Economia
«Non è più un mondo unipolare»: i sauditi tagliano a sorpresa la produzione di petrolio
L’Arabia Saudita ha annunciato a sorpresa che con un certo numero di altre nazioni produttrici di petrolio è stata presa la decisone di tagliare la produzione di petrolio di oltre un milione di barili al giorno (BPD), al fine di aiutare a «stabilizzare» i mercati petroliferi dopo che il prezzo è sceso quando la crisi bancaria ha colpito a metà marzo.
Washington è particolarmente irritata perché la mossa va contro la richiesta del presidente Joe Biden di aumentare la produzione di petrolio, per cercare di contenere l’inflazione.
L’operazione, inoltre, non potrà che aiutare la Russia a ottenere maggiori entrate attraverso l’aumento dei prezzi del petrolio. La mossa saudita potrebbe appunto essere stata coordinata con la Russia, che sta estendendo il proprio taglio di 500.000 barili al giorno di produzione fino alla fine dell’anno.
Il Financial Times oggi è preoccupato che «l’iniziativa guidata dai sauditi sia insolita poiché è stata annunciata al di fuori di una riunione formale dell’OPEC+», osservando che ha messo «Riyadh in rotta di collisione con gli Stati Uniti mentre il Regno tenta di aumentare i prezzi tra i timori di un indebolimento domanda (…) I tagli a sorpresa rischiano di riaccendere le dispute tra Riyadh e gli Stati Uniti».
FT ha citato Helima Croft, responsabile della strategia delle materie prime presso RBC Capital Markets of Canada, una delle principali banche di investimento globali, per fare il punto strategico più ampio:
«È una politica saudita. Stanno facendo nuove amicizie, come abbiamo visto con la Cina (…) Il Regno stava inviando un messaggio agli Stati Uniti che “non è più un mondo unipolare”».
La Croft si riferisce all’annuncio all’inizio di quest’anno secondo cui l’Arabia Saudita avrebbe accettato pagamenti in yuan dalla Cina per le sue considerevoli esportazioni di petrolio verso Pechino, e avrebbe accettato accordi di stanza di compensazione totalmente al di là della portata del dollaro e la sua politica di sanzioni assassine.
Altri tagli volontari sono stati annunciati dall’Iraq (211.000 BPD) – Paese che ha ufficialmente annunciato l’uso dello yuan negli scambi con Pechino– , dagli Emirati Arabi Uniti (144.000 BPD), dal Kuwait (128.000 BPD), dal Kazakistan (78.000 BPD), dall’Algeria (48.000 BPD) e dall’Oman (40.000 BPD), secondo le dichiarazioni dei rispettivi governi.
La testata britannica Independent ha riferito che i tagli ammontano a 1,15 milioni di barili al giorno:
«L’aumento dei prezzi del petrolio aiuterebbe a riempire le casse del presidente russo Vladimir Putin mentre il suo paese dichiara guerra all’Ucraina (…) era anche probabile che avrebbe ulteriormente teso i legami con gli Stati Uniti, che ha invitato l’Arabia Saudita e altri alleati ad aumentare la produzione mentre cerca di abbassare i prezzi e comprimere le finanze della Russia».
La CNN ha riferito che dopo l’annuncio dei tagli i prezzi del petrolio sono aumentati lunedì 3 aprile, con il Brent, il punto di riferimento globale, balzato del 5,31% a 84,13 dollari al barile, il più forte aumento di prezzo in quasi un anno.
Si tratta di un passo ancora più deciso verso la de-dollarizzazione dell’economia mondiale, inflitta agli USA da un Paese alleato, a cui è legato da un patto antico. I sauditi hanno espresso pubblicamente, al World Economic Forum di Davos, la volontà di uscire dal petrodollaro.
Gli accordi presi in questi mesi tra sauditi e cinesi minano di fatto la persistenza del petrodollaro, mandando all’aria gli accordi fatti nei primi anni Quaranta da Roosevelt con il re Saudita Abdulaziz Ibn Saud presso il Grande Lago Amaro, dove gli arabi si impegnavano ad usare il dollaro per il commercio del petrolio in cambio della protezione americana per la famiglia reale saudita (non il Paese).
Un anno fa i sauditi avevano iniziato le danze dicendo di essere disposti a farsi pagare in yuan, un mese fa siamo arrivati che anche l’Iraq ha dichiarato che avrebbe mollato il dollaro negli scambi con la Cina, così come, ufficialmente, la Birmania. Simultaneamente si è registrato un aumento di acquisto di yuan da parte di Banche Centrali, da Israele al Brasile.
Il Brasile ha ufficializzato che tratterà il commercio con la Cina in yuan la settimana scorsa. La Cina è riuscita nella missione impossibile di creare accordo tra gli arcirivali regionali Iran e Arabia Saudita, divenendo quindi attore di grande peso nel contesto mediorientale.
L’Arabia Saudita ha infine segnalato di voler entrare a far parte dei BRICS, una mossa che allontana definitivamente Riad da Washington.
Il disastro nelle relazioni tra i due Paesi, di cui Renovatio 21 scrive da anni, è dovuto a Joe Biden, incapace di ottenere alcunché dal principe Mohammed bin Salman, regnante de facto.
Non è escluso che ora potrebbe partire una campagna di demonizzazione, e forse anche un colpo di Stato, contro il giovane che sta mettendo fine al patto del Grande Lago Amaro.
