Pensiero

Un partito per liberare la Sicilia e la sua ricchezza. Intervista al candidato alle regionali Mario Pagliaro

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Il 25 settembre non sarà solo la fatidica data delle elezioni politiche 2022. Quel giorno si voterà anche in Sicilia per rinnovare l’Assemblea Regionale Siciliana – la mitica ARS, che i siciliani seguitano a chiamare convintamente «Parlamento». Renovatio 21 crede che quanto accada in Sicilia vada sempre seguito. Non solo perché è tecnicamente la regione più grande d’Italia, ma perché nei secoli ciò che muove dalla Trinacria – e dal suo sottosuolo – può sconvolgere gli equilibri degli uomini di tutto il mondo: l’Etna è una colossale metafora di ciò che stiamo dicendo, da prendere alla lettera.

 

Abbiamo appreso che il professor Mario Pagliaro, che già in passato abbiamo intervistato su Renovatio 21, si è ora candidato. Il professore , accademico di Europa, fra gli scienziati italiani più citati al mondo, è chimico esperto in materiali nanostrutturati, nonché tra i massimi conoscitori della tecnologia solare in Italia, che ha spiegato nel preziosissimo libro divulgativo Helionomics. La libertà energetica con il solare (2018).

 

Pagliaro è candidato per un piccolo partito, Siciliani Liberi, che si presenta alle elezioni regionali per la seconda volta dopo quelle del 2017. Per farlo, il partito ha dovuto raccogliere migliaia di firme in pochi giorni a cavallo di Ferragosto, mentre ai partiti già rappresentati in ARS non era ovviamente richiesta alcuna firma.

 

I ragazzi ce l’hanno fatta. Le firme sono arrivate, e i candidati sono stati presentati.

 

Renovatio 21 lo ha sentito per farsi raccontare del suo movimento e della Sicilia, nel presente e nella Storia – e nel futuro.

 

 

Professor Pagliaro, cosa è il Movimento Siciliani Liberi?

Un partito politico siciliano che viene da lontano ed è destinato ad andare lontano: perché ha per obiettivo quello di ridare ai siciliani il governo della Sicilia. Inoltre, in continuità con la migliore cultura siciliana, è un partito che esprime una netta dissidenza culturale rispetto a quel «radicalismo borghese» che da tempo domina la propaganda culturale in Italia e in Europa.

 

 

Sarete quindi presenti alle Regionali del 25 settembre, ma non alle politiche?

Esatto. Benché pressoché tutto ciò che riguarda la Sicilia venga di fatto deciso a Roma e Milano, il presidente della Regione Siciliana e il Parlamento regionale dispongono di amplissimi poteri. Che se ben utilizzati porterebbero enorme beneficio alla Sicilia.

 

 

Chi ha fondato il partito?

Il professore Massimo Costa, docente universitario di economia aziendale e storico. È autore di una storia istituzionale e politica della Sicilia divenuta in breve tempo una lettura fondamentale per chiunque voglia conoscere la storia politica della Sicilia.

 

Ciro Lomonte, architetto e fine intellettuale, ne è il Segretario. Fervente cattolico, per anni nella direzione della residenza universitaria «Segesta» dell’Opus Dei e per due volte candidato a sindaco di Palermo, ha mostrato in numerosi articoli come i nuovi occupanti piemontesi presero subito di mira le tradizioni e la cultura siciliana per impedire alla popolazione di identificarvisi.

 

Ad esempio, in un bel numero del Covile del 2017 dedicato alla sua candidatura a sindaco ha spiegato perché, con vari pretesti, i palermitani dovettero attendere il 1974 per ricominciare a festeggiare la loro Santa patrona.

 

 

Sul sito del partito leggo che si tratta di un partito indipendendista. È questo il vostro programma per la Sicilia?

Lo ha spiegato bene la candidata alla presidenza della Regione, Eliana Esposito. Quando i siciliani vedranno i benefici dell’autogoverno, saranno loro stessi a chiedere l’indipendenza. Il programmaadesso, è quello di ridare il governo della Sicilia ai siciliani all’interno dell’attuale ordinamento, che il partito rispetta pienamente, per migliorare ogni singolo aspetto dell’amministrazione regionale: che va dalla gestione delle acque e del patrimonio boschivo a quello storico-artistico, altrove in Italia competenze dello Stato.

