Civiltà
Blackout in tutta Italia. A cosa ci stanno preparando?
Blackout ovunque nel Paese. I giornali ne parlano, ma notiamo che non viene fatto un discorso d’insieme: si reperiscono per lo più gli articoli nelle cronache dei giornali locali.
Intere zone della capitale – Casal Bruciato, Pigneto, Parioli, Tuscolano, Corcolle, San Lorenzo – sono state senza elettricità, a volte anche per 18 ore di fila. Si moltiplicano le testimonianze di disagi infernali per chi deve gestire i malati. Buttate quantità di farmaci e cibo che era contenuto nei frigoriferi.
Anche Ostia e Ostia antica sarebbero rimaste senza luce.
Interruzioni di corrente si verificherebbero da giorni a Napoli, con gravi danni alle imprese, denuncia la Confcommercio della provincia.
A Catania un blackout elettrico definito «enorme» si è protratto per due giorni e passa. È arrivato, di conseguenza, anche lo stacco degli impianti di produzione idrica: senza energia e senza acqua.
Anche Palermo sta soffrendo blackout continui. Per scongiurare i danni economici, qualche attività sta noleggiando gruppi elettrogeni.
Blackout anche a Bari, nel quartiere della Madonnella, in pieno centro. Stessa cosa a Bisceglie. Idem a Vasto, dove il sindaco Menna diffida l’Enel e minaccia di richiedere il risarcimento danni.
Non solo il Sud. A Cremona il blackout è arrivato dopo una maxi-grandinata.
Ora, la spiegazione sparata immediatamente dai giornali la avete ben presente: a generare i blackout sono i condizionatori, tenuti a palla a causa della canicola.
In pratica, vi stanno dicendo: i blackout sono colpa vostra. Non è una novità.
Tuttavia in rete, e fuori dalla rete, si moltiplicano quelli che credono che la raffica di blackout possa aver un secondo effetto programmatico: abituare la popolazione alla mancanza di energia elettrica dovuta alla mancanza di gas russo.
O forse, ancora più nel profondo, instillare nella gente l’idea che la luce non è qualcosa che va dato per garantito, va, magari, meritato – come la libertà di andare a lavorare, andare a scuola, andare al bar, che abbiamo capito si può subordinare ad un vaccino genico sperimentale e ad una piattaforma informatica biosecuritaria.
Avere la luce in casa diverrà un «premio» all’ubbidienza del cittadino, come è stato per il green pass? Possono farlo, hanno speso anni per mettere in piedi la narrativa necessaria a distruggere i consumi, anche quelli più basilari: è l’ecologia ossessivo-compulsiva di Greta Thunberga e degli zeloti ambientalisti imbrattatori di quadri e interruttori del traffico, spalmata in ogni possibile articolo di giornale, serie TV, corso di aggiornamento, Intelligenza Artificiale…
Ti togliamo la luce, ma per il bene del pianeta. A meno che tu… La meccanica premiale della nuova società del controllo bionformatico, dove non siete cittadini ma utenti, dove non avete diritti ma «accessi» temporizzati correlati ai vostri comportamenti, dove lo Stato è una piattaforma elettronica e il danaro un software programmabile, dovrebbe esservi oramai chiara.
Chi segue Renovatio 21 sa che è un discorso che facciamo da tanto tempo. Il tema dei blackout divenne inevitabile a cavallo tra il 2021 e il 2022, prima ancora della guerra ucraina – dopo la quale, divenne discusso, a volte apertamente a volte no, da vari governi.
Un anno fa, quando cominciò lo shock dei prezzi energetici, si calcolava che un miliardo di persone sarebbe presto divenuto a rischio di stare senza corrente.
Seguì quantità di blackout effettivi o minacciati in ogni angolo della Terra: dalla Svezia allo Sri Lanka, dall’Australia al Giappone, dal Texas alla Kazakistan, dal Pakistan alla Turchia, dalla Francia alla Cina, dalla Svizzera a Porto Rico, – inclusa ovviamente l’Italia.
