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Economia

La Germania si prepara ai blackout: consegne domestiche di danaro contente contro la corsa agli sportelli e il «malcontento»

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Le autorità tedesche hanno intensificato i preparativi per le consegne di denaro di emergenza in caso di blackout per mantenere l’economia in funzione, mentre il Paese si prepara a possibili interruzioni di corrente derivanti dalla guerra in Ucraina. Lo riporta, citando fonti, l’agenzia Reuters.

 

Secondo quanto riportato, il piano prevede che la Bundesbank (la Banca Centrale tedesca) accumuli miliardi extra per far fronte a un aumento della domanda, nonché «possibili limiti ai prelievi».

 

Secondo le fonti più o meno anonime citate da Reuters, funzionari e istituto di credito tedeschi in questo momento starebbero focalizzandosi non solo sulla stampa di denaro, ma anche sulla sua, alquanto inedita, distribuzione: stanno parlando, ad esempio, di un accesso prioritario al carburante per i trasportatori di contanti.

 

Le discussioni sulla pianificazione coinvolgerebbero la banca centrale, il suo regolatore del mercato finanziario BaFin e diverse associazioni del settore finanziario.

 

Le autorità tedesche hanno risposto minimizzando pubblicamente la probabilità di un blackout e di corse agli sportelli.

 

«Le discussioni mostrano sia quanto seriamente prendano la minaccia sia come lottino per prepararsi a potenziali interruzioni di corrente paralizzanti causate dall’aumento dei costi energetici o persino dal sabotaggio» scrive Zerohedge. «Sottolineano anche le ramificazioni in espansione della guerra in Ucraina per la Germania, che per decenni ha fatto affidamento sull’energia russa a prezzi accessibili e ora deve affrontare un’inflazione a due cifre e una minaccia di interruzione a causa della carenza di carburante ed energia».

 

Bisogna notare che i tedeschi apprezzano la sicurezza e l’anonimato che offre il contante tendono a usarlo più di altri europei, con alcuni che ancora hanno riserve di marchi tedeschi. Secondo un recente studio della Bundesbank, circa il 60% degli acquisti quotidiani tedeschi viene pagato in contanti, e i tedeschi, in media, prelevano più di 6.600 euro all’anno principalmente dai bancomat.

 

L’idea di una corsa agli sportelli, non in Grecia o in Argentina (come abbiamo già visto) ma nel Paese locomotiva d’Europa, è quindi una possibilità non così remota.

 

A questo si aggiunge un rapporto parlamentare di dieci anni, riemerso in questi giorni. Lo studio metteva in guardia contro il «malcontento» e le «alterazioni aggressive» nel caso in cui i cittadini non fossero in grado di mettere le mani sui contanti in caso di blackout.

 

La previsione, quindi, è che la società germanica possa andare in pezzi: e in modo violento.

 

All’inizio della pandemia nel marzo 2020, i tedeschi hanno ritirato 20 miliardi di euro in più rispetto a quelli depositati. Nonostante il prelievo record, non vi furono problemi all’epoca. Nessuno sa, però, cosa potrebbe succedere con un blackout – cioè nel momento in cui il bancomat non va più o sono limitati e/o presi d’assalto.

 

Più del 40% dei tedeschi teme un blackout nei prossimi sei mesi, secondo un sondaggio pubblicato la scorsa settimana da Funke Mediengruppe.

 

La Bundesamt für Bevölkerungsschutz und Katastrophenhilfe (BBK), l’ufficio federale tedesco della protezione civile e dell’assistenza in caso di catastrofi quello che l’anno scorso già mandava in onda pubblicità progresso per istruire la popolazione su come scaldarsi in caso di interruzione del gas, ha dichiarato di raccomandare alle persone di tenere contanti a casa per tali emergenze.

 

 

Un’altra fonte di Reuters osserva che i regolatori finanziari tedeschi temono che le banche non siano del tutto preparate per gravi interruzioni di corrente e lo considerano un nuovo rischio precedentemente imprevisto.

 

Praticamente solo di partito AfD sta cercando di fare qualcosa per scongiurare il disastro blackout. Markus Fuchs, consigliere comunale a Francoforte, ha proposto la creazione di piano blackout entro il 17 novembre. Gli altri partiti hanno respinto la proposta accusando Fuchs e AfD di fomentare il panico.

