Pensiero
Papa Francesco ha avuto un «malore»?
Dalla voce che correva ieri fuori dalle mura leonine, che ora sarebbe smentita dei fatti, non parleremo – anche perché, credeteci, una notizia del genere non vorremmo mai essere i primi a darla. Bergoglio è già tornato in pista, va a trovare i bambini del nosocomio (le foto con i piccoli, ricordiamo, sono immancabili nel profilo dei dittatori). Dice che alla domenica delle Palme ci sarà, i riti della Settimana Santa avverranno in sua presenza, era stato detto il contrario.
Possiamo parlare, tuttavia, di quello che, in un turbine di confusione crescente, stanno dicendo giornali, agenzie stampa, siti.
Tre giorni fa la Sala Stampa della Santa sede comunicava che «il papa si trova da questo pomeriggio al Gemelli per alcuni controlli precedentemente programmati».
Poi arrivano notizie contraddittorie: non si tratta di «controlli programmati». No, Bergoglio si sarebbe sentito male nella mattinata di mercoledì, dopo l’udienza generale. «Dall’ospedale si fa sapere che il pontefice, giunto in ambulanza a seguito di un malore, ha avuto problemi cardiaci e un affaticamento respiratorio nella tarda mattinata e per sicurezza è stato portato per controlli al reparto cardiologia» scriveva il Corriere.
I giornali giovedì cominciano a battere a senso unico la storia dell’infezione respiratoria, magari ricordando che proprio un’infezione gli fece perdere cinquanta anni fa l’uso del polmone destro. (E magari, anche la tremenda sciatalgia, che gli impedisce di inginocchiarsi di fronte al Santissimo, ma gli permette di lavare i piedi agli immigrati alla grandissima durante il Giovedì Santo).
Anche qui, è una nota della Sala Stampa del Vaticano a dettare la linea:
«Nei giorni scorsi Papa Francesco ha lamentato alcune difficoltà respiratorie e questo pomeriggio si è recato presso il Policlinico A. Gemelli per effettuare alcuni controlli medici. L’esito degli stessi ha evidenziato un’infezione respiratoria (esclusa l’infezione da COVID-19) che richiederà alcuni giorni di opportuna terapia medica ospedaliera. Papa Francesco è toccato dai tanti messaggi ricevuti ed esprime la propria gratitudine per la vicinanza e la preghiera».
Bella la precisazione: non è il COVID. Del resto il papa è pluridosato mRNA, anzi, è il sacro testimonial del vaccino genico sperimentale, figurarsi se si ammala. E poi sai che disdetta: una quarantena fuori tempo massimo in Settimana Santa?
Quindi: non è in Ospedale per un checkup di routine, ma perché sta male, ha qualcosa ai polmoni. OK.
Poche ore dopo, salta fuori l’inarrestabile Dagospia, e fa una rivelazione: «altro che “infezione respiratoria”…. Le voci che si rincorrono in Vaticano, invece, vanno in un’altra direzione: “Infarto”».
Sono voci che Dagospia raccoglie da chissà quali fonti oltretevere, ma non è difficile pensare che ne abbia di buone. I responsabili della comunicazione vaticana, scrive il sito sarebbero «stati tenuti ai margini del problema di salute di Bergoglio» e che starebbero «annaspando nel “controllare” il flusso di notizie da Oltretevere». Essi, «secondo le malelingue, avrebbero un po’ “improvvisato” i due comunicati stampa diffusi di ieri mettendo in imbarazzo la Segreteria di Stato».
Le rivelazioni sul cuore del papa, anzi no. «Da quanto trapela il Papa è stato ricoverato non per la fibrillazione atriale in sé, ma per una insufficienza respiratoria legata a questa» dice un eminente cardiologo interpellato da La Stampa.
Insomma, cuore o polmoni? Dobbiamo dire polmoni perché quella è stata la prima versione dell’ufficio stampa, una volta sbugiardato sul fatto che il romano pontefice non era in ospedale per controlli?
In realtà, non rileva. È già abbastanza che abbiano cominciato a scriverlo loro, i giornali servi del sistema, che hanno gonfiato il distruttore argentino sin dal primo giorno. «Malore». Sissì, proprio così. «Malore».
