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Pensiero

Macron vi ordina di accettare «la fine dell’abbondanza»

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La settimana scorsa il presidente francese Emmanuel Macron ha usato pubblicamente un’espressione che rimarrà negli anni: al popolo francese, egli ha dichiarato «la fine dell’era dell’abbondanza»

 

Diciamo popolo francese, ma è chiaro che queste parole sono rivolte a tutti i popoli europei.

 

Vi sono state delle reazioni di qualche tipo, come quelle dei leader sindacali, che hanno risposto: «Quale abbondanza?»

 

Tuttavia, probabilmente anche i più accaniti sindacalisti non hanno capito che quella di Macron non era un’affermazione, ma un ordine.

 

Fine dell’abbondanza, significa fine della prosperità – cioè, tecnicamente, fine della crescita, inizio della decrescita.

 

Il mondo umano intero deve contrarsi, nelle sue ricchezze e nelle sue attività, soprattutto nel suo numero di persone.

 

«Stiamo vivendo alla fine di quella che potrebbe sembrare [un’età] di abbondanza, di spensieratezza, di flusso di cassa infinito, per la quale ora dobbiamo affrontare le conseguenze in termini di finanze statali, dell’abbondanza di prodotti e tecnologie che sembravano essere perennemente disponibili… La rottura delle filiere del valore, la carenza di questo o quel materiale o tecnologia, la fine dell’abbondanza di terra e di risorse, e anche quella dell’acqua, tutto ciò sta tornando».

 

Questo, in teoria, è un messaggio alle forze di governo francese, che Macron nemmeno controlla.

 

Singolare che un appello all’unità sia oggi possa esprimersi come imperativo malthusiano.

 

Perché dietro, il bizzarro ragazzo-presidente ha sempre il solito vento climatico.

 

«Dobbiamo ridurre le nostre emissioni di gas serra, raddoppiare gli sforzi che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni, trasformare il Paese ancora più rapidamente in modo da poter affrontare questi cambiamenti».

 

Nota bene: queste parole vengono dallo stesso presidente che poche settimane fa parlava di «rinascita dell’industria nucleare francese». Salvo poi, chiaramente, parlare di «economia di guerra» e annunciare anche per la Francia razionamenti energetici, anche se Parigi non ha praticamente alcuna dipendenza economica dal gas russo. La Ville lumière a luci spente: eloquente.

 

Il lettore sa tuttavia che il fine ultimo del grande piano è sempre il solito: sterilizzarvi, castrarvi, impedirvi di fare i figli, ucciderli in caso, come il nonno, uccidere anche voi, che siamo troppi, ed è troppo difficile controllare tutto.

 

Macron ha dato il buon esempio, non facendo figli, epperò sposando una che ha figli dell’età di Macron, che erano pure suoi amici.

 

E se parliamo di controllo, credeteci: guardate cosa ha fatto il presidente francese, che ha lanciato l’ID digitale a poche ore dalla rielezione. 

 

Come i francesi lo abbiano votato per noi rimane un mistero, tuttavia vediamo che, almeno negli incontri pubblici, tra pomodori e dita medie e manifestazioni oceaniche contro di lui, non sembra che il Macrone sia amatissimo.

 

Tuttavia, come abbiamo visto anche da noi, cosa importa?

 

Ci stanno dicendo, da lustri, che non è possibile per noi scegliere i nostri leader.

 

In realtà, tra vaccini, censure, green pass e repressione, ci stanno dicendo che non è più possibile scegliere per la nostra esistenza.

 

La «fine dell’abbondanza» è la «fine della vostra vita».

 

Abituatevi alla cosa. È un ordine.

 

 

 

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Pensiero

Sacerdote tradizionalista «interdetto» dalla diocesi di Reggio: dove sta la Fede cattolica?

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Ci risiamo.

 

A Reggio Emilia, ancora una volta, la Diocesi torna ad esprimersi su due sacerdoti che da qualche anno hanno preso residenza sulle colline di Casalgrande Alto, in un’altura che sormonta e si affaccia su tutto il panorama padano della provincia.

 

Il settimanale cattolico reggiano La Libertà, nella sua versione online, vero e proprio megafono della Diocesi, rende nota la vicenda riuscendo a sbagliare subito il bersaglio, ovvero pubblicando la foto di un castello presente a Casalgrande Alto e identificandolo, nella didascalia, come «sede della Città della divina misericordia». Peccato che quel castello non sia affatto la sede dei due sacerdoti. 

 

Ma tornando ai due preti, trattasi di don Claudio Crescimanno e don Andrea Maccabiani, già da tempo saliti agli onori della cronaca locale e nazionale a motivo di quella che la stessa Curia ritiene essere una presenza, ma soprattutto un ministero, illecito e non autorizzato dalle gerarchie. 

