Pensiero
I misteri del nuovo Yom Kippur. Cui prodest?
Il 6 ottobre 1973, cioè esattamente mezzo secolo fa, gli eserciti di Egitto e Siria attaccarono di sorpresa Israele, avanzando, nelle prime fasi della guerra, tra le difficoltà israeliane. La chiamano la guerra dello Yom Kippur, perché cadeva esattamente nella festività giudaica dell’espiazione.
Le truppe dello Stato ebraico riuscirono a passare alla controffensiva, ma in pochissimo tempo la guerra si spense con il cessate il fuoco chiesto da USA e URSS. Nessun vero avanzamento sul campo, per le parti in lotta, ma una cascata di caos per il resto del mondo, sconvolto dalla decisione dei Paesi arabi OPEC di aumentare il prezzo del petrolio per sostenere Il Cairo e Damasco. Gli effetti della crisi petrolifera si propagarono per tutto il decennio.
La scelta di Hamas di far partire l’operazione «Tempesta di al-Aqsa» nell’anniversario del Kippur potrebbe non essere casuale. Vi sono però molte differente: qui l’attacco non è perpetrato da uno Stato-Nazione, né da un esercito, ma da un’organizzazione ritenute «terrorista» da USA, UE etc. – pur con un sostegno straniero che è stato pure rivendicato da qualche portavoce.
A differenza del nuovo Kippur, l’incipit non è uno scontro militare, ma un massacro di civili con rapimenti di massa mai visti – un vero ratto collettivo, come solo avevamo letto nei libri di storia antica.
Tuttavia con la guerra del Kippur c’è una similitudine impressionante: anche stavolta, i vertici israeliani sono stati presi di sorpresa. Un po’ troppo, forse.
Sabato sera il New York Times iniziava il suo pezzo proprio con lo stupore riguardo il fallimento assoluto dell’Intelligence di Tel Aviv: il Mossad è uno dei più potenti e temuti servizi, molto ben finanziato, e, come noto, con infiltrati in tutti i gruppi nemici, pure ad alto livello – qualche anno fa emerse che gli israeliani avevano piazzato una spia vicino ai vertici di Hezbollah.
Possibile che si siano fatti prendere di sorpresa? La domanda rimbalza in rete, dove quantità di utenti con passato nell’esercito e nell’Intelligence militare israeliana dicono che una cosa del genere è impossibile. Una giovane dice di aver passato le notti sui sistemi di sorveglianza sul muro, e se passava un uccello, lo trovavi e ne discutevi con i superiori.
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Ora, l’infiltrazione più spettacolare l’hanno fatta con i parapendii motorizzati, di cui ora Hamas ha diffuso un video trionfalistico di alta qualità, girato presumibilmente nei giorni scorsi.
Nessuno che prevedesse la cosa? Nessuno che avesse sentore del più grande attacco in mezzo secolo?
Israele possiede la tremenda Unità 7200, probabilmente uno dei gruppi di hacker più potenti al mondo. Essa è preposta, sin dagli anni Settanta, alla sorveglianza elettronica delle comunicazioni nemiche. I malware spionistici per telefonini – i trojan più efficaci – derivano in genere da personale che è appartenuto all’Unità.
Nemmeno loro sapevano nulla? A quanto pare, no. Altrimenti ci saremmo risparmiati le centinaia di morti ai raid, le famiglie rapite, il cadavere della ragazza tedesca portata in parata per le strade di Gaza con la folla esaltata e «Allahu Akbar» a ripetizione, e pure gli sputi.
È un bel mistero. La catastrofe più grande è in agguato, e non la sai prevedere. Come Pearl Harbor, o, evento più consonante qui, l’11 settembre.
A questo punto, possiamo solo cercare di figurarci cosa può succedere d’ora in avanti. Così da cercare di rispondere a quella che è la domanda fondamentale, sempre: cui prodest? A chi giova?