In Germania l’inverno passato si misero a pensare esattamente a un green pass energetico così come a pazzesche consegne di contante nelle case della gente in caso di interruzione totale dell’elettricità. Si tratta del Paese che a causa della privatizzazione ha rischiato a inizio anno un blackout del gas, ad un certo punto a marzo 2022 le ferrovie hanno fermato tutti i treni merci a causa della mancanza di corrente elettrica, mentre lo Stato mandava in onda spot apocalittici per preparare i tedeschi (e gli immigrati in Germania, a giudicare dal video) ad un inverno in cui poteva venire a mancare il riscaldamento – dove si era arrivati ad ipotizzare l’esistenza di veri e propri «sfollati energetici».
Paesi UE come l’Austria e la Romania avevano cominciato a parlare a livello politico e in TV di blackout già lo scorso autunno.
Blackout previsti nel Regno Unito, in USA: Paesi del primo mondo, Paesi detti «sviluppati».
Recentemente abbiamo visto blackout in Argentina e quelli, non senza intrighi di contorno, in Sudafrica – qui sei mesi fa hanno tentato di uccidere il capo della società elettrica nazionale avvelenandolo con il cianuro.
E non pensate che siano l’unico mistero occorso in questa storia: Renovatio 21 ha riportato dei diversi strani casi di sabotaggio di infrastrutture elettriche si sono registrati negli USA. Che significa: c’è qualcuno che sta attaccando, anche con armi da fuoco, le centrali elettriche.
Ovunque nel mondo diviene chiaro che le rinnovabili sono parte del problema: totalmente inaffidabili, hanno portato il Texas a serie di blackout anche letali.
Abbiamo visto, l’inverno scorso, il blackout di Buffalo, Stato di New York, e i suoi effetti: razzie e assalti ai negozi. In pratica, blackout e immediata anarco-tirannia.
Come aveva detto l’esperto Mario Pagliaro a Renovatio 21 un mese fa, finora l’Italia si era finora salvata dai blackout grazie al crollo dei consumi industriali. Già di per sé, la situazione era una catastrofe: ora l’Italia consuma e non produce, e la rete non regge, o forse non vogliono che continui a reggersi.
E non è così sbagliato pensare che possa esserci la volontà precisa di qualcuno di staccarvi la spina. Ricordatevi quegli auspici proferiti nella Davos del Grande Reset dal gruppo estremista chiamato World Economic Forum.
«Dobbiamo accettare che ci sarà dolore nel processo… aprirà a carenze energetiche. Creerà pressioni inflazionistiche… forse dobbiamo cominciare a parlare del fatto che quel dolore in realtà vale la pena di patirlo».
In pratica, vi stanno dicendo: vi infliggeremo i blackout, ma state certi che è per il vostro bene. Conoscete, oramai, questo tipo di discorso.
Il tema dei blackout era stato trattato da un documento del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (COPASIR), l’organo che controlla i servizi segreti italiani.
«L’Italia potrebbe (…) subire indirettamente gli effetti di razionamenti energetici condotti a livello europeo ovvero di fenomeni di blackout in uno dei Paesi dell’Unione che inciderebbero sugli scambi commerciali intra UE e quindi sulla tenuta del sistema produttivo nazionale» scriveva il rapporto dell’Intelligence nazionale.
Il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica – l’organo del Parlamento della Repubblica Italiana che esercita il controllo parlamentare sull’operato dei servizi segreti italiani – il 13 gennaio ha trasmesso alle presidenze una Relazione sulla sicurezza energetica nell’attuale fase di transizione ecologica».
Il documento fa apertamente riferimento alla possibilità di blackout sul territorio nazionale: «l’Italia potrebbe, comunque, subire indirettamente gli effetti di razionamenti energetici condotti a livello europeo ovvero di fenomeni di blackout in uno dei Paesi dell’Unione che inciderebbero sugli scambi commerciali intra UE e quindi sulla tenuta del sistema produttivo nazionale».