Chi segue Renovatio 21 sa cosa significa. Oramai c’è un’ampia parte della popolazione per cui «malore» è il codice per dire altro, per dire quello che non si può dire, pena esclusioni dalle piattaforme social, e magari pure la pubblica censura. Questi «malori», la cui crescita spaventosa è verificabile da voi con pochi click (fino a che Google non modificherà anche quello) sono parte del biototalitarismo caricatosi definitivamente negli ultimi tre anni. La neolingua orwelliana vuole che li chiamiamo così, con questo termini leggero, «malori»: sappiamo perfettamente, invece, di cosa potrebbe trattarsi. Specie se parliamo del cuore, dove di dubbi, con questa bizzarra miocardite rampante che colpisce sportivi e bambini, non ce ne sono più.
Vogliamo ricordare che il Vaticano si è trasformato per volere di Bergoglio in un monolite fatto di vaccino Pfizer? Da quanto abbiamo appreso, la Città del Vaticano offriva quell’unica opzione ai suoi: vaccino Pfizer o vattene. Ricorderete lo scoop che fece Renovatio 21 intervistando una guardia svizzera che rifiutò il vaccino e per questo se ne dovette andare. Ci disse che il suo capitano, affranto, glielo confessò: non possiamo farci niente, è una decisione presa ben più in alto che la Segreteria di Stato – sopra la quale, ovvio, c’è solo il papa.
Bergoglio ha incontrato segretamente il CEO di Pfizer, Albert Bourla, quello che rifiuta di presentarsi al Parlamento Europeo, e di rispondere alle domande dei giornalisti che a Davos gli hanno chiesto anche dei malori, mentre messaggia tranquillo di dosi da vendere alla UE con Ursula Von der Leyen (moglie di un medico esperto, fatalità, in terapie geniche), ma gli SMS sono magicamente spariti.
Il papa che ha reso il Vaticano il posto più vaccinato della terra è, rammentiamo, quello che ha ordinato che il primo volo di soli vaccinati della storia fosse organizzato dal papato due anni fa, quando chiese ai giornalisti che volevano seguirlo nel viaggio apostolico Iraq la prova di avvenuta vaccinazione. La cosa continua ancora oggi, e con accenti piuttosto grotteschi: è stata chiesta la vaccinazione totale anche di coloro che avrebbero accompagnato il viaggio in Africa di pochi mesi fa, compresi quelli che non andavano con lui: se in Sud Sudan ci arrivavi in macchina, per partecipare agli eventi dovevi comunque avere in corpo plurime dosi di mRNA sintetico.
Non abbiamo idea degli accordi tra Pfizer e il Vaticano. Sappiamo tuttavia che, da rivelazioni fatte in altri Paesi, l’azienda pone ai Paesi condizioni notevoli, talvolta anche «beni pubblici come collateral» ha scritto il Washington Post. Immobili e opere d’arte la chiesa ne ha, in effetti.
Bergoglio ha agito come il più alto promotore del vaccino al mondo. Ha mostrato di essersi vaccinato lui stesso, ha definito il siero mRNA «un atto d’amore». Non si è nemmeno avvicinato al tema dell’uso di linee cellulari da feto abortito, con cui, come in una sorta di stregoneria rinata e distribuita globalmente, è stata prodotta la pozione anti-COVID.
Pamela Acker, la biologa cattolica che più a fondo ha trattato il tema dei vaccini in chiave religiosa, ad un certo punto lo aveva detto: «ha senso anche se ci pensi considerando la legge naturale. Se fai una cosa così atroce come l’iniettarti i residui di qualcuno che è stato assassinato, ci sarà una conseguenza naturale a questo. Non puoi farlo e non avere alcun effetto negativo».
È un giudizio morale, da credente, di qualcuno che, a differenza della gerarchia cattolica, ritiene ancora che esista il bene e il male, e che le nostre azioni hanno conseguenze, terrene e celesti.
Su Renovatio 21 lo avevamo chiamato «il papa del Battesimo di Satana», e il fondo demoniaco di tutta questa storia c’è ancora tutto.
