Economia
Crisi energetica: storia, analisi e consigli pratici. Intervista al professor Mario Pagliaro

La situazione energetica, e quindi economica, e quindi civile del nostro Paese si fa di giorno in giorno sempre più disperata. Dalla politica e dalla stampa non sembra arrivare alcuna idea per contenere questa catastrofe che già sta colpendo famiglie e imprese, creando fallimenti e povertà. Tuttavia una soluzione deve esserci. Renovatio 21 ha intervistato in merito il professor Mario Pagliaro, chimico al CNR ISM (Istituto per lo Studio dei Materiali Nanostrutturati) e docente di nuove tecnologie dell’energia al Polo Fotovoltaico della Sicilia.
Professor Pagliaro, cosa dobbiamo attenderci dal mercato energetico nei prossimi mesi?
La continuazione degli alti costi per gas ed elettricità fino a quando non sarà ripristinata la piena fornitura di gas a basso costo da parte della Russia. Nel 2022 arriveranno 16 miliardi di metri cubi a fronte dei 32 normalmente importati. Ricordo che il consumo di gas annuale dell’Italia nel 2021 è stato di 76 miliardi di metri cubi. Dunque, stiamo parlando di oltre il 40% dei consumi. Persino nell’anno della chiusura trimestrale di tutto, il 2020, l’Italia ha consumato 70 miliardi di metri cubi, e 28 provenivano dalla Russia.
Alcune bollette, sia per le aziende che per le famiglie, sono inesigibili. Si discute di un qualche modo per risolvere il problema?
L’unica soluzione possibile è quella intrapresa da Germania, Francia e Regno Unito. Dove sarà lo Stato a pagare gli extra costi delle bollette di imprese e famiglie. In Francia si è proceduto a nazionalizzare EDF, che così fornirà energia elettrica a basso costo a tutti. La Germania ha fatto lo stesso con Uniper, il più grande importatore e distributore di gas, con il medesimo fine: assimilare gli extra costi e non trasferirli alle imprese, che altrimenti andrebbero fuori mercato, e alle famiglie che altrimenti sprofenderanno nella povertà di massa. Stessa cosa nel Regno Unito dove il governo ha allocato fino a 150 miliardi di sterline per i prossimi due anni, fissando un tetto annuo per le utenze domestiche a 2.500 sterline. Il resto, lo pagherà lo Stato. Ma se mi consente, sono tutte cifre che potrebbero finire per rialzarsi di molto. Nessun Paese europeo ha mai affrontato una simile crisi dei prezzi: quello che è stato deciso ieri, potrebbe rivelarsi inefficace domani e richiedere nuove decisioni.
L’attuale aumento dei costi è determinato dalla guerra in Ucraina?
Solo in parte, anche se l’intensificarsi del conflitto e della crisi dei rapporti internazionali ha determinato un forte calo dei flussi di gas dalla Russia. A causare gli aumenti, che infatti, erano iniziati già alla fine dell’estate 2021 è stata la finanziarizzazione del mercato del gas, il cui prezzo nei Paesi comunitari non fa più riferimento al prezzo industriale pagato ai grandi fornitori (Russia, Algeria, Azerbaijan, Libia e Olanda/Norvegia, nel caso dell’Italia), ma ad un indice di prezzo determinato ogni giorno su un mercato finanziario di Amsterdam, il cosiddetto TTF (Title Transfer Facility).
Come mai gli aumenti erano iniziati prima?
Proprio perché gli indici di prezzo finanziari «prezzano» i futuri aumenti della domanda, possibili crisi nelle forniture e altre variabili, divenendo intrinsecamente volatili. All’inizio dell’autunno 2021 la domanda di energia era in forte crescita in Europa e in tutto il mondo dopo le restrizioni del 2020 e della prima parte del 2021. Di qui, i primi forti aumenti dei futures sul mercato TTF che poi sono divenuti concreti aumenti del prezzo.
In che modo la presenza della borsa del gas di Amsterdam chiamata TTF altera i prezzi?
