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Economia

Le politiche ambientali ESG mineranno la sicurezza energetica mondiale: parla Saudi ARAMCO

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Gli investimenti ambientali, sociali e di governance (ESG) rappresentano una minaccia per l’accessibilità e la sicurezza energetica, ha affermato questo fine settimana l’amministratore delegato della più grande compagnia petrolifera del mondo, Saudi ARAMCO. Lo riporta il sito Oil Price.

 

Gli ESG sono i nuovi standard ecologici, sociali e di governance che l’ONU ora chiede a Nazioni e società private.

 

«Per quanto riguarda il futuro dei mercati dei capitali, ESG è chiaramente una tendenza in aumento. E a mio avviso, una maggiore enfasi sui fattori ESG è un passo nella giusta direzione», ha dichiarato negli scorsi giorni il presidente e CEO del colosso petrolifero saudita Amin Nasser durante il Saudi Capital Markets Forum 2023.

 

«Tuttavia, se le politiche guidate dai fattori ESG vengono attuate con un pregiudizio automatico nei confronti di tutti i progetti energetici convenzionali, il sottoinvestimento risultante avrà serie implicazioni. Per l’economia globale. Per la convenienza energetica. E per la sicurezza energetica», ha aggiunto il massimo dirigente di ARAMCO.

 

Il costo del capitale per il settore del petrolio e del gas è aumentato a causa dei maggiori rischi percepiti, che a loro volta sono guidati dalle politiche ESG, ha affermato Nasser.

 

Il dirigente aveva altre volte sottolineato il sottoinvestimento in petrolio e gas negli ultimi anni, citando cifre secondo cui l’investimento upstream è stato di circa 400 miliardi di dollari l’anno scorso, meno della metà del picco del 2014.

 

«Il motivo principale: pressioni da più direzioni per interrompere tutti i nuovi investimenti nel petrolio e nel gas. Pressione basata su ciò che credo fermamente siano presupposti e argomenti errati».

 

Nasser ha criticato i sostenitori della narrativa della transizione energetica, affermando che stanno offrendo visioni irrealistiche su come i sistemi energetici globali possano essere facilmente aggiornati e sostituire petrolio e gas.

 

«I fautori della popolare narrativa della transizione energetica dipingono l’immagine di un mondo utopico in cui le alternative sono pronte a sostituire petrolio e gas quasi dall’oggi al domani», ha affermato.

 

La crisi energetica in Europa ha dimostrato che l’approvvigionamento energetico alternativo «non è pronto per sostenere il pesante fardello della domanda globale», ha aggiunto Nasser.

 

Non è la prima volta che l’alto dirigente di Aramco ha avvertito che il sottoinvestimento in petrolio e gas è stata la ragione principale della crisi energetica dello scorso anno.

 

La crisi energetica, sebbene intensificata dall’invasione russa dell’Ucraina, non è iniziata con la guerra, secondo il massimo dirigente di ARAMCO . Anni di investimenti insufficienti, mancanza di un piano di riserva e alternative non pronte a intensificare e sostituire l’energia convenzionale sono le vere cause di questo stato di insicurezza energetica oggi, aveva già affermato il Nasser nel settembre 2022.

 

Come riportato da Renovatio 21, la controversia attorno agli ESG non riguarda solo chi si occupa di carburanti fossili: perfino chi fa auto elettriche non è immune. È il caso di Elon Musk, padrone della Tesla, auto non inquinante par excellence, che ha definito gli ESG come «il diavolo incarnato».

 

 

Nella classifica ESG Tesla sta molte posizioni dietro ai principali produttori di armamenti USA.

Una recente copertina di The Economist pure si scagliava contro gli ESG, definiti come «le tre lettere che non salveranno il mondo».

 

La ARAMCO, che l’anno scorso ha segnalato la volontà di andare in borsa per più di 50 miliardi di dollari, produce più di 10 milioni di barili al giorno, divenendo quindi tra le più grandi compagnie petrolifere al mondo nonché il più importante finanziatore del governo saudita, che la possiede quasi al 100%.

 

La società nasce nel 1933, quando il governo saudita firma un accordo di concessione con la Standard Oil of California (SOCAL) che gli permette di fare delle prospezioni petrolifere in Arabia Saudita. Nel 1944 diviene Arabian American Company, cioè ARAMCO, nome che conserva tutt’ora, così come si conserva il patto di protezione americana della famiglia Saud stipulato in quegli anni dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt e dal re saudita Abdulaziz Ibn Saud  – il cosiddetto patto del Grande Lago Amaro, di cui Renovatio 21 vi ricorda spesso, ossia la creazione del petrodollaro, fonte della grande ricchezza e durevole influenza di Washington nel mondo.

