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Berlusconi ha difeso la vita umana più dell’arcivescovo che ne ha celebrato il funerale

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Permettetemi di definire oscena l’omelia di monsignor Delpini, l’arcivescovo di Milano che ha celebrato il funerale di Silvio Berlusconi.

 

Qualcuno ha detto che era ambigua, che poteva leggersi in vari modi. A me invece è sembrato che tutto fosse chiarissimo. E drammatico, errato, insolente, disperante.

 

L’arcivescovo di Milano ha fatto la sua predica, che per qualche ragione è circolata immediatamente pure via Whatsapp in PDF, sfogliando e leggendo a testa china: ci rendiamo conto di vivere nell’era in cui chiedere ad un vescovo di parlare a braccio ad un funerale di Stato sia troppo.

 

È bizzarro: sappiamo come le omelie funebri dopo il Concilio siano divenute delle santificazioni per direttissima del caro estinto, al punto che a fine messa invitano pure qualche conoscente a caso a dire quanto era buono il defunto. Eulogi, cabaret funebre. Etc.

 

Non sembra essere questo il caso. Il Delpini ha tenuto tutt’altra linea.

 

«Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari. Ha quindi clienti e concorrenti. Ha momenti di successo e momenti di insuccesso. Si arrischia in imprese spericolate. Guarda ai numeri a non ai criteri. Deve fare affari. Non può fidarsi troppo degli altri e sa che gli altri non si fidano troppo di lui. È un uomo d’affari e deve fare affari».

 

Si dice che qui un famigliare abbia scosso la testa. Siamo d’accordo Ma di cosa sta parlando lo zucchetto?

 

Chiunque sa che nelle sue aziende molto raramente si veniva licenziati. Quando per lavoro anni fa passai per Cologno Monzese, trovai dei dipendenti che dicevano che sì, oramai quel posto era un ministero, e che forse c’era personale in eccesso, ma che importa: tutti quelli che ho visto erano felici di lavorare lì. Erano sicuri, protetti, in pace.

 

E poi, come anche solo suggerire che Berlusconi non si fidava troppo degli altri, e che gli altri non si fidavano di lui? Fiducia e gratitudine erano una cifra evidente del personaggio. Come può Delpini non aver presente l’abnorme, talvolta eccessiva gratitudine verso le persone che hanno lavorato con lui? Mike Bongiorno, Sandra e Raimondo, Iva Zanicchi messi ad vitam su Rete4, forse per riconoscenza per aver creduto in lui agli esordi… e uscendo dalla TV, come non aver presente Ennio Doris (che da sconosciuto presentò un’idea a Berlusconi intercettandolo a Portofino, e fu ascoltato), Marco Van Basten (che gli mandava telegrammi alle vittorie rossonere: «milanista per sempre»), Sacchi, Capello, Maldini, Costacurta e pure figure intellettuali come Antonio Martino, Gianni Baget Bozzo, Marcello Pera, Lucio Colletti che aderirono al suo progetto politico?

 

«Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere. Ha sostenitori e oppositori. C’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo. Un uomo politico è sempre un uomo di parte» ha proseguito l’arcivescovo. «Quando un uomo è un personaggio, allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta».

 

Qui cominciamo a capire dove vuole andare a parare. Il prelato riconosce che il personaggio è «divisivo», aggettivo che piace a quella CEI affiliata da lustri al PD e al network democristiano che ha portato l’Italia al collasso morale e biologico. Monsignore riconosce che davanti a sé ha un pubblico che potrebbe non amare un discorso che, come si usa nella modernità della Chiesa in uscita, parli solo bene dell’illustrissimo defunto.

 

Eppure, guardiamo i volti fra le navate del Duomo, e ci rendiamo conto che davvero pochi lì non debbano la loro carriera, o scatti di essa, alla sua presenza, alla sua azione diretta o indiretta. La Meloni fu lanciata come ministro nel governo Berlusconi, e fece parte del suo partito il PDL. Draghi, che pure si racconta l’aveva silurato nel 2011 con la famosa letterina che la BCE recapitò a Silvio per spianare la strada al tecnocrate Monti, è stato premier perché Forza Italia lo ha (purtroppo) votato. E poi quanti calciatori e allenatori (vincitori di sfide straordinarie, campioni veri), quanti giornalisti, starlettes, vedettes, manager assortiti e creature del sottobosco presenti alle esequie gli devono tutto – ma proprio tutto?