 

Come riportato da Renovatio 21, AfD è il partito ai cui membri pareva volessero cominciare a ritirare il porto d’armi. Dall’altra parte abbiamo il governo che prepara centri per «sfollati energetici», cioè persone senza riscaldamento che si troveranno in palazzetti dello sport o luoghi simili dove potranno cercare di non morire di freddo.

 

Tutto questo mentre Deutsche Bank, l’enorme, controversa prima banca del Paese, al pari di Paesi come Polonia e Moldavia, ha cominciato a prevedere il legno come combustibile per l’inverno.

 

Il sito web NachDenkSeiten , un classico della controinformazione tedesca, ha raccontato lo scorso mese di aver avuto un picco di visite mai visto prima: un segno chiarissimo di «malcontento» oramai incontrollabile.

 

Come ripetuto da Renovatio 21, la Germania è sulla rampa di lancio per divenire Paese-guida delle rivolte energetiche, diventare il potenziale catalizzatore per l’autunno caldo – cioè freddo, freddissimo – europeo.

 

Il governo federale e i governi dei laender si attendono rivolte che si preparano a sedare in modo preventivo e forse con ancora più violenza di quanto fatto durante il biennio pandemicoquando le autorità furono perfino accusate di pratiche tali da coinvolgere il responsabile ONU alla tortura, tra bambini arrestati e agenti che dicono ai manifestanti di non ritenerli più esseri umani.

 

Inflazione impazzita, riscaldamento che verrà a mancare: eppure nessuno di questi temi sta venendo disinnescato dalle azioni del governo Scholz, che pare al contrario interessato, oltre che alla repressione, alla vera e propria deindustrializzazione del Paese.

 

 

 

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Economia

Le fabbriche italiane «intrappolate nella recessione»

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Le fabbriche in Italia hanno registrato una flessione per sei mesi consecutivi, mentre la produzione continua a diminuire, segno di una profonda recessione industriale, ha riferito lunedì Bloomberg, citando un sondaggio di S&P Global.

 

L’indice basato sulle risposte dei responsabili degli acquisti (in inglese, purchasing manager index o PMI) si è attestato a 46,8 a settembre, rispetto a 45,4 ad agosto, ben al di sotto della soglia di 50, indicando una contrazione.

 

L’industria e il manifatturiero italiani, in particolare, sono stati in difficoltà negli ultimi mesi a causa della mancanza di nuovi ordini a causa dell’indebolimento della domanda globale. Non è chiaro quale sia l’incidenza delle sanzioni contro Mosca, che impediscono alle imprese italiane di vendere prodotti in Russia, fino a qualche anno fa fra i principali mercati per le aziende italiane.

 

«L’economia industriale italiana sembra essere intrappolata in una profonda recessione senza una chiara via d’uscita», ha affermato Tariq Kamal Chaudhry, economista della Hamburg Commercial Bank. «I nuovi ordini, sia nazionali che internazionali, si stanno riducendo, e anche le aspettative sulla produzione futura sono scese ben al di sotto della loro media a lungo termine».

 

Sebbene l’indagine PMI abbia indicato un certo aumento dell’occupazione nelle fabbriche, ha evidenziato principalmente una carenza di lavoratori qualificati, mentre il precedente rapporto di S&P affermava che le fabbriche italiane avevano iniziato a licenziare il personale a causa di una più profonda contrazione della produzione industriale.

 

Gli economisti prevedono che la recessione manifatturiera, iniziata in quella che sulla carta è la terza economia dell’Eurozona a metà dello scorso anno, continuerà.

 

Il settore manifatturiero rappresenta circa il 16% della produzione italiana, ma la sua debolezza continua a pesare sull’economia italiana, trascinandola in un’ulteriore contrazione.

 

Le ultime stime mostrano che l’economia del Paese si è contratta dello 0,4% – più dello 0,3% previsto – nel secondo trimestre dell’anno.

 

Sottolineando le preoccupazioni per l’indebolimento dell’economia, il governo italiano la scorsa settimana ha tagliato le sue previsioni di crescita per quest’anno allo 0,8% da una proiezione dell’1% fatta ad aprile, mentre l’obiettivo per il 2024 è stato tagliato all’1,2% dall’1,5%.