 

Come riportato da Renovatio 21, segnali chiarissimi mandati dai sauditi – la vendita di petrolio in yuan cinesi, il desiderio espresso da Ryadh di entrare nei BRICS – mostra che il patto del Grande Lago Amaro è probabilmente agli sgoccioli.

 

 

 

 

 

Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

 

 

 

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Economia

Le sanzioni sui diamanti russi potrebbero sconvolgere il mercato globale della gioielleria

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Le sanzioni sulle esportazioni di diamanti russi che sono state discusse dai paesi del G7 per più di un anno potrebbero far salire i prezzi delle gemme a livello globale, Lo riporta il canale americano CNBC.

 

Finora, l’importazione di diamanti grezzi russi è stata vietata dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, Washington importa ancora gemme estratte in Russia se sono state sostanzialmente alterate in altri Paesi. Il Regno Unito, il Canada e la Nuova Zelanda hanno seguito l’esempio, adottando misure simili contro il gigante minerario russo Alrosa.

 

L’Unione Europea e il G7 hanno cercato nuovi modi per bandire ai diamanti russi oltre confine. Tuttavia, il passo proposto è fortemente osteggiato dai principali importatori di gemme, come il Belgio, che ospita il più grande hub mondiale per il commercio di diamanti ad Anversa.

 

Secondo i dati dell’Osservatorio sulla complessità economica, la Russia, il più grande produttore mondiale di diamanti grezzi, ha incassato circa 4,7 miliardi di dollari dalle esportazioni di pietre preziose, diventando così l’ottavo esportatore mondiale.

 

«Il dibattito va avanti da tempo perché esiste un chiaro rischio che la Russia possa semplicemente dirottare le sue esportazioni verso paesi non partecipanti», ha detto alla CNBC Edward Gardner, economista delle materie prime presso Capital Economics. «Se le sanzioni fossero attuate in un modo che rendesse difficile l’elusione, però, allora potremmo vedere una minore offerta russa sul mercato e prezzi più alti».

 

Gli oppositori della misura sostengono inoltre che l’imposizione di sanzioni senza costruire un sistema globale per rintracciare le gemme sarebbe inutile, poiché il commercio potrebbe facilmente spostarsi verso altri mercati, come India e Cina, allo stesso modo del greggio russo.

 

È improbabile che l’ultimo pacchetto di sanzioni relative all’Ucraina attualmente in discussione da parte dell’UE riguardi i diamanti russi, scrive RT.

 

Il circuito dei diamanti di Anversa coinvolge per lo più famiglie ebree ortodosse, che hanno ramificazioni anche a Nuova York e in Israele.

 

Nel 2003 un venditore di gemme del distretto di diamanti di Manhattan fu accusato di essere legato ad uno schema di transazioni che avrebbero aiutato il finanziamento del terrorismo jihadista. internazionale. L’uomo, di nome Abraham, era un membro prominente della comunità ebraica di Rego Park. Tuttavia «questo anziano signore in cattive condizioni di salute ha contribuito in modo significativo a mediare la vendita di un missile terra-aria», aveva affermato l’assistente procuratore degli Stati Uniti.

 

I pubblici ministeri hanno dichiarato alla corte federale che Abraham aveva facilitato i terroristi fornendo i mezzi per finanziare l’acquisto di missili attraverso un sistema di trasferimento di denaro informale, noto come hawala, comune in Medio Oriente e metodo di finanziamento preferito dai terroristi.

 

 

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Economia

Energia, «il peggio deve ancora venire» per gli Stati UE: parola del Qatar

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Un inverno caldo ha impedito all’UE di affrontare una grave crisi energetica, ma il «peggio deve ancora venire» per il blocco, ha dichiarato martedì il ministro dell’Energia del Qatar Saad al-Kaabi, citando la mancanza di investimenti in petrolio e gas.

 

Intervenendo al Forum economico del Qatar a Doha, ha affermato che una transizione energetica «aggressiva» scoraggerà gli investimenti negli idrocarburi e potrebbe provocare carenze energetiche nell’UE nel prossimo decennio.