 

C’è il presidente della Repubblica, quello a fianco dell’emiro del Qatar al-Thani (uno, nonostante la montagna di morti dei mondiali di calcio, da tenersi buono, visto che l’Italia – antiberlusconianamente – si è privata del gas russo: anche se Doha ci ha già ripetuto varie volte che non c’è trippa per gatti). Non possiamo dire Mattarella che sia lì grazie a Silvio, e non sappiamo neppure se sia legale pensarlo. Tuttavia nell’ultima elezione presidenziale ebbe i voti del partito di Berlusconi, come di tutta la restante palude parlamentare. È però l’episodio della rielezione del predecessore, che vorremmo ricordare: quando venne rieletto Napolitano, con una manovra che scongiurò l’ascesa al Colle dell’eterno avversario Prodi, appena dopo gli applausi di rito, partì un coro tra i Parlamentari: «Sil-vio, Sil-vio…». Fu una sua manovra, una sua vittoria.

 

Ecco, Delpini sta parlando considerando loro. I Draghi, i Gentiloni, le Schlein presenti in Duomo. Quei personaggi messi lì e gonfiati da giornali e potentati che, monsignore forse lo sa, non sono esattamente di estrazione cattolica. Diciamo così, e fermiamoci qui.

 

Non pare, invece, che l’arcivescovo si voglia rivolgere alla famiglia, ai figli presenti, composti e addolorati. Questi ragazzi, a questo punto va scritto, danno un’immagine rara, rarissima: ciascuno con le loro peculiarità sono tutti solidi, decorosi, decenti – pure belli da vedere. Questo a evidente differenza dei rampolli di altre famiglie industriali, quelle dell’oligarcato profondo del Paese, che rappresentano plasticamente disperazione e decadenza, degrado e demenza (cosa che possiamo dire per i figli di papà imprenditori zonali molto, molto meno abbienti di Berlusconi).

 

La prima moglie, Carla dall’Oglio, lo ha scritto nel suo necrologio sul Corriere: è stato un papà eccezionale. Tutti possono vederlo, ma forse non l’arcivescovo, che nella sua omelia non pare toccare la questione della famiglia (che è cattolicamente delicata, per il divorzio) o anche solo della discendenza, della quantità di esseri umani che si porta dietro: oltre ai figli, 16 nipoti, e un bisnipote. Tanta robba. Questa nota positiva in fondo allo spartito, la persistenza della persona tramite i suoi eredi, colpisce noi, ma, si vede, non lo zucchetto sul pulpito.

 

Tuttavia non di queste mancanze che vogliamo parlare davvero. Ci ha infastidito, più di tutti, il discorso sulla «vita».

 

 

«Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena» è stato l’attacco della predica di monsignore, stile film di Kurosawa. «Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone care. Vivere e intendere la vita come una occasione per mettere a frutto i talenti ricevuti. Vivere e accettare le sfide della vita. Vivere e attraversare i momenti difficili della vita…»

 

Insomma, l’arcivescovo, con un fiume di stile retorico, vuole parlarci della vita. Una parola, ripetuta quasi nemmeno come in un tema di liceo, a cui l’omelia assegna un significato preciso: la vita, qui, è l’esistenza individuale, è ciò che ti accade – la vita è un fenomeno soggettivo.

 

Abbiamo tuttavia le prove che Berlusconi, oltre che amare la vita, amasse la Vita: e cioè la vita umana come forza sacra che esiste al di fuori di noi, che sostiene il cosmo degli uomini, che permette la continuazione dell’universo – la Vita come fenomeno oggettivo. La vita non come questione personale, ma come realtà cosmica.

 

Ciò divenne chiaro all’altezza degli ultimi giorni di Eluana Englaro.