Trattandosi di un prezzo finanziario, il prezzo finisce per incorporare la volatilità intrinseca di qualsiasi mercato finanziario, dove gli operatori investono per massimizzare il ritorno dei loro investimenti. Quindi, non solo forti rialzi, ma anche repentine discese. I profitti si fanno ad esempio investendo sui futures. Insomma, tutte le caratteristiche dei mercati finanziari come quello azionario o quello dei titoli.
Può spiegare ai lettori la differenza tra il gas portato via nave e quello via tubo?
È semplice, ed è la stessa che esiste fra il petrolio trasportato con le petroliere e quello con gli oleodotti. Le sarà capitato di vedere immagini di numerose petroliere attraccate di fronte ad un grande porto di un Paese importatore di petrolio. Stanno in rada fino a quando il prezzo del petrolio, che cambia ogni giorno, non raggiunge un prezzo più alto. A quel punto, iniziano ad entrare in porto per scaricare il greggio. Con gli oleodotti, invece, il prezzo del petrolio fornito in continuo viene fissato per un lungo periodo fra venditore e acquirente ed è dunque un prezzo industriale che incorpora i costi di produzione e un ragionevole margine di profitto per il venditore. Per il gas è la stessa cosa: le navi che lo trasportano liquefatto cercano i prezzi più elevati possibili. Mentre il gas trasportato con i gasdotti ha un prezzo industriale definito da contratti di vendita pluriennali.
Quanti rigassificatori ha l’Italia? Di quanti ne avrebbe bisogno in assenza totale di gas russo?
L’Italia è raggiunta da un gran numero di gasdotti provenienti da Russia, Algeria, Azerbaijan, Libia e Paesi Bassi. È quindi logico che abbia pochissimi rigassificatori: attualmente sono tre, uno al largo di Rovigo con una capacità da 8 miliardi di metri cubi l’anno, uno da 3,75 miliardi di metri cubi di capacità al largo della costa fra Livorno e Pisa, e un altro a terra poco distante da La Spezia con una capacità da 3,5 miliardi di metri cubi. Di recente è stata pianificata la costruzione di nuovi impianti: ma se, nel medio periodo, il prezzo del gas dovesse tornare ai 15 euro/MWh, ovvero 15 centesimi per metro cubo, l’investimeno diventa poco redditizio. Ricordo che in un metro cubo di gas sono «contenuti» circa 10 kWh di energia, dunque 1 MWh corrisponde a circa 100 metri cubi di gas.
Il danno al gasdotto Nord Stream 2 è riparabile?
Si legge che solo una delle due condotte del Nord Strean 2 avrebbe subito dei danni. Ma questo gasdotto non era ancora stato attivato. I danni, molto più gravi, sempre da quel che si legge sarebbero ad entrambe le condotte del Nord Stream 1, che invece è in funzione da anni e rifornisce la Germania e i suoi Paesi satelliti di 55 miliardi di metri cubi ogni anno. Se non sarà riparato in tempi brevi, le ripercussioni sull’economia tedesca saranno gravissime, a partire dall’industria chimica che è l’industria principale di qualsiasi grande economia industriale.
Pochi giorni fa un funzionario russo ha dichiarato che il gasdotto TurkStream potrebbe sostituire le quantità portate con il Nord Stream. È vero?
Forse intendeva dire qualora la capacità del TurkStream fosse triplicata dagli attuali 31,5 miliardi metri cubi all’anno di gas di capacità. Il gasdotto in questione attraversa il Mar Nero. Se si vuole aumentarne la capacità è necessario che cessino i conflitti, e le relazioni internazionali tornino ad essere orientate allo sviluppo reciproco dei Paesi esportatori ed importatori di idrocarburi. Naturalmente, ce lo auguriamo tutti.