 

«In futuro ci sarà una grande carenza di gas, principalmente a causa della spinta alla transizione energetica che diremmo molto aggressiva», ha avvertito al-Kaabi. «La stabilità economica e la responsabilità ambientale non si escludono a vicenda. Bisogna averle entrambe».

 

L’UE ha dovuto affrontare una crisi energetica senza precedenti a seguito di un calo delle spedizioni di petrolio e gas dalla Russia. Le sanzioni che il blocco ha imposto alle importazioni di energia dalla Russia hanno provocato un’inflazione record e una crisi complessiva del costo della vita in tutta l’UE.

 

«L’unica cosa che ha salvato l’umanità e l’Europa quest’anno è stato un inverno caldo e il rallentamento dell’economia», ha detto al-Kaabi, aggiungendo che «se l’economia iniziasse a riprendersi nel (2024) con un inverno anche solo normale, allora credo che il peggio debba ancora venire».

 

Se i leader europei hanno «un piano adeguato e si siedono con i produttori, e le compagnie petrolifere e del gas non vengono demonizzate, la realtà entrerà in gioco e avremo una soluzione ragionevole», ha continuato secondo RT.

 

Il Qatar è uno dei maggiori produttori mondiali di gas naturale liquefatto e sta investendo decine di miliardi di dollari per potenziare la propria capacità produttiva. Esso trae la sua ricchezza da un giacimento sottomarino, il South Pars, che è unito ad una parte appartenente invece alla Repubblica Islamica dell’Iran.

 

Come riportato da Renovatio 21, sette mesi fa sempre al-Kaabi aveva detto che la mancanza di gas  russo avrebbe significato un «problema enorme per lungo tempo» in tutti i Paesi UE.

 

All’inizio del conflitto russo-ucraino il ministro al-Kaabi aveva dichiarato al Forum di Doha che il Qatar non è in grado di aiutare l’Europa con le consegne di gas naturale liquefatto né tantomeno può sostituire le forniture che l’UE traeva dalla Russia.

 

Il ministro degli Esteri italiano Di Maio con l’amministratore delegato di ENI Descalzi erano volati in Qatar, da cui sono tornati senza grandi novità.

 

Ma non bisogna disperare: grazie al geniale «ministro degli Esteri» UE, mister PESC Josep Borrell – sì, quello che non distingue Belgrado da Belgorod – Giggino può tornare in pista, in zona, con il ruolo ufficiale di inviato UE per il Golfo persico. Per uno che da ministro degli Esteri aveva assistito al disastro delle relazioni con gli Emirati, mica male.

 

 

 

 

 

 

Immagine di Alex Sergeev via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

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Cina

Perché la Cina non può tirare fuori il mondo da una nuova Grande Depressione

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Renovatio 21 traduce questo articolo di William F. Engdahl. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

Negli ultimi due decenni, da quando la Cina è stata ammessa nell’OMC, la sua base industriale nazionale ha fatto passi da gigante per emergere come il principale produttore economico mondiale in molte aree importanti. I dibattiti accademici sul fatto che il PIL della Cina sia maggiore di quello degli Stati Uniti sono fuori luogo. Il PIL è in gran parte inutile come misura di un’economia reale. Se misurata in termini di produzione economica fisica reale, la Cina ha lasciato indietro gli Stati Uniti e tutti gli altri. Pertanto, il corso futuro della produzione industriale in Cina è vitale per il futuro dell’economia mondiale. La globalizzazione dell’economia mondiale lo ha reso tale.

 

 

La produzione di acciaio è ancora l’unico miglior indicatore di un’economia reale in crescita. Nel 2021, la Cina ha prodotto più di dodici volte il tonnellaggio di acciaio degli Stati Uniti, oltre un miliardo di tonnellate. Gli Stati Uniti, un tempo leader mondiale, gestivano ben 86 milioni di tonnellate.

 

In tonnellate di carbone, la Cina produce circa il 50% del carbone totale mondiale. Controlla il 70% dell’estrazione mondiale di terre rare e oltre il 90% della sua lavorazione, grazie alle bizzarre azioni politiche statunitensi che risalgono a diversi decenni fa.

 

La Cina oggi è di gran lunga il più grande produttore mondiale di autoveicoli, quasi tre volte la dimensione degli Stati Uniti con 27 milioni di unità all’anno, un terzo del totale mondiale nel 2022.

