Cina
Arabia Saudita e Iran riprendono i rapporti diplomatici con un accordo mediato dalla Cina

In un accordo mediato dalla Cina e annunciato oggi a Pechino, i rappresentanti del Regno dell’Arabia Saudita e della Repubblica Islamica dell’Iran hanno annunciato che ristabiliranno le relazioni diplomatiche entro due mesi da oggi e hanno affermato il loro «rispetto per la sovranità degli Stati e la non ingerenza negli affari interni degli Stati”.
Questa azione è stata intrapresa, secondo il comunicato trilaterale, «in risposta alla nobile iniziativa di Sua Eccellenza il Presidente Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, del sostegno della Cina allo sviluppo di relazioni di buon vicinato tra il Regno dell’Arabia Saudita e l’Islam Repubblica dell’Iran».
La dichiarazione trilaterale è stata rilasciata dopo che Wang Yi, direttore della Commissione Affari Esteri del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, ha incontrato entrambe le delegazioni.
L’house organ del Partito Comunista Cinese Global Times si è congratulato con loro per aver compiuto questo «passo storico», che ha affermato non solo ha rappresentato una vittoria per “il dialogo e la pace”, portando ottime notizie a un “mondo instabile”, ma ha anche dimostrato una applicazione di successo dell’iniziativa di sicurezza globale di Xi Jinping.
In qualità di «mediatore gentile e degno di fiducia», ha affermato Wang, la Cina ha adempiuto alla propria responsabilità di paese ospitante e continuerà a svolgere un ruolo costruttivo nel promuovere la «corretta gestione delle questioni globali accese in conformità con la volontà di ciascuna parte».
I capi delle delegazioni iraniana e saudita non hanno fatto altro che elogiare la «grande diplomazia nazionale» della Cina. Il leader cinese ha sottolineato che l’accordo dimostra che l’Ucraina non è l’unico problema al mondo e che ce ne sono altri che riguardano la pace e i mezzi di sussistenza delle persone che richiedono attenzione globale e «una gestione adeguata».
Non importa quanto difficile possa essere un problema, mantenere uno spirito di rispetto reciproco per cercare il dialogo può aiutare entrambe le parti a raggiungere un accordo, ha detto Wang.
L’annuncio dell’accordo è stato il culmine dei colloqui tenutisi tra il 6 e il 10 marzo a Pechino, nonché delle precedenti discussioni nel corso del 2021 e del 2022. La delegazione del Regno dell’Arabia Saudita era guidata da Musaad bin Mohammed Al-Aiban, Ministro dell’Arabia Saudita Consigliere di Stato e per la Sicurezza Nazionale, e la delegazione della Repubblica Islamica dell’Iran guidata dall’Ammiraglio Ali Shamkhani, Segretario del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale della Repubblica Islamica dell’Iran.
Secondo la dichiarazione trilaterale, i leader di entrambe le delegazioni hanno convenuto che i rispettivi ministri degli Esteri si incontreranno per organizzare l’attuazione dell’accordo e «discutere i mezzi per rafforzare le relazioni bilaterali… pace e sicurezza internazionale».
Come riportato da Renovatio 21, il ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, considerati arcinemici regionali, era dato per imminente ancora un anno fa.
Tre mesi fa si erano registrate tensioni tra Teheran e Pechino quando era emerso che i cinesi avevano stipulato un accordo di fornitura petrolifera – in yuan – con Riadh. Un giornale iraniano si era spinto, addirittura, ad inneggiare a Taiwan.
Poco prima era stata notizia del timore dei sauditi per un possibile attacco iraniano.
Il rapporto tra la Casa Saud e Washington, con gli americani impegnati a difendere la famiglia reale araba in cambio dell’uso del dollaro nel commercio del greggio (come da accordi presi sul Grande Lago Amaro tra Roosevelt e il re saudita Abdulaziz nel 1945) sembra essere arrivato al termine. Il petrodollaro è stato mollato perfino dall’Iraq, che userà gli yuan negli scambi con Pechino.