 

 

In che senso ridare il governo della Sicilia ai siciliani? Non sono siciliani i presidenti della Regione o i «parlamentari» dell’ARS?

Certo che lo sono. Ma fanno tutti parte di partiti politici i cui vertici sono a Roma e a Milano e i cui interessi molto spesso non coincidono con quelli della Sicilia. A un importante avvocato siciliano molti rimproveravano di essere lui a fare le leggi regionali. Lui, sornione, rispondeva che non faceva le le leggi: ma che le scriveva, visto il livello culturale dei «parlamentari» regionali siciliani.

 

Non si riferiva a tutti, ovviamente, la Sicilia ha avuto dal 1946 al 1992 sia grandi presidenti della Regione che grandi parlamentari regionali.

 

La legge elettorale era proporzionale e i partiti e gli uomini politici siciliani disponevano di un autentico consenso popolare. Oggi però, con la fine del proporzionale e i partiti ridotti a semplici comitati elettorali, è sufficiente una riunione a Roma per far dimettere il presidente della Regione.

 

 

È mai accaduto?

Prenda il presidente uscente, il catanese Sebastiano «Nello» Musumeci, storico esponente del MSI. Ha scritto Ciro Lomonte che secondo lui il 25 Settembre voterà per Siciliani Liberi, convinto anche lui della necessità di sostenere un partito siciliano che ridia ai siciliani la possibilità di autogovernarsi.

 

Nonostante buoni risultati con le infrastrutture, con la gestione dei rifiuti durante la gestione dell’assessorato da parte del veneto Pierobon, e quella del patrimonio storico-artistico da parte del grande Sebastiano Tusa fino alla sua tragica scomparsa, gli è stato chiesto di dimettersi e di non ricandidarsi.

 

Nonostante ancora il 31 luglio dichiarasse le elezioni anticipate «un’ipotesi che non esiste» è bastata una riunione dei partitia Roma a fargli annunciare le dimissioni su Facebook.

 

Probabilmente, se la DC avesse trattato così Rino Nicolosi, ultimo grande presidente della Sicilia anche lui catanese, alle elezioni regionali o politiche avrebbe perso 300mila voti e avrebbe visto la rivolta nel partito.

 

 

E durante la prima Repubblica, come mai l’indipendentismo siciliano fu rapidamente riassorbito?

Il grande sviluppo economico conosciuto nei 45 anni della «prima Repubblica» (1947-1992) riassorbì rapidamente le istanze indipendentiste. Erede del Partito Popolare del siciliano Don Sturzo, la DC aveva in Sicilia un enorme consenso elettorale. Concesse dunque alla Sicilia una relativa autonomia e vi portò lo sviluppo economico attraverso grandi investimenti pubblici.

 

La Cassa per il Mezzogiorno guidata dal professore Pescatore e la Regione con l’Ente di sviluppo agricolo costruivano le uniche infrastrutture, incluse enormi dighe, mai costruite in Sicilia dal 1860 ad oggi.

 

L’ENI, oltre ad investire su petrolio e gas siciliani, faceva sorgere vicino ad Enna persino una fabbrica tessile che per decenni ha dato lavoro a 400 operai, mentre le banche pubbliche controllate dalla Regione erogavano credito all’intero sistema produttivo. Tutto finì con la liquidazione dei partiti popolari e la nascita della cosiddetta «seconda Repubblica».

 

 

Parliamo della Sicilia di oggi. Qual è ora il male che maggiormente l’affligge?

La drammatica situazione finanziaria che priva la Regione e gli enti locali (Comuni ed ex Province) delle risorse necessarie persino a riparare e manutenere le strade. Percorrendole, i turisti stentano a credere che si tratti di una regione europea nel 2022.

 

A differenza però della vulgata propagandata, la responsabilità dello stato delle finanze regionali non è dei famosi «forestali».

 

A fronte di innumerevoli competenze e costi, inclusi quelli della motorizzazione civile, Roma trattiene ogni anno oltre 10 miliardi di tasse che l’articolo 36 dello Statuto siciliano, formalmente recepito nella Costituzione, assegna in via esclusiva alla Regione Siciliana.