Francia e Germania hanno rinazionalizzato i colossi energetici. Altri Paesi europei ci stanno pensando…
Ce lo eravamo detti oltre un anno fa: con l’eccezione della Norvegia e in parte della Polonia col carbone, i Paesi europei sono sostanzialmente privi di risorse energetiche. L’unico modo per cui possano svilupparsi economicamente è attraverso la disponibilità di energia a basso costo, che si può ottenere solo attraverso le grandi aziende energetiche di Stato. Fino a quando i prezzi di gas e petrolio erano bassi, poteva esserci spazio per qualche produttore minore che distribuisse gas o elettricità attraverso le reti costruite dagli Stati fra gli anni ’30 e la fine degli anni ’90 quando iniziò il ritorno al liberismo economico che pure aveva già distrutto l’economia europea prima e dopo la Prima Guerra Mondiale, portando in pochi anni all’emergere dei totalitarismi in Italia, Russia, Germania e Giappone. Oggi, che il prezzo del petrolio è ormai da anni sopra i 90 dollari al barile e quello del gas è schizzato alle stelle, questo spazio non esiste più.
Perché in Italia non si è sentito un discorso analogo per ENI ed ENEL nemmeno in campagna elettorale?
Non deve meravigliare: in Italia la concomitante introduzione del sistema maggioritario all’inizio degli anni ’90 e la liquidazione dei grandi partiti politici popolari ha reso i nuovi partiti politici simili a dei comitati elettorali in cui gli eletti, spesso «paracadutati» in collegi elettorali, cioè territori, che non conoscono, non hanno più alcun vero legame di rappresentanza con gli elettori. Non c’è più alcun bisogno di fare campagna elettorale: quasi metà del corpo elettorale non partecipa al voto. Per accedere al consenso dell’altra metà, fatta essenzialmente di persone sopra i 50 anni, basta condurre pochi dibattiti a forte carattere emozionale in televisione. L’energia, la nazionalizzazione delle aziende energetiche e l’industria di Stato con cui l’Italia da Paese contadino divenne la quarta potenza economica mondiale erano temi che potevano affrontare solo i grandi partiti popolari della Prima Repubblica, con i loro uffici studi e le loro scuole di formazione politica.
Quale dovrebbe essere il ruolo delle grandi aziende energetiche nazionali?
Quello di approvvigionare le aziende e le famiglie italiane con energia a basso costo. E siccome, accanto alle tecnologie energetiche tradizionali, negli ultimi 20 anni sono emerse le nuove tecnologie dell’energia basate sulla conversione in elettricità delle fonti energetiche naturali – sole, vento, acqua e calore del terreno – queste stesse aziende dovranno sviluppare in Italia l’intera industria delle nuove tecnologie dell’energia, inclusa ovviamente quella dell’accumulo, di cui l’Italia e i Paesi partner europei sono completamente prive. Occorrono investimenti per centinaia di miliardi di euro. E potrà farlo solo lo Stato attraverso queste aziende con investimenti pluriennali. E non certo che con i gli investimenti pubblici prima frazionati in innumerevoli «voci di spesa» e poi messi «a gara» dai ministeri.
Quale soluzione può avere l’Italia di fronte a questo impasse energetico?
Nei giorni scorsi Davide Tabarelli ha suggerito che le famiglie si dotino di un generatore a gasolio in previsione dei distacchi della corrente elettrica in inverno quando sarà necessario ricorrere al razionamento energetico. Noi ci permettiamo di suggerire che si dotino immediatamente di un impianto fotovoltaico abbinandolo a un pacco di batterie al litio, in particolare al litio ferrosfato: economiche, durevoli e sicure. Oltre metà degli italiani vive in edifici che ospitano una o poche famiglie. Solarizzandone il tetto con i moderni pannelli fotovoltaici che ormai superano i 400 W di potenza, resteranno sorpresi da quanta energia è possibile produrre, accumulare e poi usare in qualsiasi momento della giornata. A chi vive in città, vorrei ricordare che la quasi totalità dei palazzi italiani è priva di un impianto fotovoltaico. Parliamo di tetti di svariate centinaia di metri quadri a cui i condomini possono accedere liberamente installando il loro impianto, senza dover più attendere l’autorizzazione dell’assemblea condominiale e senza dover richiedere permessi o autorizzazioni. Basta informare l’amministratore di condominio per usufruire del proprio spazio riservato sul tetto. Ogni condòmino, infatti, ha diritto alla sua porzione del tetto, uno spazio comune ripartito in parti uguali, che può utilizzare proprio per autoprodurre pregiata energia elettrica.