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Cosa fanno di così strano questi due sacerdoti? In sintesi: si limitano a fare i preti, celebrano la Santa Messa, amministrano i sacramenti e assicurano una buona formazione cattolica a ragazzi ed adulti. Insieme a loro, in quella che potremmo tranquillamente definire un’umile dimora, ci sono alcuni animali facenti parte di quella che è un’azienda agricola gestita dagli stessi sacerdoti con l’aiuto di qualche laico.

 

Nessun clamore. Nessun profilo appariscente o volutamente polemico, sulle colline di Casalgrande si respira piuttosto un certo silenzio e uno stile di vita molto tranquillo, sia per i sacerdoti che per i laici che frequentano la piccola comunità sorta per un semplice e quanto mai pratico motivo – cercare ciò che nelle istituzioni ordinarie ecclesiali ora sembra mancare: la Fede cattolica. 

 

Ebbene si sa che oggi, la categoria più detestata dalla gerarchia ecclesiastica, è proprio quella che nella semplicità della tradizione bimillenaria della Chiesa Cattolica, ricerca la Fede così come sempre è stata insegnata, attraverso il catechismo e la liturgia, quest’ultima vera e propria teologia pregata

 

Non potevano, a motivo di quanto appena accennato, passare inosservati due sacerdoti stanchi delle istituzioni ordinarie, stanchi di strutture senza Fede e liturgie protestantizzate («Signore io non sono degno di partecipare alla Tua mensa», recitano in coro tutti coloro i quali continuano a celebrare e a frequentare il Nuovo Rito, ignari, oppure no, di aderire ipso facto ad un protestantesimo velato sotto le mentite spoglie del cattolicesimo), giunti dunque davanti al bivio più importante della loro vita: stare con Dio e con la Chiesa, o prestare obbedienza a chi Dio lo mette sempre al secondo posto, o, addirittura, lo rende «il dio» di tutte le religioni. 

 

Già, perché mentre la Diocesi di Reggio Emilia nei giorni scorsi stilava, per poi renderla pubblica magari anche con la lettura nelle chiese della provincia durante la Messa domenicale, la lettera che vede infliggere la pena dell’interdetto per don Claudio Crescimanno (per «interdetto» s’intende la pena che impedisce non solo di amministrare tutti i sacramenti, i sacramentali, di partecipare a qualsiasi forma di culto liturgico, ma anche l’impossibilità di ricevere ciascune delle cose elencate), papa Francesco a Giacarta, recando grande scandalo per la partecipazione ad un incontro interreligioso e la visita alla moschea di Istiqlal, non contendo, incontrando i giovani di Schola Occurrentes appartenenti alle più svariate «fedi» impartiva loro una «benedizione» interreligiosa, dove è mancato programmaticamente il segno della croce.

 

«Vorrei impartire una benedizione (…) Qui voi appartenete a religioni diverse, ma noi abbiamo un solo Dio, è uno solo. E in unione, in silenzio, pregheremo il Signore e io darò una benedizione per tutti, una benedizione valida per tutte le religioni». Forse per la prima volta, un papa ha benedetto qualcosa senza fare il segno della croce.

 

Nihil sub sole novum, è tutto già visto e rivisto in seno ai predecessori di Bergoglio, che in particolare da Assisi ‘86 in poi hanno consolidato la pratica — poiché la teoria fonda le sue radici nel Concilio Vaticano II e nei suoi stessi documenti — di un sincretismo da coltivare e, appunto, «benedire». 

 

Nessun commento tuttavia su questa ennesima riprova di quanto la Fede cattolica da oltre cinquant’anni sia messa a forte rischio e abbia smarrito la retta via e la retta ragione, ma si trova piuttosto il tempo e la volontà di prendere seri provvedimenti verso due sacerdoti che sul cocuzzolo della montagna rispondono semplicemente alla richiesta dei fedeli che chiedono aiuto.

 

Suppliscono, cioè, alle mancanze dei tanti confratelli e degli stessi vescovi impegnati a riempirsi la bocca di parole come «unità», «comunione ecclesiale» e tanto altro ancora salvo poi minarla continuamente con il pieno appoggio o ancora peggio con il silenzio rispetto ad una chiesa ormai fondata su valori — o sarebbe meglio dire disvalori — che nulla hanno a che vedere con Cristo.

 

Sarebbe interessante, e pure molto avvincente, evidenziare tutte le possibili lacune e le imprecisioni presenti nel comunicato che vede infliggere la pena a don Crescimanno, ma non è questo l’intento. Vorrei qui invece sottolineare quella che io ritengo personalmente essere la totale impossibilità, secondo ragione e secondo logica, di ricevere, accogliere e ritenere queste pene valide. 

