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Cina

Accordo sino-vaticano, a Roma c’è un barlume di lucidità?

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In un’intervista al canale cattolico EWTN del 14 marzo 2023 sul tema delle «sfide diplomatiche nel mondo di oggi», il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati ha riconosciuto per la prima volta che l’accordo provvisorio firmato tra Santa Sede e Cina nel 2018, poi rinnovato nel 2020 e nel 2022, non era «il miglior accordo possibile», e che i suoi servizi stavano lavorando per negoziare «miglioramenti».

 

 

«L’obiettivo è quello di ottenere il miglior accordo possibile, cosa che non avviene certo al momento, per via della controparte [i cinesi, ndr] che era disposta solo ad arrivare fino a un certo punto, e ad accettare solo un numero limitato di cose. Ciò che è stato firmato è il risultato di ciò che solo allora era possibile».

 

Una rara e preziosa ammissione per bocca di un diplomatico noto per la sua discrezione e la sua competenza: è lui a dirigere la seconda sezione della Segreteria di Stato incaricata di assicurare buoni rapporti tra il Vaticano e gli Stati di tutto il mondo.

 

Nell’intervista concessa a Colm Flynn per EWTN, il vescovo Paul Gallagher fornisce anche dettagli sulla genesi dell’accordo provvisorio concluso nel 2018: «l’accordo firmato cinque anni fa è il risultato di negoziati che si estendono su un periodo di circa 30 anni. È quindi il risultato di un lungo processo che ha attraversato tre pontificati».

 

«Infatti, il cuore dell’accordo era già stato accettato da entrambe le parti durante il regno di papa Benedetto XVI, il resto era solo una questione di aggiustamenti. E da parte mia, non sono stato direttamente coinvolto in queste trattative». Va ricordato che il presule è entrato in carica nel 2014.

 

Facendo leva sull’autorità del suo diretto superiore, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, il vescovo Gallagher sembra lasciar intendere, con parole velate, che la Santa Sede non avrebbe avuto davvero scelta nel 2018 «non è stato proprio il momento giusto per firmare l’accordo, per vari motivi».

 

«Sarebbe stato difficile; si sapeva che l’accordo sarebbe stato utilizzato dalla parte cinese per esercitare una maggiore pressione sulla comunità cattolica, in particolare sulla cosiddetta Chiesa sotterranea». Un modo diplomatico per dire che Roma si è fatta forzare la mano da Xi Jinping, senza sapere bene come.

 

Da qui l’importanza di dimostrare che la Santa Sede non può rassegnarsi a una situazione sfavorevole per i cattolici cinesi: «dobbiamo quindi andare avanti. Sono stati nominati alcuni vescovi. Sono in corso trattative per la nomina di altri vescovi. Ma, ovviamente, l’affare potrebbe avere risultati migliori. Infatti, attualmente stiamo negoziando un certo numero di migliorie, questo è il lavoro attualmente in corso», spiega l’alto diplomatico.

 

Per rispondere a chi annuncia il fallimento dell’accordo sino-vaticano, monsignor Gallagher insiste sul lungo tempo che presiede ai delicati rapporti con il Regno di Mezzo: possiamo solo progredire molto lentamente.

 

Ma una delle cose che hanno in comune i cinesi e la Santa Sede è non pensare in termini di mesi, o addirittura di anni, ma guardare le cose in un arco di tempo molto più lungo, sperando che poi i rapporti tra la Chiesa cattolica in Cina siano molto più sereno e fruttuoso».

 

È la prima volta che un alto funzionario della Santa Sede risponde con lucidità e franchezza nel merito delle critiche mosse all’accordo del 2018. Resta da pregare che questo «lungo tempo» di cui parla Mons. a scapito dei cattolici cinesi quotidianamente confrontati alle pressioni di Pechino che intende «sinizzare» la religione, cioè far passare la Chiesa sotto le forche caudine del maoismo.