 

Maurizio Sacconi, allora sottosegretario, gli propose un decreto legge per salvare Eluana. Berlusconi, secondo quanto ha raccontato il suo deputato veneto, accettò senza nemmeno chiedergli dei sondaggi, che sapeva potevano essere ostili. Perché gli parve chiaro che quello che stava accadendo non era un attacco alla «vita da vivere» di cui parla Delpini, ma alla Vita che ci abita ma che sta al di fuori di noi, alla vita come dono sacro sceso sulla Terra. Si sarebbe messo contro il presidente Napolitano e un largo strato del suo stesso partito, la fazione liberale che poteva tranquillamente starsene con Pannella o col PD.

 

Quando all’epoca ne parlò, Berlusconi aggiunse qualcosa che sconvolse tutti – compresi i sedicenti cattolici, i sedicenti pro-vita, oramai privi totalmente degli strumenti per capire la portata di quelle parole. Eluana non poteva essere lasciata morire, perché Eluana poteva ancora essere madre. Si era detto, all’epoca, che nei 17 anni di coma, in cui era assistita dalle suore Misericordine, aveva continuato ad avere le mestruazioni.

 

Disse proprio così: «Eluana potrebbe generare un figlio».

 

Questa dichiarazione è stata ricordata, con orrore, anche in questi giorni dai vari commentatori liberali.

 

Come poteva il primo ministro dire una cosa così abominevole? Una donna in coma che può far figli? Un figlio, per l’utenza moderna, è qualcosa che deve essere programmato, voluto, preparato – insomma, letteralmente «planned parenthood» – da cui partono l’aborto e la prole prodotta in provetta. Un figlio, oggidì, è un desiderio, un fatto soggettivo – e mai una realtà biologica, un fatto oggettivo.

 

Con evidenza, non era il mondo di Berlusconi. Non era il modo in cui pensava alle donne, alla riproduzione, all’umanità, alla vita e alla morte: se una donna può biologicamente generare un figlio, allora è viva. E ciò e logico e vero.

 

Non crediate che tale bigotto pensiero non abbia basi scientifiche – e mistiche. Ogni singolo ovulo che una donna ha in sé è generato ancora prima che nasca. Ciò vuol dire che tutte le cellule uovo che saranno utilizzati per i figli già esistono quando ancora la madre è un feto, dentro la madre. Tutti noi siamo stati generati da ovuli che esistevano dentro a nostra nonna, quando aspettava nostra madre. Se vostra madre è del 1950, l’ovulo con cui siete stati plasmati era già apparso magari perfino nel 1949, a seconda del mese in cui la mamma è nata.

 

È la matrioska della vita umana, custodita dal mistero assoluta della femmina. Chi ammette la legge naturale, chi è in contatto sincero con il proprio cuore, comprende nel profondo, automaticamente, come questo miracolo vada difeso – e come il mondo moderno lo voglia distruggere: predazione degli ovuli (a fine commerciali, ma pure scientifici e «sociali» – magari col cancro come conseguenza), congelamento, bioingegneria, affitto di organi riproduttivi, distruzione della femminilità tramite il transessualismo (dove è in divenire il trapianto di utero da donna a uomo).

 

Una donna che può generare, grazie a questo diritto divino, è una donna viva. Berlusconi comprendeva questa realtà oggettiva, la realtà di base della Vita umana che si espande e si tramanda. E si schierava per difenderla.

 

Alcuni lettori ci hanno scritto: Renovatio 21 deve ricordare la storia di Berlusconi ed Eluana, perché la sua difesa vale tutta la sua presidenza (la più lunga della Storia d’Italia). È vero. La comprensione della sacralità della Vita vale più di qualsiasi altra cosa, vale più delle manovre economiche, più dei trattati tra la NATO e la Russia.

 

Certo, la difesa della Vita in Berlusconi non fu un fatto completo. Perché comprendere la Vita in questi termini significa lottare contro l’aborto e la fecondazione in vitro. Significa, in termini molto pratici, opporsi con ogni forza ai trapianti di organi a cuor battente: perché se una donna in coma è viva perché i suoi organi possono tecnicamente ancora generare figli, allora anche un uomo è vivo finché gli batte il cuore.

