Pensiero
Un partito per liberare la Sicilia e la sua ricchezza. Intervista al candidato alle regionali Mario Pagliaro

Il 25 settembre non sarà solo la fatidica data delle elezioni politiche 2022. Quel giorno si voterà anche in Sicilia per rinnovare l’Assemblea Regionale Siciliana – la mitica ARS, che i siciliani seguitano a chiamare convintamente «Parlamento». Renovatio 21 crede che quanto accada in Sicilia vada sempre seguito. Non solo perché è tecnicamente la regione più grande d’Italia, ma perché nei secoli ciò che muove dalla Trinacria – e dal suo sottosuolo – può sconvolgere gli equilibri degli uomini di tutto il mondo: l’Etna è una colossale metafora di ciò che stiamo dicendo, da prendere alla lettera.
Abbiamo appreso che il professor Mario Pagliaro, che già in passato abbiamo intervistato su Renovatio 21, si è ora candidato. Il professore , accademico di Europa, fra gli scienziati italiani più citati al mondo, è chimico esperto in materiali nanostrutturati, nonché tra i massimi conoscitori della tecnologia solare in Italia, che ha spiegato nel preziosissimo libro divulgativo Helionomics. La libertà energetica con il solare (2018).
Pagliaro è candidato per un piccolo partito, Siciliani Liberi, che si presenta alle elezioni regionali per la seconda volta dopo quelle del 2017. Per farlo, il partito ha dovuto raccogliere migliaia di firme in pochi giorni a cavallo di Ferragosto, mentre ai partiti già rappresentati in ARS non era ovviamente richiesta alcuna firma.
I ragazzi ce l’hanno fatta. Le firme sono arrivate, e i candidati sono stati presentati.
Renovatio 21 lo ha sentito per farsi raccontare del suo movimento e della Sicilia, nel presente e nella Storia – e nel futuro.
Professor Pagliaro, cosa è il Movimento Siciliani Liberi?
Un partito politico siciliano che viene da lontano ed è destinato ad andare lontano: perché ha per obiettivo quello di ridare ai siciliani il governo della Sicilia. Inoltre, in continuità con la migliore cultura siciliana, è un partito che esprime una netta dissidenza culturale rispetto a quel «radicalismo borghese» che da tempo domina la propaganda culturale in Italia e in Europa.
Sarete quindi presenti alle Regionali del 25 settembre, ma non alle politiche?
Esatto. Benché pressoché tutto ciò che riguarda la Sicilia venga di fatto deciso a Roma e Milano, il presidente della Regione Siciliana e il Parlamento regionale dispongono di amplissimi poteri. Che se ben utilizzati porterebbero enorme beneficio alla Sicilia.
Chi ha fondato il partito?
Il professore Massimo Costa, docente universitario di economia aziendale e storico. È autore di una storia istituzionale e politica della Sicilia divenuta in breve tempo una lettura fondamentale per chiunque voglia conoscere la storia politica della Sicilia.
Ciro Lomonte, architetto e fine intellettuale, ne è il Segretario. Fervente cattolico, per anni nella direzione della residenza universitaria «Segesta» dell’Opus Dei e per due volte candidato a sindaco di Palermo, ha mostrato in numerosi articoli come i nuovi occupanti piemontesi presero subito di mira le tradizioni e la cultura siciliana per impedire alla popolazione di identificarvisi.
Ad esempio, in un bel numero del Covile del 2017 dedicato alla sua candidatura a sindaco ha spiegato perché, con vari pretesti, i palermitani dovettero attendere il 1974 per ricominciare a festeggiare la loro Santa patrona.
Sul sito del partito leggo che si tratta di un partito indipendendista. È questo il vostro programma per la Sicilia?
Lo ha spiegato bene la candidata alla presidenza della Regione, Eliana Esposito. Quando i siciliani vedranno i benefici dell’autogoverno, saranno loro stessi a chiedere l’indipendenza. Il programma, adesso, è quello di ridare il governo della Sicilia ai siciliani all’interno dell’attuale ordinamento, che il partito rispetta pienamente, per migliorare ogni singolo aspetto dell’amministrazione regionale: che va dalla gestione delle acque e del patrimonio boschivo a quello storico-artistico, altrove in Italia competenze dello Stato.
In che senso ridare il governo della Sicilia ai siciliani? Non sono siciliani i presidenti della Regione o i «parlamentari» dell’ARS?
Certo che lo sono. Ma fanno tutti parte di partiti politici i cui vertici sono a Roma e a Milano e i cui interessi molto spesso non coincidono con quelli della Sicilia. A un importante avvocato siciliano molti rimproveravano di essere lui a fare le leggi regionali. Lui, sornione, rispondeva che non faceva le le leggi: ma che le scriveva, visto il livello culturale dei «parlamentari» regionali siciliani.
Non si riferiva a tutti, ovviamente, la Sicilia ha avuto dal 1946 al 1992 sia grandi presidenti della Regione che grandi parlamentari regionali.
La legge elettorale era proporzionale e i partiti e gli uomini politici siciliani disponevano di un autentico consenso popolare. Oggi però, con la fine del proporzionale e i partiti ridotti a semplici comitati elettorali, è sufficiente una riunione a Roma per far dimettere il presidente della Regione.
È mai accaduto?
Prenda il presidente uscente, il catanese Sebastiano «Nello» Musumeci, storico esponente del MSI. Ha scritto Ciro Lomonte che secondo lui il 25 Settembre voterà per Siciliani Liberi, convinto anche lui della necessità di sostenere un partito siciliano che ridia ai siciliani la possibilità di autogovernarsi.
