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Satira

Disperato appello al Parlamento: rimuovete il governo Draghi

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Onorevoli parlamentari,

 

vi scrivo perché qualche giorno fa, d’un tratto, mi avete dato un’insperato raggio di speranza.

 

Avevano incastrato anche voi, come i vostri colleghi britannici, americani, israeliani (questi ultimi più svegli, c’è da dire) nel nuovo rito orwelliano cui devono sottoporsi tutti i rappresentanti del cosiddetto mondo libero: la teleconferenza Zoom con l’attore-presidente in stato di alterazione Volodymyr Zelens’kyj. (Che in realtà, essendo nato in una famiglia di ebrei russi, mi sa che si chiama Vladimir, come Putin, ma del resto è un attore, merita di cambiare come piace al suo pubblico)

 

Non l’hanno detto ad alta voce, tuttavia ho sentito che qualcuno si è lamentato, e ha puntato il ditino di parassita sistemico: in aula c’erano oltre 300 assenti.

 

Non sapete che gioia inaspettata. Quindi, nonostante il bombardamento della propaganda che stiamo vivendo ovunque (accendente la TV o Twitter: gli ucraini, che comunque sono vittime, si apprestano a marciare su Mosca anzi su Vladivostok!) qualcuno di voi riesce ancora a ragionare.

 

Potrei uccidere il mio entusiasmo all’istante, basterebbe pensare che state praticamente tutti in partiti al governo (massì, anche l’opposizione della Melona, in fondo, lo è) e che siete voi a votare l’apartheid biotica che avete inflitto a me e a tutta la Nazione.

 

Tuttavia, sento già qualcuno di voi che si difende: abbi pietà di noi, i nostri partiti al governo hanno messo le loro facce peggiori: gli Speranza, i Franceschini, i Giorgetti, i Brunetti, i Di Majo (va bene: per i 5 stelle il discorso è complicato, la qualità diciamo che è assai omogenea).

 

Non importa, vado in epoché, sospendo stoicamente il giudizio perché devo lanciarvi subito, ô onorevoli, il mio ulteriore appello disperato: rimuovete il governo Draghi.

 

O almeno, rimuovete il Mario Draghi.

 

Lo dico senza impellenza. Per quanto possa sembrare bizzarro – uno che vuole cambiare il governo dovrebbe volerlo hic et nunc – vi dico che potete pure prendervi qualche giorno.

 

Perché questa richiesta non nasce da riflessioni apocalittiche sulla Cultura della Morte, la fine dei tempi e il ritorno del sacrificio umano, di quelle con cui riempio nottetempo Renovatio 21.

 

No, devo ammettere che la mia richiesta viene più da uno strano senso di… delusione.

 

Certo, sapevo chi era Draghi. Il Britannia e le privatizzazioni, la Goldman Sachs, l’Eurotorre, il Gruppo dei Trenta e la distruzione creativa, etc. etc.

 

Solo che me lo figuravo un po’ diverso. Pensavo: questo è uno sofisticato, questo ordisce piani potenti e diabolici, conosce tutto e tutti, ha una settantina d’anni di frequentazioni tra Wall Street, Francoforte, Borsella (mettetevela via: vogliamo chiamare Bruxelles così, ci sta tutto), Ciampi e Klaus Schwab, chissà che saggezza, chissà che profondità di pensiero ed azione.

 

Invece poi te lo ritrovi lì. Diverso. Non come te lo aspettavi.

 

Spara fake news, tipo sui vaccinati che non contagiano, e sui no vax che danno la morte. Dice cose di poco senso, non risponde a domande dirette. Non è in grado di articolare un discorso profondo sulle cause della guerra: fa complottismi da bar, o meglio da bouvette. Quando lo chiama Zelen’skyj dal bunker gli fa rispondere «telefoni ore pasti».

 

I politici lo vivono talmente male che nella corsa al Colle gli hanno preferito la palude: anche gli eletti, dunque, forse concordano con il mio pensiero, che va contro a quello che ogni ebete (soprattutto il goscista, quello che ha fatto subito ore di fila per la sprizza di mRNA sintetico a lui e al figlio) ci ha ripetuto a lungo: «Draghi è bravo».