 

La DC, dominus dello Stato nella prima Repubblica, si guardò bene dal far varare i decreti attuativi dello Statuto riguardo l’articolo in questione che regolerebbe la distribuzione dei tributi fra Stato e Regione.  Con la seconda Repubblica, le crescenti difficoltà finanziarie dello Stato, oggi arrivato a detenere 2800 miliardi di debito pubblico, hanno portato i governi nazionali a sottrarre al bilancio regionale siciliano sempre maggiori risorse.

 

Senza entrare nei dettagli, a partire dal 2014 si sono succeduti una serie di accordi fra Stato e Regione «in materia di finanza pubblica» con cui quest’ultima ha rinunciato a molti miliardi dovuti, peggiorando notevolmente lo stato di quelle regionali.

 

 

Si ha sempre l’impressione che la Sicilia sia terra di tesori immensi, moltissimi dei quali sconosciuti, inutilizzati.

Questo è del tutto vero. Mi lasci citare il caso di un carissimo amico e grande archeologo con il quale al CNR abbiamo a lungo collaborato, il compianto professore Sebastiano Tusa, poi assessore del governo Musumeci. Consapevole che i tesori sottomarini della Sicilia non venivano valorizzati ed anzi erano spesso rubati dai tombaroli subacquei, Sebastiano da archeologo della Regione prima fonda il Gruppo investigativo archeologico subacqueo regionale immergendosi lui stesso per molti anni.

 

Poi trova in un giovane e colto uomo politico di Siracusa  assessore ai Beni culturali nel primo governo Cuffaro, Fabio Granata, il sostegno necessario alla nascita della Soprintendenza del Mare.

 

In pochi anni scopriranno ed esporranno nei musei della Sicilia autentici tesori come il Satiro Danzante oggi esposto a Mazara del Vallo o le teste marmoree di Giulio Cesare, Tito ed Agrippina rinvenute a Pantelleria ed oggi esposte nel castello dell’isola.

 

 

Cosa si può fare per mettere a frutto la ricchezza della Sicilia?

Darle una classe dirigente nuova, fiera innanzitutto di essere fatta di siciliani al servizio della Sicilia. Questo recupero dell’ethos pubblico tanto da parte degli uomini politici che dei funzionari regionali farà sì che i siciliani non svendano più la loro terra e le loro funzioni ad interessi esterni che spesso non coincidono con il bene della Sicilia.

 

In questo processo, il ruolo di avanguardia di un partito piccolo ma organizzato e ricco di idee concrete per dare soluzioni ai problemi della Sicilia come Siciliani Liberi potrà essere molto più grande del suo attuale consenso.

 

 

È possibile pensare ad una rinascenza industriale della Sicilia a partire dall’energia solare e da altri innovazioni tecnologiche darebbero all’isola un immenso valore strategico e materiale?

È possibile e sarebbe anche fattibile in pochi anni. Serve, appunto, una nuova classe dirigente capace di agire su due fronti: da un lato diminuire la tassazione facendo dell’intera regione una Zona Economica Speciale, come chiede il programma di Siciliani Liberi, e dall’altro ritornare all’intervento diretto dello Stato nell’economia, ricostituendo l’IRI e affidandogli la ricostruzione industriale di Italia e Sicilia, partendo proprio dalle nuove tecnologie dell’energia.

 

Prima ancora della guerra in Ucraina, il blocco e poi il forte aumento dei prezzi dei semilavorati e delle altre merci in arrivo dalla Cina hanno chiarito la fragilità dell’economia europea ormai in larga parte deindustrializzata.

 

Di fronte ai costi energetici divenuti insostenibili per imprese e famiglie, la Francia ha subito nazionalizzato l’industria elettrica. La Germania ha nazionalizzato il maggiore distributore di gas naturale e trasferito enormi risorse a tutte le aziende, partendo dalla compagnia di bandiera.

 

Se l’Italia vuole sopravvivere, non ha alternative all’immediata ricostituzione dell’IRI di cui parlammo un anno fa con Renovatio 21 anticipando la crisi energetica di cui allora non parlava nessuno.