 

Ma diciamo pure che oggi ci accontentiamo. Anche perché, c’è a questo punto da chiedersi cosa Delpini abbia fatto per difendere la Vita.

 

Visto che si parla di eutanasia e dintorni, ci sovviene un caso preciso, quello di DJ Fabo, il ragazzo milanese tetraplegico che accompagnato da un politico andò in Svizzera per trovare la morte volontaria.

 

Il 10 marzo 2017 nella parrocchia di Sant’Ildefonso fu organizzato un evento chiamato sul sito dell’arcidiocesi «Una preghiera per DJ Fabo». La parrocchia, apprendiamo, «ha accolto il desiderio della madre di Fabo di pregare per suo figlio morto – sottolinea don Davide Milani, responsabile dall’Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi di Milano. Quello di venerdì sera sarà un momento di preghiera, non un funerale. Il giudizio della Chiesa sull’eutanasia e sul fine vita non cambia».

 

Eccerto. Il giudizio non cambia, tutto il resto sì, e di conseguenza. I religiosi non devono mai aver sentito parlato di piano incrinato, slippery slope, rana bollita, Finestra di Overton, etc. Non devono aver mai pensato che la celebrazione può spingere in alcuni l’idea della liceità dell’atto – il motivo per cui ai giornalisti l’Ordine dice che dei suicidi devono parlare con estrema cautela… ma del resto, se ai suicidi la chiesa conciliare offre senza problema funerali pubblici… perché prendersela con chi sceglie l’eutanasia?

 

Delpini all’epoca era Vicario generale di Milano. Poche settimane dopo, Delpini sarebbe divenuto arcivescovo di Milano. Ci furono polemiche per la scelta della curia dell’evento di preghiera, tuttavia abbiamo cercato, ma non abbiamo trovato dichiarazioni in merito fatte da monsignore.

 

Tuttavia forse abbiamo rinvenuto in una vecchia intervista su La Stampa un indizio. «L’arcivescovo di Milano Angelo Scola è d’accordo con l’iniziativa di Don Antonio?» chiede al responsabile comunicazione della Diocesi don Davide Milani l’intervistatore – che altri non è che Andrea Tornielli, attuale direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede.

 

Risposta: «il parroco ha condiviso la sua decisione di celebrare questo momento di preghiera prima con il vicario generale e poi con il cardinale, che è d’accordo».

 

Lo vedete anche voi. C’è un abisso.

 

Non che ci sorprendiamo: siamo nell’epoca in cui alcuni discorsi di Putin – l’uomo che più di ogni altro avrebbe meritato di farsi una spremuta d’occhi in Duomo, ma a frapporsi a questa amicizia sono stati i veri padroni del mondo – al Club Valdai sono più rilevanti e corretti, spiritualmente, delle devastanti encicliche che scrivono per l’ultimo papa.

 

Del resto, Delpini è quel non-cardinale che, forse pensando genuinamente di essere simpatico, fece una serie di battute che vennero interpretate come un attacco diretto al papa. Berlusconi, pur in una volgarità che via via si faceva più parossistica, con battute e barzellette lo stracciava di sicuro. E non ne ripetiamo nemmeno mezza.

 

Delpini è tecnicamente erede del Santo Ambrogio, l’uomo che per vox populi fu acclamato vescovo dai milanesi, quando lui, magistrato di origine tedesca, neppure era battezzato. Ora, Berlusconi sicuramente non era un santo, tuttavia come testimoniano le immagini di Piazza Duomo, è stato acclamato dai milanesi, o per lo meno dai milanisti – ancora, la gratitudine… – e pure, incredibile dictu, da una vasta porzione di interisti, come ad esempio il sottoscritto.

 

Perché il suo amore per la Vita è lontano dalla macchietta equilibrista che ne ha dato l’arcivescovo nella sua oscena omelia.

 

Il suo amore per la Vita era concreto, oggettivo, materiale – e potente, debordante.