 

Draghi è bravo? Massì, dai. Doveva essere il Monti premium. Quello che non ha problemi coi cagnolini «empatici» e che non confessa urbi et orbi che la missione è quella di distruggere la domanda interna.

 

Eppure, Monti aveva tutto un suo governo, fatto di alieni di tutti i tipi: gente mai vista prima, ma di potere immenso. La Fornero, quella dei Bilderberghi. Ricciardi, imperatore mondiale di Sant’Egidio. Il superbanchiere Passera, che è passato, senza attirare nessuno. Il mitico Giarda, ingiustamente canzonato e bullizzato alla Camera, con accuse tremende di fotoritocco delle orecchie fatto da quotidiani nazionali allineati. Il rettore della Cattolica Ornaghi, che in fondo non era nemmeno antipatico.

 

E invece Draghi? Al governo si tiene Speranza e Giggino di Majo. Questo davvero dice tutto sul suo effettivo potere.

 

Del reste, c’è qualcosa di rilevante che volete ricordare? Qualcosa che possiamo definire draghiano? (Fellini diceva: il successo è la trasformazione del tuo cognome in aggettivo)

 

Non lo ricordiamo per niente. Non una decisione netta, che faccia vedere quale ragione lo guidi. Non un discorso interessante: anzi, ricorderete quello di insediamento, in Parlamento, di una banalità sconcertante, robe che ci parevano raffazzonate lì per lì – ci sembrò – da uno che non conosce la politica ma vuole far sembrare il contrario.

 

Pensavamo che Draghi fosse un drago. Invece ci viene in mente una lucertolina. Non sputa fiamme, anzi, il tepore lo prende stando al sole il più possibile per un po’ di tempo, poi scappa via subito, un po’ pasticciona, come lo spazzacamino-rettile Biagio in Alice Paese delle Meraviglie. («Senti Biagio, tu sei un eroe, un vero» «Sul serio?»).

 

Scrivo perché  ho appena visto il premier in TV, e per l’ennesima mi sono cascate le braccia.

 

Il Draghi era a Borselle per l’incontro NATO, quello con Biden. Il quale, eccezionale, ne ha dette una delle sue: le sanzioni, ha assicurato ai giornalisti, non sono mai state pensate come deterrente. Eh? Ma allora perché si dovrebbe infliggere le sanzioni, se non funzionano?

 

Gli USA avrebbero dovuto impararlo dai tempi di Saddam etc. Le sanzioni non servono a nulla: in questo caso, certo, servono a distruggere l’economia euroamericana, perché l’effetto boomerang è oramai visibile a chiunque abbia una casa riscaldato, un’auto, un lavoro e, prossimamente, il bisogno di nutrirsi.

 

Tuttavia, non è la prima volta che Biden lo dice: ci sono clip contradditorie, mandate rete perfino dal Washington Post, in cui mostrano come il Grande Fratello della Casa Bianca poche settimane fa parlava della bellezza e dell’efficacia delle sanzioni.

 

Macché: ora Biden dichiara senza vergogna che esse non sono mai state adottate per fermare Putin, ma per causare «il massimo dolore possibile» – qualsiasi cosa voglia dire. Ci viene in mente la compagna di partito di Biden, Madeleine Albright, la sostenitrice di gruppi accusati di traffico di organi morta poc’anzi, quella che quando le chiesero se le sanzioni all’Iraq valevano il presso di mezzo milione di bambini morti, disse di sì.

 

Va bene, ma il problema non è Biden.

 

È che subito dopo il TG, sempre più orwelliano anche lui, ha mandato le parole di Draghi ai microfoni, fuori da un palazzo, non è chiaro se prima o dopo Biden – ma, ripetiamo, era lo stesso servizio TV.

 

Ecco che Draghi parla invece del grande valore delle sanzioni, che tanto danno stanno causando alla Russia. Qui sentiamo l’eco del suo ministro preferito, Giggino di Majo, che, forse inconsolabile per le offese ricevute alla sua idea di diplomazia e alla sua professionalità, in televisione andò a vantarsi del fatto che avevano fatto chiudere la Borsa di Mosca, subito prima di definire Putin «peggio di un animale».

