cugino francese. Il quale premia solennemente con Legions d’honeur a raffica personaggi di un dato partito politico maggioritario, che ha inglobato molte delle istanze dei Verdi, e che di fatto si propone come esecutore di quell’Agenda Verde onusiana che tanto piace anche al Klaus Schwabbo.

 

Anche di questo, qualcuno prima o poi ci vorrà parlare?

 

 

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Economia

Petrolio, l’Iraq avverte: si va verso i 300 dollari al barile

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L’escalation delle tensioni in Medio Oriente e la possibile chiusura dello Stretto di Hormuz potrebbero far salire i prezzi del petrolio fino a 300 dollari al barile, ha avvertito il ministro degli Esteri iracheno Fuad Hussein durante una conversazione telefonica con il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul.

 

Venerdì mattina, gli aerei israeliani hanno bombardato siti militari e nucleari in tutto l’Iran, dando il via a un continuo scambio di ostilità tra i due Paesi.

 

Secondo Hussein, i prezzi del petrolio potrebbero salire fino a raggiungere una cifra compresa tra 200 e 300 dollari al barile «se dovessero scoppiare operazioni militari, il che aumenterebbe significativamente i tassi di inflazione nei paesi europei e complicherebbe le esportazioni di petrolio per gli stati produttori come l’Iraq».

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La chiusura dello Stretto di Hormuz, una via di trasporto fondamentale, potrebbe «comportare la perdita di circa cinque milioni di barili al giorno dalle forniture di petrolio del Golfo e dell’Iraq sul mercato globale», ha affermato il ministro degli Esteri iracheno.

 

Lo Stretto di Hormuz è un passaggio marittimo cruciale attraverso il quale transita circa il 20% del petrolio mondiale. Sabato, il parlamentare iraniano e comandante del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, Esmail Kousari, ha dichiarato che Teheran sta seriamente valutando la possibilità di chiudere lo stretto al traffico marittimo.

 

Gli analisti hanno evidenziato il potenziale impatto di una simile chiusura sui prezzi globali del petrolio. Gli analisti di JPMorgan stimano che, in uno scenario grave, il petrolio potrebbe salire a 130 dollari al barile. Altri esperti suggeriscono che un blocco totale potrebbe spingere i prezzi ancora più in alto, con alcune previsioni che potrebbero raggiungere i 300 dollari al barile.

 

Venerdì, i prezzi del greggio Brent sono saliti del 7%, raggiungendo i 74,23 dollari al barile, in risposta ai primi attacchi. Sebbene Israele non abbia preso di mira i principali siti di esportazione petrolifera iraniani, gli analisti avvertono che futuri attacchi potrebbero avere gravi ripercussioni sulle forniture di petrolio. Al contrario, la Repubblica Islamica potrebbe reagire interrompendo le spedizioni di petrolio attraverso lo Stretto di Hormuzzo.

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Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi mesi i prezzi mondiali del petrolio sono aumentati a cause delle ultime sanzioni alla Russia.

 

Nel frattempo, in Russia, il capo della commissione per la politica dell’informazione del Consiglio della Federazione, Aleksej Pushkov, ha affermato che il conflitto tra Israele e Iran potrebbe portare a un aumento significativo dei prezzi del petrolio a causa del possibile blocco del Golfo Persico da parte di Teheran.

 

Come riportato da Renovatio 21, otto mesi fa la Banca d’Inghilterra aveva lanciato l’allarme shock sui prezzi del petrolio.

 

Negli ultimi mesi ha fatto la sua ricomparsa sul mercato anche il petrolio libico.

 

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Economia

La trappola degli Stablecoin: parlano gli esperti

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Gli stablecoin – tipo di criptovaluta in cui il valore dell’asset digitale dovrebbe essere agganciato a un asset di riferimento, che può essere moneta fiat, materie prime negoziate in borsa o perfino un’altra criptovaluta – hanno numerosi sostenitori all’interno dell’amministrazione Trump e nel Congresso degli Stati Uniti, scrive EIR.   I fautori istituzionali degli stablecoin li descrivono come un mezzo per sostenere il debito statunitense, tuttavia alcuni osservatori ritengono che qualora la deregolamentazione del GENIUS Act dovesse essere approvata, il Tesoro statunitense sarà costretto a sostenere la proliferazione di stablecoin digitali e private, in un modo che potrebbe creare una carenza di liquidità e rendere il debito pubblico statunitense meno sostenibile.   Un paper scritto dal professore Yesha Yadav della Vanderbilt University e Brendan Malone (un esperto indipendente) chiarisce la situazione degli stablecoini.