Nonostante buoni risultati con le infrastrutture, con la gestione dei rifiuti durante la gestione dell’assessorato da parte del veneto Pierobon, e quella del patrimonio storico-artistico da parte del grande Sebastiano Tusa fino alla sua tragica scomparsa, gli è stato chiesto di dimettersi e di non ricandidarsi.
Nonostante ancora il 31 luglio dichiarasse le elezioni anticipate «un’ipotesi che non esiste» è bastata una riunione dei partitia Roma a fargli annunciare le dimissioni su Facebook.
Probabilmente, se la DC avesse trattato così Rino Nicolosi, ultimo grande presidente della Sicilia anche lui catanese, alle elezioni regionali o politiche avrebbe perso 300mila voti e avrebbe visto la rivolta nel partito.
E durante la prima Repubblica, come mai l’indipendentismo siciliano fu rapidamente riassorbito?
Il grande sviluppo economico conosciuto nei 45 anni della «prima Repubblica» (1947-1992) riassorbì rapidamente le istanze indipendentiste. Erede del Partito Popolare del siciliano Don Sturzo, la DC aveva in Sicilia un enorme consenso elettorale. Concesse dunque alla Sicilia una relativa autonomia e vi portò lo sviluppo economico attraverso grandi investimenti pubblici.
La Cassa per il Mezzogiorno guidata dal professore Pescatore e la Regione con l’Ente di sviluppo agricolo costruivano le uniche infrastrutture, incluse enormi dighe, mai costruite in Sicilia dal 1860 ad oggi.
L’ENI, oltre ad investire su petrolio e gas siciliani, faceva sorgere vicino ad Enna persino una fabbrica tessile che per decenni ha dato lavoro a 400 operai, mentre le banche pubbliche controllate dalla Regione erogavano credito all’intero sistema produttivo. Tutto finì con la liquidazione dei partiti popolari e la nascita della cosiddetta «seconda Repubblica».
Parliamo della Sicilia di oggi. Qual è ora il male che maggiormente l’affligge?
La drammatica situazione finanziaria che priva la Regione e gli enti locali (Comuni ed ex Province) delle risorse necessarie persino a riparare e manutenere le strade. Percorrendole, i turisti stentano a credere che si tratti di una regione europea nel 2022.
A differenza però della vulgata propagandata, la responsabilità dello stato delle finanze regionali non è dei famosi «forestali».
A fronte di innumerevoli competenze e costi, inclusi quelli della motorizzazione civile, Roma trattiene ogni anno oltre 10 miliardi di tasse che l’articolo 36 dello Statuto siciliano, formalmente recepito nella Costituzione, assegna in via esclusiva alla Regione Siciliana.
La DC, dominus dello Stato nella prima Repubblica, si guardò bene dal far varare i decreti attuativi dello Statuto riguardo l’articolo in questione che regolerebbe la distribuzione dei tributi fra Stato e Regione. Con la seconda Repubblica, le crescenti difficoltà finanziarie dello Stato, oggi arrivato a detenere 2800 miliardi di debito pubblico, hanno portato i governi nazionali a sottrarre al bilancio regionale siciliano sempre maggiori risorse.
Senza entrare nei dettagli, a partire dal 2014 si sono succeduti una serie di accordi fra Stato e Regione «in materia di finanza pubblica» con cui quest’ultima ha rinunciato a molti miliardi dovuti, peggiorando notevolmente lo stato di quelle regionali.
Si ha sempre l’impressione che la Sicilia sia terra di tesori immensi, moltissimi dei quali sconosciuti, inutilizzati.
Questo è del tutto vero. Mi lasci citare il caso di un carissimo amico e grande archeologo con il quale al CNR abbiamo a lungo collaborato, il compianto professore Sebastiano Tusa, poi assessore del governo Musumeci. Consapevole che i tesori sottomarini della Sicilia non venivano valorizzati ed anzi erano spesso rubati dai tombaroli subacquei, Sebastiano da archeologo della Regione prima fonda il Gruppo investigativo archeologico subacqueo regionale immergendosi lui stesso per molti anni.
Poi trova in un giovane e colto uomo politico di Siracusa assessore ai Beni culturali nel primo governo Cuffaro, Fabio Granata, il sostegno necessario alla nascita della Soprintendenza del Mare.
In pochi anni scopriranno ed esporranno nei musei della Sicilia autentici tesori come il Satiro Danzante oggi esposto a Mazara del Vallo o le teste marmoree di Giulio Cesare, Tito ed Agrippina rinvenute a Pantelleria ed oggi esposte nel castello dell’isola.
Cosa si può fare per mettere a frutto la ricchezza della Sicilia?
Darle una classe dirigente nuova, fiera innanzitutto di essere fatta di siciliani al servizio della Sicilia. Questo recupero dell’ethos pubblico tanto da parte degli uomini politici che dei funzionari regionali farà sì che i siciliani non svendano più la loro terra e le loro funzioni ad interessi esterni che spesso non coincidono con il bene della Sicilia.
In questo processo, il ruolo di avanguardia di un partito piccolo ma organizzato e ricco di idee concrete per dare soluzioni ai problemi della Sicilia come Siciliani Liberi potrà essere molto più grande del suo attuale consenso.
È possibile pensare ad una rinascenza industriale della Sicilia a partire dall’energia solare e da altri innovazioni tecnologiche darebbero all’isola un immenso valore strategico e materiale?
È possibile e sarebbe anche fattibile in pochi anni. Serve, appunto, una nuova classe dirigente capace di agire su due fronti: da un lato diminuire la tassazione facendo dell’intera regione una Zona Economica Speciale, come chiede il programma di Siciliani Liberi, e dall’altro ritornare all’intervento diretto dello Stato nell’economia, ricostituendo l’IRI e affidandogli la ricostruzione industriale di Italia e Sicilia, partendo proprio dalle nuove tecnologie dell’energia.
