Pensiero
Buon San Marco: il leone per i nostri lettori, l’asino della favola di Angleton per tutti gli altri
Oggi, 25 aprile, auguriamo Buon San Marco a tutti i lettori. Come ogni anno.
I non veneti potrebbero non saperlo: la cosiddetta «Festa della liberazione» ha di fatto occupato l’antica festa dell’Evangelista del Leone. A dire il vero, anche molti veneti dell’entroterra oggi lo ignorano.
Meteo permettendo, auguriamo a chi ci legge di passare una splendida giornata con chi amano (la festa di San Marco, a Venezia, ha una tradizione romantica fatta di bócołi di rosa scambiata tra innamorati, una storia che tra origine dalla tragica leggenda di Tancredi che per sposare Maria partì a combattere i mori in Ispagna con Orlando: una tragedia che Romeo e Giulietta, levàteve) e con i famigliari e gli amici tutti. Vai di grigliate, vai di passeggiate, scampagnate, zainetto e picnicco – e pomiciate sotto l’albero per tanta giovenù dal cuor leggero.
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Sappiamo tuttavia che tanti nel nostro Paese ignorano la bellezza della Festa del Leone di San Marco perché ancora sotto l’incantesimo comu-repubblicano: festeggiano la «liberazione» dal male di tutti i mali, quel totalitarismo che spingeva il Paese ad una guerra per cui non era pronto, impediva la libertà di parola, obbligava alla vaccinazione causando morti, etc. (Se non vi fischiano le orecchie, non le avete, ma nemmeno gli occhi, la bocca, il naso).
L’inno alla partigianeria prosegue nonostante i partigiani siano oramai quasi tutti morti: come un tulku tibetano, un residuo spirituale vagante, o come un’accisa sulla benzina per il terremoto dell’Irpinia.
Ebbene, ci toccherà anche quest’anno il frusto rito del 25 aprile con la sua marcetta milanese dal luogo del sacrifizio regicida, che epperò nelle ultime edizioni è stato di grande intrattenimento: vedere sfilare falce e martello a fianco della Rosa dei Venti NATO, i sedicenti discendenti partigiani tra le bandiere ucronaziste (qualcuno non c’è stato – risuona ancora l’urlo del comunista rimasto tale: «Azovdimmerda!»).
A costoro vogliamo raccontare, tuttavia, di un altro leone, e dell’asino
È una favola da Fedro, I secolo d.C. Si intitola «Leo senex, Aper, Taurus et Asinus», ma per tutti è, semplicemente, la storia del «calcio dell’asino».
Defectus annis et desertus viribus
leo cum iaceret spiritum extremum trahens,
aper fulmineis spumans venit dentibus,
et vindicavit ictu veterem iniuriam.
infestis taurus mox confodit cornibus
hostile corpus. asinus, ut vidit ferum
inpune laedi, calcibus frontem extudit.
at ille exspirans «Fortis indigne tuli
mihi insultare: te. Naturae dedecus,
quod ferre certe cogor bis videor mori».
La nostra traduzione:
Avanti con gli anni e abbandonato dalle forze
il leone giaceva lì, esalando l’ultimo respiro,
Il cinghiale arrivò schiumando con denti fulminei,
e vendicò con un colpo una vecchia offesa.
Il toro feroce trafisse subito il corpo del nemico con le sue corna.
L’asino, quando vide la bestia selvaggia
ferita impunemente, tirò un calcio sulla fronte.
Il leone mortì. Ma prima disse: «Amaro fu l’assalto di quei forti.
Ma dopo il tuo, viltà della natura,
mi sembra di morire anche due volte»
La notissima favola, poi ripresa da La Fontaine, talvolta invece che il discorso del leone che muore amareggiato e umiliato, riporta il vanto dell’asino, che, essendo stato l’ultimo a colpire – un calcetto, e basta – rivendica di aver ucciso lui il re della foresta.
È una favola pure quella dei partigiani che vincono da soli il fascismo – quasi che gli angloamericani, con il loro saturation bombing che ha devastato le nostre città (case, chiese, basiliche, tutto), con le loro truppe sbarcate in massa sulle nostre coste, con le loro basi di occupazione militare che tutt’ora sono presenti nel territorio, non fossero mai esistiti.
La possiamo chiamare la favola di Angleton, da James Jesus Angleton (1917-1987), la «madre» della CIA, l’uomo che – cresciuto a Milano – organizzò la trama non solo dello sbarco alleato in Sicilia, per il quale, come noto, fece un patto con la mafia, finito – è la nostra ipotesi – con i fatti di Castelvetrano, dove nel 1944 ci era Roosevelt con tutto lo Stato maggiore USA e anni dopo Matteo Messina Denaro come tranquilissimo superlatitante.