 

La Cina è di gran lunga il più grande produttore del cemento essenziale per l’edilizia ed è il primo produttore mondiale di alluminio. Con 40 milioni di tonnellate nel 2022, questo è paragonabile a nemmeno un milione di tonnellate negli Stati Uniti.

 

È anche il più grande consumatore di rame al mondo. L’elenco continua.

 

Questo è semplicemente per suggerire quanto sia stata essenziale l’economia della Cina per la crescita economica mondiale negli ultimi due decenni. Solo quattro decenni fa la Cina era insignificante in termini economici reali mondiali.

 

Quindi, se la Cina entra in una profonda contrazione economica, questa volta l’effetto sarà globale. E questo è proprio ciò che è ora in corso. È importante notare che la contrazione è iniziata ben prima dei severi tre anni di blocco zero COVID in Cina.

 

In poche parole, la Cina dalla cosiddetta Grande Crisi Finanziaria del 2008 è riuscita a creare una bolla finanziaria di dimensioni mai viste prima nel mondo. Quella bolla ha iniziato a sgonfiarsi, a partire dal settore immobiliare, intorno al 2019. La scala è sistemica ed è solo all’inizio.

 

Colossale riduzione dell’indebitamento e debito nascosto

Un enorme problema con il modello economico della Cina negli ultimi due decenni è stato il fatto che è stato un modello finanziario basato sul debito, massicciamente concentrato sulla speculazione immobiliare al di là di ciò che l’economia può digerire.

 

Dal 25% al 30% del PIL cinese totale proviene da investimenti immobiliari in case, appartamenti, uffici. Questo è significativo. Il problema è che il settore immobiliare, in particolare gli appartamenti in Cina, per più di due decenni, è sembrato essere una fonte di guadagno garantita per proprietari, costruttori, banche e soprattutto funzionari del governo locale.

 

I prezzi sono aumentati ogni anno a doppia cifra, a volte del 20%. Milioni di cinesi della classe media hanno acquistato non solo uno, ma due o più appartamenti, utilizzando il secondo come investimento per la futura pensione. La terra della Cina è di proprietà del Partito Comunista, a livello locale. Viene affittato a lungo termine alle imprese edili che poi prendono in prestito per costruire.

 

Qui diventa torbido. Per i funzionari del governo locale del Partito Comunista, le entrate derivanti dall’affitto di terreni immobiliari locali e dai loro progetti infrastrutturali sono la loro principale fonte di entrate. Finora le tasse comunali sugli immobili sono vietate nonostante l’enorme pressione dei funzionari locali.

 

Nei mesi del 2018 e del 2019 i prezzi degli immobili in Cina hanno raggiunto il picco. Da allora sono stati in un prolungato declino.

 

La Cina ha un modello immobiliare unico e molto incline agli abusi. In genere un acquirente deve pagare in anticipo l’intero prezzo di acquisto quando uno sviluppatore ha appena iniziato la costruzione. «Acquista oggi perché il prezzo sarà ancora più alto domani» era il mantra. Prende un mutuo, di solito dalle banche locali, per farlo. Se il costruttore non completa in tempo, l’acquirente deve comunque pagare il mutuo. Anche se il costruttore fallisce come sta accadendo ora, lasciando dietro di sé abitazioni abbandonate e non finite.

 

Nessun altro Paese utilizza quel modello. Tipicamente nei paesi occidentali basta un piccolo acconto su una casa da prenotare fino al completamento. Il mutuo arriva quando la proprietà è finita. Non in Cina.

 

Finché i prezzi delle case in Cina sono stati in costante aumento, apparentemente ha funzionato e il mercato interno si è espanso. Quando quell’inflazione dei prezzi si è fermata, per una serie di motivi, e aggravata dai severissimi lockdown COVID, quella che allora era una colossale bolla immobiliare ha cominciato a implodere.

 

Secondo l’economista Robert Pettis dell’Università di Pechino, «dall’inizio della crisi immobiliare a settembre e ottobre 2021, i prezzi degli immobili sono diminuiti in oltre i due terzi delle settanta città più grandi della Cina (e probabilmente in tutte le più piccole), mentre, cosa ancora più importante, le vendite di nuovi appartamenti quest’anno (2022) sono crollate».