«L’impennata dei prezzi dell’energia elettrica e del gas naturale espone l’Europa al rischio di blackout energetici. Il timore è che in un sistema di approvvigionamento energetico estremamente interconnesso come quello europeo, lo spegnimento di una singola centrale – ad esempio per mancanza di carburante – possa generare una reazione a catena in vari Stati membri».
«Il timore di un possibile blackout si starebbe diffondendo in tutta Europa» dichiaravano le spie italiane. «A partire dall’Austria dove la ministra della Difesa Klaudia Tanner ha paventato il rischio di un possibile “grande blackout”, sino alla Spagna dove i consumatori iberici, nonostante le rassicurazioni delle Istituzioni nazionali, hanno dato il via ad acquisti compulsivi di bombole di butano, fornelli da campeggio, torce e batterie, esaurendo le scorte disponibili». Tale audizione fu trasmessa il 13 gennaio 2022, quando di fatto l’italiano sta ancora digerendo il panettone.
Ma non è l’unico caso in cui la questione è arrivata in superficie. Il ministro dello Sviluppo Economico del governo Draghi Giancarlo Giorgetti davanti ad una platea di imprenditori pure aveva parlato apertis verbis di rischio blackout.
Come ripetuto da Renovatio 21, il blackout è una forma più avanzata di lockdown, perché blocca la Civiltà in modo definitivo, creando danni ancora maggiori, vista la dipendenza che abbiamo nei riguardi dell’elettricità per sanità ed alimentazione.
Ci hanno mostrato la deindustrializzazione, magari convincendoci che saremmo divenuti una società di puri consumatori (reddito di cittadinanza, Universal Basic Income, etc.). Ora distruggono anche i consumi:
Non siete più lavoratori, non siete più consumatori. Cosa siete? Siete niente, non servite a nulle, siete di troppo sul pianeta, andate neutralizzati, sterilizzati e disintegrati, andate fatti sparire. Nel quadro mentale di schiavitù in cui hanno piombato larga parte della popolazione è probabile pure che, bovinamente, moltissimi lo accettino.
I blackout potrebbero servire a ricordarlo: abbiamo noi in mano le vostre vite, vi dicono, sottomettetevi.
Noi, al rischio di rimanere con la sola luce della cera d’api (di cui sappiamo qualcosa, per questioni vetero-liturgiche), non siamo disposti. Per niente.
Prepariamoci organicamente al caos che potrebbe seguire se la corrente se ne andasse del tutto. Per una volta, ascoltiamo quello che ci stanno dicendo i Signori della Morte e del buio: non date per scontato la luce elettrica.
Non sottovalutate i disastri che abbiamo davanti: perché qualcuno lavora attivamente per farli accadere, per fare soffrire la vostra prole, per impedire la continuazione delle vostre famiglie.
Impariamo a non aver paura del buio. Perché, alla fine, sappiate che tutto questo accade perché i padroni del buio che hanno paura di noi.
Roberto Dal Bosco
Civiltà
Professore universitario mette in guardia dall’«imperialismo cristiano europeo» nello spazio
La preside di scienze sociali della Wesleyan University Mary-Jane Rubenstein, una «filosofa della scienza e della religione» (che è anche affiliata al programma di studi femministi, di genere e sessualità della scuola), afferma di aver notato come «molti dei fattori che hanno guidato l’imperialismo cristiano europeo» siano stati utilizzati in «forme ad alta velocità e alta tecnologia».
La Rubenstein si chiede se «pratiche coloniali» come «lo sfruttamento delle risorse ambientali e la distruzione dei paesaggi», il tutto «in nome di ideali quali il destino, la civiltà e la salvezza dell’umanità», faranno parte dell’espansione dell’uomo nello spazio.
