Eutanasia
Alfie ammazzato con i soldi del contribuente: un investimento necessario
Sono passati quasi due mesi dalla morte del piccolo Alfie Evans, e come immaginabile il sipario è lentamente calato. Una volta ucciso, Alfie è sparito dall’interesse mediatico.
In tutto questo la famiglia ha ovviamente contribuito chiedendo rispetto, silenzio e possibilità di chiudersi nel proprio dolore senza rumors o pressioni di sorta, come d’altronde è giusto che sia.
Ad ognuna di queste famiglie avvinte e abbattute in sede giudiziaria – prima quella di Charlie, poi quella di Isaiah e, infine, quella di Alfie – corrisponde un più lieve onere in futuro, un maggior avvilimento per tutti i genitori a cui toccheranno le stesse battaglie e sempre più larghe maglie per applicare provvedimenti eutanatici
Va però detto che anche una fetta di mondo cattolico, fino al 28 aprile in prima linea per la battaglia di Alfie, sembra essersi dimenticato di quanto successo contribuendo così all’avanzata di quella macchina di morte che, indisturbata, è pronta a sterminare le prossime vittime innocenti.
Me ne sono accorto qualche sera fa, precisamente venerdì 15 giugno. Dalla Polonia – Paese nettamente più cattolico del nostro – è stata indetta un’iniziativa di preghiera pubblica per il 14 giugno a ricordo di Alfie, della sua famiglia, e per chiedere a Dio la grazia che mai più accadano tali abomini.
Ebbene, in Italia sono state pochissime le iniziative come quella polacca. A Reggio Emilia, nella Piazza del Duomo per riparare all’omicidio di Alfie Evans, eravamo in 5: circa una sessantinain meno rispetto alle iniziative organizzate prima della morte del bambino inglese.
Ma, tornando ai media e al sipario calato, a conferma di questo dato di fatto si aggiunge un dettaglio per nulla irrilevante. Nel pomeriggio di venerdì scorso, dopo mesi di silenzio, la famiglia di Alfie è tornata a parlare attraverso un post sulla pagina Facebook ufficiale dell’ «Esercito di Alfie».
Il post è stato scritto dalla zia del piccolo, Sarah Evans.
L’unico quotidiano ad averne dato notizia, riportando il forte messaggio dalla famiglia è stato il The Sun, sabato mattina. Il Sun è ritenuto, scrive Wikipedia, un giornale pieno di «grossolanità e di poca professionalità, a causa dello stile sensazionalista mirato a un pubblico di basso livello culturale».
Tuttavia è l’unico periodico al mondo a volerne scrivere.
L’accusa di zia Sarah parte dalla pubblicazione delle spese legali sostenute dal NHS (Sistema Sanitario Nazionale) richieste dall’Amministrazione dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool per fronteggiare i vari passaggi della battaglia legale fra i genitori del bambino e l’ospedale pediatrico.
Alfie rappresentava un investimento, culturale e quindi anche economico La resistenza sarà sempre minore perché gli esiti sono stati, ad oggi, sempre gli stessi: la condanna a morte dello stato e la mannaia dei boia ospedale.
È stato chiesto all’Amministrazione quanti soldi sono stati spesi per questo e l’ospedale ha dovuto a rispondere a tali richieste. Qualsiasi contribuente, secondo il Freedom for information act, può pretendere resoconti simili.
Zia Sarah ha pubblicato su Facebook gli screenshot della risposta dell’AH ad una richiesta di informazioni, accusando l’Amministrazione ospedaliera di aver speso oltre 145.000 sterline per uccidere il nipote e affermando che i vertici dell’ospedale sono “tutti corrotti”.
La richiesta per capire le spese legali coperte dal NHS era semplicissima:
«Per favore, potete chiarire quanto ha speso l’Amministrazione per le spese legali che hanno portato il caso del piccolo Alfie Evans alla Corte Suprema per sospendere il suo supporto vitale?»
€164 844,473 del contribuente per uccidere il bambino Alfie Evans
La risposta, agghiacciante, riporta: «L’Amministrazione ha ingaggiato avvocati esterni per rappresentarla nei procedimenti giudiziari riguardanti la cura di Alfie Evans e per fornire la consulenza e il supporto legale relativi al caso. Per rispondere nello specifico alla sua richiesta, i registri dell’Amministrazione indicano come somma totale £ 145.354,77 (IVA esclusa), inclusi gli esborsi quali consulenze legali e spese giudiziarie. Tutto è stato fatturato in relazione sia ai procedimenti giudiziari, sia alla relativa consulenza e supporto legale».
Al cambio di oggi, si tratta di €164 844,473.