 

La svolta importante è avvenuta nel 2021 con il default del China Evergrande Group sulle sue obbligazioni in dollari. All’epoca era il conglomerato immobiliare più indebitato al mondo con debiti per oltre 300 miliardi di dollari. Nel 2018 Evergrande è stato considerato «il gruppo immobiliare più prezioso al mondo», secondo Wikipedia. Era sulla carta. Al momento del default possedeva anche parchi a tema, un’azienda automobilistica di veicoli elettrici, resort e terreni sufficienti per ospitare 10 milioni di persone.

 

Fino a quando Pechino non si è rifiutata di salvare Evergrande, in un tentativo tardivo di raffreddare la bolla, i finanziatori cinesi avevano continuato a concedere prestiti, sulla base del presupposto che i grandi mutuatari sarebbero stati salvati: Too Big To Fail. Pechino ha imparato tutte le lezioni sbagliate dalle banche statunitensi dopo la Lehman Bros.

 

È venuto fuori che Evergrande aveva creato una colossale frode Ponzi nel corso degli anni. Non erano unici. A seguito di un boom immobiliare speculativo dopo il 2010, i governi locali scarsamente regolamentati in tutta la Cina si sono rivolti sempre più al settore immobiliare per aumentare le entrate e raggiungere gli obiettivi di crescita del PIL di Pechino, una versione monetaria de facto della pianificazione centrale sovietica.

 

Gonfiare i valori immobiliari locali era un modo per raggiungere gli obiettivi del PIL locale. Ai funzionari locali è stata assegnata la loro quota di contributo annuo al PIL da soddisfare. Il settore immobiliare è diventato il veicolo ideale per raggiungere gli obiettivi del PIL e generare entrate locali. Finché i prezzi sono aumentati, le banche e le “banche ombra” locali sempre più non regolamentate si sono unite alla miniera d’oro «win-win». Secondo il South China Morning Post, tra il 2020 e l’inizio dei severi lockdown COVID, il contributo delle vendite di terreni e delle tasse sugli immobili alle entrate fiscali del governo locale ha raggiunto un picco del 37,6%.

 

Il default parziale di Evergrande ha scatenato il panico nel settore immobiliare cinese che i funzionari hanno cercato disperatamente e senza successo di controllare. È stata semplicemente la prima grande vittima in quello che è un tracollo sistemico. Le autorità di Pechino hanno imposto severi limiti ai prestiti immobiliari nel vano tentativo di contenere l’implosione, le cosiddette Tre Linee Rosse. Ciò ha peggiorato l’implosione della bolla immobiliare.

 

Nel 2022 le vendite di nuove case in Cina sono crollate del 22% rispetto al 2021. A febbraio 2023, i prezzi delle case in Cina erano diminuiti per 16 mesi consecutivi. Le vendite dei 100 migliori sviluppatori del paese lo scorso anno sono state solo il 60% dei livelli del 2021. Le vendite di terreni, che in genere rappresentano oltre il 40% delle entrate del governo locale, sono crollate.

 

Case vuote e disoccupazione in aumento

Fino a quando la bolla non è scoppiata nel 2022 con il default di Evergrande, i prezzi degli immobili cinesi erano aumentati parecchie volte rispetto al reddito familiare rispetto agli Stati Uniti. Cosa ancora più allarmante, due decenni di dilagante inflazione dei prezzi avevano letteralmente creato città fantasma e milioni di appartamenti vuoti. Nel 2021 circa 65 milioni di appartamenti in Cina erano vuoti, sufficienti per ospitare la nazione francese.

 

Questo è stato il risultato di due decenni o più di comuni e sviluppatori che hanno costruito oltre la domanda effettiva, poiché i cittadini hanno acquistato per investimento, non per vivere. Una stima è che tra un quinto e un quarto del patrimonio abitativo totale in Cina, specialmente nelle città più desiderabili, fosse di proprietà di acquirenti speculativi che non avevano intenzione di viverci o affittarli. Nella cultura cinese, un appartamento usato è considerato poco attraente.

 

Con il calo dei prezzi, queste case diventano impagabili.

 

I lockdown COVID senza precedenti di 3 anni che si sono conclusi bruscamente lo scorso dicembre non hanno aiutato le cose. Migliaia di produttori stranieri tra cui Apple, Foxconn, Samsung e Sony, hanno iniziato a lasciare la Cina per altre località in Asia o addirittura in Messico, alimentando una crescente crisi di disoccupazione che alimenta la crisi immobiliare in un ciclo che si autoalimenta.