Il tizio potrebbe non averci pensato: se apri le porte dell’Inferno, è difficile che non ti tirino dentro. Del resto sono lì per quello, fanno il loro lavoro. È il pontefice che invece non fa il suo lavoro, è il papa che opera, oggi, contro il suo ruolo, contro la natura stessa del papato, che combatte il Male e protegge il suo gregge.
Di papi all’Inferno Dante ne aveva messi un po’, e per peccati che, di fronte all’ecatombe globale sotto i nostri occhi, ci paiono robette, mentre tutto intorno i malori fanno scomparire innumeri persone, come in una piccola anteprima del tempo dell’Apocalisse.
Roberto Dal Bosco
Immagine di Yakov Fedorov via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Pensiero
Sacerdote tradizionalista «interdetto» dalla diocesi di Reggio: dove sta la Fede cattolica?
Ci risiamo.
A Reggio Emilia, ancora una volta, la Diocesi torna ad esprimersi su due sacerdoti che da qualche anno hanno preso residenza sulle colline di Casalgrande Alto, in un’altura che sormonta e si affaccia su tutto il panorama padano della provincia.
Il settimanale cattolico reggiano La Libertà, nella sua versione online, vero e proprio megafono della Diocesi, rende nota la vicenda riuscendo a sbagliare subito il bersaglio, ovvero pubblicando la foto di un castello presente a Casalgrande Alto e identificandolo, nella didascalia, come «sede della Città della divina misericordia». Peccato che quel castello non sia affatto la sede dei due sacerdoti.
Ma tornando ai due preti, trattasi di don Claudio Crescimanno e don Andrea Maccabiani, già da tempo saliti agli onori della cronaca locale e nazionale a motivo di quella che la stessa Curia ritiene essere una presenza, ma soprattutto un ministero, illecito e non autorizzato dalle gerarchie.
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Cosa fanno di così strano questi due sacerdoti? In sintesi: si limitano a fare i preti, celebrano la Santa Messa, amministrano i sacramenti e assicurano una buona formazione cattolica a ragazzi ed adulti. Insieme a loro, in quella che potremmo tranquillamente definire un’umile dimora, ci sono alcuni animali facenti parte di quella che è un’azienda agricola gestita dagli stessi sacerdoti con l’aiuto di qualche laico.
Nessun clamore. Nessun profilo appariscente o volutamente polemico, sulle colline di Casalgrande si respira piuttosto un certo silenzio e uno stile di vita molto tranquillo, sia per i sacerdoti che per i laici che frequentano la piccola comunità sorta per un semplice e quanto mai pratico motivo – cercare ciò che nelle istituzioni ordinarie ecclesiali ora sembra mancare: la Fede cattolica.
Ebbene si sa che oggi, la categoria più detestata dalla gerarchia ecclesiastica, è proprio quella che nella semplicità della tradizione bimillenaria della Chiesa Cattolica, ricerca la Fede così come sempre è stata insegnata, attraverso il catechismo e la liturgia, quest’ultima vera e propria teologia pregata.
Non potevano, a motivo di quanto appena accennato, passare inosservati due sacerdoti stanchi delle istituzioni ordinarie, stanchi di strutture senza Fede e liturgie protestantizzate («Signore io non sono degno di partecipare alla Tua mensa», recitano in coro tutti coloro i quali continuano a celebrare e a frequentare il Nuovo Rito, ignari, oppure no, di aderire ipso facto ad un protestantesimo velato sotto le mentite spoglie del cattolicesimo), giunti dunque davanti al bivio più importante della loro vita: stare con Dio e con la Chiesa, o prestare obbedienza a chi Dio lo mette sempre al secondo posto, o, addirittura, lo rende «il dio» di tutte le religioni.