Economia
Nave rigassificatrice arrivata a Piombino

La nave rigassificatrice Golar Tundra è approdata a Piombino. L’imbarcazione ha attraversato le acque del Canale di Suez scortata dalle navi della Marina Militare nell’ambito dell’operazione Mediterraneo Sicuro. Lo riporta RID.
Si tratta di una struttura necessaria per la riconversione del gas naturale liquefatto in forma gassosa, in cui può essere distribuito via tubo. La Gola Tundra ha potenza di stoccaggio di circa 170.000 metri cubi di gas naturale liquido (GNL) e potrà rigassificare 5 miliardi di metri cubi all’anno. Le navi di questo tipo sono chiamate generalmente FSRU.
La Golar Tundra, lunga 292 metri, larga 43 e alta 55, è stata acquistata dalla Snam a Singapore e batte bandiera delle isole Marshall. La nave costituisce quindi una struttura strategica per il Paese oramai tagliato fuori dalle forniture russe, che erano economiche e arrivavano direttamente via tubo.
Ora i fornitori di gas, sotto forma di GNL, del Paese sono USA, Qatar, Egitto. L’idrocarburo arriva dunque via nave per essere trasformato dalla nave che agisce come rigassificatore.
In Italia attualmente si contano solo tre rigassificatori in funzione, e di tre tipologie diverse. Il maggiore è l’impianto offshore al largo di Porto Viro, in provincia di Rovigo. Un altro rigassificatore in mare è quello di Livorno; ve ne è anche uno a terra, quello di Panigaglia, nella provincia della Spezia.
I prezzi del gas, comperato da americani ed altri, sono molto superiori a quelli pagati alla Russia.
La Golar Tundra inizierà la sua attività il prossimo maggio. L’Italia ha diversificato le forniture acquistando anche da Olanda e Norvegia (gasdotto Transitgas), e da Algeria (gasdotto Transmed) e Azerbaijan, con il TAP che giunge in Puglia.
La Golar Tundra e la Bw Singapore, l’altra nave Fsru che invece sarà collocata a Ravenna, contribuiranno al 13% del fabbisogno energetico nazionale
Come riportato da Renovatio 21, il consumo di gas in Europa è in caduta libera. La Germania ha ridotto il consumo del 14% , pure avendo iniziato ad importare gas anche dalla Francia. L’Austra ha dichiarato l’impossibilità di fare a meno del gas russo. L’Europa cinque mesi fa ha visto finire anche le importazioni di gas via nave dalla Cina: si trattava di gas russo comprato ad alto costo dagli Europei, che, con il giro del mondo e la cresta cinese, così non avevano direttamente a che fare con Mosca
La mancanza di gas in Germania, è stato notato, poteva mettere in pericolo anche le funzioni delle stesse basi USA nel Paese.
L’India, al contrario, pianifica un aumento di consumi di gas del 500%: sarà acquistato, ovviamente, nella Russia impossibilitata a fare commercio con l’Europa.
La situazione italiana è stata analizzata da Renovatio 21 con varie interviste con il professor Mario Pagliaro: il tracollo del consumo energetico è ovviamente il segno di un possibile collasso industriale.
Immagine di Floydrosebridge via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)
Economia
Il tentativo da 279,6 miliardi di dollari della Banca nazionale svizzera di contenere l’innesco del Credit Suisse

Parrebbe che i pompieri della finanza globale abbiano trovato il modo di fermare l’incendio. Così dicono: tuttavia le incongruenze della vicenda, specifiche e sistemiche, lasciano ancora piuttosto attoniti.