Lo sfruttamento degli altri corpi celesti, quantomeno nel nostro sistema solare, è stata considerata in quanto vi è una ragionevole certezza che su altri pianeti vicini non vi sia la vita, nemmeno a livello microbico. Quindi, che importanza ha se aiutiamo a salvare la Terra sfruttando Marte, Mercurio, la fascia degli asteroidi, per minerali e altre risorse?
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Rubenstein nota che il presidente della Mars Society Robert Zubrin ha sostenuto esattamente questo. In un editoriale del 2020, Zubrin ha attaccato un «manifesto» da un gruppo NASA DEI (diversità, equità e inclusione) che aveva sostenuto «dobbiamo lavorare attivamente per impedire l’estrazione capitalista su altri mondi».
Ciò «dimostra brillantemente come le ideologie responsabili della distruzione dell’istruzione universitaria in discipline umanistiche possano essere messe al lavoro per abortire anche l’esplorazione spaziale», ha scritto lo Zubrin.
Lo Zubrin ha osservato che poiché il gruppo DEI non ha alcun senso su base scientifica, deve ricorrere a «una combinazione di antico misticismo panteistico e pensiero socialista postmoderno» – come affermare che anche se non ci sono prove nemmeno dell’esistenza di microbi su pianeti come Marte, «danneggiarli sarebbe immorale quanto qualsiasi cosa sia stata fatta ai nativi americani o agli africani».
Tuttavia la Rubenstein afferma che varie credenze indigene «sono in netto contrasto con l’insistenza di molti nel settore sul fatto che lo spazio sia vuoto e inanimato».
Tra questi vi sono un gruppo di nativi australiani che affermano che i loro antenati «guidano la vita umana dalla loro casa nella galassia» (e che i satelliti artificiali sono un pericolo per questa «relazione»), gli Inuit che sostengono che i loro antenati vivono in realtà su “corpi celesti” e i Navajo che considerano sacra la luna terrestre.
«Gli appassionati laici dello spazio non hanno bisogno di accettare che lo spazio sia popolato, animato o sacro per trattarlo con la cura e il rispetto che le comunità indigene richiedono all’industria», afferma la Rubenstein.
In effetti, in una recensione del libro di Rubenstein Astrotopia: The Dangerous Religion of the Corporate Space Race, la testata progressista Vox ha osservato che «in effetti, alcuni credono che questi corpi celesti dovrebbero avere diritti fondamentali propri».
Quindi, l’ordine degli accademici è che gli esseri umani dessero priorità alle credenze dei nativi nell’esplorazione dello spazio rispetto a quelle dei cristiani europei?
Dovremmo rinunciare all’estrazione di minerali preziosi da asteroidi, comete e pianeti vicini, perché hanno tutti una sorta di Carta dei diritti «mistica panteistica»?
I limiti posti ai programmi di esplorazione spaziale sono da sempre legati a movimenti antiumanisti che odiano la civiltà – in una parola alla Cultura della Morte.
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Lo stesso Zubrin, ex dipendente NASA frustrato dalla mancanza di un programma per la conquista di Marte e il suo terraforming, ne ha scritto in libri fondamentali come Merchants of Dispair (2013), dove spiega come la pseudoscienza e l’ambientalismo siano di fatto culti antiumani.
Lo Zubrin era animatore della Mars Society, un’associazione dedicata alla promozione dell’espansione su Marte, quando nei primi anni Duemila si presentò ad una serata del gruppo uno sconosciuto, che alla fine lasciò in donazione un assegno con una cifra inusitata per la Society, ben 5.000 dollari: si trattava di Elon Musk.
Il quale, marzianista convinto al punto da realizzare razzi che dice ci porteranno sul pianeta rosso tra quattro anni, è anche uno dei più accesi nemici del politicamente corretto, della cultura woke e soprattutto dell’antinatalismo, oltre che una persona che attivamente, negli anni – lo testimonia la sua costante attenzione per la storia della Roma antica – ha dimostrato di aver compreso il valore, e la fragilità, della civiltà umana.