 

 

Non vi è solo la terra, il sole e il mare: parliamo delle eccellenze scientifiche della Sicilia, del suo capitale umano.

È enorme. Come l’Armenia o la Grecia, la Sicilia occupata dal Piemonte nel Maggio del 1860 ha visto espatriare in un secolo che ha incluso due guerre mondiali una parte enorme della sua popolazione. Sono siciliani di seconda o terza generazione il cantante americano Zappa o il pilota di Formula 1 Ricciardo.

 

Sono siciliani grandi scienziati come i fisici Majorana, il chimico Cannizzaro, o direttori di orchestra come Gino Marinuzzi, definito da Paolino Isotta il più grande del XX secolo. E poi innumerevoli imprenditori, artistiscrittori. Quasi tutti hanno fatto grandi cose fuori dalla Sicilia: ma quando la Regione Siciliana ha saputo investire bene, ad esempio creando l’Istituto regionale del vino oppure la Soprintendenza del Mare, in quei settori è cambiato tutto in pochi anni.

 

Quando, su incarico dell’Istituto del vino,  il grande enologo piemontese Giacomo Tachis iniziò il suo lavoro in Sicilia da più parti si insisteva perché le vigne in Sicilia fossero estirpate. Oggi, in Sicilia le aziende vitivinicole che usano i metodi colturali insegnati da Tachis fatturano molti milioni di euro e i loro vini sono premiati nel mondo.

 

Lo stesso occorre fare adesso con l’energia solare: creare un Istituto regionale e far crescere il numero di impianti sui tetti da quello ridicolo attuale, 60.000, a un milione e 700mila. Tanti quanti sono gli edifici in Sicilia.

 

 

Parliamo di storia della Sicilia. Ci può raccontare la versione che non conosciamo?

Chi vuol conoscere quella vera, può leggere il libro di Massimo Costa. Praticamente nessuno in Sicilia sa che il Regno di Sicilia è durato ininterrottamente dall’incoronazione a Palermo di Re Ruggero da parte di Papa Anacleto la notte di Natale del 1130 all’anno successivo al Congresso di Vienna del 1815.

 

Reinsediati i Borbone dal Congresso di Vienna, Re Ferdinando nel 1816 pose la basi per la fine del Regno fondando un «Regno delle Due Sicilie» tramite cui sottrasse a Palermo tanto la corona che il Parlamento. Trasferì quindi la capitale e la corte a Napoli, allora come oggi la più bella città europea.

 

Furibonde, la nobiltà siciliana e la nascente borghesia si rivolsero a Londra, già ampiamente presente in Sicilia, per liberarsi dei Borbone. Si ritrovarono nel Maggio 1860 occupati da questi sconosciuti piemontesi.

 

Così quando a Bronte ad Agosto i contadini capirono che non ci sarebbe stata alcuna divisione del latifondo si ribellarono con le armi. Garibaldi inviò subito le truppe guidate da Bixio. I presunti capi della rivolta furono passati per le armi nellapiazza del paese di fronte alla popolazione atterrita. Bixio usò la moderna rete telegrafica fatta costruire dal Re Borbone per telegrafare a Palermo a Garibaldi: «Rivolta domata».

 

I siciliani prima, e i meridionali poco dopo, capirono subito che tipo di occupazione sarebbe stata quella piemontese

 

Quanto ai nobili siciliani che pure avevano tradito il Re Borbone può letteralmente assaporarne la disperazione di fronte al nuovo occupante ancora un secolo dopo in ogni pagina de Il Gattopardo. Come ricorderà, il libro è stato scritto da un principe siciliano che si intratteneva su questi temi con un altro grande intellettuale e nobile siciliano, il barone Corrado Fatta della Fratta.

 

 

C’è un importanza della Sicilia nella storia d’Europa e del mondo?

Centrale. E la ragione è geografica. Il Mar Mediterraneo, cerniera degli oceani, è il più importante al mondo. La Sicilia ne è al centro. Lo svela bene la mappa antropomorfa del mondo realizzata ad Ebstorf, in Sassonia, nel XIII secolo. In cima alla mappa, c’è la testa di Cristo in Oriente. Le sue mani segnano i limiti del mondo conosciuto. Al centro c’è Gerusalemme, la città santa. E poco più in basso, a forma di cuore c’è l’isola di Sicilia.