Prima ancora della guerra in Ucraina, il blocco e poi il forte aumento dei prezzi dei semilavorati e delle altre merci in arrivo dalla Cina hanno chiarito la fragilità dell’economia europea ormai in larga parte deindustrializzata.
Di fronte ai costi energetici divenuti insostenibili per imprese e famiglie, la Francia ha subito nazionalizzato l’industria elettrica. La Germania ha nazionalizzato il maggiore distributore di gas naturale e trasferito enormi risorse a tutte le aziende, partendo dalla compagnia di bandiera.
Se l’Italia vuole sopravvivere, non ha alternative all’immediata ricostituzione dell’IRI di cui parlammo un anno fa con Renovatio 21 anticipando la crisi energetica di cui allora non parlava nessuno.
Non vi è solo la terra, il sole e il mare: parliamo delle eccellenze scientifiche della Sicilia, del suo capitale umano.
È enorme. Come l’Armenia o la Grecia, la Sicilia occupata dal Piemonte nel Maggio del 1860 ha visto espatriare in un secolo che ha incluso due guerre mondiali una parte enorme della sua popolazione. Sono siciliani di seconda o terza generazione il cantante americano Zappa o il pilota di Formula 1 Ricciardo.
Sono siciliani grandi scienziati come i fisici Majorana, il chimico Cannizzaro, o direttori di orchestra come Gino Marinuzzi, definito da Paolino Isotta il più grande del XX secolo. E poi innumerevoli imprenditori, artisti e scrittori. Quasi tutti hanno fatto grandi cose fuori dalla Sicilia: ma quando la Regione Siciliana ha saputo investire bene, ad esempio creando l’Istituto regionale del vino oppure la Soprintendenza del Mare, in quei settori è cambiato tutto in pochi anni.
Quando, su incarico dell’Istituto del vino, il grande enologo piemontese Giacomo Tachis iniziò il suo lavoro in Sicilia da più parti si insisteva perché le vigne in Sicilia fossero estirpate. Oggi, in Sicilia le aziende vitivinicole che usano i metodi colturali insegnati da Tachis fatturano molti milioni di euro e i loro vini sono premiati nel mondo.
Lo stesso occorre fare adesso con l’energia solare: creare un Istituto regionale e far crescere il numero di impianti sui tetti da quello ridicolo attuale, 60.000, a un milione e 700mila. Tanti quanti sono gli edifici in Sicilia.
Parliamo di storia della Sicilia. Ci può raccontare la versione che non conosciamo?
Chi vuol conoscere quella vera, può leggere il libro di Massimo Costa. Praticamente nessuno in Sicilia sa che il Regno di Sicilia è durato ininterrottamente dall’incoronazione a Palermo di Re Ruggero da parte di Papa Anacleto la notte di Natale del 1130 all’anno successivo al Congresso di Vienna del 1815.
Reinsediati i Borbone dal Congresso di Vienna, Re Ferdinando nel 1816 pose la basi per la fine del Regno fondando un «Regno delle Due Sicilie» tramite cui sottrasse a Palermo tanto la corona che il Parlamento. Trasferì quindi la capitale e la corte a Napoli, allora come oggi la più bella città europea.
Furibonde, la nobiltà siciliana e la nascente borghesia si rivolsero a Londra, già ampiamente presente in Sicilia, per liberarsi dei Borbone. Si ritrovarono nel Maggio 1860 occupati da questi sconosciuti piemontesi.
Così quando a Bronte ad Agosto i contadini capirono che non ci sarebbe stata alcuna divisione del latifondo si ribellarono con le armi. Garibaldi inviò subito le truppe guidate da Bixio. I presunti capi della rivolta furono passati per le armi nellapiazza del paese di fronte alla popolazione atterrita. Bixio usò la moderna rete telegrafica fatta costruire dal Re Borbone per telegrafare a Palermo a Garibaldi: «Rivolta domata».
I siciliani prima, e i meridionali poco dopo, capirono subito che tipo di occupazione sarebbe stata quella piemontese
Quanto ai nobili siciliani che pure avevano tradito il Re Borbone può letteralmente assaporarne la disperazione di fronte al nuovo occupante ancora un secolo dopo in ogni pagina de Il Gattopardo. Come ricorderà, il libro è stato scritto da un principe siciliano che si intratteneva su questi temi con un altro grande intellettuale e nobile siciliano, il barone Corrado Fatta della Fratta.
C’è un importanza della Sicilia nella storia d’Europa e del mondo?
Centrale. E la ragione è geografica. Il Mar Mediterraneo, cerniera degli oceani, è il più importante al mondo. La Sicilia ne è al centro. Lo svela bene la mappa antropomorfa del mondo realizzata ad Ebstorf, in Sassonia, nel XIII secolo. In cima alla mappa, c’è la testa di Cristo in Oriente. Le sue mani segnano i limiti del mondo conosciuto. Al centro c’è Gerusalemme, la città santa. E poco più in basso, a forma di cuore c’è l’isola di Sicilia.
Che la Sicilia e il suo possedimento fossero strategici lo sapevano già i Romani, che conquistandola si proietteranno in poco tempo sul Nord Africa e sulle terre di Oriente con le loro immense ricchezze. Lei saprà che la legione romana che conquistò Gerusalemme era di stanza a Messina, la Legio X Fretensis, cioè dello stretto di Messina.