No: Angleton gestì la guerra e il dopoguerra, creò la Repubblica (con il referendum) e la Democrazia Cristiana, con l’immissione del pensiero cattodemocratico (cioè è, anglo-sintetico) di Maritain, pensatore nutrito dalle università americane da cui Angleton proveniva all’interno di una panchina di uomini tenuti a bagnomaria dalla Chiesa, come De Gasperi, ma anche Andreotti etc.

James Jesus Angleton. Immmagine CC0 via Wikimedia
Angleton, detto anche Kingfisher («il martin pescatore», o, più in linea con i suoi interessi letterari, «il re pescatore»), è il vero «liberatore» dell’Italia e fondatore della Repubblica italiana: e nessuno, oggi, gli rende omaggio, nemmeno una parola per il suo animo sensibile di laureato in poesia, che scriveva lettera di ammirazione a Ezra Pound (mentre lo teneva in prigione…), che definiva la sua condizione di uomo a capo delle percezioni più importante del suo Paese (il controspionaggio) con un’espressione toccante e magnifica presa da T.S. Eliot: «il deserto degli specchi».
Il «deserto degli specchi», infine, lo fece impazzire: i russi, che avevano piantato talpe clamorose nei servizi occidentali, lavorarono per farlo diventare paranoide oltre ogni limite. Non una storia a lieto fine, a differenza della favola della guerra.
Più che al partigiano Johnny, noi italiani moderni dobbiamo tutto a James Jesus. Renovatio 21 lo ricorderà sempre. Anche quando l’Italia come la conosciamo potrebbe non esserci più.
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Dalla storia che stiamo raccontando, ad un certo punto, qualcuno potrebbe trarre conclusioni abissali: una repubblica fondata su un calcio dell’asino, è una repubblica asinina? Una società che gode nell’uccidere i leoni, a cosa somiglia? Uno Stato creato da asini calciatori, ha prodotto e continua a produrre asini e calciatori, fino a quale limite di sostenibilità?
Non rispondiamo: le fiabe sono per i bambini, gli adulti invece, proprio come la superspia che conosceva La terra desolata, dovrebbero leggere poesie e pensieri profondi.
Quindi: buon Angleton Day agli asini delle favole.
E le ali del Leone di San Marco per tutti i nostri lettori!
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Di tabarri e boomerri. Pochissimi i tabarri
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Pensiero
Trump e la potenza del tacchino espiatorio
Il presidente americano ha ancora una volta dimostrato la sua capacità di creare scherzi che tuttavia celano significati concreti – e talvolta enormi.
L’ultima trovata è stata la cerimonia della «grazia al tacchino», un frusto rito della Casa Bianca introdotto nel 1989 ai tempi in cui vi risiedeva Bush senior. Il tacchino, come noto, è l’alimento principe del giorno del Ringraziamento, probabilmente la più sentita ricorrenza civile degli americani, che celebra il momento in cui i Padri Pellegrini, utopisti protestanti, furono salvati dai pellerossa che indicarono ai migranti luterani come a quelli latitudini fosse meglio coltivare il granturco ed allevare i tacchini. Al ringraziamento degli indiani indigeni seguì poco dopo il massacro, però questa è un’altra storia.
Fatto sta che il tacchino, creatura visivamente ripugnante per i suoi modi sgraziati e le sue incomprensibili protuberanze carnose, diventa un simbolo nazionale americano, forse persino più importante dell’aquila della testa bianca, perché il rapace non raccoglie tutte le famiglie a cena in una magica notte d’inverno, il tacchino sì. Tant’è che ai due fortunati uccelli di quest’anno, Gobble e Waddle (nomi scelti online dal popolo statunitense, è stata fatta trascorrere una notte nel lussuosissimo albergo di Washington Willard InterContinental.
🦃 America’s annual tradition of the Presidential Turkey Pardon is ALMOST HERE!
THROWBACK to some of the most legendary presidential turkeys in POTUS & @FLOTUS history before the big moment this year. 🎬🔥 pic.twitter.com/QT2Oal12ax
— The White House (@WhiteHouse) November 24, 2025
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Da più di un quarto di secolo, quindi, eccoti che qualcuno vicino alla stanza dei bottoni si inventa che il commander in chief appaia nel giardino delle rose antistante la residenza e, a favore di fotografi, impartista una grazia al tacchino, salvandolo teoricamente dal finire sulla tavola – in realtà ci finisce comunque suo fratello, o lui stesso, ma tanto basta. Non sono mancati i momenti grotteschi, come quando il bipede piumato, dinanzi a schiere di alti funzionari dello stato e giornalisti, ha scagazzato ex abrupto e ad abundantiam lasciando puteolenti strisce bianche alla Casa Bianca.