Innanzitutto, va specificato che, per effetto di questo massacro, le proteste contro Netanyahu sono levate. Ricordate? Migliaia e migliaia di cittadini in protesta contro l’eterno premier per la sua riforma della giustizia, membri dell’esercito e pure del Mossad che si pronunciano contro Bibi, e strali lanciati su giornali internazionali dal filosofo del World Economic Forum Yuval Harari.
Ricordate e manifestazioni oceaniche? Ad una certa, avevano perfino assediato casa Netanyahu, tra tensioni e bandiere israeliane.
A noi sembrava in tutto e per tutto una rivoluzione colorata. Netanyahu non si è pigliato con Biden, questo si è capito. E, a dire il vero, neanche con l’altro grande motore delle colored revolutions, George Soros, che non sappiamo qui quanto c’entri, ma il cui odio per Bibi è notissimo, tanto che il giovane figlio del premier israeliano fa meme in rete in cui Soros comanda perfino gli alieni rettiliani – gli hanno dato, immantinente, dell’antisemita, ed è figlio di Netanyahu.
In questo momento il golpe colorato contro Netanyahu può dirsi bello che finito: se fanno massacri ai rave, che carneficina può divenire una marcia pubblica?
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Pensate a cosa parlerà nei prossimi mesi l’opinione pubblica israeliana: parlerà di riforme giudiziarie, o delle sorti delle famiglie rapite? Un dramma del genere non si sgonfia facilmente, se si pensa al caso dell’ambasciata USA a Teheran lo si comprende subito. E questo è molto peggio, perché sono persone rapite in casa, sono famiglie, donne e bambini, e una capacità di uccidere già espressa con chiarezza dal nemico.
Per cui, fine delle proteste. Adesso si pensa ad altro. Specie se il nemico ha dimostrato di essere così belluino, animato da una feralità è che emerge con forza dai video agghiaccianti.
Nessuno sa ora quale sarà la vera risposta di Tel Aviv. I raid aerei scattati immantinente sono in realtà pure reazioni pavloviane. Devastare Gaza, come promesso da Netanyahu è difficile se si considera il numero di ostaggi che Hamas si è portata via. A meno che non si intenda radere al suolo tutto, pronti ad accettare i «danni collaterali» degli ebrei uccisi.
Lo stallo quindi potrebbe protrarsi per mesi – anni. L’effetto politico immediato è la polarizzazione partitica, l’esclusione di ogni avvicinamento con la parte araba, e pure il rafforzamento di tecnologie si sorveglianza sempre più stringenti. Come noto, proprio di un uso eccessivo dei software di riconoscimento facciale Israele è stato accusato da Amnesty International.
Quei partiti che predicano la radicale separazione tra ebrei e non-ebrei – partiti che Netanyahu ha portato ora al potere – realizzano la loro agenda politica. Il ministro delle finanze Bezalel Smotrich a inizio anno aveva dichiarato che non esiste alcun popolo palestinese. Il ministro per la sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, che ad un certo punto aveva bandito le bandiere palestinesi in quanto «incoraggiano il terrorismo», trova conferma della sua ideologia: il suo partito deriva dal Kach, il dissolto partito politico fondato dal rabbino american Meir Kahane, che esigeva che tutti gli arabi lasciassero Eretz Israel, la Terra di Israele secondo gli ideali dell’estrema destra israeliana.
Si tratta di quelle fazioni che rivendicano lo sputo libero sui pellegrini cristiani, un tema caldo, assieme ad altri attacchi anticristiani e profanazioni, in questi mesi, ma che scomparirà in brevissimo tempo.
Questo per quanto riguarda l’interno dello Stato Ebraico.
Fuori di esso, il rivolgimento è ancora più contorto. Innanzitutto, l’amministrazione Biden – quella che forse stava sobillando le masse contro Netanyahu – è umiliata. Sotto la sua supervisione è avvenuto il più grande massacro di israeliani del XXI secolo; sotto il suo sguardo ecco che ti scoppia, ufficialmente, un’altra guerra.