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Nel capitolo intitolato «Rischi degli stablecoin per il mercato dei titoli del Tesoro statunitensi», gli autori spiegano che «il mercato dei titoli del Tesoro ha ora il compito di fornire direttamente gli asset necessari per il pagamento dei crediti monetari denominati in dollari emessi privatamente, progettati per ancorare un sistema di pagamento globale in dollari basato sulla blockchain».   Ciò ha implicazioni importanti. In primo luogo, richiede di «garantire che la liquidità del mercato dei titoli del Tesoro sia sufficiente a supportare i rimborsi massicci di crediti in stablecoin, nonché di fornire la garanzia che tale capacità sia prontamente disponibile. È anche ipotizzabile che l’elevata crescita del mercato dei stablecoin metta a dura prova la liquidità del mercato dei titoli del Tesoro, con la politica potenzialmente predisposta a dare priorità ai rimborsi di stablecoini, dato il loro ruolo preminente futuro nei pagamenti globali in dollari statunitensi».   Concretamente, ciò significa che il Tesoro è costretto a emettere sempre più obbligazioni a breve termine, al fine di fornire agli emittenti di stablecoin la quantità necessaria di liquidità.   Cosa accadrebbe se ci fosse – e ci sarà – una liquidazione massiccia di stablecoin? Attualmente, il mercato degli stablecoini vale 200 miliardi di dollari, mentre la quantità media giornaliera di titoli del Tesoro scambiata sul mercato secondario è di 900 miliardi di dollari. Una liquidazione massiccia non causerebbe una grave crisi.   Si calcola però che, attraverso la deregolamentazione, il mercato delle stablecoin raggiungerà un volume di transazioni giornaliere di 2.000 miliardi di dollari entro il 2028.

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È stato riportato che BlackRock intende investire 16.000 miliardi di dollari in stablecoini entro il 2030.   Gli autori del documento non respingono l’idea degli stablecoini, ma invitano i decisori politici a introdurre una regolamentazione tale da amplificare i benefici reciproci e ridurre i rischi.   «Fondamentalmente, collegando così strettamente il mercato dei titoli del Tesoro a un nuovo sistema di pagamento internazionale, la politica monetaria non può permettersi di trattare ciascun sistema come distinto» scrive il paper. «Piuttosto, entrambi stanno diventando sempre più interconnessi, tanto che i futuri effetti collaterali del mercato dei titoli del Tesoro avranno un impatto diretto sui meccanismi di pagamento in dollari digitali, mentre il rischio di insolvenza degli emittenti di stablecoin crea un potenziale dirompente per l’apparente invincibilità del mercato dei titoli del Tesoro statunitense».

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Economia

L’oro supera l’euro nelle riserve globali

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L’oro ha superato l’euro, diventando la seconda riserva mondiale per valore di mercato. Lo sostiene la Banca Centrale Europea.

 

La BCE attribuisce questo cambiamento agli acquisti record da parte delle banche centrali e alle crescenti tensioni geopolitiche.

 

Le banche centrali hanno aumentato le loro riserve auree di oltre 1.000 tonnellate nel 2024, il doppio della quantità media annua registrata nel decennio precedente, portando il totale delle riserve ufficiali a 36.000 tonnellate, vicino al picco del 1965 durante l’era di Bretton Woods, secondo la BCE.

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«Questa riserva, insieme ai prezzi elevati, ha reso l’oro la seconda riserva globale per valore di mercato nel 2024, dopo il dollaro USA», ha dichiarato mercoledì la BCE nella sua analisi annuale del ruolo internazionale dell’euro.

 

In termini di valore di mercato, l’oro rappresentava il 20% delle riserve ufficiali globali alla fine del 2024, superando l’euro al 16%. Il prezzo dell’oro è aumentato di quasi il 30% nel 2024, raggiungendo massimi storici superiori a 3.500 dollari l’oncia troy, aumentando significativamente la sua quota nei portafogli di riserva.

 

La BCE ha rilevato che «due terzi delle banche centrali hanno investito in oro a fini di diversificazione, mentre due quinti lo hanno fatto per proteggersi dal rischio geopolitico». Molti dei maggiori acquirenti sono stati le economie emergenti, in particolare quelle geopoliticamente meno allineate con l’Occidente.

 

 

Sebbene la quota dell’euro nelle riserve globali, misurata a tassi di cambio costanti, si sia mantenuta stabile intorno al 20%, è stata superata in termini di valore di mercato a causa dell’impennata del prezzo dell’oro. «Il ruolo internazionale dell’euro è rimasto sostanzialmente stabile nel 2024», ha osservato la BCE, sottolineando che l’euro è rimasto la seconda valuta più utilizzata in assoluto.

 

La BCE ha inoltre osservato che «alcuni Paesi hanno attivamente esplorato alternative ai tradizionali sistemi di pagamento transfrontalieri».

 

Questi Paesi sono principalmente «fortemente influenzati da fattori geopolitici» come il conflitto in Ucraina e le conseguenti sanzioni, le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina, l’instabilità in Medio Oriente e una più ampia spinta dei paesi BRICS a ridurre la dipendenza dai sistemi finanziari occidentali.

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La BCE ha inoltre avvertito che l’euro si trova ad affrontare nuove sfide derivanti da sviluppi come il crescente ruolo delle criptovalute nei pagamenti transfrontalieri e il crescente utilizzo di stablecoin garantite dai titoli del Tesoro statunitensi. Secondo il rapporto, la quota del dollaro USA nelle riserve valutarie è leggermente diminuita al 57,8%.

 

Come riportato da Renovatio 21, un anno fa, quando si parlava di massimo storico, l’ora aveva raggiunto «appena» i 2.400 dollari l’oncia.

 

Come riportato da Renovatio 21, a inizio 2024 la Russia aveva parlato di un ritorno all’economia basata sul valore dell’oro. Gli economisti russi Sergej Glazev e Dmitrij Mitjaev avevano sostenuto l’uso dell’oro per proteggere il sistema finanziario russo mentre «salta giù» dal sistema basato sul dollaro in bancarotta e aiuta a stabilire una nuova architettura finanziaria internazionale. La proposta era quella di una sorta di «rublo d’oro 3.0».

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