 

Che la Sicilia e il suo possedimento fossero strategici lo sapevano già i Romani, che conquistandola si proietteranno in poco tempo sul Nord Africa e sulle terre di Oriente con le loro immense ricchezze. Lei saprà che la legione romana che conquistò Gerusalemme era di stanza a Messina, la Legio X Fretensis, cioè dello stretto di Messina.

 

Lo sapevano i Normanni che già con Re Ruggero conquistarono un’ampia area del Nord Africa oltre che Malta. Lo sapevano i tedeschi che con Enrico VI di Svevia scendono in Sicilia per dare alla Germania la proiezione imperiale.

 

 

In mancanza di cambiamento, quale potrebbe essere il destino della Sicilia?

Una nuova, drammatica emigrazione di massa. Durante i due anni dei vari lockdown, un gran numero di giovani siciliani vi ha fatto ritorno dal Nord, in particolare da Milano e dal Veneto.

 

Oggi, la Sicilia vive di «reddito di cittadinanza» e di turismo, oltre ad assistere ad una vera rinascita dell’agricoltura con molte pregiate produzioni, dal frumento al ficodindia, dal vino al limone, tornate redditizie in pochi anni.

 

Per avere un’idea, in Sicilia lo scorso febbraio a percepire in media 613 euro mensili di reddito di cittadinanza erano 625.000 persone: oltre il 13 per cento della popolazione. Ciononostante, le tre città, Palermo, Catania e Messina, si stanno svuotando rapidamente. A Palermo ormai risiedono solo 630.000 persone. Nel 1981 gli abitanti erano 702.000.

 

Solo l’anno scorso, la capitale siciliana ha perso oltre 7.000 abitanti. Se la crisi finanziaria dello Stato dovesse aggravarsi insieme alla crisi dell’euro, con le relazioni internazionali in rapido deterioramento, finirebbero tanto il reddito di cittadinanza che il turismo.

 

A quel punto, la crisi diverrebbe così grave da portare all’abbandono della Sicilia di tutta la popolazione in età lavorativa. Sarebbesostanzialmente, il collasso economico, sociale e demografico della Sicilia.

 

 

Un’ultima domanda ci incuriosisce. Cosa intende quando dice che il vostro Partito è fatto da dissidenti che in Sicilia si oppongono al «radicalismo borghese»?

Glielo spiego con un esempio. Il medico Chevalier de Jaucourt, stretto collaboratore di Diderot, curò circa 17.000 voci della Enyclopedie francese ancora oggi propagandata agli studenti di tutto il mondo come luce della nuova «epoca dei Lumi». Fra di essa c’era la voce «Palerme» definita «ville détruite de la Sicile», ovvero città distrutta della Sicilia. E continuava: «Sede di arcivescovado provvista di un piccolo porto, prima della sua distruzione causata da un terremoto, disputava a Messina il titolo di capitale». Mentre alla voce «Sicile» il medesimo illuminato scienziato concludeva: «In breve: la Sicilia oggi non ha più altro d’ importante che le sue montagne e il suo Tribunale dell’inquisizione».

 

Esterrefatto nel constatare che persino la traduzione italiana dell’Encyclopedia curata a Livorno contenesse le stesse menzogne, il benedettino siciliano Salvatore Di Blasi nel 1775 diede alle stampe un libro nel quale rivendicava la tradizione di una «Sicilia antichissima coltivatrice di Lettere» liquidando giustamente la «crassissima negligenza dei signori enciclopedisti».

 

Oggi non è diverso dal 1775: non bisogna aver letto Feyerabend per capire che il radicalismo borghese, mascherato da scientismo, procede con la stessa ridicola petulanza intellettuale di de Jaucourt e Diderot ai tempi della Encyclopedie.

 

Allora come oggi, la migliore tradizione del pensiero siciliano insegna che la dissidenza culturale è la prima necessaria opposizione a questa rovinosa quanta falsa «cultura» .

 

 

 

 

 

 

Immagine di NASA Marshall Space Flight Center via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)

 

 

 

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