Circola in rete un video della settimana scorsa in cui Jake Sullivan, il giovane clintoniano advisor per gli Esteri di Biden (a cui forse si deve il North Stream), dice che oggi il Medio Oriente è un posto più sicuro che mai. Eccerto. Si vede proprio.
Sullivan, e Biden con lui, sono colpiti nel momento in cui Washington stava aprendo all’Iran, «liberando» per Teheran 5 miliardi di dollari e scambiando ostaggi. Un ritorno all’accordo nucleare dei tempi di Obama, del quale si dice Sullivan fu l’architetto.
Come abbiamo visto, le accuse all’Iran come fiancheggiatore dell’attacco sono partite subito, dettagliate in un articolo del Wall Street Journal che cita fonti militari americane e israeliane, ovviamente non felicissime dell’operato di Biden. Da Teheran prima sono arrivate congratulazioni ad Hamas per l’attacco, poi una smentita riguardo gli aiuti nella preparazione.
Sia come sia, gli accordi per la rinuclearizzazione dell’Iran ora andranno in stallo: ecco un’altra bella conseguenza immediata su cui riflettere. L’incubo di Netanyahu dell’Iran atomico, quello per il quale si presentò all’ONU con una bomba disegnata su una lavagna, si allontana un pochino – e sai che sospiro di sollievo per chi, non dichiarate, ha qualche centinaia di testate atomiche, magari a Dimona, nel deserto meridionale di Israele.
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A chi giova un altro spezzone della guerra mondiale? Non bastava l’Ucraina, il Nagorno, l’Africa Occidentale, il Kosovo?
È difficile dirlo con esattezza. Sia gli USA che la Russia stanno alzando le mani in questo momento: un altro casino forse non vogliono trovarsi a risolvere. Eppure, la situazione potrebbe precipitare: si continua a parlare degli Hezbollah che potrebbero attaccare da Nord.
La Siria, che da mesi e mesi è oggetto di raid israeliani – persino di giorno, persino in piena città, persino appena dopo il terremoto – starà a guardare, giusto? Perché alla Siria (che è tornata nella Lega Araba…) è connessa, lì sì, la Russia, che ricordiamo è pure un Paesi di enorme influenza in Israele, visto che il 15% della popolazione è russofona. Gli USA la guerra ad Assad la farebbero subito, ma Mosca si muoverebbe mai a combattere attivamente Israele? Negli ultimi tempi abbiamo visto solo condanne a parole e poco altro.
E allora, è tutta una filiera per tirare dentro l’Iran, e organizzare un’altra enorme guerra in Medio Oriente? Potete solo, se volete, speculare.
Di certo c’è che il pattern dello shock petrolifero ce lo abbiamo anche stavolta. L’Arabia Saudita, che pochi giorni fa aveva dichiarato di voler «normalizzare» ufficialmente i rapporti con Israele come hanno fatto gli altri Paesi arabi degli Accordi di Abramo, ora ritira tutto.
Gli effetti sui prezzi petroliferi sono già stati ipotizzati, e vanno letti all’interno del quadro più ampio della crisi energetica, che era iniziata – tenetelo sempre a mente – prima della guerra ucraina, e che abbiamo pagato sulla nostra pelle con le bollette impazzite.
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Chi è dietro a questo massacro vuole affondare ancora di più l’Occidente nello shock petrolifero, di modo da deindustrializzare completamente il suo tessuto produttivo e piegare definitivamente la sua popolazione, lasciandola in stato di povertà ineludibile?
Non è impossibile pensarlo, se cerchiamo di rispondere davvero alla domanda più importante, cui prodest. Su queste pagine abbiamo già avuto modo di veder analizzata la correlazione tra gli shock petroliferi indotti e i piani per il controllo delle nascite.
C’è qualcosa che va detto riguardo allo spirito generale che sta animando la situazione – e lasciando perdere per il momento i discorsi sulle origini di Hamas, cioè dei Fratelli Musulmani, e i legami di questi con agenzie di Intelligence occidentali, etc.