La signora Evans, nel post ripreso poi dal The Sun ha inoltre scritto:
«Quando arriva una notizia simile come si può non essere furiosi e disgustati pensando anche che è stato fatto coi soldi dei contribuenti? Più di 145.000 sterline per uccidere mio nipote?! L’Alder Hey e il nostro governo insieme hanno fatto questo! E dirò di più: avevamo un ospedale disponibile ad accoglierlo, avevamo i soldi per portarlo altrove, avevamo l’aereo pronto, avevamo Alfie che resisteva e hanno pagato per ucciderlo?!»
«Chiedetevi perché! Non abbiamo avuto alcuna possibilità di salvare il nostro guerriero. Avevamo più di 60 poliziotti a guardia dell’ospedale. Noi della famiglia abbiamo subito controlli ai nostri bagagli quando andavamo a visitare Alfie, oltre ad essere scortati dalla polizia lungo il corridoio per vederlo; non potevamo chiudere le porte della stanza di Alfie per avere privacy con lui perché un’infermiera doveva puntualmente sedersi appena fuori dalla stanza per tenerci controllati come fossimo criminali. Sempre tre o quattro poliziotti fuori dalla stanza di Alfie, tre fuori dal reparto e due alla fine del corridoio così come a tutte le uscite. Chiedetevi se quando è nato il nuovo bebé reale c’erano tutti questi agenti di polizia che li sorvegliavano?? No!»
«Avevamo più di 60 poliziotti a guardia dell’ospedale. Noi della famiglia abbiamo subito controlli ai nostri bagagli quando andavamo a visitare Alfie, oltre ad essere scortati dalla polizia lungo il corridoio per vederlo. Chiedetevi se quando è nato il nuovo bebé reale c’erano tutti questi agenti di polizia che li sorvegliavano?? No!
«Hanno sbagliato e la verità uscirà presto fuori!»
Lo stesso, a poche ore di distanza, lo ha affermato Thomas dopo quasi due mesi di silenzio rispetto alle dinamiche che hanno portato all’uccisione del figlio con l’appoggio dello stato britannico.
Tutto questo, come detto dalla zia di Alfie, con i soldi pubblici versati dai contribuenti, affinché possano renderci tutti cooperatori al male. Con i soldi dei contribuenti si pagano le spese per l’aborto, le spese per l’eutanasia, per la FIVET e per la crioconservazione di decine, forse centinaia di migliaia di embrioni sospesi fra la vita e la morte. Con i nostri soldi pagano le nuove tecniche di bio-ingegneria genetica per fare largo alla nuova eugenetica positiva, che vede nel malato il male assoluto da perfezionare o, meglio, da far scomparire agendo all’origine, sull’identità genetica.
I soldi pubblici versati dai contribuenti ci rendono tutti cooperatori al male. Paghiamo le spese per l’aborto, per l’eutanasia, per la FIVET e per la crioconservazione di decine, forse centinaia di migliaia di embrioni, paghiamo le nuove tecniche di bio-ingegneria genetica
Ma i soldi, il NHS, li ha spesi sicuramente bene: Alfie rappresentava un investimento, culturale e quindi anche economico. Ad ognuna di queste famiglie avvinte e abbattute in sede giudiziaria – prima quella di Charlie, poi quella di Isaiah e, infine, quella di Alfie – corrisponde un più lieve onere in futuro, un maggior avvilimento per tutti i genitori a cui toccheranno le stesse battaglie e sempre più larghe maglie per applicare provvedimenti eutanatici. La resistenza sarà sempre minore perché gli esiti sono stati, ad oggi, sempre gli stessi: la condanna a morte dello stato e la mannaia dei boia ospedale.
Questo investimento è servito, e pende sulla testa di tutti gli onesti cittadini britannici che, volenti o nolenti, sono stati costretti a contribuire al nuovo abominio che la macchina della necrocultura ha messo in piedi per riportarci al «culto» del sacrificio umano: l’aborto post natale.
Tocca a noi tirare le somme e non permettere che questo continui ad accadere.
Tutti gli onesti cittadini britannici c sono stati costretti a contribuire al nuovo abominio che la macchina della Necrocultura ha messo in piedi per riportarci al “culto” del sacrificio umano: l’aborto post natale.
La vera urgenza è questa e non altra.
Tocca a noi decidere quale battaglia combattere e da che parte vogliamo stare.
Cristiano Lugli
Eutanasia
Slovenia, eutanasia respinta dal referendum
Il Parlamento sloveno ha approvato la legalizzazione dell’eutanasia, ma una campagna popolare è riuscita a respingere la legge tramite un referendum tenutosi domenica 23 novembre 2025.