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Civiltà
L’anarco-tirannia uccide: ieri ad Udine, domani sotto casa vostra
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Civiltà
Tecnologia e scomparsa della specie umana: Agamben su progresso e distruzione
Renovatio 21 pubblica questo scritto di Giorgio Agamben apparso sul sito dell’editore Quodlibet su gentile concessione dell’autore.
Quali che siano le ragioni profonde del tramonto dell’Occidente, di cui stiamo vivendo la crisi in ogni senso decisiva, è possibile compendiarne l’esito estremo in quello che, riprendendo un’icastica immagine di Ivan Illich, potremmo chiamare il «teorema della lumaca».
«Se la lumaca», recita il teorema, «dopo aver aggiunto al suo guscio un certo numero di spire, invece di arrestarsi, ne continuasse la crescita, una sola spira ulteriore aumenterebbe di 16 volte il peso della sua casa e la lumaca ne rimarrebbe inesorabilmente schiacciata».
È quanto sta avvenendo nella specie che un tempo si definiva homo sapiens per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico e, in generale, l’ipertrofia dei dispositivi giuridici, scientifici e industriali che caratterizzano la società umana.
Questi sono stati da sempre indispensabili alla vita di quello speciale mammifero che è l’uomo, la cui nascita prematura implica un prolungamento della condizione infantile, in cui il piccolo non è in grado di provvedere alla sua sopravvivenza. Ma, come spesso avviene, proprio in ciò che ne assicura la salvezza si nasconde un pericolo mortale.
Gli scienziati che, come il geniale anatomista olandese Lodewjik Bolk, hanno riflettuto sulla singolare condizione della specie umana, ne hanno tratto, infatti, delle conseguenze a dir poco pessimistiche sul futuro della civiltà. Nel corso del tempo lo sviluppo crescente delle tecnologie e delle strutture sociali produce una vera e propria inibizione della vitalità, che prelude a una possibile scomparsa della specie.
L’accesso allo stadio adulto viene infatti sempre più differito, la crescita dell’organismo sempre più rallentata, la durata della vita – e quindi la vecchiaia – prolungata.
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«Il progresso di questa inibizione del processo vitale», scrive Bolk, «non può superare un certo limite senza che la vitalità, senza che la forza di resistenza alle influenze nefaste dell’esterno, in breve, senza che l’esistenza dell’uomo non ne sia compromessa. Più l’umanità avanza sul cammino dell’umanizzazione, più essa s’avvicina a quel punto fatale in cui progresso significherà distruzione. E non è certo nella natura dell’uomo arrestarsi di fronte a ciò».
È questa situazione estrema che noi stiamo oggi vivendo. La moltiplicazione senza limiti dei dispositivi tecnologici, l’assoggettamento crescente a vincoli e autorizzazioni legali di ogni genere e specie e la sudditanza integrale rispetto alle leggi del mercato rendono gli individui sempre più dipendenti da fattori che sfuggono integralmente al loro controllo.
Gunther Anders ha definito la nuova relazione che la modernità ha prodotto fra l’uomo e i suoi strumenti con l’espressione: «dislivello prometeico» e ha parlato di una «vergogna» di fronte all’umiliante superiorità delle cose prodotte dalla tecnologia, di cui non possiamo più in alcun modo ritenerci padroni. È possibile che oggi questo dislivello abbia raggiunto il punto di tensione massima e l’uomo sia diventato del tutto incapace di assumere il governo della sfera dei prodotti da lui creati.
All’inibizione della vitalità descritta da Bolk si aggiunge l’abdicazione a quella stessa intelligenza che poteva in qualche modo frenarne le conseguenze negative.
L’abbandono di quell’ultimo nesso con la natura, che la tradizione filosofica chiamava lumen naturae, produce una stupidità artificiale che rende l’ipertrofia tecnologica ancora più incontrollabile.
Che cosa avverrà della lumaca schiacciata dal suo stesso guscio? Come riuscirà a sopravvivere alle macerie della sua casa? Sono queste le domande che non dobbiamo cessare di porci.
Giorgio Agamben
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