 

Quanto vorremmo dire lo stesso della gerarchia cattolica odierna.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

 

 

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Ci risiamo: il papa loda Don Milani. Torna l’ombra della pedofilia sulla Chiesa e sul futuro del mondo

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Ci risiamo, ed è l’ennesimo spettacolo doloroso e mostruoso cui tocca assistere: il nuovo papa loda Don Milani. Le implicazioni di questa scelta sono spaventose.

 

L’11 ottobre, parlando ai pellegrini delle diocesi toscane, Prevost ha citato in modo molto benevolo il controverso prete-maestro della Barbiana: «Don Lorenzo Milani, profeta della Chiesa toscana, che Papa Francesco ha definito “testimone e interprete della trasformazione sociale ed economica”, aveva come motto “I care“, cioè “mi importa”, mi interessa, mi sta a cuore».

 

Questa cosa del Don Milani «profeta» (colui che anticipa i tempi: a suo modo, non errato) non è nuova:  Leone il 12 giugno all’incontro con il clero della diocesi di Roma aveva definito di Don Lorenzo Milani come di «un profeta di pace e giustizia».

 

La chiesa conciliare, quindi, non lascia Don Milani. No: raddoppia.

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Per noi non è solo il segno chiaro della contiguità assoluta, e infame, con il papato di Bergoglio. Ci prende l’idea di forze oscure – davvero oscure – che bramano per espugnare definitivamente il Soglio e devastare l’umanità tutta.

 

Perché, per chi si è perso le puntante precedenti – o chi, da buon boomer, si informa su TV e giornali senza chiedersi nessuno sforzo personale per la comprensione della realtà – Don Milani, la grande icona della sinistra (non solo quella, vero Salvini?) e dei cattolici benpensanti, negli ultimi anni è stato accusato di essere una figura molto ambigua, che in una sua lettera, pubblicata dagli stessi seguaci, parlava della sodomizzazione dei suoi allievi ragazzi.

 

Citiamo dalla lettera di Don Milani a Giorgio Pecorini, contenuta nel libro di quest’ultimo Don Milani! Chi era Costui?, edito Baldini&Castoldi nel 1996, alle  pagine3 86-391.

 

«… Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani più che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!). E chi non farà scuola così non farà mai vera scuola e è inutile che disquisisca tra scuola confessionale e non confessionale e inutile che si preoccupi di riempire la sua scuola di immaginette sacre e di discorsi edificanti perché la gente non crede a chi non ama e è inutile che tenti di allontanare dalla scuola i professori atei … E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?». Il corsivo è nostro.

 

Ora, questo brano è impossibile che in Vaticano non lo hanno letto. Non dopo che, all’altezza del fallito push per la beatificazione del 2019, era rispuntato fuori in tutta il suo orrore. E non solo nei circoletti tradizionalisti, o in intelligentissimi pubblicazioni come Il Covile. La faccenda era rispuntata nel mainstream, quello dei giornaloni e dei grandi editori.

 

Mi hanno scritto in diversi che dell’episodio non ricordano più niente. Quindi, sintetizzo.

 

Il 5 giugno il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli organizza al MIUR «un evento dedicato a Don Milani, a cinquant’anni dalla sua scomparsa (…) “Avere una scuola aperta ed inclusiva era l’obiettivo di Don Milani ed è l’impegno del mio ministero».

 

C’è, notevole, una vera convergenza con il Sacro Palazzo: «a scuola, come ci ha ricordato il papa nel messaggio inviato per l’evento dedicato oggi a Don Milani, nell’ambito della Fiera dell’editoria, deve essere capace di dare una risposta alle esigenze delle ragazze e dei ragazzi più giovani» scrive la nota del MIUR.

 

Non ci sono solo le parole. Il 20 giugno 2017 Bergoglio effettua un «pellegrinaggio» (sic – proprio come per i viaggi presso santuari e luoghi sacri) a Barbiana, per onorare don Milani.