Lo sapevano i Normanni che già con Re Ruggero conquistarono un’ampia area del Nord Africa oltre che Malta. Lo sapevano i tedeschi che con Enrico VI di Svevia scendono in Sicilia per dare alla Germania la proiezione imperiale.
In mancanza di cambiamento, quale potrebbe essere il destino della Sicilia?
Una nuova, drammatica emigrazione di massa. Durante i due anni dei vari lockdown, un gran numero di giovani siciliani vi ha fatto ritorno dal Nord, in particolare da Milano e dal Veneto.
Oggi, la Sicilia vive di «reddito di cittadinanza» e di turismo, oltre ad assistere ad una vera rinascita dell’agricoltura con molte pregiate produzioni, dal frumento al ficodindia, dal vino al limone, tornate redditizie in pochi anni.
Per avere un’idea, in Sicilia lo scorso febbraio a percepire in media 613 euro mensili di reddito di cittadinanza erano 625.000 persone: oltre il 13 per cento della popolazione. Ciononostante, le tre città, Palermo, Catania e Messina, si stanno svuotando rapidamente. A Palermo ormai risiedono solo 630.000 persone. Nel 1981 gli abitanti erano 702.000.
Solo l’anno scorso, la capitale siciliana ha perso oltre 7.000 abitanti. Se la crisi finanziaria dello Stato dovesse aggravarsi insieme alla crisi dell’euro, con le relazioni internazionali in rapido deterioramento, finirebbero tanto il reddito di cittadinanza che il turismo.
A quel punto, la crisi diverrebbe così grave da portare all’abbandono della Sicilia di tutta la popolazione in età lavorativa. Sarebbe, sostanzialmente, il collasso economico, sociale e demografico della Sicilia.
Un’ultima domanda ci incuriosisce. Cosa intende quando dice che il vostro Partito è fatto da dissidenti che in Sicilia si oppongono al «radicalismo borghese»?
Glielo spiego con un esempio. Il medico Chevalier de Jaucourt, stretto collaboratore di Diderot, curò circa 17.000 voci della Enyclopedie francese ancora oggi propagandata agli studenti di tutto il mondo come luce della nuova «epoca dei Lumi». Fra di essa c’era la voce «Palerme» definita «ville détruite de la Sicile», ovvero città distrutta della Sicilia. E continuava: «Sede di arcivescovado provvista di un piccolo porto, prima della sua distruzione causata da un terremoto, disputava a Messina il titolo di capitale». Mentre alla voce «Sicile» il medesimo illuminato scienziato concludeva: «In breve: la Sicilia oggi non ha più altro d’ importante che le sue montagne e il suo Tribunale dell’inquisizione».
Esterrefatto nel constatare che persino la traduzione italiana dell’Encyclopedia curata a Livorno contenesse le stesse menzogne, il benedettino siciliano Salvatore Di Blasi nel 1775 diede alle stampe un libro nel quale rivendicava la tradizione di una «Sicilia antichissima coltivatrice di Lettere» liquidando giustamente la «crassissima negligenza dei signori enciclopedisti».
Oggi non è diverso dal 1775: non bisogna aver letto Feyerabend per capire che il radicalismo borghese, mascherato da scientismo, procede con la stessa ridicola petulanza intellettuale di de Jaucourt e Diderot ai tempi della Encyclopedie.
Allora come oggi, la migliore tradizione del pensiero siciliano insegna che la dissidenza culturale è la prima necessaria opposizione a questa rovinosa quanta falsa «cultura» .
Immagine di NASA Marshall Space Flight Center via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)
Epidemie
Robert Kennedy, la guerra psicologica del COVID e il suo impatto sulla democrazia

Renovatio 21 traduce questo articolo di Joseph Mercola pubblicato da Lifesitenews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Robert F. Kennedy Jr. dice la verità sulla risposta autoritaria alla pandemia che continua a minacciare la democrazia e la libertà così come le conosciamo. Gli è costato amicizie e 40 anni di contatti politici, per non parlare della perdita di guadagni e rapporti d’affari.
Ma le minacce alla sua reputazione e credibilità, poiché i media hanno attaccato lui e il suo messaggio, non sembrano un sacrificio, dice Kennedy, poiché si sente chiamato a difendere questo problema.
In un’intervista con la giornalista Kim Iversen, Kennedy spiega: «lo considero un regalo. Sono cresciuto in un ambiente, in una famiglia, in cui presumiamo che le nostre vite sarebbero consumate in qualche controversia e che sarebbe un privilegio se potessimo assumere un ruolo significativo in questo».
Vivere in un esperimento di Milgram nel mondo reale
Kennedy fa parte del 30% stimato della popolazione che è rimasta scettica nei confronti della narrativa mainstream durante la pandemia. La maggior parte, tuttavia, non stava accettando pienamente la paura e la propaganda che veniva loro venduta.
Fa riferimento all’ormai famigerato esperimento condotto dallo psicologo della Yale University Stanley Milgram nel 1962, durante il quale ha testato i limiti dell’obbedienza umana all’autorità. L’esperimento di Milgram è stato condotto dopo il processo al nazista Adolf Eichmann, che ha utilizzato la difesa di Norimberga, o «befehl ist befehl», che si traduce in «un ordine è un ordine».
L’esperimento di Milgram ha mostrato chiaramente che le persone agirebbero contro il proprio giudizio e danneggerebbero un’altra persona a lunghezze estreme semplicemente perché gli veniva detto di farlo. Era associato al progetto top secret MKULTRA della CIA, che si occupava di esperimenti di controllo mentale, torture umane e altri studi medici, inclusa la quantità di LSD necessaria per «frantumare la mente e spazzare via la coscienza».