Infatti, nel luglio 2025, il Parlamento di questo Paese senza sbocco sul mare, confinante con Italia, Austria, Ungheria e Croazia e affacciato sul Mar Adriatico, ha approvato una legge per legalizzare l’eutanasia. Il Parlamento è composto da due camere: l’Assemblea Nazionale e il Consiglio Nazionale.
Sembrava che il dado fosse tratto e che la Slovenia si fosse unita al crescente numero di paesi che rifiutavano sempre più la legge naturale e divina adottando il suicidio assistito e l’eutanasia, nonostante circa due terzi della popolazione si identificasse come cattolica.
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Organizzare un referendum
Ma la coscienza cattolica ha reagito: un gruppo chiamato «Voice for Children and Family» ha organizzato una raccolta firme contro la legge, raccogliendo rapidamente 46.000 firme, sufficienti per innescare un referendum.
La sfida era trasformare questa opportunità in un successo. In Slovenia, affinché un referendum sia valido, almeno il 20% degli 1,7 milioni di elettori registrati nel Paese deve recarsi alle urne. Questa soglia è stata ampiamente superata, con oltre il 40% degli elettori presenti.
Ma era necessario anche prendere in considerazione una campagna a favore dell’eutanasia, promossa dalla maggioranza dei politici e sostenuta da finanziamenti ingenti. Il primo ministro Robert Golob ha chiesto ai cittadini di sostenere la legge affinché “ognuno di noi possa decidere autonomamente come e con quale dignità porrà fine alla propria vita”.
Gli oppositori dell’eutanasia hanno organizzato la loro campagna attraverso una coalizione di vari gruppi pro-life e campagne porta a porta per convincere gli sloveni. La coalizione ha ricevuto il sostegno della Chiesa cattolica e di alcuni partiti di opposizione.
Alla fine, il referendum contro l’eutanasia ha avuto successo. Tuttavia, la vittoria è stata risicata: il 53% ha votato contro la legge sull’eutanasia e il 47% a favore. Oltre alla maggioranza, la legge richiede che la proposta referendaria riceva il sostegno del 20% degli elettori.
Ales Primc, direttore di Voz za otroke in družino (Voce per i bambini e la famiglia), si è rallegrato per la vittoria della «solidarietà e della giustizia» e per il rifiuto della Slovenia delle riforme governative “basate sulla morte e sull’avvelenamento. … È un miracolo”, ha aggiunto, “la cultura della vita ha trionfato sulla cultura della morte”.
Purtroppo, il referendum significa solo che il governo non potrà introdurre un’altra legge sull’eutanasia per dodici mesi. È certo che, tra poco più di un anno, un nuovo disegno di legge sarà presentato in Parlamento, ignorando la sacrosanta «volontà generale».
Tuttavia, come commenta InfoCatolica , «le misure contrarie alla legge naturale devono avere successo una sola volta». Non importa che vengano respinte e falliscano ripetutamente: una volta approvate, le leggi sull’eutanasia, il divorzio, l’aborto o il «matrimonio» tra persone dello stesso sesso sono considerate immutabili.
La Slovenia è un paese prevalentemente cristiano: i cattolici costituiscono il 72% della popolazione, seguiti da un considerevole 18% di persone senza religione (come in tutti gli ex Paesi comunisti), dal 3,5% di cristiani ortodossi, dal 2,9% di musulmani e da meno dell’1% di protestanti.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Eutanasia
Il vero volto del suicidio Kessler
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Eutanasia
Gemelle Kessler, Necrocultura Dadaumpa
Alice ed Ellen Kessler erano diventate membri della Deutsche Gesellschaft fur Humanes Sterben (società tedesca per la morte umana) da oltre sei mesi e avevano deciso di morire insieme il 17 novembre. Secondo quanto riportato da una testata bavarese, un avvocato e un medico della DGHS avrebbero condotto dei colloqui preliminari con le famose gemelle e alla data stabilita si sarebbero recati nella loro casa di Grunwald per «assisterle».
In Germania il suicidio assistito è stato depenalizzato nel 2020 dalla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato incostituzionale una norma che lo proibiva. La sentenza in questione stabiliva infatti che deve esserci «margine sufficiente affinché un individuo possa esercitare il proprio diritto a una morte autodeterminata».
La Corte Costituzionale ha specificato altresì che nessuno può essere obbligato a favorire il suicidio assistito e ha lasciato al Parlamento la facoltà di introdurre una legislazione sul tema, ma finora i tentativi di arrivare a una legge sono tutti falliti. In Germania è consentito ricorrere a tale pratica solamente ad alcune condizioni: colui o colei che intende ricorrervi deve dimostrare di agire responsabilmente e di propria spontanea volontà, di essere maggiorenne e di avere riconosciuta la propria capacità giuridica.