 

 

 

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

 

 

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Cina

Anche il Brasile ora commercia in yuan con la Cina

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Il viceministro del Commercio cinese Guo Tingting, ha annunciato oggi che Cina e Brasile hanno concluso un accordo per commerciare in yuan.

 

«Con il Brasile è stato firmato un accordo sul regolamento dei pagamenti in yuan, che facilita notevolmente il nostro commercio. Stiamo pianificando di espandere la cooperazione nel campo dell’estrazione di cibo e minerali e di cercare la possibilità di esportare merci ad alto valore aggiunto dalla Cina al Brasile e dal Brasile alla Cina», ha detto Guo al seminario economico Brasile-Cina, a Pechino.

 

La conferenza è stata organizzata dal ministero degli Esteri brasiliano e da ApexBrasil (l’agenzia brasiliana per la promozione del commercio e degli investimenti) e «hanno partecipato oltre 500 uomini d’affari brasiliani e cinesi, con l’obiettivo di rafforzare e diversificare le relazioni commerciali e i flussi di investimento», secondo un comunicato stampa del ministero degli Esteri.

 

ApexBrasil ha annunciato la firma di oltre 20 accordi, specificando che «Banco BOCOM BBM annuncia la sua adesione al CIPS (China Interbank Payment System), che è l’alternativa cinese a SWIFT. L’aspettativa è di ridurre i costi delle transazioni commerciali con lo scambio diretto tra BRL e RMB. La banca sarà il primo partecipante diretto a questo sistema in Sud America. La filiale brasiliana della Banca industriale e commerciale della Cina (Brasile) diventa la banca di compensazione in RMB [reminbi, l’altro nome della valuta cinese, ndr] in Brasile. L’allentamento delle restrizioni sull’uso del RMB ha lo scopo di promuovere ulteriormente il commercio bilaterale e facilitare gli investimenti con il RMB».

 

Il Brasile e la Cina hanno annunciato quindi l’istituzione di una camera di compensazione che provvederà agli accordi senza utilizzare il dollaro USA. Presterebbe anche in valute nazionali, aggirando il dollaro. Tra l’altro, faciliterebbe e ridurrebbe il costo delle transazioni.

 

Si tratta di un ulteriore colpo del processo di de-dollarizzazione dell’economia mondiale in corso, ossia la fine della valuta americana come valuta di riserva globale.

 

Malgrado i rapporti altalenanti per vaccini e importazioni tecnologiche, il Brasile aveva già iniziato a incamerare yuan l’anno scorso. Anche altri Paesi, come Iraq e Birmania, hanno cominciato ufficialmente ad usare il reminbi negli scambi col Dragone. La Banca Centrale di Israele pure ha aumentato le sue riserve della moneta pechinese.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche la Francia la scorsa settimana avrebbe concluso una enorme importazione di gas pagando in valuta cinese.

 

Il problema principale per il dollaro è costituito dall’Arabia Saudita, che già un anno fa aveva segnalato al mondo di essere disposta a farsi pagare dai cinesi il greggio in yuan, per poi fare accordi diretti con Xi e significare la propria strategia di uscita dal dollaro al World Economic Forum di Davos.

 

 

 

 

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Cina

Il gigante hi-tech Alibaba sarà diviso in sei unità: Xi Jinping festeggia (come i mercati)

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

Saranno poi quotate singolarmente in Borsa. La compagnia, e il suo fondatore Jack Ma, da tempo nel mirino del governo. Il gruppo si allinea alle norme anti-monopolio volute da Xi. Investitori stranieri ancora cauti sul futuro delle loro operazioni in Cina. Guardano a mercati alternativi come India e Vietnam.

 

 

Alibaba ha annunciato ieri che dividerà il suo business in sei unità: i nuovi rami saranno poi quotati singolarmente in Borsa. Da fine 2020 il gigante hi-tech fondato da Jack Ma è finito nel mirino delle autorità, che su istruzione di Xi Jinping hanno lanciato una campagna anti-monopolio, soprattutto a danno dei settori tecnologico, immobiliare e dell’istruzione privata.