MKULTRA era solo uno dei numerosi esperimenti di controllo mentale condotti dalla CIA negli anni ’60 e ’70. Secondo Kennedy:
«La CIA ha fatto molti esperimenti con le università, quasi 200 università in tutto il Paese con scienziati sociali per studiare gli esseri umani, il comportamento umano, e stavano sperimentando ogni genere di cose come droghe psichiatriche, droghe psichedeliche, LSD, etc., con la tortura , con privazione sensoriale, e tutti i tipi di mezzi per controllare non solo gli individui, ma intere popolazioni con la propaganda, la paura, tutte queste cose».
«Quindi tutte queste università ricevevano centinaia di migliaia e milioni di dollari dalla CIA o da gruppi di facciata della CIA per programmi chiamati MKULTRA. Il motivo per cui si chiama MK è che è il codice per il controllo mentale. Quindi MK Dietrich, MKULTRA, MK Naomi, Operazione Artichoke, Operazione Bluebird, molti, molti altri, riguardavano l’inoltro di denaro alle università per studiare il controllo del comportamento umano».
Eppure, anche durante l’esperimento di Milgram, il 33% delle persone si è alzato e se n’è andato, rifiutandosi di violare la propria etica.
«Possono provenire da un’intera gamma di background e partiti politici, che semplicemente… mantengono quella capacità di pensiero critico e non sono soggetti a… che prevalgono sull’autorità», ha detto Kennedy. «E mi sembra… che ora siamo tutti nelle grinfie di questo enorme esperimento di Milgram, dove abbiamo un dottor Anthony Fauci, che è questa autorità fidata, che ci dice di fare cose che sappiamo essere sbagliate, come censurare discorso».
La paura è il nemico
La paura è il nemico, poiché consente ai sistemi totalitari di prendere il controllo delle persone, distruggendo la democrazia nel processo, afferma Kennedy. È comunemente usato dalle persone autorevoli per esercitare un ulteriore controllo, come obblighi vaccinali e lockdown. Children’s Health Defense, fondata da Kennedy, ha intentato più di 50 cause legali, molte delle quali riguardanti mandati COVID.
All’inizio, anche i giudici erano troppo spaventati per pronunciarsi contro i dettami dello stato, portando a «decisioni davvero folli che … non avevano senso», afferma Kennedy. Da allora hanno fatto dei progressi, anche a New York, dove un giudice ha detto che poiché lo sparo non impedisce la trasmissione, non puoi avere un mandato per farlo.
Ma sottolinea che un governo non solo non rinuncerà al potere, ma abuserà anche di qualsiasi potere che ha nella massima misura possibile. Solo perché la pandemia è finita, la voglia di controllare non se ne va.
«Le persone dovrebbero tenere presente che nessuno ha mai rispettato le regole del regime totalitario. Quindi, se pensi di sapere, abbandonando queste regole, che in qualche modo le cose miglioreranno o che si sazierà il bisogno di controllarti, non è così. Li incoraggerà solo a fare qualcosa di peggio».
Tempi senza precedenti, la tecnologia minaccia la democrazia
Kennedy afferma anche che stiamo affrontando una situazione in cui non ci siamo mai trovati prima. Non è che la democrazia non sia stata minacciata e persa in passato, ma ora sono disponibili gli strumenti tecnologici per una sorveglianza diffusa:
«Ci sono state molte volte in cui abbiamo perso la democrazia. C’è stata una polarizzazione che era così brutta prima, in particolare durante la Guerra Civile. Ma altre volte nella nostra storia, c’è stata una polarizzazione molto, molto tossica».
«Ci sono stati momenti in cui abbiamo perso la democrazia e le grandi società, in particolare durante l’età dell’oro negli anni 1880 e 1890… – sai, le grandi compagnie petrolifere come la Standard Oil – gestivano il nostro paese, e noi non avevamo davvero una democrazia funzionante».
La differenza era che, allora, «abbiamo iniziato a tagliare questo monolite di potere corporativo e governativo, la fusione del potere corporativo che aveva abolito la democrazia» e siamo stati in grado di ripristinarlo. Ciò che è diverso oggi è che ora abbiamo la tecnologia disponibile per controllare il comportamento umano su larga scala:
«Il problema è che ora abbiamo questi strumenti, queste tecnologie, per il controllo del comportamento umano che non avevamo mai avuto prima. L’ambizione, l’intenzione di ogni regime totalitario nella storia è di controllare ogni aspetto del comportamento umano – le nostre parole, i nostri pensieri, le nostre transazioni, i nostri movimenti, tutto ciò che facciamo – ma non sono mai stati in grado di farlo, perché nessuno , nessun governo, ha mai avuto quella portata».
«Ma oggi abbiamo sistemi di riconoscimento facciale ovunque. Abbiamo sistemi satellitari. Bill Gates afferma che il suo sistema satellitare, che è di 61.000 satelliti… sarà in grado di guardare ogni centimetro quadrato della Terra 24 ore al giorno. Ora stiamo iniziando la strada verso l’adozione delle valute digitali, che è schiavitù economica. Non appena ciò accade, perdiamo tutti i diritti perché potranno farti morire di fame».
«E ne abbiamo già un esempio con uno sciopero dei camionisti, e nella nostra manifestazione a Toronto, Trudeau ha mandato la gente a guardare le targhe di questi camionisti e poi ha congelato i loro conti bancari. Quindi non potevano pagare il mutuo, non potevano mandare i figli a scuola, non potevano comprare cibo per la loro famiglia. Nessuno di loro è stato accusato di un crimine».