In una corsa ad alto rischio per l’ennesimo salvataggio di emergenza delle banche, prima dell’apertura dei mercati in Asia, la Banca d’Inghilterra, la Federal Reserve e le autorità di regolamentazione finanziaria nel Regno Unito e negli Stati Uniti avrebbero lavorato febbrilmente con la Banca nazionale svizzera e le istituzioni finanziarie svizzere e le autorità di regolamentazione per evitare un tracollo bancario globale il 20 marzo.
Poche ore prima dell’apertura del mercato di Tokyo, nella prima serata di Zurigo del 19 marzo, è stato annunciato un accordo per tentare di impedire al Credit Suisse di innescare un collasso mondiale della rete di contratti finanziari derivati.
Come riassume EIRN, gli elementi da considerare sono:
L’Unione delle Banche Svizzere (UBS) acquisterà Credit Suisse per poco più di 2 miliardi di dollari. UBS ottiene un prestito dal governo per 54 miliardi di dollari – sì, UBS spende meno del 4% del prestito concesso loro per «acquistare» Credit Suisse.
«Credit Suisse ottiene un prestito di 162 miliardi di dollari (oltre al precedente prestito «storico» di 54 miliardi che è stato inghiottito solo una settimana fa» scrive EIRN.
«UBS è liberata dal dover coprire i primi 9,6 miliardi di dollari circa di perdite attese da Credit Suisse appena acquisita lunedì. Uno non dovrebbe indagare troppo a fondo su dove arriva il governo svizzero con i 54 miliardi di dollari della scorsa settimana, tanto meno con i 225,6 miliardi di dollari di oggi».
Il rifiuto dell’accordo da parte degli azionisti di Credit Suisse sarebbe stato automatico, poiché la valutazione della banca era di 8 miliardi di dollari alla chiusura del mercato, circa 50 ore prima, cioè circa un quarto di quella pattuita con UBS. Il che significa che gli investitori hanno perso circa il 75%.
«Ciò è stato risolto ordinatamente modificando le regole in Svizzera in un batter d’occhio e vietando qualsiasi voto. Perché votare quando non va per il verso giusto?» continua EIRN.
La Banca Nazionale svizzera (BNS) ha annunciato domenica sera che stava fornendo una sostanziale assistenza di liquidità per sostenere l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS e che, quindi, è stata trovata una soluzione per garantire la stabilità finanziaria e proteggere l’economia svizzera in questa situazione eccezionale.
Oltre ai 279,6 miliardi di dollari di prestiti e garanzie derivanti dall’Ordinanza d’urgenza del Consiglio federale del 2022 e dal Public Liquidity Backstop, «entrambe le banche hanno accesso illimitato alle strutture esistenti della BNS, attraverso le quali possono ottenere liquidità in conformità con le loro “Linee guida sugli Strumenti di politica monetaria”».
La Banca Nazionale elvetica conclude che sta adempiendo al suo mandato di contribuire alla stabilità del sistema finanziario.
L’incendio è domato o hanno guadagnato tempo?
Sappiamo cosa sorgerà dalle ceneri del sistema bancario mondiale: la CBDC, la moneta digitale di Stato. A quel punto, le banche, ovunque, diverranno obsolete, saranno quindi disintermediate, e alla fine, terminate.
Il portafogli elettronico del cittadino, che non potrà che essere gestito dallo Stato o da enti sovrastatali come l’UE, sarà il metodo di controllo sociale più potente mai realizzato nella storia umana.
I miliardi che vanno in fumo in questi giorni servono a questo: è, tra fuochi e urla, un rito di passaggio ad una nuova era di sottomissione globale dell’essere umano.
Immagine di Luca Barni via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)
Economia
Macron sacrifica le pensioni all’altare del rating

Macron non arretra sulla riforma delle pensioni nonostante la protesta che incendia il Paese da giorni. Il compito del presidente, ex banchiere d’affari presso la Banca Rothschild, sarebbe quello di tranquillizzare le agenzie di rating, che potrebbero degradare la Francia con un giudizio negativo.