 

Come risultato di questa implosione al rallentatore in tutta la Cina, per la prima volta dalla grande espansione la disoccupazione sta diventando molto grave. Questo marzo, la disoccupazione giovanile ha superato ufficialmente il 20%. Milioni di neolaureati non riescono a trovare lavoro e Pechino ha iniziato a mandarli a lavorare nelle campagne rurali, che ricordano l’era di Mao. Questo è di cattivo auspicio per le future vendite di case. Una bolla in contrazione ha una dinamica viziosa.

 

Fino all’epoca delle Olimpiadi di Pechino del 2008, gli investimenti immobiliari erano ampiamente produttivi. Ha colmato un enorme deficit di alloggi di qualità poiché una nuova classe media è diventata più ricca.

 

Dopo il 2010 circa, ciò ha iniziato a passare allo stato di bolla quando milioni di cinesi ricchi e della classe media hanno iniziato ad acquistare seconde e persino terze case per pura speculazione mentre i prezzi aumentavano a due cifre. Il grado di supervisione centrale delle finanze dei governi locali era debole.

 

Negli ultimi anni, per evitare la repressione centrale da parte delle autorità di Pechino, timorose dell’implosione di una nuova bolla del debito, i governi locali, spesso con la collusione nascosta delle gigantesche banche statali, hanno creato un’economia non bancaria, «banche ombra», tutte fuori bilancio.

 

Di conseguenza, nonostante le azioni delle autorità di regolamentazione di Pechino per controllare il tracollo immobiliare e prevenire il contagio, il debito totale, pubblico e privato, in Cina entro febbraio 2023 secondo Bloomberg ha raggiunto un allarmante 280% del PIL.

 

Commodity.com riporta che il debito statale totale della Cina nel 2023 è di oltre 9,4 trilioni di dollari. Ma ciò escludeva i veicoli di finanziamento del governo locale (LGFV). I governi locali cinesi fanno affidamento su LGFV fuori bilancio per raccogliere fondi per l’edilizia pubblica locale: abitazioni, ferrovie ad alta velocità, porti, aeroporti. Si stima che i debiti di tutti questi LGFV siano circa 27 trilioni di dollari in più.

 

La cifra ufficiale del debito totale dello Stato escludeva anche il debito delle banche statali e delle aziende statali, anch’esso chiaramente considerevole, ma non pubblicato. Quel debito totale è anche senza le dimensioni sconosciute delle banche ombra locali che l’Istituto nazionale cinese per la finanza e lo sviluppo nel 2018 ha stimato in circa 6 trilioni di dollari in più.

 

Il risultato di tutte queste omissioni è una cifra da prima pagina intesa a rassicurare i mercati finanziari occidentali che la Cina ha un debito pubblico e privato gestibile. Non è così. Tutto sommato, molto approssimativamente possiamo calcolare un gigantesco accumulo di debito di oltre 42 trilioni di dollari, una somma sbalorditiva per un’economia che solo tre decenni fa era a un livello di economia sottosviluppata.

 

Un importante veicolo utilizzato per finanziare i bilanci locali sono le obbligazioni di investimento municipali non garantite e in gran parte non regolamentate. A differenza del tradizionale debito municipale nei paesi occidentali, gli LGFV locali cinesi non sono in grado di utilizzare le entrate fiscali per finanziare gli interessi sulle obbligazioni o il pagamento del capitale.

 

Pertanto, i governi locali attingerebbero a un mercato immobiliare in crescita affittando i loro terreni a lungo termine agli sviluppatori per finanziare i pagamenti delle obbligazioni. Ciò ha creato un sistema in cui un calo sostenuto della costruzione, delle vendite e dei prezzi delle abitazioni ora crea una minaccia sistemica. Questo è ora in corso in tutta la Cina. In soli due decenni la Cina ha creato il secondo più grande mercato del debito societario al mondo dopo gli Stati Uniti, e la maggior parte di questo è nel debito obbligazionario municipale non regolamentato.

 

Come risultato di questa combinazione unica di politiche fiscali del governo locale con i mercati immobiliari locali, un sostanziale calo dei prezzi delle case o dei terreni ha notevolmente aumentato il livello di rischio di insolvenza del governo locale sui propri debiti. Nel luglio 2022 la città di Zunyi nel Guizhou è andata in default su un’importante obbligazione, portando al collasso dell’intero mercato obbligazionario locale non regolamentato, poiché in seguito le emissioni di obbligazioni locali sono crollate dell’85%.