Non c’è alcuna «esenzione pandemica» nella Costituzione
Kennedy sottolinea anche che gli autori della Costituzione non hanno aggiunto alcuna esenzione dovuta alle pandemie. Ne erano ben consapevoli, avendo sperimentato molteplici epidemie durante la guerra rivoluzionaria. Ma la Costituzione è stata protetta e ha permesso di funzionare come previsto. L’aggiunta di eccezioni è qualcosa di nuovo.
Kennedy osserva:
«Ci sono state epidemie in ogni città che hanno ucciso decine di migliaia di persone: febbre gialla, colera, vaiolo e molti altri. Quindi, i corniciai sapevano tutto. Ma non hanno inserito un’eccezione epidemica o pandemica nella Costituzione degli Stati Uniti. È una cosa nuova… abbiamo avuto una guerra civile e Lincoln – in un momento in cui il nostro Paese era davvero “non così lontano” dall’essere distrutto, 669.000 americani sono morti. Oggi sono morte 20 milioni di persone».
«Eppure, quando ha cercato di sbarazzarsi dell’Habeas Corpus, la Corte Suprema ha detto: “Non puoi farlo”. Non c’è eccezione per la guerra… non c’è eccezione per le pandemie. Abbiamo avuto una pandemia di influenza spagnola nel 1918 che ha ucciso 50 milioni di persone. Eppure, non abbiamo impedito alla Costituzione di funzionare».
La censura distrugge la democrazia
Kennedy dice che il rimedio per fermare il controllo totalitario è la democrazia. Tuttavia, «mio padre diceva sempre che la democrazia dipendeva completamente dal libero flusso di informazioni». Il dibattito aperto, consentito dalla libertà di parola, porta alle migliori idee e soluzioni che consentono a un paese e alla sua popolazione di prosperare.
«Se interrompi il libero flusso di informazioni e inizi a censurare le cose», dice Kennedy, «perdiamo l’unico vantaggio che abbiamo. E, naturalmente, una volta che inizi a fare la censura, sei sulla china scivolosa del totalitarismo». In questo momento, stiamo affrontando la corruzione istituzionale, con il complesso industriale militare al timone.
«Penso che se rimuovi Anthony Fauci… sarà sostituito da un altro Anthony Fauci», spiega Kennedy. Nel frattempo, dice, è dal complesso industriale militare, che possiede anche la stampa, che dobbiamo riprenderci la democrazia:
«Viviamo nell’era contro la quale Dwight Eisenhower ci ha messo in guardia il 17 gennaio 1960… nel suo discorso di addio, Eisenhower ha tenuto probabilmente il discorso più importante… nella storia americana, dove ha messo in guardia gli americani contro l’emergere del complesso industriale militare – le agenzie di intelligence, il Pentagono e le industrie associate, e ha incluso la burocrazia scientifica».
«Nello specifico, in quel discorso ha trascorso molto tempo a discutere sulla burocrazia scientifica federale, intendendo il NIH [l’istituto sanitario federale USA, ndt], che sarebbero stati gli autori della distruzione della democrazia americana se avessimo permesso loro di farlo… E poi l’11 settembre… ha trasformato l’America davvero in l’inizio di uno stato di sorveglianza. E il COVID ha completato il compito… e il compito della CIA è sviluppare una pipeline di nuove guerre che l’America potrebbe combattere per alimentare questa macchina, gli appaltatori militari, e guarda cosa è successo in COVID: 138 aziende sono state coinvolte nella produzione e distribuzione del vaccino».
«Sono tutti appaltatori militari. Il Pentagono e la National Security Agency hanno gestito l’intera risposta alla pandemia. Pfizer e Moderna non possiedono realmente quei vaccini. Hanno messo le loro etichette su di loro, ma era un progetto del Pentagono. E quindi, sai, abbiamo a che fare con un complesso industriale militare».
La democrazia può resistere al totalitarismo chiavi in mano?
Con le forze totalitarie che puntano a controllare ogni aspetto del comportamento umano, il momento del dissenso è adesso. Il primo passo è svegliarsi alla verità. Il prossimo è difendere ciò in cui credi. Il risultato finale, tuttavia, resta da vedere. Secondo Kennedy:
«I livelli di controllo che hanno ora sul comportamento umano sono maggiori di quanto abbiamo mai visto. È quello che io chiamo totalitarismo chiavi in mano… stiamo cercando di educare il pubblico e costruire il nostro esercito per ripristinare la democrazia».
«E allo stesso tempo si stanno alzando per mettere in atto questa infrastruttura che darà loro il controllo totale, distruggerà il dissenso e disabiliterà qualsiasi tipo di insurrezione o sovversione o qualsiasi differenza con la narrativa ufficiale del governo e le ortodossie … quando inseriranno questo sistema, è davvero difficile prevedere se la democrazia avrà la resilienza per ripristinare quelle istituzioni».
Joseph Mercola
Pubblicato originariamente da Mercola .
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Immagine screenshot da YouTube
Pensiero
Incontro Putin-Xi, quelle strane mascherine della delegazione cinese

È stato uno di quegli incontri che avvengono una volta ogni secolo, ha detto Xi Jinping salutando Vladimir Putin dopo l’incontro di Mosca di inizio settimana. Per una volta, Xi ha ragione. La portata storica del vertice fuori discussione. Si è trattato di un movimento tettonico che investe l’intero equilibrio del pianeta. La Russia e la Cina sono state portata ad avvicinarsi ancora di più, l’interdipendenza diverrà sempre più fitta, la cooperazione, anche militare, continua. L’Eurasia – l’incubo di ogni pensiero strategico americano – stringe le sue maglie, e proprio a causa della follia di Washington.