Né Hamas né i partiti della zeloteria sionista in questo massacro perdono qualcosa – se il loro intento è l’annientamento dell’avversario, la sua distruzione pura e semplice. Israele non deve esistere, dicono gli uni, gli arabi non devono stare in Israele, sostengono gli altri. Non c’è compromesso possibile, quindi non c’è più politica: c’è solo la volontà di devastazione, l’impulso di morte.
È la Necrocultura che si fa geopolitica: solo il sacrificio umano dell’altro, non assimilabile, si dà come via da seguire. Si deve, quindi, aumentare la morte, la distruzione, i programmi di annientamento.
Non è diverso per chi appartiene a gruppi di decisori che stanno molto più in alto dei personaggi arabi ed israeliani di questa storia. Ve lo stano dicendo da mo’: siete troppi, consumate troppo, andate ridotti, controllati, cancellati, scioccati, braccati, assetati, pervertiti, sterminati. Andate sacrificati.
A chi giova, allora? Giova ai signori della morte. E quindi riguarda, anche e soprattutto, voi stessi, e la vostra prole.
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Verso il liberalismo omotransumanista. Tucker Carlson intervista Dugin
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Carlson chiede a Dugin cosa sta succedendo nei paesi di lingua inglese: «gli Stati Uniti, il Canada, la Gran Bretagna, la Nuova Zelanda, l’Australia hanno deciso all’improvviso di rivoltarsicontro se stessi con questo grande tumulto. E alcuni comportamenti sembrano molto autodistruttivi. Da dove pensa, come osservatore, che provenga questo?» «Credo che tutto sia iniziato con l’individualismo» risponde Dugin. «L’individualismo era una comprensione sbagliata della natura umana, della natura dell’uomo. Quando si identifica l’individualismo con l’uomo, con la natura umana, si tagliano tutti i suoi rapporti con tutto il resto. Quindi ai ha un’idea molto particolare del soggetto, del soggetto filosofico come individuo». Qui Dugin offre una visione in linea con quella del tradizionalismo cattolico: «tutto è iniziato nel mondo anglosassone con la riforma protestante e prima ancora con il nominalismo: l’atteggiamento nominalista secondo cui non esistono idee, ma solo cose, solo cose individuali» spiega il filosofo. «Quindi l’individuo, era la chiave ed è tuttora il concetto chiave che è stato posto al centro di un’ideologia liberale e del liberalismo poiché, nella mia lettura, è una sorta di processo storico e culturale, politico e filosofico di liberazione, dell’individuo, di qualsiasi tipo di identità collettiva, collettiva o che trascenda quella individuale». «Tutto è iniziato con il rifiuto della Chiesa cattolica come identità collettiva, dell’impero, dell’impero occidentale come identità collettiva. Successivamente si è trattato di una rivolta contro uno Stato nazionalista come identità collettiva a favore di una società puramente civile. Dopo quella guerra, nel XX secolo ci fu la grande battaglia tra liberalismo, comunismo e fascismo. E il liberalismo ha vinto ancora una volta. E dopo la caduta dell’Unione Sovietica è rimasto solo il liberalismo».Ep. 99 Aleksandr Dugin is the most famous political philosopher in Russia. His ideas are considered so dangerous, the Ukrainian government murdered his daughter and Amazon won’t sell his books. We talked to him in Moscow. pic.twitter.com/4LrO0Ufg9P
— Tucker Carlson (@TuckerCarlson) April 29, 2024
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Pensiero
Vi augurano buona festa del lavoro, ma ve lo vogliono togliere. Ed eliminare voi e la vostra discendenza
Buona festa dei lavoratori! Ve lo ripetono da tutte le parti, del resto è una festa importantissima per la Repubblica: il Venerdì Santo, il giorno in cui Dio muore per l’umanità secondo quella che in teoria è la religione maggioritaria del Paese, si lavora. Il giorno dei morti, pure. Il Primo maggio, invece, no: vacanza.