Iran e Russia, nel frattempo, hanno concordato su un sistema bancario separato alternativo allo SWIFT. Di contro, è emerso l’anno scorso che il principe saudita al Walid, ultramiliardario investitore internazionale già socio di Twitter e di Silvio Berlusconi, ha investito più di mezzo miliardo di dollari in Russia a pochi giorni dallo scoppio del conflitto ucraino.
Immagine screenshot da YouTube
Cina
Anche il Brasile ora commercia in yuan con la Cina

Il viceministro del Commercio cinese Guo Tingting, ha annunciato oggi che Cina e Brasile hanno concluso un accordo per commerciare in yuan.
«Con il Brasile è stato firmato un accordo sul regolamento dei pagamenti in yuan, che facilita notevolmente il nostro commercio. Stiamo pianificando di espandere la cooperazione nel campo dell’estrazione di cibo e minerali e di cercare la possibilità di esportare merci ad alto valore aggiunto dalla Cina al Brasile e dal Brasile alla Cina», ha detto Guo al seminario economico Brasile-Cina, a Pechino.
La conferenza è stata organizzata dal ministero degli Esteri brasiliano e da ApexBrasil (l’agenzia brasiliana per la promozione del commercio e degli investimenti) e «hanno partecipato oltre 500 uomini d’affari brasiliani e cinesi, con l’obiettivo di rafforzare e diversificare le relazioni commerciali e i flussi di investimento», secondo un comunicato stampa del ministero degli Esteri.
ApexBrasil ha annunciato la firma di oltre 20 accordi, specificando che «Banco BOCOM BBM annuncia la sua adesione al CIPS (China Interbank Payment System), che è l’alternativa cinese a SWIFT. L’aspettativa è di ridurre i costi delle transazioni commerciali con lo scambio diretto tra BRL e RMB. La banca sarà il primo partecipante diretto a questo sistema in Sud America. La filiale brasiliana della Banca industriale e commerciale della Cina (Brasile) diventa la banca di compensazione in RMB [reminbi, l’altro nome della valuta cinese, ndr] in Brasile. L’allentamento delle restrizioni sull’uso del RMB ha lo scopo di promuovere ulteriormente il commercio bilaterale e facilitare gli investimenti con il RMB».
Il Brasile e la Cina hanno annunciato quindi l’istituzione di una camera di compensazione che provvederà agli accordi senza utilizzare il dollaro USA. Presterebbe anche in valute nazionali, aggirando il dollaro. Tra l’altro, faciliterebbe e ridurrebbe il costo delle transazioni.
Si tratta di un ulteriore colpo del processo di de-dollarizzazione dell’economia mondiale in corso, ossia la fine della valuta americana come valuta di riserva globale.
Malgrado i rapporti altalenanti per vaccini e importazioni tecnologiche, il Brasile aveva già iniziato a incamerare yuan l’anno scorso. Anche altri Paesi, come Iraq e Birmania, hanno cominciato ufficialmente ad usare il reminbi negli scambi col Dragone. La Banca Centrale di Israele pure ha aumentato le sue riserve della moneta pechinese.
Come riportato da Renovatio 21, anche la Francia la scorsa settimana avrebbe concluso una enorme importazione di gas pagando in valuta cinese.
Il problema principale per il dollaro è costituito dall’Arabia Saudita, che già un anno fa aveva segnalato al mondo di essere disposta a farsi pagare dai cinesi il greggio in yuan, per poi fare accordi diretti con Xi e significare la propria strategia di uscita dal dollaro al World Economic Forum di Davos.
Cina
Il gigante hi-tech Alibaba sarà diviso in sei unità: Xi Jinping festeggia (come i mercati)

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Saranno poi quotate singolarmente in Borsa. La compagnia, e il suo fondatore Jack Ma, da tempo nel mirino del governo. Il gruppo si allinea alle norme anti-monopolio volute da Xi. Investitori stranieri ancora cauti sul futuro delle loro operazioni in Cina. Guardano a mercati alternativi come India e Vietnam.
Alibaba ha annunciato ieri che dividerà il suo business in sei unità: i nuovi rami saranno poi quotati singolarmente in Borsa. Da fine 2020 il gigante hi-tech fondato da Jack Ma è finito nel mirino delle autorità, che su istruzione di Xi Jinping hanno lanciato una campagna anti-monopolio, soprattutto a danno dei settori tecnologico, immobiliare e dell’istruzione privata.