Il mondo multipolare di cui si parla da anni – per lo meno da quanto Putin cominciò a risolvere la faccenda siriana senza Obama, che, capito come buttava, si offese pure molto – emette il suo primo vagito, con la costruzione di un blocco economicamente e termonuclearmente alternativo a quello occidentale.
È l’alba del nuovo mondo. Un ordine mondiale estraneo alla piramide occhiuta del dollaro e dei suoi vampiri.
Tuttavia, ad una certa, la musichetta epica in sottofondo crolla. In realtà, casca un po’ tutto. Scende la catena. In maniera pure significativa. Stiamo guardando le foto ufficiali dell’incontro.
Scusate, ma cosa sono quelle mascherine della delegazione cinese?
Eccotele lì, incredibili, inguardabili, inspiegabili, legate alle facce dei cinesi (più, per qualche motivo, qualche assistente russo a caso).
La delegazione di Pechino pare indossare, dentro al Cremlino ma pure fuori, mascherine FFP2 brandizzate con la bandiera della Repubblica Popolare. Il timoniere no: il presidente Xi, quasi fosse ad una festa di Bruno Vespa, viaggia tranquillo smascherato. I suoi sottoposti, invece, sono tutti – tutti – a respirare dietro l’apparato anti-contagio che abbiamo imparato a detestare con ogni fibra del nostro essere.
Le fotografie sono impietose. Eccoti Lavrov e Shoigu, eccoti Medvedev che ride sornione, ecco ogni membro del personale russo senza il dispositivo facciale.
Ma cosa stanno facendo? Non si rendono conto che gli ospiti russi potrebbero offendersi? Ricordano che Macron, in visita a Putin nei giorni in cui partiva il conflitto ucraino, fece notizia rifiutando il PCR per non lasciare a Mosca tracce del suo DNA? Ricordano le balle (immancabilmente di origine britannica, in genere) sullo stato della salute mentale di Putin, che sarebbe impazzito a causa del lockdown (ah, allora fa male… ?), e di lì il tavolo lunghissimo con cui riceveva gli altri capi di Stato?
Non capiamo: ma era una cosa, magari, pattuita fra le parti? Non può che essere così. Ma cosa si sono detti? I pechinesi hanno annunziato ai russi «noi veniamo con le mascherine, eh… quindi per favore regolatevi anche voi, le strette di mano le faremo con il palmo già bagnato con l’amuchina che teniamo strategicamente in tasca».
Chiedo ai lettori: ma che sensazione vi fa quando vedere, oggi, uno con la mascherina al supermercato? Quando vedete uno che guida con la mascherina, magari pure da solo? Ecco sì, una sensazione, come dire, di ritardo. Abbiamo quindi una diplomazia cinese ritardata?
La realtà è che Xi aveva giocato tutto sulla follia dello zero-COVID, chiudendo megalopoli da diecine di milioni di abitanti in inferni senza uscita. È durata fino a che non ci sono state quelle proteste che lasciavano pensare che potesse ripartire una nuova Tian’an Men – solo che stavolta in tante città cinesi. Qualcuno dice che il merito è stato dei mondiali, quando in mondovisione andavano le immagini degli stadi qatarioti dove nessuno aveva la mascherina.
Allora, è un messaggio politico? È un modo per coprirsi il sedere con la popolazione? Può darsi: ma ciò significa, ad ogni modo, che il Partito Comunista Cinese intende andare avanti con la grande baracca del COVID e delle sue menzogne, come ha fatto, del resto, per tutto il 2022, quando il resto del mondo stava pian piano riaprendo (e la Cina, invece, nel 2020, ci teneva a far vedere le immagini della nightlife di Wuhano e dei mega-concerti in piscina). Non è un caso che, a quanto sembra, in questi giorni Pechino festeggi il fatto che sì, anche loro ora hanno il loro vaccino mRNA da iniettare in miliardi di dosi al popolo. Detto tutto.
Il COVID serve ancora a Xi e alla sua banda: perché, lo sapete, esso altro non è se non una prova di potere, uno strumento per estendere la presa di chi comanda sulla popolazione tutta. Posso sigillarti in casa, separarti da tuo figlio, ucciderti il cane, piazzarti in un campo di concentramento: se non reagisci, sai quante altre cose posso farti? Se ti ribelli, dice il potere, significa che non sei il mio schiavo: e la società che prevedo per te è solo quella della schiavitù. Quindi: sottomettiti, e indossa i segni visibili della tua sottomissione.
La società del controllo cinese, oramai affinatasi tramite la tecnologia pervasiva del biototalitarismo e del credito sociale, ha bisogno, quindi, delle mascherine, del COVID e di tutte le menzogne possibili – avete letto su Renovatio 21, in Cina la settimana scorsa si è cominciato a parlare di lockdown perfino per l’influenza.
E tutto questo, come sapete, non è solo un fenomeno per il Dragone: è un modello, pronto ad essere esportato in maniera definitiva in tutto il mondo, anche e soprattutto in Europa, dove il green pass prima e l’euro digitale poi ci prepareranno anche allo straripare di piattaforme di credito sociale, face recognition, e tutto il panopticon biosecuritario che abbiamo tante volte descritto su Renovatio 21.
Ecco perché la cooperazione tra la Russia e la Cina non ci scalda il cuore. Perché la Russia è la terra dove lo Spirito si è rigenerato, mentre la Cina, che uccide centinaia milioni di bambini con gli aborti forzati per poi cominciare a creare esseri umani con l’ingegneria genetica, è il Frankenstein dei padroni del vapore occidentale che ci ha devastato con le delocalizzazioni e il dumping fino a disintegrare la nostra economia manifatturiera.
C’è solo una cooperazione internazionale che voglio ricordare con simpatia e con tanta nostalgia. Questa.
