Cina
Petrolieri sauditi investono 5,6 miliardi di dollari per le auto elettriche cinesi

I sauditi proseguono a stringere il legame con la Cina, in faccia al principale alleato storico, gli USA.
Durante una conferenza commerciale arabo-cinese a Riyadh durante il fine settimana, il ministero degli investimenti dell’Arabia Saudita ha firmato un accordo da 5,6 miliardi di dollari con Human Horizons, produttore di veicoli elettrici (EV) con sede a Shanghai, per sviluppare, produrre e vendere congiuntamente veicoli elettrici.
L’accordo è stato solo uno degli oltre 30 investimenti di questo tipo firmati durante la conferenza per sviluppare una varietà di industrie tra cui la produzione di combustibile per fonderie, l’estrazione del rame, l’energia rinnovabile, l’agricoltura, il turismo e l’assistenza sanitaria, tra gli altri.
Avviato nel 2017 da Ding Lei, ex presidente di Shanghai General Motors ed ex vice governatore del nuovo distretto di Pudong nella metropoli costiera, Human Horizons produce veicoli elettrici premium con il marchio HiPhi in uno stabilimento di assemblaggio a Yancheng. Vende diverse berline di lusso e SUV nel mercato interno cinese. La società ha in programma di entrare anche nel mercato europeo quest’anno.
La Shanghai General Motors è uno dei numerosi produttori di veicoli elettrici in Cina, dove il governo spinge per eliminare dalle strade le auto alimentate esclusivamente a benzina entro il 2035.
La Cina è il più grande mercato di veicoli elettrici al mondo, con veicoli elettrici che dovrebbero produrre il 35% di tutte le vendite di auto in Cina quest’anno e potrebbe superare il 60% delle vendite globali di veicoli elettrici.
La sfilza di accordi arriva mentre Riyadh cerca sia di diversificare la sua economia lontano dalle esportazioni di petrolio, sia di trovare nuovi partner al di là delle nazioni occidentali su cui ha fatto affidamento dalla metà del 20° secolo. L’anno scorso, l’Arabia Saudita è divenuta il più grande esportatore mondiale di greggio e il Paese si trova su quelle che si ritiene siano le seconde riserve mondiali di petrolio.
Il programma Vision 2030 lanciato dal principe ereditario nonché de facto leader saudita Mohammed Bin Salman prevede una trasformazione economica entro la fine del decennio, in previsione dell’abbandono dei sistemi basati sui combustibili fossili dichiarato da vari Paesi clienti del regno wahabita.
Come riportato da Renovatio 21, l’Arabia Saudita ha annunciato a sorpresa che con un certo numero di altri Paesi produttori di petrolio è stata presa la decisone di tagliare la produzione di petrolio di oltre un milione di barili al giorno (BPD), al fine di aiutare a «stabilizzare» i mercati petroliferi dopo che il prezzo è sceso quando la crisi bancaria ha colpito a metà marzo.
I sauditi hanno espresso pubblicamente, al World Economic Forum di Davos, la volontà di uscire dal petrodollaro. Riyadh ha inoltre segnalato di voler entrare a far parte dei BRICS, una mossa che allontana definitivamente Riad da Washington.
La cooperazione dell’Arabia Saudita con la Cina si è ampliata negli ultimi anni, con 3,5 miliardi di dollari di investimenti cinesi nel regno nel 2021 e 23 miliardi di dollari in tutto il mondo arabo. La Cina è stata il principale partner commerciale del regno lo scorso anno, con un commercio bilaterale pari a 106,1 miliardi di dollari, secondo bin Farhan, un aumento del 30% rispetto all’anno precedente.
A dicembre, il presidente cinese Xi Jinping ha visitato il regno per il vertice Cina-Paesi arabi e il vertice del Consiglio di cooperazione Cina-Golfo.
Inoltre, la Cina ha contribuito a mediare uno storico riavvicinamento tra Riyadh e Teheran, i due stati più potenti della regione, che si sono trovati dalla parte opposta di numerose lotte che vanno dalla Siria allo Yemen.
La deamericanizzazione dell’Arabia Saudita significa di fatto la dedollarizzazione dell’economia planetaria – oltre che con l’ascesa dell’influenza cinese anche in Medio Oriente. La fine delle relazioni privilegiate tra Washington e Riyadh, di cui Renovatio 21 scrive da anni, è dovuto a Joe Biden, incapace di ottenere alcunché dal principe Mohammed bin Salman, regnante de facto.