 

In quei giorni, strana coincidenza davvero,  esce per Rizzoli un libro di un celebrato scrittore nazionale, tale Walter Siti. Sedicente omosessuale, nei circoli giusti il Siti conta: normalista, professore universitario,  studioso di Montale, curatore delle opere di Pasolini (lui), collaboratori dei giornali di De Benedetti Repubblica e Domani, pochi anni prima aveva vinto il premio Strega. Una voce difficile da ignorare nel contesto dei grandi media di regime.

 

Il romanzo, che oggi per qualche ragione si vende su Amazon in cartaceo a 100 euro, si intitola Bruciare tuttoRacconta la storia di Don Leo, un immaginario prete pedofilo, e dei suoi struggimenti. È un’opera di fiction, ma si apre con una dedica che apre un bello squarcio sulla realtà: «All’ombra ferita e forte di don Lorenzo Milani».

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Boom. I giornali cominciano ad occuparsene: «Ho creduto che don Milani somigliasse al mio prete pedofilo» titola un articolo sul sito apparso su La Repubblica. Qualche giorno prima, un commento («La pedofilia come salvezza. L’inaccettabile romanzo di Siti») era partito dalla filosofa del PD Michela Marzano, nota per la sua attenzione al tema dell’anoressia e il suo abortismo militante.

 

Il 21 aprile la bizantinista TV Silvia Ronchey, figlia del ministro PRI Alberto Ronchey e cognata della collaboratrice dell’Osservatore Romano Lucetta Scaraffia in Galli della Loggia, aveva scritto un’ulteriore difesa («Le vere parole di Don Milani») su La Repubblica, che forse è una toppa peggio del buco: prima definisce il Milani come «è un ebreo non praticante che fa “indigestione di Cristo” (…) la sua conversione non è certo dall’ebraismo al cristianesimo, bensì da un battesimo di convenienza, ricevuto per sfuggire alle leggi razziali, a un abito scomodo, indossato per vocazione di riscatto»; poi lo scrive egli era «calamitato dalla letteratura, dalla poesia, dalla pittura fin da adolescente, artista bohémien dalla non celata omosessualità nella Firenze di fine anni Trenta».

 

«Non celata omosessualità»: quindi, almeno dell’omofilia del prete-icona tutti sapevano, allora come oggi? Almeno fra le élite, era cosa nota? È un argomento che non va trattato con il popolo? Chiediamo.

 

Non che l’interessato non sapesse di cosa si parlasse. in una lettera sul suo direttore spirituale don Raffaele Bensi, nume tutelare della chiesa «resistenziale» della Firenze del dopoguerra, scrisse:  «può darsi che lei abbia in vista una felice sintesi delle due cose, di cui io invece non intravedo la compatibilità p. es. passare a un tempo da finocchio e da maestro, da eretico e da padre della Chiesa, da murato vivo nel chiostro e da pubblicatore del più polemico dei libri».

 

A Firenze, va detto, chiacchierano di Bensi. Si dice avesse bruciato tutta la corrispondenza privata, dove, sostiene Neera Fallaci, forse si parlava anche di Paolo VI.

 

Le pulsioni sono disseminati in altre regioni dell’epistolario milaniano. In un’altra lettera ad un amico vi sarebbe scritto «Vita spirituale? Ma sai in che consiste oggi per me? Nel tenere le mani a posto».

 

Forse, abbiamo pensato, davvero tutti sapevano. Tuttavia qui c’è un primo grande mistero: come è possibile che prima del Concilio Vaticano II, quando la selezione dei sacerdoti scartava immediatamente quanti erano anche solo lontanamente sospettati di avere pulsioni omofile, il Milani sia riuscito a farsi consacrare?

 

Andiamo poco oltre, e troviamo un’ulteriore storia terrificante, quella del Forteto. Va chiarito che non vi sono prove del coinvolgimento dei guru fortetani con il Milani. La comunità nacque dopo la morte di Don Lorenzo, tuttavia il fatto che il donmilanismo potesse essere stato un’ispirazione è un’idea piuttosto accettata.

 

Il Forteto è, secondo il vaticanista Sandro Magister, «quella catastrofe che si è consumata in quel di Firenze, tra i circoli cattolici che fanno riferimento a don Lorenzo Milani e alla sua scuola di Barbiana. Una catastrofe che opinionisti e media hanno a lungo negato o passato sotto silenzio, per ragioni che si intuiscono dalla semplice ricostruzione dei fatti».