 

L’annuncio di Alibaba è arrivato il giorno dopo la ricomparsa in Cina di Ma. Il noto miliardario non ha più cariche da tempo nel gruppo. Le sue tracce si erano perse più di due anni fa, dopo che egli aveva criticato gli organi di controllo finanziario del Paese: parole a cui sono seguite tensioni tra il governo e la compagnia.

 

Xi è con ogni probabilità preoccupato di perdere il controllo politico di fronte a uomini d’affari che accumulano ingenti ricchezze. Secondo diversi osservatori, la campagna per la «prosperità comune» promossa dal segretario generale del Partito Comunista Cinese, che richiede alle grandi aziende di contribuire al benessere dei meno ricchi, avrebbe in realtà l’obiettivo di depotenziare gli oligarchi come Ma.

 

I mercati salutano con favore lo spacchettamento di Alibaba: vi vedono un segno che il giro di vite di Xi sui grandi gruppi industriali è prossimo alla fine. Gli investitori valutano che le nuove società separate potranno difendersi meglio da eventuali norme che colpiscono una solo di esse.

 

Analisti osservano che ora anche i concorrenti di Alibaba (Tencent e JD) potrebbero seguire la via del frazionamento, con una compagnia holding che racchiude più società distinte: il modo migliore per allinearsi alle leggi contro i monopoli introdotte da Xi.

 

I boss delle grandi aziende straniere sono però cauti rispetto alle promesse del nuovo governo cinese di favorire migliori condizioni per gli investimenti privati. Al China Development Forum dei giorni scorsi, gli amministratori delegati di grandi aziende estere hanno detto di aspettarsi azioni concrete dopo le parole.

 

Gli investitori stranieri, soprattutto USA ed europei, chiedono da tempo a Pechino maggiore accesso al mercato locale. Oltre all’eccessiva regolamentazione, nelle loro valutazioni per future operazioni rientrano aspetti come il calo dell’export cinese, la crisi immobiliare, il crescente debito delle amministrazioni territoriali e la guerra tecnologica con gli USA.

 

Non è un caso che Apple abbia annunciato di recente piani per aprire nuovi impianti in India e Vietnam: un modo per ridurre la dipendenza dagli investimenti in Cina.

 

 

 

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Immagine di World Economic Forum via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

 

 

 

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Cina

Pechino, nuovo capo dell’Amministrazione per gli affari religiosi

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Sostituisce Cui Maohu, rimosso nei giorni scorsi e sotto indagine per presunta corruzione. Diventa anche uno dei vice direttori del Dipartimento di lavoro del Fronte Unito del Partito Comunista. Nato nello Shandong, ha esperienze di governo a Wuhan e nella provincia del Qinghai.

 

Chen Ruifeng è il nuovo capo dell’Amministrazione Statale per gli Affari Religiosi (SARA). La nomina è arrivata il 24 marzo, come riportato dal sito web del Dipartimento di Lavoro del Fronte Unito del Partito Comunista Cinese (PCC).

 

Chen sostituisce Cui Maohu, rimosso nei giorni scorsi e sotto indagine per presunte gravi infrazioni disciplinari e di legge: le autorità usano di solito questa espressione per indicare un caso di corruzione.

 

Il 56enne Chen nasce nella provincia dello Shandong ed entra a far parte del Partito nel 1989. È scelto come vice segretario del PCC a Wuhan (Hubei) nel 2016, per ottenere un anno dopo la carica di vice sindaco. Nel luglio 2020 è promosso al Comitato permanente dell’ufficio provinciale del Partito nel Qinghai.

 

La nuova guida della SARA è diventato anche uno dei vice direttori del Dipartimento di lavoro del Fronte unito. In precedenza l’Amministrazione per gli affari religiosi era nota come «Ufficio Affari Religiosi», un organismo indipendente sotto l’autorità del Consiglio di Stato (il governo centrale).

 

Nel marzo 2018 è passata sotto il diretto controllo del PCC, servendo in sostanza da braccio esecutivo del Fronte unito per il controllo delle attività religiose.

 

 

 

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