Gli accordi presi in questi mesi tra sauditi e cinesi minano di fatto la persistenza del petrodollaro, mandando all’aria gli accordi fatti nei primi anni Quaranta da Roosevelt con il re Saudita Abdulaziz Ibn Saud presso il Grande Lago Amaro, dove gli arabi si impegnavano ad usare il dollaro per il commercio del petrolio in cambio della protezione americana per la famiglia reale saudita – in pratica non il Paese e la sua popolazione, ma i soli reali.
Immagine di Remko Tanis via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)
Cina
Xi Jinping in Vietnam: firmati quasi 40 accordi contro i dazi USA

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
È il secondo viaggio in Vietnam in meno di un anno e mezzo per il presidente cinese, che punta a rilanciare la cooperazione strategica con il Paese comunista per fronteggiare le tariffe statunitensi. La visita rientra in un più ampio tour regionale che comprenderà anche la Malaysia e la Cambogia. Intanto oggi Phnom Penh ha inviato in Cina cittadini di Taiwan accusati di lavorare nei centri per le truffe online.
La Cina e il Vietnam hanno firmato oggi quasi 40 accordi di cooperazione i cui dettagli non sono ancora stati resi noti, ma che probabilmente riguarderanno il commercio tra i due Paesi comunisti. Il presidente cinese Xi Jinping era atterrato oggi ad Hanoi per rilanciare la cooperazione economica e superare l’imposizione dei dazi da parte dell’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump.
Si tratta del secondo viaggio in Vietnam in meno di 18 mesi e la prima missione diplomatica dell’anno per Xi, che visiterà poi anche la Malaysia e la Cambogia.
Phnom Penh si sta già preparando all’arrivo del presidente cinese: il ministero degli Esteri di Taiwan oggi ha annunciato che la Cambogia ha arrestato 180 cittadini sospettati di essere coinvolti nei centri per le truffe online del Sud-Est asiatico: «la Cambogia, sotto le pressioni della Cina, non ha fornito l’elenco dei cittadini del nostro Paese né il numero totale dei deportati; il ministero non solo continua a sollecitare la Cambogia a fornire l’elenco al più presto, ma esprime anche la sua seria preoccupazione e protesta», ha riferito Taiwan.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Né Phnom Penh né Pechino hanno rilasciato dichiarazioni a riguardo.
«Le guerre commerciali e tariffarie non hanno vincitori e il protezionismo non ha via d’uscita», ha invece scritto il presidente cinese in un editoriale pubblicato su Nhan Dan, il quotidiano ufficiale del Partito comunista vietnamita. «Dobbiamo difendere con fermezza il sistema commerciale multilaterale, mantenere la stabilità della produzione globale e delle catene di approvvigionamento, e preservare un ambiente internazionale aperto e cooperativo».
Allo stesso modo, in un articolo pubblicato sul Quotidiano del Popolo, organo di informazione del Partito Comunista Cinese, il segretario generale del Partito Comunista del Vietnam, To Lam – la carica più importante all’interno dell’esecutivo vietnamita – ha attribuito alla fiducia, alla sincerità e alla comprensione reciproca il merito delle relazioni globali tra i due Paesi e le due parti.
All’aeroporto di Hanoi Xi Jinping è stato accolto dal presidente del Vietnam, Luong Cuong, un gesto solitamente riservato alle personalità di rilievo. Successivamente, durante un incontro con To Lam, Xi ha ricordato i legami storici tra le due nazioni.
La Cina è il principale partner commerciale del Vietnam, a sua volta la nazione che nel Sud-Est asiatico dipende più di tutte da Pechino a livello di importazioni. Per eludere i dazi imposti alla Cina durante il primo mandato Trump, diverse aziende cinesi (ma non solo) avevano spostato in Vietnam la produzione dei beni destinati all’esportazione. Pechino è rimasto quindi il principale fornitore di materie prime, mentre Hanoi era finora riuscita a sfruttare le tensioni con Washington per trasformarsi in un hub manifatturiero regionale.
Nel 2024, nonostante alcuni punti d’attrito – prevalentemente legati alle dispute nel Mar Cinese meridionale – il commercio bilaterale tra i due Paesi comunisti aveva raggiunto i 260 miliardi di dollari. Nel primo trimestre del 2025, la Cina è risultata il secondo maggiore investitore diretto in Vietnam con 1,2 miliardi di dollari.