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Se è vero che riconoscendo l’autorità gli si dovrebbe riconoscere anche il comando e, quindi, l’eventuale divieto e pena, la situazione di grave crisi nella Chiesa obbliga vescovi, sacerdoti e fedeli ancora cattolici a scegliere sé obbedire ciecamente a guide che, seppur con il carattere di guide, sono guide cieche, oppure sé ricorrere ai mezzi opportuni per salvare l’anima e salvare anime.

 

Dio o gli uomini. La propria anima, le anime dei fedeli, o l’obbedienza sproporzionata e non ancorata alla Verità a chi non propone più i veri mezzi della Salvezza, non proponendo più, in sintesi, Gesù Cristo ed il Suo estremo Sacrificio sulla Croce, che si ripete in modo incruento sull’Altare.

 

La questione, aldilà di ogni discussione di diritto canonico, è più semplice che mai, e ci obbliga, non tanto per superficialità quanto piuttosto per capacità di cogliere le priorità, ad una scelta immediata per conservare la Fede, visto la grave crisi in cui da oltre mezzo secolo versa la Santa Chiesa, costringendoci ad invocare un altrettanto e quanto mai reale stato di necessità per tante anime in pericolo poiché senza veri pastori. 

 

Davanti a questi reali fatti, davanti allo scempio che, nei contenuti identici a chi ha preceduto ma in una forma ancor più evidente e rapida, non c’è più spazio per mezze misure, non c’è più tempo per cantilene conservatrici, oramai sepolte come polvere sotto al tappeto, spazzate via seguendo la sorte di chi, stando sempre in mezzo, viene o ingoiato da una parte o sputato via dall’altra, seguendo le coordinate di Bussole rotte, Gruppi (in)Stabili e Timoni senza più un timoniere. 

 

Oltre a quelle già presenti e strutturate, forse è tempo di piccole minoranze pronte a sorgere ed insorgere, per combattere la propria piccola battaglia al servizio di Dio.

 

Forse è il tempo di ricreare quel rapporto interrotto da quella diabolica rivoluzione francese, che come insegnava il compianto Agostino Sanfratello, aveva interrotto, per sempre, quel rapporto più semplice e più genuino fra clero e popolo, nelle campagne, nelle parrocchie vere. 

 

Casomai il vescovo di Reggio Emilia, monsignor Giacomo Morandi, dovesse perdersi su un sentiero di montagna durante una camminata od un’escursione, troverà forse la consapevolezza che, cercando nuove vie potrebbe smarrirsi; tornando indietro, invece, sulla strada principale già percorsa, potrebbe ritrovare la giusta via.

 

Chi ha orecchie, intenda. 

 

Cristiano Lugli 

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Geopolitica

Zakharova e le sanzioni ai media russi: gli USA stanno diventando una «dittatura neoliberista»

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Le ripetute sanzioni volte a limitare la libertà dei media russi negli Stati Uniti sono un segnale dell’erosione dei valori democratici a Washington, ha affermato la portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova.   La portavoce ha rilasciato queste dichiarazioni all’agenzia di stampa RIA Novosti a margine dell’Eastern Economic Forum tenutosi mercoledì a Vladivostok, poche ore dopo l’introduzione di un nuovo ciclo di sanzioni da parte degli Stati Uniti.   Washington ha imposto severe restrizioni ai media russi in passato, ha osservato Zakharova. L’imposizione di queste nuove sanzioni «testimonia l’irreversibile degrado dello stato democratico negli Stati Uniti e la sua trasformazione in una dittatura neoliberista totalitaria», ha affermato, aggiungendo che i notiziari sono diventati una «merce di scambio nelle dispute di parte e il pubblico è deliberatamente tratto in inganno da insinuazioni su mitiche interferenze nei “processi democratici”».

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Gli attacchi ai media russi sono «il risultato di operazioni attentamente ponderate» pianificate dai servizi segreti e coordinate con i principali organi di informazione, ha affermato la Zakharova.   L’obiettivo, ha affermato, è «sterilizzare lo spazio informativo nazionale e, in futuro, globale da qualsiasi forma di opinione dissenziente». Questa nuova «caccia alle streghe» è volta a mantenere «la popolazione in uno stato di stress permanente», oltre a costruire l’immagine di «un nemico esterno», in questo caso la Russia, ha sottolineato la portavoce. Mercoledì, i dipartimenti di Giustizia, Stato e Tesoro hanno annunciato uno sforzo congiunto per colpire con sanzioni e accuse penali i media russi, tra cui il noto notiziario governativo Russia Today, e gli individui che l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden afferma essere «tentativi sponsorizzati dal governo russo di manipolare l’opinione pubblica statunitense» in vista delle elezioni presidenziali di novembre.   Queste azioni degli Stati Uniti «contravvengono direttamente ai loro obblighi di garantire il libero accesso alle informazioni e il pluralismo dei media» e non rimarranno senza risposta, ha affermato la Zakharova.