Non si capisce cosa esattamente questo rituale rappresenti, se non la ridicolizzazione del potere del presidente di comminare grazie per i reati federali, tema, come sappiamo quanto mai importante in quest’ultimo anno alla Casa Bianca, visti le inedite «grazie preventive» date al figlio corrotto di Biden Hunter, al plenipotenziario pandemico Anthony Fauci, al generale (da alcuni ritenuto golpista de facto) Mark Milley. Sull’autenticità delle firme presidenziali bideniane non solo c’è dibattito, ma l’ipostatizzazione del problema nella galleria dei ritratti dei presidenti americani, dove la foto di Biden, considerato in istato di amenza da anni, è sostituita da un’immagine dell’auto-pen, uno strumento per automatizzare le firme forse a insaputa dello stesso presidente demente.
Ecco che Donaldo approffitta della cerimonia del pardon al tacchino per lanciare un messaggio preciso: appartentemente per ischerzo, ma con drammatico valore neanche tanto recondito.
Trump si mette a parlare di un’indagine approfondita condotta da Bondi e da una serie di dipartimenti su di « una situazione terribile causata da un uomo di nome Sleepy Joe Biden. L’anno scorso ha usato un’autopsia per concedere la grazia al tacchino».
«Ho il dovere ufficiale di stabilire, e ho stabilito, che le grazie ai tacchini dell’anno scorso sono totalmente invalide» ha proclamato il presidente. «I tacchini conosciuti come Peach and Blossom l’anno scorso sono stati localizzati e stavano per essere macellati, in altre parole, macellati. Ma ho interrotto quel viaggio e li ho ufficialmente graziati, e non saranno serviti per la cena del Ringraziamento. Li abbiamo salvati al momento giusto».
La gente ha iniziato a ridere. Testato il meccanismo, Trump ha continuato quindi ad usare i tacchini come veicoli di attacco politico.
«Quando ho visto le loro foto per la prima volta, ho pensato che avremmo dovuto mandargliele – beh, non dovrei dirlo – volevo chiamarli Chuck e Nancy», ha detto il presidente riguardo ai tacchini, facendo riferimento ai politici democratici Chuck Schumer e Nancy Pelosi. «Ma poi ho capito che non li avrei perdonati, non avrei mai perdonato quelle due persone. Non li avrei perdonati. Non mi importerebbe cosa mi dicesse Melania: ‘Tesoro, penso che sarebbe una cosa carina da fare’. Non lo farò, tesoro».
Dopo che il presidente ha annunciato che si tratta del primo tacchino MAHA (con tanto di certificazione del segretario alla Salute Robert Kennedy jr.), l’uso politico del pennuto è andato molto oltre, nell’ambito dell’immigrazione e del terrorismo: «invece di dar loro la grazia, alcuni dei miei collaboratori più entusiasti stavano già preparando le carte per spedire Gobble e Waddle direttamente al centro di detenzione per terroristi in El Salvador. E persino quegli uccelli non vogliono stare lì. Sapete cosa intendo».
Tutto bellissimo, come sempre con Trump. Il quale certamente non sa che l’uso del tacchino espiatorio non solo non è nuovo, ma ha persino una sua festa, in Alta Italia.
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Parliamo dell’antica Giostra del Pitu (vocabolo piementose per il pennuto) presso Tonco, in provincia di Asti. La ricorrenza deriverebbe da usanze apotropaiche contadine, dove, per assicurarsi il favore celeste al raccolto, il popolo scaricava tutte le colpe dei mali che affligevano la società su un tacchino, che rappresentava tacitamente il feudatario locale. Secondo la leggenda, questi era perfettamente a conoscenza della neanche tanto segreta identificazione del tacchino con il potere, e lasciava fare, consapevole dello strumento catartico che andava caricandosi.
Tale mirabile festa piemontese va vanti ancora oggi, anticipata da un corteo storico che riproduce la visita dei nobili a Gerardo da Tonco, figura reale del luogo e fondatore dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni in Gerusalemme, poi divenuto Sovrano Militare Ordine di Malta.
Subito dopo il gruppo che accompagna Gerardo avanza il carro su cui troneggia il tacchino vivo, autentico protagonista della celebrazione. Seguono quindi i giudici e i carri delle varie contrade del paese, che mettono in scena, con grande realismo, momenti di vita contadina tradizionale. Il passaggio del tacchino è tra ali di folla che non esitano ad insultare duramente il pennuto sacrificale.