Durante l’incontro con To Lam, Xi ha espresso la volontà di espandere la cooperazione in materia di 5G e intelligenza artificiale, e ha poi annunciato la possibilità di una collaborazione su tre progetti ferroviari nel nord del Paese, vicino al confine.
Iscriviti al canale Telegram
In parallelo, il primo ministro vietnamita, Pham Minh Chinh, ha incontrato il presidente della azienda aerospaziale COMAC (Commercial Aircraft Corporation of China), He Dongfeng, a cui ha proposto un aumento degli investimenti nel Paese e una collaborazione sull’acquisto di nuovi aeromobili.
Dal canto suo, il Vietnam – il cui principale mercato di esportazione restano gli Stati Uniti – ha cercato di rafforzare le spedizioni agricole verso la Cina per diversificare i rischi economici derivanti dalle caotiche politiche statunitensi.
L’amministrazione Trump ha infatti imposto una tariffa del 46% sulle esportazioni vietnamite, che Hanoi sta cercando di negoziare al ribasso, facendo ulteriori concessioni a Washington, mentre la Cina deve affrontare dazi del 145%, verso cui ha risposto con tariffe reciproche.
Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.
Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine screenshot da YouTube
Cina
Cina, altra Pasqua agli arresti per mons. Shao

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Cina
Pechino: nuovi divieti sulle attività religiose degli stranieri

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Annunciate dalle autorità «regole dettagliate» che entreranno in vigore il 1 maggio. Anche a chi non è cinese chiesto il «rispetto dell’indipendenza e dell’auto-governo» delle comunità religiose locali obbedendo alle istruzioni del Partito. Non ammesse celebrazioni miste tra stranieri e cinesi, stabilito persino il numero di libri che si possono portare dall’estero «per uso personale». Il controllo rigidissimo è il vero volto della sinicizzazione.
Dal 1 maggio entrerà in vigore una nuova stretta sull’attività religiosa degli stranieri presenti nella Repubblica popolare cinese. Ad annunciarlo è una nuova serie di norme pubblicate ieri dalla NRAA (National Religious Affairs Administration), la longa manus del Fronte Unito del Partito comunista per le questioni religiose. «Regole dettagliate» le definisce lo stesso titolo del documento, rivolte specificamente agli stranieri di qualsiasi confessione e che attraverso un testo di ben 38 articoli mettono nero su bianco un’indicazione molto chiara: anche gli stranieri in Cina se vogliono vivere la propria religione devono chiedere il permesso alle autorità competenti e stare alle regole stabilite dal Partito, riconoscendo il principio dell’”indipendenza e dell’auto-governo” delle religioni in Cina.
Se ancora ce ne fosse stato bisogno, il nuovo regolamento emanato dalla NRAA è una traduzione molto chiara del senso della parola d’ordine «sinicizzazione» rivolta da tempo dal presidente Xi Jinping a tutte le religioni presenti in Cina. Al di là dell’auspicabile inculturazione nel contesto e nella cultura cinese, alle autorità di Pechino ciò che sta realmente a cuore è il controllo di ciò che accade all’interno dei gruppi religiosi.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
In templi, moschee e chiese nulla deve accadere fuori da ciò che stabilisce il Partito. E proprio nei giorni in cui Xi Jinping e il suo governo si prodiga ad accogliere a Pechino i vertici di grandi multinazionali, tornando a incoraggiare gli investimenti stranieri per rilanciare la crescita appannata dell’economia, il nuovo regolamento della NRAA arriva a precisare che la «sinicizzazione» di ogni forma di espressione religiosa vale anche per gli stranieri. Ed è emblematico che tra i primi a pubblicare le nuove regole ieri vi sia stato il sito internet della diocesi di Shanghai, il crocevia delle relazioni tra la Cina e il mondo.
Non che fino ad oggi nella Repubblica Popolare Cinese non esistessero controlli sulle attività religiose degli stranieri, ovviamente. E non serviva certo un regolamento ad hoc per stabilire che i religiosi stranieri non possono violare le leggi della Repubblica popolare cinese. Ma le nuove norme si spingono molto più in là. All’articolo 5 affermano programmaticamente che «gli stranieri che svolgono attività religiose in Cina devono attenersi alle leggi, ai regolamenti e alle norme cinesi, rispettare il principio dell’indipendenza e dell’autogestione religiosa della Cina e accettare la gestione legittima del governo cinese: la religione non deve essere usata per danneggiare gli interessi nazionali, gli interessi pubblici sociali o i diritti e gli interessi legittimi dei cittadini e non deve violare l’ordine pubblico e i buoni costumi della Cina».