 

Al Forteto, scrive la Relazione della Commissione regionale d’inchiesta «l’omosessualità era non solo permessa ma addirittura incentivata, un percorso obbligato verso quella che Fiesoli [il leader della comunità, ndr] definiva “liberazione dalla materialità” (…) l’amore riconosciuto e accettato, l’amore vero, alto e nobile era solo quello con lo stesso sesso (…) Il bene e l’amore vero erano quelli di tipo omosessuale, perché lì non c’è materia».

 

Faccenda è complicata e spaventosa. Ci hanno messo dentro di tutto. Renovatio 21 ha pubblicato un’intervista al magistrato Giuliano Mignini, che si occupò oltre che del caso Kercher anche di quello del Mostro di Firenze, in cui accenna a questioni di cui  ha parlato di recente anche alla «Commissione Parlamentare d’inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità Il Forteto»,

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In realtà, non vorremmo tornare a riparlare di tutto questo – ne abbiamo trattato più di dieci anni fa, arrivando a partecipare una conferenza in Regione Toscana con vari soggetti, tra cui Giovanni Donzelli, allora consigliere regionale e oggi parlamentare membro del cerchio magico della Meloni, mentre ad organizzare c’era l’indomito Pucci Cipriani, che per decenni ha combattuto il Don Milani e il donmilanismo.

 

Qui ci importa di notare altro. Dinanzi a questa mole assoluta di melma, Leone, come con il blocco di ghiaccio benedetto e la sua benedizione cringe, tira dritto, come se niente fosse: viva Don Milani, dice il papa americano, chiaramente imbeccato da qualche puparo della gerarchia. L’agenda della neochiesa va avanti. Ma verso dove?

 

Già. Noi avevamo una nostra allucinante ipotesi. In quell’articolo di oramai otto anni fa scrivevamo: «La finestra di Overton, già spalancata per l’omoeresia, ora pare aprirsi, per mano del Papa, per la pederastia ecclesiastica (…) Il cosiddetto “ritardo cattolico” martiniano è finito. La società secolare può metterci anni a normalizzare la pedofilia; la Chiesa ci può invece impiegare pochissimo. Con il golpe modernista è tutto chiaro: la dissoluzione aumenta esponenzialmente, e la foga satanica contro l’Ecclesia è ben maggiore di quella usata contro la società civile».

 

Cosa stai dicendo? Il Vaticano, che tanto sta pagando per la questione delle vittime degli orrendi abusi commessi da sacerdoti e vescovi… starebbe lavorando per normalizzare la pedofilia?

 

Le forze che controllano l’agenda del papato possono volere un tale abisso? Eccerto.

 

E cosa pensate, che il Male non si concentri sul katechon? Che l’avversario non voglia distruggere la diga costruita da Cristo? Credete che Satana non voglia che il pontefice smetta di creare ponti con il Paradiso?

 

Pensate davvero che chi vuole il dominio del maligno sulla Terra non cerchi di corrompere la Chiesa dall’interno?

 

Capiteci: la finestra di Overton spalancata sulla pedofilia è solo uno dei tasselli del disegno, che in realtà è già bello che scritto: una società mostruosa, dove i tabù – compreso soprattutto l’incesto – sono rimossi definitivamente dai suoi schiavi perverso-polimorfi, dove la morte (per eutanasia, per aborto, per omicidio tout court pienamente legalizzato) è un valore auspicabile, e con essa, vero obiettivo, il sacrificio umano.

 

Ecco che approntano il Regno Sociale di Satana, e lavorano incessantemente non solo per plasmarne la «morale» demoniaca, ma per progettarlo biologicamente: Renovatio 21 ha cercato di ripeterlo negli anni, i bambini della provetta potrebbero essere proprio coloro «il cui nome non è scritto nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13, 8)  di cui parla San Giovanni nell’Apocalisse. Cioè, il futuro popolo, il futuro esercito, dell’anticristo.