La brutale distruzione di una parte fondamentale dello stato sociale francese del dopoguerra, una pensione decente, è considerata il sanguinoso sacrificio necessario per mantenere la fiducia del mercato e convincere le agenzie di rating che ora minacciano di abbassare il rating del credito della Francia.
Secondo Standard&Poor’s Parigi merita un AA, per Moodys invece il rating è AA2.
Il vero problema che il presidente non ha il coraggio di affrontare è l’impatto sull’economia francese di una politica energetica nazionale incredibilmente pasticciata e delle sanzioni occidentali contro Russia, Cina e altre nazioni.
Bastille Paris, France… There’s a revolution happening that the media doesn’t want you to see, an uprising against the globalists
RESIST 🔥🔥🔥 pic.twitter.com/Rf82v4PLTb
— Pelham (@Resist_05) March 20, 2023
Le Monde riferisce che «l’impennata dei prezzi del gas, del petrolio e delle materie prime ha portato il deficit commerciale francese a quasi raddoppiare nel 2022 a 164 miliardi di euro, secondo i dati pubblicati martedì 7 febbraio dal ministero francese per l’Europa e gli affari esteri, il più grande deficit dalla seconda guerra mondiale».
Paris .. the atmosphere is tense but the protesters remain calm and resilient despite the fact police are blocking off some areas and preventing them from walking freely.
The French are determined to stand against this tyranny.
🔥🔥🔥🔥
— Kat A 🌸 (@SaiKate108) March 19, 2023
«Avevamo a che fare con una situazione eccezionale nel 2022», afferma il ministro francese del Commercio estero Olivier Becht. «Abbiamo dovuto importare elettricità per compensare il fatto che molti reattori nucleari erano in manutenzione», ha detto. «E l’impatto [della guerra] in Ucraina ha portato alle stelle i prezzi del gas e del petrolio, che a volte sono raddoppiati o addirittura triplicati».
BREAKING NEWS:
African Union has asked France to respect human rights and the right to protest for all French citizens.
AU also released travel advisory to all Africans, putting Paris on red list for Africans not to travel there.
AU and all African Media had one job 😂😁 pic.twitter.com/ARQFIAKLbh
— Robert Cyubahiro McKenna (@RobCyubahiro) March 18, 2023
Renovatio 21 aveva riportato della crisi di circa metà dei reattori nucleari francesi ancora sei mesi fa. Già a gennaio, Renovatio 21 aveva riferito di una strana serie di «danni inaspettati» e riparazioni alle centrali atomiche francesi.
Il Wall Street Journal una diecina di giorni fa aveva riportato crepe inaspettate negli impianti di dozzine di reattori nucleari francesi.
🇫🇷 Police have cordoned off some streets in Paris to try to stop an impromptu protest tonight. pic.twitter.com/CbQAovxRd8
— Nat (@Arwenstar) March 19, 2023
La EDF, tornata da pochissimo sotto il controllo dello Stato, ha poi bizzarramente rifiutato la proposta del governo di Londra di procrastinare la dismissione programmata della centrale atomica inglese di Hinkley Point B, di proprietà del colosso statale francese.
L’estate scorsa era emerso come i francesi stessero cercando di mantenere in funzione le centrali nucleari nonostante l’ondata di caldo, che non assicurava acque di temperatura sufficientemente bassa per il sistema di raffreddamento dei reattori.
L’Italia dipende dall’elettricità francese per il 6%. Ha destato scalpore la possibilità che la Francia possa chiudere il rubinetto dell’energia per l’Italia, mandando potenzialmente la rete elettrica italiana o parte di essa in blackout.
Come riportato da Renovatio 21, la Banca di Francia si disse preoccupata per la recessione che si prospetta per l’economia del Paese, dove sono stati lanciati allarmi per possibili blackout. Le Figaro due settimane fa ha ipotizzato pure uno stop dell’industria alimentare nazionale.
Immagine screenshot da Twitter
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