Economia
FMI e Banca Mondiale si incontrano a Washington «all’ombra della guerra»
I capi delle due più grandi istituzioni finanziarie mondialiste, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale si starebbero incontrando a Washington in queste ore per discutere il rischio sistemico che comporta la guerra in corso. Lo riporta il giornalista britannico Martin Wolf, che serve come principale commentatore economico del Financial Times.
L’articolo si intitola oscuramente «L’ombra della guerra si allunga sull’economia globale».
L’editorialista britannico afferma che «i politici stanno camminando sulle uova» per una serie di ragioni, incluso il fatto che «un quinto della fornitura mondiale di petrolio è passata attraverso lo Stretto di Hormuz, in fondo al Golfo, nel 2018. Questo è il punto di strozzatura della fornitura di energia globale».
«Una guerra tra Iran e Israele, che includa forse gli Stati Uniti, potrebbe essere devastante» avverte l’Economist. «I politici responsabili dell’economia mondiale riuniti a Washington questa settimana per le riunioni primaverili del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale sono spettatori: possono solo sperare che i saggi consigli prevalgano in Medio Oriente».
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«Se il disastro fosse davvero evitato, come potrebbe essere l’economia mondiale?» si chiede la pubblicazione britannica.
Come riportato da Renovatio 21, lo scorso dicembre il FMI pubblicò un rapporto i cui dati suggerivano come il dollaro stesse perdendo il suo dominio sull’economia mondiale.
Durante le usuali incontri primaverili tra FMI e Banca Mondiale dell’anno passato si era discusso, invece, delle valute digitali di Stato – le famigerate CBDC.
Il progetto di una CBDC globale, una valuta digitale sintetica globale controllata dalle banche centrali, ha lunga storia. Nel 2019, prima di pandemia, dedollarizzazione, superinflazione e crash bancari che stiamo vedendo, l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ne aveva parlato all’annuale incontro dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming nel 2019.
Come riportato da Renovatio 21, l’euro digitale sembra in piattaforma di lancio, e la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde sembra aver ammesso che sarà usato per la sorveglianza dei cittadini.
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Immagine di World Bank Photo Collection via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
Economia
La Bank of America lancia un allarme sul petrolio a 130 dollari
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Economia
Il prezzo dell’oro tocca il massimo storico
Ieri il prezzo dell’oro ha raggiunto il massimo storico, superando i 2.400 dollari l’oncia, mentre continua la corsa globale ai beni rifugio.
I prezzi spot dell’oro sono aumentati del 2,4% raggiungendo il massimo storico di 2.431,52 dollari l’oncia prima di pareggiare alcuni guadagni. I prezzi sono aumentati del 4% durante la settimana e del 16% finora quest’anno, superando l’aumento del 13% registrato per tutto il 2023, scrive RT.
Gli analisti attribuiscono il rally alla domanda degli investitori di beni rifugio in un contesto di incertezza globale e crescenti tensioni geopolitiche in Medio Oriente.
Funzionari statunitensi hanno affermato venerdì che l’Iran potrebbe lanciare un massiccio attacco contro Israele entro le prossime 24-48 ore. Teheran ha minacciato una dura risposta da quando Israele ha ucciso due generali iraniani in un attacco aereo all’inizio di questo mese.
«I fattori positivi per l’oro superano quelli negativi. Le crescenti tensioni in Medio Oriente sono il principale motore della recente impennata dell’oro», ha detto alla Reuters Chris Gaffney, presidente dei mercati mondiali di EverBank.
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La responsabile dell’analisi di mercato di StoneX Financial Ltd., Rhona O’Connell, ha anche affermato che «il rischio geopolitico è il fulcro qui» e che in un anno con più di 50 elezioni locali e nazionali, le continue tensioni in Medio Oriente si stanno aggiungendo «altra benzina sul fuoco».
Alcuni esperti hanno indicato che anche i continui e forti acquisti dalla Cina hanno sostenuto i prezzi, scrive Russia Today.
Gli investitori tradizionalmente si rivolgono all’oro in tempi di incertezza del mercato per coprire i rischi e come riserva di valore. Per migliaia di anni, i lingotti sono stati visti come un rifugio sicuro durante periodi di instabilità economica, crisi del mercato azionario, conflitti militari e pandemie.
Anche altri metalli preziosi sono in crescita, con l’argento che è salito del 4% a 29,60 dollari l’oncia, il suo prezzo più alto dall’inizio del 2021. Il palladio è salito del 2,7% a 1.075 dollari e il platino è salito sopra il livello psicologico chiave di 1.000 dollari l’oncia al suo massimo in quasi quattro mesi.
Come riportato da Renovatio 21, alcuni analisti avevano previsto che i prezzi dell’oro avrebbero potuto nei mesi successivi raggiungere la cifra record di 2.500 dollari l’oncia, spinti dalla domanda degli investitori di beni rifugio sulla scia dell’incertezza globale e delle tensioni geopolitiche.
Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno la Russia aveva parlato di un ritorno all’economia basata sul valore dell’oro. Gli economisti russi Sergej Glazev e Dmitrij Mitjaev avevano sostenuto l’uso dell’oro per proteggere il sistema finanziario russo mentre «salta giù» dal sistema basato sul dollaro in bancarotta e aiuta a stabilire una nuova architettura finanziaria internazionale. La proposta era quella di una sorta di «rublo d’oro 3.0».
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