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Roma si sta muovendo anche lì, verso lo sdoganamento papista degli umanoidi: e non solo con conferenze ammicanti, ma con la proposta (incredibile davvero) di beatificare il politico democristiano che tanto lavorò per normare, cioè permettere, la fecondazione in vitro in Italia. Dell’agghiacciante processo di beatificazione di Carlo Casini – che gli ebeti pro-vita italici celebrano ancora oggi – avremo modo di scrivere più avanti.

 

Non siamo davanti ad una questione politica. Si tratta di una battaglia metafisica, la guerra spirituale per la salute del mondo, per salvare il pianeta dall’inferno.

 

Volenti o nolenti, lo sappiate o no, a questo siete chiamati dall’ora presente.

 

E, io dico, non c’è onore più grande.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine rielaborata da pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Pensiero

Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

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I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.   L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.   Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.   Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.   Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.   Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.   Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.

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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.   Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.   Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.   Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.   Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.   I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.   Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».   Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.   Patrizia Fermani

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Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Le nazioni devono basarsi sulle proprie tradizioni storiche e spirituali, oltre che su una «visione sovrana del mondo», mentre plasmano il loro avvenire, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio scritto ai partecipanti del II Simposio Internazionale «Inventare il Futuro» a Mosca. L’evento, in programma il 7 e 8 ottobre, accoglierà oltre 7.000 partecipanti provenienti da quasi 80 Paesi.

 

Discussioni aperte e innovative sul futuro dell’umanità supportano i governi nel rispondere adeguatamente alle nuove sfide, ha osservato il presidente russo. «Le conclusioni e i risultati di un dialogo così profondo e sostanziale sono di grande valore», ha aggiunto Putin. «Sono fiducioso che dobbiamo creare il nostro futuro sulla base di una visione del mondo sovrana».

 

Promosso su iniziativa del presidente russo, il simposio comprende circa 50 eventi, organizzati in tre aree tematiche: società, tecnologia e cooperazione globale. Il forum ospiterà oltre 200 relatori provenienti da Russia, Cina, Stati Uniti, Italia e da Paesi di Africa, America Latina, Medio Oriente e Sud-est asiatico, che discuteranno di temi che spaziano dalle sfide demografiche all’intelligenza artificiale (IA) e all’esplorazione spaziale.

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Nel primo giorno del simposio si è svolta una tavola rotonda incentrata sul futuro delle tecnologie di intelligenza artificiale e sul loro potenziale di diventare non solo uno strumento professionale di nicchia, ma una base per un’infrastruttura globale e un nuovo «linguaggio della realtà» per governi e imprese private.

 

Un altro dibattito tenutosi martedì si è concentrato sulle prospettive di collaborazione tra Russia e Africa nei prossimi decenni, fino al 2063. Mosca mira a rafforzare i legami con il continente, promuovendo attivamente la condivisione di tecnologie con le nazioni africane, contribuendo a garantire la sicurezza regionale e sostenendo la sovranità degli attori locali, oltre a favorire un approccio più equo nelle relazioni internazionali.

 

Al forum del Club Valdai, a Sochi, giorni prima Putin aveva parlato dei «valori tradizionali» anche in merito alla «disgustosa atrocità» dell’assassinio di Charlie Kirk.

 

«Sapete, questa disgustosa atrocità, e ancora di più, dal vivo», ha detto Putin a un forum organizzato dal Valdai Discussion Club a Sochi, in Russia. «In effetti, l’abbiamo vista tutti, ma non so, è davvero disgustoso. Era orribile». «Prima di tutto, naturalmente, porgo le mie condoglianze alla famiglia del signor Kirk e a tutti i suoi cari», ha continuato il leader russo. «Siamo solidali e solidali, soprattutto perché ha difeso quei valori tradizionali».

 

Putin aveva aggiunto che la sparatoria mortale è il segno di una «profonda frattura nella società», secondo Reuters. «Negli Stati Uniti, non credo ci sia bisogno di aggravare la situazione all’esterno, perché la leadership politica del Paese sta cercando di ristabilire l’ordine a livello nazionale», ha affermato Putin.

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