Questo basterebbe a far comprendere qual è la vera religione che lo Stato italico vuole imporre alla sua popolazione – del resto, il suo libro sacro, la Costituzione, scrive al suo primo articolo che la Repubblica stessa è fondata sul lavoro – espressione incomprensibile, se non comprendendo la smania sovietica che avevano i comunisti e la sciocca acquiescenza dei democristiani che glielo hanno lasciato scrivere, accettando pure di lasciare fuori dalla Carta la parola «Dio».
Il dio della Costituzione, il dio della Repubblica è il lavoro?
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La divinizzazione politica di un concetto astratto, di un’attività umana, non solo l’indice della volontà di laicizzazione dello Stato. Poggia, essenzialmente, nel rigetto di avere per la cosa pubblica il fondamento del Cristianesimo.
Non è un caso che la festa del dio-lavoro avvenga l’indomani della notte di Valpurga, ritenuta nei secoli un momento di vertice dell’ attività del male sulla Terra – in genere, su Renovatio 21, facciamo ogni anno un articolo sull’argomento, annotando gli eventi concomitanti. La realtà è che la festa del Primo maggio è un tentativo di inculturazione, o meglio, di reintroduzione di usanze pagane – in particolare la festa celtica chiamata Beltane, di cui parla anche J.G. Frazer nel suo studio su magia e religione dell’antichità europea Il ramo d’oro.
La prima menzione di Beltane è nella letteratura irlandese antica dell’Irlanda gaelica. Secondo i testi altomedievali Sanas Cormaic (scritto da Cormac mac Cuilennáin) e Tochmarc Emire, Beltane si teneva il 1° maggio e segnava l’inizio dell’estate. I testi dicono che, per proteggere il bestiame dalle malattie, i druidi accendevano due fuochi «con grandi incantesimi» e guidavano il bestiame in mezzo a loro.
La vulgata progressista del Primo maggio, nata nel secondo Ottocento, si attacca quindi a questo sostrato antico, non cristiano, alla guisa di come ha fatto la Chiesa con alcune festività nel corso dell’anno.
Quindi: un nuovo dio, una nuova religione. Ma il problema è che neanche i suoi stessi sacerdoti ci credono. I loro discorsi – i loro incantesimi – sono inganni, sempre più infami, sempre più ridicoli.
Abbiamo sentito ieri il segretario generale CGIL Maurizio Landini dichiarare che «il governo Meloni difende il fossile e nega il cambiamento climatico, come si può pensare di cambiare modello di produzione?». Lo ha detto ad un evento dell’«Alleanza Clima Lavoro», di cui apprendiamo l’esistenza. Stendiamo un velo pietoso sull’attacco ai combustibili fossili, che fossili non sono (no, il petrolio non è succo di dinosauro!), che dimostra un allineamento con i gruppi ecofascisti più estremi e grotteschi visti negli ultimi anni – e pagati da chi, possiamo intuirlo.
Quindi: prima il «clima», poi i lavoratori. L’intero sistema industriale va cambiato per favorire l’ambiente, non l’uomo che lavora: conosciamo questa solfa, ora condita automaticamente dal terrorismo climatico. Si tratta di un’idea che avanza da tanto tempo, e si chiama deindustrializzazione.
Come abbiamo ripetuto tante volte su questo sito, la deindustrializzazione altro non è che deumanizzazione. Cioè, riduzione non dei lavoratori, ma della quantità stessa di esseri umani che camminano sul pianeta. Ciò era chiaramente esposto nelle opere di Aurelio Peccei e compagni oligarchi, quando l’élite – la stessa che stava dietro al Club di Roma, Club Bilderberg, WWF, etc. – cominciò a lavorare decisamente alla riduzione della popolazione.
Non è possibile diminuire il numero di esseri umani sul pianeta se si continua a produrre. Perché l’industria – il lavoro – dà cibo, e il cibo dà la vita, e la vita si moltiplica. La filiera dell’essere deve essere interrotta, molto prima. Niente industria, niente lavoro, niente vita. Niente persone. Niente umanità. Ora potete capire da dove vengono la povertà e la fame, che sembrano di ritorno anche nel Primo Mondo.