 

Ci è sembrato, ecco, un discorso come tanti altri che abbiamo sentito fare a Draghi: vuoto. Fatuo. Privo di contenuti. Privo perfino di convinzione: in genere i politici riescono a simulare almeno quella, anche se non stanno dicendo nulla.

 

È stato l’ennesimo momento disperante. Ma perché non può dire qualcosa che magari è il contrario di quello che penso io, ma che almeno sa di ragionamento? Perché parla come se la realtà non esistesse? Perché dobbiamo meritarci questo momento fantasy della Repubblica, che tra lockdown e premier non eletto ha oramai la serietà di un giuoco di ruolo stile Dungeons&Dragons. («Segrete e Draghi»)

 

Sento i lettori che lamentano: preferivi il Conte? Boh, il governo alla fine è lo stesso, ci hanno spruzzato dentro qualche leghista e qualche forzista, tanto per far capire quanto siamo oramai sprofondati irreversibilmente nello Stato-partito.

 

Non so che dirvi.

 

Posso solo garantire che mi fanno male le orecchie a sentirlo parlare del danno all’economia russa quando Putin, di fatto, sta per fare scacco matto al dollaro inventandosi il petrorublo, in attesa dell’agrirublo, del metalrublo…

 

Quando oramai tutti stanno capendo che, causa sanzioni e stupidità atlantica, sta andando in scena la de-dollarizzazione del mondo, questo tira fuori la storiella della Russia, che si candida ad essere un hub economico mondiale che in pochi anni crescerà vertiginosamente negli investimenti grazie al valore del rublo impennato per il gas venduto a cinesi e indiani, ridotta a nazione ferita nel soldo.

 

E il problema è che la storiella non ce la racconta per ingannarci. Ce la racconta perché non ne ha un’altra da raccontare.

 

Forse un po’ ci crede anche lui.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Satira

Cantante ex pornoattrice tedesca duramente multata per il saluto nazista. Perché non invoca il nonno partigiano come i giornalisti RAI?

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Un tribunale tedesco ha inflitto una pesante multa alla cantante, pornoattrice e ed ex conduttrice televisiva Melanie Muller per aver fatto il saluto nazista durante un concerto e per possesso di droghe illegali, accuse da lei negate.

 

Venerdì scorso un tribunale distrettuale della città di Lipsia ha ordinato a Muller di pagare 80.000 euro per le violazioni. L’importo della multa è risultato oltre 14 volte superiore alla sanzione di 5.700 € richiesta dai procuratori.

 

Un giornalista del tabloid tedesco Bild ha riferito dall’aula del tribunale che la pop star è rimasta «scioccata» dal verdetto e che le è servito un po’ di tempo per riacquistare la calma.

 


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Le accuse contro la cantante specializzata in musica schlager ed ex partecipante di trasmissioni TV come The Bachelor e Pool Champions, conosciuta nella sua breve carriera di attrice a luci rosse come Scarlet Young, derivano dal suo concerto del settembre 2022 a Lipsia, durante il quale era stata filmata mentre alzava ripetutamente il braccio destro in aria in un movimento che ricordava il saluto nazista. Il gesto è vietato in Germania insieme ad altri simboli relativi al partito nazionalsocialista di Adolf Hitler.

 

Gli avvocati della Muller hanno sostenuto che la loro cliente non ha simpatie o opinioni di destra e che stava solo agitando i pugni e scandendo slogan per rallegrare la folla.

 

Tuttavia, il giudice Lucas Findeisen ha respinto le argomentazioni della difesa e ha ritenuto il firmatario colpevole di «aver utilizzato simboli di organizzazioni incostituzionali o terroristiche».

 

Il giudice ha affermato che dal filmato era chiaro che Muller aveva sposato lo stato d’animo della folla di destra presente all’evento, facendo più volte un gesto illegale e urlando il saluto nazionalsocialista «Sieg, Heil» insieme agli spettatori del concerto.

 

Il giudice ha anche respinto l’affermazione della pop star secondo cui la cocaina e l’ecstasy trovate durante la perquisizione del suo appartamento appartenevano a un amico.

 

Durante il processo, gli avvocati della Muller si sono lamentati del fatto che la copertura negativa dei media avesse ostacolato la sua carriera e hanno espresso la speranza che un’assoluzione avrebbe permesso alla trentaseienne di «riprendere piede in Germania».