 

Le obbligazioni erano un modo per rifinanziare il debito locale e quel canale ora è quasi chiuso, nonostante le iniezioni di liquidità di Pechino all’inizio del 2023. Gli investitori erano per lo più cinesi ordinari locali che cercavano di guadagnare sui risparmi.

 

Lo scorso aprile i funzionari di Guiyang, sempre nel Guizhou, hanno dichiarato a Pechino di non essere in grado di finanziare i propri debiti accumulati in un decennio in progetti di costruzione compreso l’alloggio.

 

Questo apre la fase successiva dell’implosione del debito. Secondo quanto riferito, diversi comuni cinesi hanno tagliato i salari, ridotto i servizi di trasporto e ridotto i sussidi per il carburante nel disperato tentativo di evitare il default.

 

 

Sicurezza nazionale ridefinita

La trasparenza dei dati finanziari è sempre stata un problema in Cina. Trent’anni fa il Paese non aveva mercati finanziari sviluppati. Finché l’economia era in espansione, tuttavia, non era una priorità. Adesso lo è, ma è troppo tardi.

 

Un segnale di quanto la situazione stia diventando grave, le autorità di Pechino hanno iniziato a limitare il rilascio di dati finanziari locali e aziendali a società straniere, definendolo un problema di «sicurezza nazionale».

 

Il 9 maggio Bloomberg ha riferito: «il giro di vite della Cina sull’accesso ai dati alle aziende estere si aggiunge alle preoccupazioni su come Pechino controlla il flusso di informazioni nel Paese, rendendo difficile per gli investitori valutare lo stato dell’economia». Informazioni come documenti accademici, sentenze giudiziarie, biografie ufficiali di politici e transazioni sul mercato obbligazionario sono interessate, riferiscono.

 

La società di consulenza statunitense Bain &Co. hanno recentemente fatto irruzione nei loro uffici cinesi nell’ambito della campagna nazionale sulla sicurezza dei dati. Tali misure possono nascondere la realtà dalle pagine del Wall Street Journal o della CNBC per un po’, ma la realtà alla base del crollo del più grande edificio finanziario del mondo sarà più difficile da nascondere.

 

Questo maggio, Dalian Wanda Group, un altro importante conglomerato immobiliare cinese con investimenti in catene cinematografiche statunitensi, immobiliari australiane e oltre, ha rivelato colloqui con i suoi principali banchieri per ristrutturare enormi debiti in mezzo a una crisi di liquidità.

 

Il Financial Times del Regno Unito il 9 maggio ha riferito che le speranze di una ripresa post-COVID della Cina stanno svanendo: «i prezzi del minerale di ferro cinese sono scesi ai livelli più bassi in cinque mesi, poiché la domanda debole si aggiunge alla prova che la ripresa economica del paese dai duri blocchi del coronavirus potrebbe vacillare… l’ottimismo e l’attività che hanno seguito la fine del blocco sono diminuiti, portando a un “crollo” nel mercato dell’acciaio».

 

Tutto ciò significa che la prospettiva che l’economia cinese sia una locomotiva della crescita per sollevare il resto del mondo dall’incombente depressione è praticamente nulla a questo punto.

 

La massiccia Belt and Road Initiative è impantanata in centinaia di miliardi di dollari in prestiti a paesi incapaci di onorare il debito, mentre i tassi di interesse mondiali aumentano e la crescita si ferma.

 

Tentativi di stimolare la crescita interna della Cina facendo affidamento su un boom dei consumi sono attualmente destinati a fallire per ovvi motivi, così come l’invito di Xi Jinping a fare del 5G, dell’Intelligenza Artificiale e di tali tecnologie la base di un nuovo boom, poiché le sanzioni statunitensi ostacolano notevolmente i progressi dell’IT cinese.

 

 

William F. Engdahl

 

 

F. William Engdahl è consulente e docente di rischio strategico, ha conseguito una laurea in politica presso la Princeton University ed è un autore di best seller sulle tematiche del petrolio e della geopolitica. È autore, fra gli altri titoli, di Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation («Semi della distruzione, l’agenda nascosta della manipolazione genetica»), consultabile anche sul sito globalresearch.ca.

 

 

Renovatio 21 offre la traduzione di questo articolo per dare una informazione a 360º.  Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

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Immagine di Chinaunderground via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

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