 

Come riportato da Renovatio 21, a settembre la stessa testata, Bloomberg, sulla scorta di dati dello stesso indice, aveva parlato di licenziamenti di massa in Italia.

 

Bloomberg il 1° agosto aveva pubblicato un articolo in cui parlava di una contrazione nel terzo quarto dell’anno causata dalla debolezza dell’industria, con il PIL crollato improvvisamente nel secondo quarto pure a seguito di un momento di crescita.

 

In un ulteriore articolo pubblicato a inizio luglioBloomberg scriveva che le fabbriche italiane avevano avuto il loro momento peggiore dai tempi della pandemia.

 

Come riportato da Renovatio 21, la disastrosa situazione è leggibile anche dai dati di consumo energetico: recenti calcoli permettono di dire che la quantità di energia elettrica consumata la scorsa settimana – la 33ª dell’annata 2023 – è inferiore a quella consumata nella 12 ª settimana del 2020, cioè dal 16 al 22 marzo 2020, in pieno lockdown, con fabbriche, ristoranti, scuole, uffici chiusi.

 

 

«Nel 2020, la settimana n.33 vide il consumo di oltre 5 miliardi di kWh (5,06 miliardi). Significa che in Italia le aziende producono meno che durante il lockdown. Unica la causa: il crollo della domanda, interna ed estera» dice il professor Mario Pagliaro, chimico membro della Academia Europæa nonché docente di nuove tecnologie dell’energia al Polo Fotovoltaico della Sicilia.

 

È possibile pensare quindi che, nel mezzo della crisi energetica dovuta all’assenza del gas russo, l’Italia abbia evitato blackout estivi solo grazie allo stato di deindustrializzazione avanzata in cui si trova.

 

 

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Economia

I prezzi del petrolio segnano un forte aumento nel terzo trimestre

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I prezzi mondiali del petrolio hanno registrato un massiccio aumento trimestre su trimestre di quasi il 30% nel periodo luglio-settembre di quest’anno, poiché l’offerta è limitata a causa dei tagli alla produzione concordati dall’OPEC e dai suoi alleati, guidati dalla Russia.

 

Il greggio Brent con consegna a novembre è sceso di quasi lo 0,1%, a 95,31 dollari al barile venerdì, ma è aumentato del 2,2% nella settimana, del 9,7% nel mese e ha guadagnato il 27,3% nel trimestre.

 

Nel frattempo, il greggio WTI di novembre è sceso di un punto percentuale attestandosi a 90,79 dollari al barile, dopo aver segnato un guadagno settimanale dello 0,8%, un progresso mensile dell’8,6% e chiudendo il trimestre in rialzo del 28,5%.

 

Gli esperti prevedono che i tagli all’offerta annunciati dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio e dai suoi alleati, noti insieme come OPEC+, domineranno il mercato petrolifero globale per il resto dell’anno, mentre si prevede che i prezzi rimarranno elevati. Il comitato di monitoraggio ministeriale congiunto dell’alleanza è previsto per il 4 ottobre.

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All’inizio di questo mese, l’Arabia Saudita, uno dei pesi massimi produttori di petrolio e leader di fatto dell’OPEC, ha esteso il taglio volontario della produzione petrolifera di un milione di barili al giorno (bpd) fino alla fine dell’anno.

 

Nel frattempo, anche il suo alleato dell’OPEC+ e secondo produttore mondiale di greggio, la Russia, si è recentemente impegnato a estendere il taglio volontario delle esportazioni di petrolio di 300.000 barili giornalieri fino alla fine dell’anno.

 

La settimana scorsa, il governo russo ha introdotto un divieto temporaneo sulle vendite all’estero di diesel e benzina al fine di stabilizzare il mercato interno dei carburanti.

 

Motivo di ulteriore preoccupazione è la riduzione delle forniture a Cushing, Oklahoma, hub di consegna dei futures Nymex WTI, poiché le scorte sono diminuite di 943.000 barili nella quarta settimana di settembre a causa della forte domanda di raffinazione e di esportazione.

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Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa la banca d’affari Goldman Sachs ha previsto per il petrolio la domanda «più alta di tutti i tempi». Due mesi prima aveva previsto un imminente aumento del prezzo del greggio, con stime di superamento dei 100 dollari al barile entro l’anno.