 

La cantante ha detto che si esibiva regolarmente in Germania, Austria e Svizzera, così come sull’isola spagnola di Maiorca (località invasa totalmente da turisti tedeschi di tutte le classi sociali). «Ora faccio concerti solo a Maiorca. Tutto il resto è sparito», si è lamentata la Muellerra.

 

La sentenza del tribunale di Lipsia non è definitiva e può essere impugnata.

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Quando Renovatio 21 riportò un anno fa dei problemi legali della Mueller, ci permettemmo di suggerire alla cantante una «difesa Azov»: non sono svastiche e rune, sono «antichi simboli europei», non sono nazisti, ma «patrioti». In caso possono contattare le testate giornalistiche italiane, e pure i grandi social media, oramai espertissimi nella pratica orwelliana (fino a pochi mesi fa impensabile, incredibile, irreale) del nazi-sciacquo in pubblica piazza.

 

Non sappiamo se ciò avrebbe potuto funzionare: del resto la Germania è il Paese nei Gay Pride viene cantato il nome del collaborazionista ucraina del nazismo Stepan Bandera, ma anche quello che ha cominciato a mandare via i soldati ucraini da addestrare per via delle inevitabili svastiche in mostrine e tatuaggi.

 

Tuttavia, oggi ci permettiamo di suggerire alla signora Mueller una tecnica ulteriore: la «difesa RAI».

 

Quando gli è stato contestato di aver intervistato un miliziano di Kiev non accorgendosi che costui esibiva un nazi-sibolo in bella vista (ma gli è scappato), il giornalista della TV pubblica italiana Ilario Piagnerelli ha risposto con l’ineffabile strumento, ben noto nel Bel Paese del dopoguerra, dell’albero genealogico resistenziale.

 

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«Sono cresciuto con un nonno partigiano, di quelli veri, che oggi non avrebbero dubbi nel distinguere tra invaso e invasore, tra chi resiste e chi occupa. Sono stato educato ai valori della Costituzione».

 

Possiamo suggerire alla cantante tedesca, alla quale pure certamente il nazismo «le è scappato», di cercare anche lei un parente partigiano, fenomeno forse più raro in Germania, ma non impossibile. E magari può dichiarare anche lei di essere stata cresciuta con la Grundgesetz, la Costituzione della Repubblica Federale Tedesca, certo considerando sempre che le carte costituzionali, in Germania, in Italia e ovunque, dopo il COVID sembrano valere, in ultima analisi, non troppissimo.

 

Aggiungiamo che se si impegnasse anche contro la strage di papere operata dai russi magari l’autorità democratica tedesca potrebbe avere clemenza.

 

 

No al nazismo. Sì alle papere martiri della democrazia, contro il bruto invasor. E nonni partigiani per tutti.

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Immagine di Sven Mandel Festivalsommer via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
 

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Animali

«Pigcasso», il maiale pittore, è morto. L’arte contemporanea può rinascere nei porcili?

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Lutto nel mondo dell’arte contemporanea per la perdita di uno dei suoi migliori, ed autentici, artisti.   Pigcasso – un maiale di 500 chili noto per la sua capacità di «dipingere» con il naso e un pennello – è morto in Sud Africa all’età di otto anni, dopo aver sofferto di artrite reumatoide cronica. Lo ha comunicato lo scorso mercoledì la sua proprietaria.   In una dichiarazione a Caters News, Joanne Lefson – artista 52enne e attivista per i diritti degli animali – ha annunciato che l’inarrivabile suino pingitore era deceduto dopo che i suoi sintomi erano rapidamente peggiorati nel settembre 2023. All’inizio di ottobre, il Pigcasso aveva perso l’uso delle sue zampe posteriori a causa della calcificazione della parte inferiore della colonna vertebrale.   «C’è molta tristezza per il fatto che una figura così ispiratrice per il benessere degli animali sia scomparsa, ma celebriamo anche una vita ben vissuta e la profonda differenza che ha fatto», ha detto Lefson.  