L’annuncio di Alibaba è arrivato il giorno dopo la ricomparsa in Cina di Ma. Il noto miliardario non ha più cariche da tempo nel gruppo. Le sue tracce si erano perse più di due anni fa, dopo che egli aveva criticato gli organi di controllo finanziario del Paese: parole a cui sono seguite tensioni tra il governo e la compagnia.
Xi è con ogni probabilità preoccupato di perdere il controllo politico di fronte a uomini d’affari che accumulano ingenti ricchezze. Secondo diversi osservatori, la campagna per la «prosperità comune» promossa dal segretario generale del Partito Comunista Cinese, che richiede alle grandi aziende di contribuire al benessere dei meno ricchi, avrebbe in realtà l’obiettivo di depotenziare gli oligarchi come Ma.
I mercati salutano con favore lo spacchettamento di Alibaba: vi vedono un segno che il giro di vite di Xi sui grandi gruppi industriali è prossimo alla fine. Gli investitori valutano che le nuove società separate potranno difendersi meglio da eventuali norme che colpiscono una solo di esse.
Analisti osservano che ora anche i concorrenti di Alibaba (Tencent e JD) potrebbero seguire la via del frazionamento, con una compagnia holding che racchiude più società distinte: il modo migliore per allinearsi alle leggi contro i monopoli introdotte da Xi.
I boss delle grandi aziende straniere sono però cauti rispetto alle promesse del nuovo governo cinese di favorire migliori condizioni per gli investimenti privati. Al China Development Forum dei giorni scorsi, gli amministratori delegati di grandi aziende estere hanno detto di aspettarsi azioni concrete dopo le parole.
Gli investitori stranieri, soprattutto USA ed europei, chiedono da tempo a Pechino maggiore accesso al mercato locale. Oltre all’eccessiva regolamentazione, nelle loro valutazioni per future operazioni rientrano aspetti come il calo dell’export cinese, la crisi immobiliare, il crescente debito delle amministrazioni territoriali e la guerra tecnologica con gli USA.
Non è un caso che Apple abbia annunciato di recente piani per aprire nuovi impianti in India e Vietnam: un modo per ridurre la dipendenza dagli investimenti in Cina.
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Immagine di World Economic Forum via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)
Cina
Pechino, nuovo capo dell’Amministrazione per gli affari religiosi

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Sostituisce Cui Maohu, rimosso nei giorni scorsi e sotto indagine per presunta corruzione. Diventa anche uno dei vice direttori del Dipartimento di lavoro del Fronte Unito del Partito Comunista. Nato nello Shandong, ha esperienze di governo a Wuhan e nella provincia del Qinghai.
Chen Ruifeng è il nuovo capo dell’Amministrazione Statale per gli Affari Religiosi (SARA). La nomina è arrivata il 24 marzo, come riportato dal sito web del Dipartimento di Lavoro del Fronte Unito del Partito Comunista Cinese (PCC).
Chen sostituisce Cui Maohu, rimosso nei giorni scorsi e sotto indagine per presunte gravi infrazioni disciplinari e di legge: le autorità usano di solito questa espressione per indicare un caso di corruzione.
Il 56enne Chen nasce nella provincia dello Shandong ed entra a far parte del Partito nel 1989. È scelto come vice segretario del PCC a Wuhan (Hubei) nel 2016, per ottenere un anno dopo la carica di vice sindaco. Nel luglio 2020 è promosso al Comitato permanente dell’ufficio provinciale del Partito nel Qinghai.
La nuova guida della SARA è diventato anche uno dei vice direttori del Dipartimento di lavoro del Fronte unito. In precedenza l’Amministrazione per gli affari religiosi era nota come «Ufficio Affari Religiosi», un organismo indipendente sotto l’autorità del Consiglio di Stato (il governo centrale).
Nel marzo 2018 è passata sotto il diretto controllo del PCC, servendo in sostanza da braccio esecutivo del Fronte unito per il controllo delle attività religiose.
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