In alcuni testi risalenti a più di mezzo secolo fa, la cosa era messa nera su bianco: avrebbero creato deliberatamente un concetto prima sconosciuto, quello di inquinamento, per avere uno strumento di controllo del comportamento di popoli e Nazioni. Se ci pensate, anche questa è una scopiazzatura del cattolicesimo: non il peccato, ma l’impronta carbonica. Non il peccato originale, ma l’essere umano in sé, alla cui nascita c’è già un debito ecologico personale importante. Non la Santa Trinità, non l’Incarnazione, ma Gaia, dea terrifica che si fa pianeta.
Non ci sorprende, ma nondimeno continua a riempirci di orrore, vedere che chi è pagato per difendere i lavoratori è in realtà alleato delle forze che ne vogliono l’eliminazione. Lo aveva capito, con decenni di anticipo, il filosofo marxista Gianni Collu, che nel libro Apocalisse e rivoluzione notava che il paradigma non era più quello rivoluzionario della crescita operaia, cioè industriale, ma quello di una contrazione dell’intera società produttiva.
In pratica, Collu aveva compreso che stava venendo innestato, specie presso partiti, sindacati, intellettuali di sinistra, l’odio per l’uomo – in una parola, era stata avviata la Necrocultura. Non per niente il filosofo cominciò a scoprire, e rivelare, l’interesse crescente che molti circoli goscisti cominciavano a sentire verso un tema divenuto tabù nei millenni cristiani, cioè il sacrificio umano.
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Ora, guardate celebrare il vostro lavoro da chi è inserito, con stipendio, nel disegno per togliervelo – ed eliminare la vostra esistenza e la vostra discendenza. Non dobbiamo ricordare qui gli sforzi, fatti anche in sede europea, che i sindacati hanno fatto per il feticidio.
Nessuno dei vostri lavori è al riparo dal disegno mortale che avanza: se vi hanno detto che imparando a programmare avreste avuto sempre lavoro, provatelo a ripetere alle migliaia di licenziati alla IBM, come in tantissimi altri colossi tecnologici, sostituiti dall’Intelligenza Artificiale.
Nessuno è al sicuro: i grafici, cosa pensano di fare davanti alla presenza di incredibili programmi text-to-image, dove digiti cosa vuoi vedere e ti viene servito in un’immagine perfetta?
Attori, registi, produttori cinetelevisivi, cosa potranno di fronte ai software come Sora di ChatGPT, che promette di generare sequenze video a partire da semplici richieste? Sappiamo che l’ultimo sciopero ad Hollywood verteva su questo, e che già operano società di computer grafica talmente ultrarealista da aver disintermediato regioni immense della filiera.
Domani, cioè già oggi, tocca agli insegnanti. Ai bancari. Ai lavoratori dei fast food. A qualsiasi lavoratore. Alla realtà stessa.
Tuttavia, notatelo, nessun sindacato parla di fermare l’Intelligenza Artificiale. Vi parlano di cambiamento climatico, combustibili fossili, etc.
Lo fanno dopo aver assistito all’assassinio, con il green pass e l’obbligo al vaccino genico, dell’articolo 1 del loro libro sacro, il dogma primigenio della loro religione: ve lo abbiamo detto, non ci credono nemmeno loro.
E quindi, se anche quest’anno un boss sindacale, dinanzi al milione di ebeti ammassati per il concertone del Primo maggio, dovesse d’improvviso farsi scappare di nuovo l’espressione «Nuovo Ordine Mondiale», beh, sappiamo bene di cosa si tratta.
Non c’entrano le ricorrenze druidiche primaverili, qui siamo altrove nel calendario, in un’altra festa importante: sotto sotto, negli auguri ai bravi lavoratori, vi stanno dicendo che arriva il Natale. E che voi siete i tacchini.
Buon lavoro.
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
I biofascisti contro il fascismo 1.0: ecco la patetica commedia dell’antifascismo
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