Inoltre, chi assiste il richiedente non può eseguire personalmente l’atto, perché ciò sarebbe da considerare una pratica di «eutanasia attiva», che invece è vietata. La morte avviene tramite l’infusione endovenosa di un’alta dose di anestetico barbiturico che provoca, in breve tempo, l’arresto cardiocircolatorio del soggetto ricevente.
In un’intervista rilasciata nel 2019 al Quotidiano Nazionale Ellen Kessler aveva manifestato la volontà che le loro ceneri fossero unite a quelle della mamma e del cane: «ne abbiamo parlato noi due e abbiamo deciso di fare così, di stare tutte in un’urna. Anche il cane (…) lo spazio ci vuole. La gente è sempre di più, invecchia sempre di più, la morte purtroppo c’è per tutti e quindi la soluzione è questa: una tomba e un’urna per tutti. Molti in Germania adesso si fanno cremare e seppellire sotto un albero nella foresta (…) Non vogliamo certo finire in un asilo per anziani o per malati. Abbiamo un testamento biologico secondo cui se succede qualcosa di grave ci sono degli ospedali speciali che curano senza allungare la vita. Il mio sogno è andare a letto e non svegliarmi più, la morte più bella che ci possa essere».
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Mentre in un’intervista rilasciata lo scorso anno al quotidiano Bild le Kessler avevano dichiarato di non voler sopravvivere l’una all’altra e avevano anche aggiunto che una vita senza dignità non vale la pena di essere vissuta.
La loro decisione, tuttavia, non può essere compresa appieno senza considerare il contesto filosofico in cui si inserisce. In questa prospettiva, il materialismo del pensiero moderno identifica il principio vitale dell’essere umano nell’attività cerebrale, mentre la tradizione filosofica su cui la civiltà occidentale ha fondato il suo diritto e la sua morale, almeno fino alla metà del secolo scorso, afferma che l’uomo è composto di anima e corpo e ha nell’anima razionale il principio vitale che lo caratterizza. Tale principio pur essendo nel corpo non si trova in nessun organo, tessuto o funzione perché è di natura spirituale.
Pertanto, ciò che sostanzia l’essere umano non è l’autocoscienza e nemmeno la sua capacità di interagire con l’ambiente ma la presenza in lui dell’anima razionale che include l’uso di queste funzioni. La vita inizia con l’infusione da parte di Dio Creatore dell’anima nel corpo e termina con la separazione da esso, nel momento in cui l’organismo si dissolve nei suoi elementi costitutivi.
Ci troviamo di fronte a due concezioni dell’esistenza umana diametralmente opposte: una che riconosce e difende il suo valore intrinseco, l’altra che riconosce il suo valore solo a determinate condizioni. Nell’ottica cristiana l’uomo è Imago Dei mentre in quella del pensiero moderno è un mero agglomerato di organi e funzioni al pari di qualsiasi altro essere vivente; ancora, nell’ottica cristiana la dignità della persona umana è ontologica, mentre in quella del pensiero moderno dipende dalla persistenza o meno di determinate funzioni intellettive: la sofferenza fisica e/o psichica viene considerata un danno oggettivo alla qualità della vita di un essere umano che viene talvolta ritenuto motivo sufficiente per giustificarne l’eliminazione.
La concezione filosofica dell’esistenza che hanno espresso in vita le gemelle Kessler è esattamente quella che la Necrocultura diffonde con ogni modalità possibile e in tutti i campi. La loro fine rappresenta, in fondo, ciò che lo stato moderno si aspetta che ciascuno di noi faccia, ossia togliere il disturbo quando la nostra condizione non ci consente più di produrre o essere utile agli altri o alla comunità nel suo complesso.
Va da sé che il cosiddetto principio dell’autodeterminazione rappresenta il classico specchietto per le allodole: l’eutanasia e il suicidio assistito conducono necessariamente all’eliminazione di tutti coloro che non hanno una qualità di vita ritenuta sufficiente secondo i parametri della modernità, come abbiamo visto nei casi di Charlie Gard e Alfie Evans uccisi dalla giustizia inglese in ossequio al loro best interest, solo per fare qualche esempio. L’eliminazione programmata e obbligatoria dell’essere umano è un approdo che rischia di diventare solo questione di tempo.
La scelta delle gemelle Kessler diventa il simbolo di un conflitto sempre più evidente nella nostra società: da una parte una visione che riconosce alla vita umana un valore intrinseco, indipendente da condizioni di efficienza o autonomia; dall’altra una concezione che lega la dignità alla qualità percepita dell’esistenza e che vede nella fragilità e nella sofferenza un limite intollerabile.
Di fronte a questa deriva culturale, è necessario ribadire che la dignità umana non è negoziabile e non dipende dalle condizioni in cui ci si trova.
Alfredo De Matteo
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificatra
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