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Nel 2016, la Lefson aveva salvato Pigcasso, che allora aveva quattro settimane, da un allevamento intensivo poco prima di essere mandato al macello. Da lì, il porco è stato trasferito a Franschhoek, in Sud Africa, in un rifugio per animali da fattoria «salvati».   Ad un certo punto, la Lefson aveva notato che il porcello avrebbe mangiato o distrutto tutto ciò che era rimasto nella sua stalla, tranne un pennello. La donna animalista ebbe quindi l’idea di insegnare ai maiali a usare la spazzola coltivando l’interesse della bestia per l’arte.   «Questo non è solo un maiale pittore, tutt’altro. Si tratta di una collaborazione seria e altamente creativa in cui lavoro e mi impegno attraverso un “pennello in movimento” per sviluppare opere d’arte dinamiche che ispirano e sfidano lo status quo», scrive orgogliosamente l’attivista sul suo sito web.   Il progetto zoologico-artistico è stato soprannominato «LEFSON + SWINE» e il suo scopo era sottolineare la «disconnessione e la discordia dell’umanità con il nostro pianeta» e concentrarsi sul «cibo» che scegliamo di mangiare e sugli effetti dannosi che l’agricoltura animale ha sull’ambiente e sul benessere degli animali.   Nel corso della sua carriera artistica, il geniale suino ha venduto le sue opere per un valore di oltre 1 milione di dollari, cosa che gli ha garantito dei record mondiali e il titolo di primo artista-animale a cui è dedicata una mostra d’arte personale, nonché il primato dell’opera d’arte più costosa dipinta da una bestia.   Il Pigcasso è stato descritto come «l’artista non umano di maggior successo nella storia del mondo». Ora, la sua eredità «continua attraverso il santuario e la nostra missione di ispirare un mondo più gentile e sostenibile per tutti», ha affermato la Lefsona.   Il porco-pittore non è il primo quadrupede che si cimenta con tela e pennello. In passato la società ha dovuto subire anche le immagini di scimpanzè ed elefanti addestrati a scarabocchiare col colore. Tali immagini vengono spesse propalate dagli animalisti per sottolineare la bontà della loro filosofia fondamentale, l’antispecismo, ossia la negazione di qualsiasi differenza tra l’uomo e le bestie.

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Di certo, possiamo dire che nella porcheria assoluta che è divenuta l’arte contemporanea, l’esistenza di un artista che è porco materialmente (e non solo esteticamente, filosoficamente, umanamente) è un atto di sincerità rivoluzionaria.   A questo punto, si dovrebbe attendere la proposta di qualche testa calda: chiudiamo la Biennale, e al posto dei suoi antichi padiglioni internazionali piazziamo dei porcili che sfornino orde di Pigcassi, di Maialengeli, Porcavaggi, etc..   L’idea, tuttavia, ora potrebbe cadere nel vuoto: l’attuale presidente della Fondazione Biennale di Venezia, lì piazzato in quest’era meloniana, è il giornalista Pietrangelo Buttafuoco, che circa una diecina di anni fa si è convertito all’islam prendendo, in onore dell’emiro della Sicilia, il nome di Giafar al-Siqili.   Il maiale, vogliam qui ricordare, è considerato un animale impuro anche secondo certa tradizione ebraica che risale ai libri del Levitico e Deuteromonio, al Talmud e soprattutto alla letteratura halakica della Torah, che considera fuori dal kasherut («adeguatezza») il suino, qui in compagnia di molluschi e crostacei. Considerando l’importanza che hanno avuto artisti, collezionisti e mecenati (come la famiglia i Guggenheim, o i Sackler) ebrei per musei e gallerie, in ispecie in America, non ci è chiaro come certo rabbinato ortodosso, che arbitra il concetto di kasher, potrebbe reagire verso i propri correligionari impegnati nel mondo dell’arte.   Il sogno della rinascita mondiale dell’arte per via porcina è forse quindi, almeno al momento, da rimandarsi.

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Satira

Avviso ai lettori: padre Pizzarro non esiste. Ma potrebbero farlo papa

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Un breve comunicato ai lettori di Renovatio 21, dovuto all’alta quantità di lettere arrivateci negli scorsi giorni, specie dopo l’ultima Newslettera.