Il clou dell’evento è il cosiddetto processo al Pitu, arricchito da un vivace botta-e-risposta in dialetto piemontese tra l’accusa pubblica e lo stesso Pitu, il quale tenta inutilmente di difendersi. Dopo la inevitabile condanna, il Pitu chiede come ultima volontà di fare testamento in pubblico, dando vita a un nuovo momento di ilarità.
Durante la lettura del testamento, infatti, egli si vendica della sentenza rivelando, sempre in stretto dialetto, vizi grandi e piccoli dei notabili e dei personaggi più in vista della comunità. Fino al 2009, al termine del testamento, un secondo tacchino (già macellato e acquistato regolarmente in macelleria, quindi comunque destinato alla tavola) veniva appeso a testa in giù al centro della piazza. Dal 2015, purtroppo, il tacchino è stato sostituito da un pupazzo di stoffa, così gli animalisti sono felici, ma il tacchino in zona probabilmente lo si mangia lo stesso.
Ci sarebbe qui da lanciarsi in riflessioni abissali sulla meccanica del capro espiatorio di Réné Girard, ma con evidenza siamo già oltre, siamo appunto al tacchino espiatorio.
Il tacchino espiatorio diviene il dispositivo con cui è possibile, se non purificare, esorcizzare, quantomeno dire dei mali del mondo.
Ci risulta a questo punto impossibile resistere. Renovatio 21, sperando in una qualche abreazione collettiva, procede ad accusare l’infame, idegno, malefico tacchino, che gravemente nuoce a noi, al nostro corpo, alla nostra anima, al futuro dei nostri figli.
Noi accusiamo il tacchino di rapire, o lasciare che si rapiscano, i bambini che stanno felici nelle loro famiglie.
Noi accusiamo il tacchino di aver messo il popolo a rischio di una guerra termonucleare globale.
Noi accusiamo il tacchino di praticare una fiscalità che pura rapina, che costituisce uno sfruttamento, dicevano una volta i papi, grida vendetta al cielo.
Noi accusiamo il tacchino di essere incompetente e corrotto, di favorire i potenti e schiacciare i deboli. Noi accusiamo il tacchino di essere mediocre, e per questo di non meritare alcun potere.
Noi accusiamo il tacchino di aver accettato, se non programmato, l’invasione sistematica della Nazione da parte di masse barbare e criminali, fatte entrare con il chiaro risultato della dissoluzione del tessuto sociale.
Noi accusiamo il tacchino di favorire gli invasori e perseguitare gli onesti cittadini contribuenti.
Noi accusiamo il tacchino di aver degradato la religione divina, di aver permesso la bestemmia, la dissoluzione della fede. Noi accusiamo il tacchino di essere, che esso lo sappia o meno, alleato di Satana.
Noi accusiamo il tacchino di operare per la rovina dei costumi.
Noi accusiamo il tacchino per la distruzione dell’arte e della bellezza, e la sua sostituzione con bruttezza e degrado, con la disperazione estetica come via per la disperazione interiore.
Noi accusiamo il tacchino di essere un effetto superficiale, ed inevitabilmente tossico, di un plurisecolare progetto massonico di dominio dell’umanità.
Noi accusiamo per la strage dei bambini nel grembo materno, la strage dei vecchi da eutanatizzare, la strage di chi ha avuto un incidente e si ritrova squartato vivo dal sistema dei predatori di organi.
Noi accusiamo il tacchino del programa di produzione di umanoidi in provetta, con l’eugenetica neohitlerista annessa.
Noi accusiamo il tacchino di voler alterare la biologia umana per via della siringa obbligatoria.
Noi accusiamo il tacchino di spacciare psicodroghe nelle farmacie, che non solo non colmano il vuoto creato dallo stesso tacchino nelle persone, ma pure le rendono violente e financo assassine.
Noi accusiamo il tacchino per l’introduzione della pornografia nelle scuole dei nostri bambini piccoli. Noi accusiamo il tacchino per la diffusione della pornografia tout court.
Noi accusiamo il tacchino per l’omotransessualizzazione, culto gnostico oramai annegato nello Stato, con i suoi riti mostruosi di mutilazione, castrazione, con le sue droghe steroidee sintetiche, con le sue follie onomastiche e istituzionali.
Noi accusiamo il tacchino di voler istituire un regime di biosorveglianza assoluta, rafforzato dalla follia totalitaria dell’euro digitale.
Noi accusiamo il tacchino, agente inarrestabile della Necrocultura, della devastazione inflitta al mondo che stiamo consegnando ai nostri figli.
Tacchino maledetto, i tuoi giorni sono contati. Sappi che ogni giorno della nostra vita è passato a costruire il momento in cui, tu, tacchino immondo, verrai punito.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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