Questo principio viene poi specificato decretando che qualsiasi attività religiosa anche tra stranieri che si trovano in Cina deve avvenire solo all’interno dei luoghi di culto «ufficiali» o – se questo non è fisicamente possibile perché non presenti nella zona – solo dopo aver ottenuto il permesso degli appositi organismi controllati dal Partito, seguendo apposite procedure. Concretamente per i cattolici questo vuol dire vietare espressamente ogni contatto con le comunità cattoliche «sotterranee» o con quei sacerdoti che in coscienza non ritengono di dover aderire all’Associazione patriottica.
L’articolo 10, inoltre, specifica che anche nelle chiese e nei templi «ufficiali» le attività religiose per gli stranieri «dovranno essere presiedute da religiosi cinesi». Solo nel caso «in cui sia veramente necessario che gli stranieri presiedano le attività religiose» andrà comunque presentata una richiesta all’ufficio locale del dipartimento per gli affari religiosi. L’articolo 16 postula, comunque, una rigida separazione: «Ad eccezione dei religiosi cinesi che le organizzano, le attività religiose di gruppo tenute da stranieri in Cina sono limitate alla partecipazione di stranieri in Cina».
Il regolamento norma espressamente anche le attività dei religiosi stranieri che entrano in Cina attraverso scambi accademici e culturali. Oltre, ovviamente, a disporre che questi scambi dovranno essere autorizzati uno per uno dal Partito, all’articolo 21 si premura di precisare che coloro che saranno ammessi non dovranno «parlare o compiere azioni ostili alla Cina, avere tendenze ideologiche estremiste o interferire con le questioni religiose cinesi». Con burocratica precisione, arriva a decretare anche quante copie di libri e materiale audiovisivo ad argomento religioso possono portare con sé per uso personale quando questi ospiti stranieri entrano nella Repubblica Popolare Cinese (mai più di 10). Per fare entrare altro materiale o eventualmente anche diffonderlo, occorrerà ottenere il permesso delle autorità.
L’articolo 26 specifica inoltre che «le organizzazioni o gli individui stranieri non devono reclutare studenti che studiano all’estero allo scopo di coltivare nuovi religiosi all’interno del territorio cinese senza autorizzazione».
Iscriviti al canale Telegram
L’articolo 29, infine, elenca una serie di divieti in materia di religione che valgono per qualsiasi straniero che si trova in Cina. Tra gli altri figurano quelli di: interferire nelle attività dei gruppi religiosi, tenere conferenze o prediche non autorizzate, «reclutare seguaci tra i cittadini cinesi», produrre libri o altro materiale ad argomento religioso, accettare donazioni da singoli o organizzazioni cinesi, condurre attività religiose su internet.
La sintesi di tutto questo è evidente: in Cina anche per gli stranieri non è ammessa alcuna espressione religiosa fuori dal controllo del Partito, perché tutte le religioni in Cina – Chiesa cattolica compresa – devono accettare di essere autonome e auto-amministrate.
Appare evidente che, messa in questi termini, l’universalità della Chiesa cattolica può rimanere come un generico riferimento ideale; ma solo a condizione di una sottomissione totale alle direttive politiche nazionali, in un sempre più pericoloso schiacciamento sulla volontà del governo di Pechino.
Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.
Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine di InfernoXV via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
-
Pensiero2 settimane fa
Trump distrugge le borse mondiali: questo è vero sovranismo!
-
Spirito2 settimane fa
Mons. Viganò: Europa delirante e guerrafondaia verso il Nuovo Ordine Mondiale
-
Pensiero2 settimane fa
Perché non stupirsi se Mattarella premia Burioni
-
Internet2 settimane fa
12.000 cittadini britannici arrestati ogni anno per post sui social media
-
Pensiero1 settimana fa
Il re della morte parla in Parlamento. La democrazia italiana applaude
-
Salute2 settimane fa
Thimerosal e autismo, l’inganno del governo USA, che per decenni ha affermato di averlo rimosso dai vaccini
-
Epidemie1 settimana fa
I vaccini antinfluenzali di quest’anno hanno aumentato del 27% il rischio di influenza
-
Gender2 settimane fa
Finale di biliardo femminile giocata da due maschi