 

Gli USA quest’anno ha quindi sostituito la Russia come principale fornitore di petrolio alla UE, che ha rinunciato anche alle importazioni del petrolio venezuelano.

 

Ciononostante, si prevede che la Russia supererà l’Arabia Saudita come il più grande produttore di petrolio OPEC +.

 

Il caos sul tetto al prezzo dell’oro nero piazzato da Bruxelles ha creato caos con petroliere occidentali bloccate sul Bosforo. Il paradosso grottesco dell’ora presente vuole che i Paesi occidentali stiano in qualche modo continuando ad acquistare petrolio e gas russi.

 

Grazie alle sanzioni occidentali, il petrolio sta divenendo anche la leva per la de-dollarizzazione globale, con vari Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, che hanno iniziato a commerciare in altre valute. Pakistan, India, Emirati Arabi hanno eseguito transazioniper il petrolio in yuan o perfino in rupie.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Francia sei mesi fa ha comperato 65 mila tonnellate di gas liquefetto da Pechino pagando in yuan.

 

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Ambiente

Bruxelles impone la prima carbon tax doganale

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Il 1° ottobre, l’Unione Europea ha lanciato la prima fase di un nuovo programma «verde» per imporre una tariffa sulle emissioni di gas serra incorporate in prodotti importati come ferro, acciaio, alluminio, cemento, elettricità, fertilizzanti e idrogeno.   Durante questa prima fase, fino a gennaio 2026, il nuovo sistema, chiamato Carbon Border Adjustment Mechanism, raccoglierà dati sulle importazioni «ad alta intensità di carbonio».   Gli importatori dell’UE sono ora tenuti a segnalare le emissioni di gas serra legate alla produzione dei prodotti di cui sopra.   A partire dal 1° gennaio 2026, dovranno acquistare certificati per «coprire» queste emissioni stimate di anidride carbonica, portando ad un aumento dei prezzi dei beni importati dall’UE.   Il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere dovrebbe impedire che i prodotti stranieri più inquinanti compromettano la transizione verde inflitta dall’élite eurotica alla popolazione del vecchio continente. La misura proteggerà potenzialmente i produttori locali dalle perdite a favore dei concorrenti stranieri, mentre questi investiranno nel raggiungimento degli obiettivi dell’UE per ridurre le emissioni nette del blocco del 55% rispetto ai livelli del 1990, entro il 2030.

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S&PGlobal ha riferito nel marzo 2020 che la tassa era stata inventata nel 2020 e, a quel tempo, il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni l’aveva promossa con il pretesto di «proteggere i produttori locali» e aveva allegramente affermato che uno dei principali ambiti in cui la tassa avrebbe l’impatto sarebbe stato   «L’UE attualmente importa elettricità da paesi extra-UE come Ucraina, Russia e Serbia, e ora anche dal Regno Unito come nuovo paese extra-UE» scrive S&P Global. La Commissione Europea sta facendo attenzione a non descrivere il meccanismo come una tassa, sia per le implicazioni dell’OMC, sia perché tutte le proposte fiscali a livello UE necessitano dell’approvazione unanime dei governi dell’UE per diventare vincolanti, il che è molto difficile da ottenere.   «Il meccanismo previsto fa parte della nuova strategia europea del Green Deal europeo intesa a rendere l’UE neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050» continua S&P.   Tale «meccanismo” aumenterà senza dubbio le tensioni tra l’UE e Washington (gli Stati Uniti avevano chiesto un’esenzione per le proprie esportazioni di acciaio e ferro), così come all’interno della stessa UE.   In un’intervista dell’11 settembre a Politico, il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner ha attaccato «il pacchetto legislativo sul clima “Green Deal” proposto dal presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Esso imporrebbe la ristrutturazione degli edifici più vecchi al fine di “decarbonizzare” il patrimonio immobiliare entro il 2050».   Lindner ha descritto il piano come «enormemente pericoloso» e ha affermato che potrebbe mettere in pericolo la «pace sociale» perché «la gente potrebbe avere l’impressione che il la politica rende loro più difficile vivere nelle proprie case ed essere in grado di pagarlo».   Come riportato da Renovatio 21, alcuni osservatori lamentano che il piano UE «Fit for 55» sia un mezzo per portare al collasso industriale dell’Europa.

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