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Immagine di Diana Robinson via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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Pensiero

JFK: perché le vere repubbliche odiano la censura e necessitano una stampa libera

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Renovatio 21 pubblica il discorso tenuto dal presidente John Fitzgeraldo Kennedy il 27 aprile 1961 davanti all’American Newspaper Publishers Association. Il significato di queste parole pronunziate oramai 63 anni fa è, con ogni evidenza, ancora piuttosto valido per l’ora presente.

 

La stessa parola «segretezza» è ripugnante in una società libera e aperta; e noi siamo un popolo intrinsecamente e storicamente contrario alle società segrete, ai giuramenti segreti e ai procedimenti segreti.

 

Abbiamo deciso molto tempo fa che i pericoli di un occultamento eccessivo e ingiustificato di fatti pertinenti superavano di gran lunga i pericoli citati per giustificarlo.

 

Anche oggi è poco utile opporsi alla minaccia di una società chiusa imitandone le restrizioni arbitrarie. Anche oggi, ha poco valore nel garantire la sopravvivenza della nostra nazione se le nostre tradizioni non sopravvivono insieme ad essa. E c’è il grave pericolo che l’annunciata necessità di maggiore sicurezza venga colta da coloro che sono ansiosi di espanderne il significato fino ai limiti della censura e dell’occultamento ufficiali.

 

Ciò non intendo permetterlo nella misura in cui è sotto il mio controllo. E nessun funzionario della mia amministrazione, di alto o basso rango, civile o militare, dovrebbe interpretare le mie parole qui stasera come una scusa per censurare le notizie, soffocare il dissenso, coprire i nostri errori o nasconderci alla stampa e ai media rendere pubblici i fatti che meritano di conoscere. (…)

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Perché in tutto il mondo ci si oppone una cospirazione monolitica e spietata che si basa principalmente su mezzi segreti per espandere la propria sfera di influenza: sull’infiltrazione invece che sull’invasione, sulla sovversione invece che sulle elezioni, sull’intimidazione invece che sulla libera scelta, sulla guerriglia notturna invece degli eserciti di giorno.

 

È un sistema che ha reclutato vaste risorse umane e materiali nella costruzione di una macchina compatta e altamente efficiente che combina operazioni militari, diplomatiche, di intelligence, economiche, scientifiche e politiche. (…)

 

I suoi preparativi sono nascosti, non pubblicati. I suoi errori sono sepolti, non messi in evidenza. I suoi dissidenti vengono messi a tacere, non elogiati. Nessuna spesa viene messa in discussione, nessuna voce viene stampata, nessun segreto viene rivelato. Conduce la Guerra Fredda, in breve, con una disciplina di guerra che nessuna democrazia spererebbe o desidererebbe mai eguagliare. (…)

 

Non solo non ho potuto soffocare le polemiche tra i vostri lettori, ma le accolgo con favore. Questa Amministrazione intende essere sincera riguardo ai propri errori; poiché, come disse una volta un uomo saggio: «un errore non diventa un errore finché non rifiuti di correggerlo». Intendiamo accettare la piena responsabilità dei nostri errori; e ci aspettiamo che tu li indichi quando ci mancano. (…)

 

Senza dibattito, senza critiche, nessuna amministrazione e nessun Paese può avere successo e nessuna repubblica può sopravvivere. Ecco perché il legislatore ateniese Solone decretò che fosse un crimine per qualsiasi cittadino sottrarsi alle controversie. Ed è per questo che la nostra stampa è stata protetta dal Primo Emendamento – l’unica attività in America specificamente protetta dalla Costituzione – non principalmente per divertire e intrattenere, non per enfatizzare il banale e il sentimentale, non semplicemente per «dare al pubblico ciò che vuole» – ma per informare, suscitare, riflettere, dichiarare i nostri pericoli e le nostre opportunità, indicare le nostre crisi e le nostre scelte, guidare, plasmare, educare e talvolta anche far arrabbiare l’opinione pubblica.

 

«Ciò significa una maggiore copertura e analisi delle notizie internazionali, perché non sono più lontane e straniere ma vicine e locali. Vuol dire maggiore attenzione ad una migliore comprensione delle notizie così come ad una migliore trasmissione. E significa, infine, che il governo, a tutti i livelli, deve adempiere al proprio obbligo di fornirvi la massima informazione possibile al di fuori dei limiti più ristretti della sicurezza nazionale (…)

 

E così è alla macchina da stampa – a colui che registra le azioni dell’uomo, custode della sua coscienza, corriere delle sue notizie – che cerchiamo forza e assistenza, fiduciosi che con il tuo aiuto l’uomo sarà ciò per cui è nato: essere libero e indipendente.

 

John F. Kennedy

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Immagine di Kheel Center via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic; immagine tagliata 

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