 

In molti, dopo aver letto l’articolo intitolato «Padre Pizzarro risponde a Beppe Grillo» ci hanno scritto chiedendoci se il sacerdote, del quale avevamo accluso un denso video che spiegava le nostre ragioni, fosse un personaggio comico o un prete reale.

 

Rassicuriamo tutti dicendo subito che padre Florestano Pizzarro è, in teoria, solo un’invenzione di uno dei massimi artisti italiani, il comico Corrado Guzzanti. Cioè, padre Pizzarro non esiste – sempre in teoria.

 

Don Pizzarro, le cui apparizioni TV risalgono a quasi due decenni fa, è uno dei vari personaggi religiosi inventati da Guzzanti durante la sua carriera. Di certo, è forse il più memorabile, perché racconta, non si sa quanto volontariamente, la realtà di una chiesa che non crede più a nulla.

 

Con una certa insofferenza per chi la contesta – magari le presentatrici di sinistra nelle cui trasmissioni padre Pizzarro appariva – senza rendersi conto di come stanno le cose nel profondo, il personaggio spiegava, quasi infastidito, la fatica di mandare avanti la baracca vaticana, più simile ad una serie TV che ad un’istituzione sacra, sotto l’avvenuto disincantamento del mondo perpetrato dalla scienza.

 

«Ma te hai vista ‘a robba che c’è llàfori? Mijardi e mijardi de galassie, de stelle, de pianeti, buchi neri, quasar, oceani de materia oscura, de fasci de neutrini».

 

 

Padre Pizzarro era oltre il modernismo, oltre il democristianismo: era un personaggio che, con il suo cinismo e la sua saggezza, cerca di tirare avanti un’organizzazione religiosa alla quale non crede più nessuno, lamentandosi pure con una certa insolenza romana di coloro che ancora ci credono.

 

Stamo ar medioevo» diceva in uno sketch. «Ha ragione mi’ fijo. Stamo al medioevo».

 

 

Come abbiamo scritto in altre occasioni, per noi padre Pizzarro è un maestro: da lui possiamo imparare moltissimo, perché egli, oggi, in effetti non è più davvero un personaggio comico, cioè caricaturale, incredibile – nel momento in cui al Dicastero per la Dottrina della Fede ci sta il «cardinale Orgasmo», padre Pizzarro diviene un personaggio realistico. Lo era già all’epoca, in verità, per molti che capiscono delle dinamiche intestine del vaticano infestato da un secolo di modernismo e occupato verticalmente dai tempi dell’ultimo Concilio.

 

Le posizioni del Pizzarro, davvero, non sono in fondo tanto diverse da quelle della CEI degli ultimi cinquant’anni. Anzi, se possiamo permetterci, sono in alcuni casi più conservatrici: la proposta di levare i punti della patente a quelle che abortiscono l’episcopato italiano non l’ha mai fatta, anzi, come sappiamo, anche oggi come sempre – forte dell’opera di Giorgia Meloni e di figure neodemocristiane infilate nel suo governo – difende la legge 194, cioè il libero aborto a spese del contribuente che versa anche l’8 per mille.

 

Padre Pizzarro immagina una sanzione, anche solo cinicamente simbolica, per l’uccisione degli innocenti. La CEI non sfiora nemmeno l’idea di punire il male, anzi lasciando pure la società libera di considerare l’aborto non solo come un diritto, ma finanche come una virtù

 

 

Per cui, concludiamo dicendo che, rebus sic stantibus, non sarebbe fuori dal regno probabilità se il prossimo conclave, riempito di cardinali creati dal Bergoglio (pensate: monsignor Fernandez è il preferito, quindi il migliore fra di essi?), eleggesse papa proprio padre Pizzarro.

 

Ciò detto, ricordiamo ai lettori di controllare sempre la categoria dell’articolo, in alto a sinistra, sopra foto e titolo: qui era, scritto evidenziato «Satira», parola che avevamo anche inserito nel testo, pensando che quelli che non conoscevano il personaggio fossero pochi, e ancora più nell’intimo, sperando che la percezione dei sacerdoti attuali non fosse arrivata a scambiare una caricatura per prete autentico.

 

Ci sbagliavano, e molto, e chiediamo perdono ai lettori.

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