Fear and Loathing in 2017 #Trump #Putin pic.twitter.com/y6vcZ7FAVf
— Stardust (@Living_Stardust) January 19, 2017
Questo meme, che piazzava Vladimir e Donald dentro Paura e delirio a Las Vegas, era uscito l’indomani dell’incredibile, indimenticabile vittoria di Trump alle lezioni del 2016. Come avrebbero poi fatto vedere tutte le TV antitrumpiane d’America, cioè tutte le TV, la cosa fu parecchio festeggiata in Russia. E non solo lì. Concretamente, pochi mesi dopo l’ISIS praticamente sparì. Una nuova era sembrava calata sul mondo, un’inaspettata era di pace, di prospettive di sviluppo, di prosperità per tutti, e mai più guerre, mai più terrorismo – o quantomeno, il meno possibile.
E invece: avvelenarono, con l’architettura di infami fake news chiamata Russiagate, qualsiasi relazione tra l’amministrazione Trump e il Cremlino, poi, siccome non bastava, truccarono le elezioni per mettere al potere un vecchio tecnicamente demente con cui procedere alla guerra alla Russia, sempiterno fine metafisico dei demoni dello Stato profondo USA, sia che si tratti di URSS o di Putin. La Madonna di Fatima chiedeva la conversione della Russia, i diavoli americani vogliono invece la sua distruzione.
Ricordando pure che Biden, quello dei e delle mascherine vaccini obbligatori, quello che istituisce il sistema di censura globale che ha distrutto anche il vostro account sui social (che lo sappiate o no), è considerato da molti un pupazzo di Pechino, corrotto e ricattabile a piacere grazie al figlio Hunter e neanche solo lui. I cinesi mica ne fanno mistero.
Avete capito, insomma, che qualcosa, nelle foto storiche dei patti sino-russi di Mosca, proprio non ci torna. Non ci va giù.
Ridateci The Donald. Sarà difficilissima. Ma noi preghiamo per quello: vogliamo la Russia con noi, non con la Cina. Perché, lo sapete, ne abbiamo bisogno: per lo Spirito, prima che per il gas.
Roberto Dal Bosco
Immagini di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Arte
Ode all’equinozio di primavera

Oggi, 21 marzo, è il giorno dell’equinozio.
Tecnicamente, significa che la rivoluzione ha portato il sole allo zenit rispetto all’equatore. Tecnicamente, questo momento è stato raggiunto ieri, 20 marzo, alle ore 22:24.
Questo è il giorno in cui il giorno è in equilibrio con la notte. Questo è il giorno in cui inizia la primavera – il momento di rinnovamento, di rigenerazione della vita. Anche se il mondo moderno non vi fa più caso, l’importanza di questo giorno è conosciuta, e misteriosamente tramandata, nei millenni della storia umana.
Come ad ogni equinozio, Renovatio 21 vuole scrivere qualcosa. O meglio, lasciare la parola a quei pochi che hanno voluto, nel corso della storia, significare sulla cara la meraviglia di questo momento.
Questa poesia si chiama proprio L’Equinozio di Primavera («The Spring Equinox»). L’autrice è Anne Ridler (1912-2001), poetessa inglese che aveva lavorato con T.S. Eliot. Questi versi sono stati scritti alla fine degli anni Trenta.
Concediamoci questo momento di meditazione estetica. Concediamoci questa «pausa tra il sonno e la veglia».
Sospendiamoci in questa metafisica del passaggio, quando «il sole oscilla sulla linea equinoziale», e la nostra anima può permettersi per un attimo di concepire la bellezza del creato e dei suoi cicli.
Now is the pause between asleep and awake: Two seasons take A colour and quality each from each as yet. The new stage-set Spandril, column and fan of spring is raised against the winter backdrop. Murrey and soft; Now aloft The sun swings on the equinoctial line. Few flowers yet shine: The hellebore hangs a clear green bell and opulent leaves above dark mould; The light is cold In arum leaves, and a primrose flickers Here and there; the first cool bird-song flickers in the thicket. Clouds arc pale as the pollen from sallows; March fallows are white with lime like frost.
This is the pause between asleep and awake: The pause of contemplation and of piece, Before the earth must teem and the heart ache. This is the child’s pause, before it sees That the choice of one way has denied the other; Must choose the either, or both, of to care and not to care; Before the light or darkness shall discover Irreparable loss; before it must take Blame for the creature caught in the necessary snare: Receiving a profit, before it holds a share. |
Ora è la pausa tra il sonno e la veglia: due stagioni prendono ancora un colore e una qualità ciascuna da ciascuna. Sullo sfondo invernale si erge la nuova scenografia con pennacchio, colonna e ventaglio di primavera. fulva e morbida; Ora in alto Il sole oscilla sulla linea equinoziale. Pochi fiori brillano ancora: l’elleboro pende un chiaro campanello verde e foglie opulente sopra la muffa scura; La luce è fredda nelle foglie di arum, e una primula guizza qua e là; il primo fresco canto degli uccelli guizza nella boscaglia. Le nuvole sono pallide come il polline dei salici; I maggesi di marzo sono bianchi di calce come il gelo.
la pausa della contemplazione e del silenzio, prima che la terra brulichi e il cuore soffra. Questa è la pausa del bambino, prima che veda che la scelta di un modo ha negato l’altro; Deve scegliere l’uno o l’altro, o entrambi, di preoccuparsi e non preoccuparsi; Prima che la luce o l’oscurità scoprano una perdita irreparabile; prima che debba prendersi La colpa per la creatura presa nella trappola necessaria: ricevere un profitto, prima che detenga una quota |
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