Già, perché mentre la Diocesi di Reggio Emilia nei giorni scorsi stilava, per poi renderla pubblica magari anche con la lettura nelle chiese della provincia durante la Messa domenicale, la lettera che vede infliggere la pena dell’interdetto per don Claudio Crescimanno (per «interdetto» s’intende la pena che impedisce non solo di amministrare tutti i sacramenti, i sacramentali, di partecipare a qualsiasi forma di culto liturgico, ma anche l’impossibilità di ricevere ciascune delle cose elencate), papa Francesco a Giacarta, recando grande scandalo per la partecipazione ad un incontro interreligioso e la visita alla moschea di Istiqlal, non contendo, incontrando i giovani di Schola Occurrentes appartenenti alle più svariate «fedi» impartiva loro una «benedizione» interreligiosa, dove è mancato programmaticamente il segno della croce.
«Vorrei impartire una benedizione (…) Qui voi appartenete a religioni diverse, ma noi abbiamo un solo Dio, è uno solo. E in unione, in silenzio, pregheremo il Signore e io darò una benedizione per tutti, una benedizione valida per tutte le religioni». Forse per la prima volta, un papa ha benedetto qualcosa senza fare il segno della croce.
Nihil sub sole novum, è tutto già visto e rivisto in seno ai predecessori di Bergoglio, che in particolare da Assisi ‘86 in poi hanno consolidato la pratica — poiché la teoria fonda le sue radici nel Concilio Vaticano II e nei suoi stessi documenti — di un sincretismo da coltivare e, appunto, «benedire».
Nessun commento tuttavia su questa ennesima riprova di quanto la Fede cattolica da oltre cinquant’anni sia messa a forte rischio e abbia smarrito la retta via e la retta ragione, ma si trova piuttosto il tempo e la volontà di prendere seri provvedimenti verso due sacerdoti che sul cocuzzolo della montagna rispondono semplicemente alla richiesta dei fedeli che chiedono aiuto.
Suppliscono, cioè, alle mancanze dei tanti confratelli e degli stessi vescovi impegnati a riempirsi la bocca di parole come «unità», «comunione ecclesiale» e tanto altro ancora salvo poi minarla continuamente con il pieno appoggio o ancora peggio con il silenzio rispetto ad una chiesa ormai fondata su valori — o sarebbe meglio dire disvalori — che nulla hanno a che vedere con Cristo.
Sarebbe interessante, e pure molto avvincente, evidenziare tutte le possibili lacune e le imprecisioni presenti nel comunicato che vede infliggere la pena a don Crescimanno, ma non è questo l’intento. Vorrei qui invece sottolineare quella che io ritengo personalmente essere la totale impossibilità, secondo ragione e secondo logica, di ricevere, accogliere e ritenere queste pene valide.
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Se è vero che riconoscendo l’autorità gli si dovrebbe riconoscere anche il comando e, quindi, l’eventuale divieto e pena, la situazione di grave crisi nella Chiesa obbliga vescovi, sacerdoti e fedeli ancora cattolici a scegliere sé obbedire ciecamente a guide che, seppur con il carattere di guide, sono guide cieche, oppure sé ricorrere ai mezzi opportuni per salvare l’anima e salvare anime.
Dio o gli uomini. La propria anima, le anime dei fedeli, o l’obbedienza sproporzionata e non ancorata alla Verità a chi non propone più i veri mezzi della Salvezza, non proponendo più, in sintesi, Gesù Cristo ed il Suo estremo Sacrificio sulla Croce, che si ripete in modo incruento sull’Altare.
La questione, aldilà di ogni discussione di diritto canonico, è più semplice che mai, e ci obbliga, non tanto per superficialità quanto piuttosto per capacità di cogliere le priorità, ad una scelta immediata per conservare la Fede, visto la grave crisi in cui da oltre mezzo secolo versa la Santa Chiesa, costringendoci ad invocare un altrettanto e quanto mai reale stato di necessità per tante anime in pericolo poiché senza veri pastori.
Davanti a questi reali fatti, davanti allo scempio che, nei contenuti identici a chi ha preceduto ma in una forma ancor più evidente e rapida, non c’è più spazio per mezze misure, non c’è più tempo per cantilene conservatrici, oramai sepolte come polvere sotto al tappeto, spazzate via seguendo la sorte di chi, stando sempre in mezzo, viene o ingoiato da una parte o sputato via dall’altra, seguendo le coordinate di Bussole rotte, Gruppi (in)Stabili e Timoni senza più un timoniere.
Oltre a quelle già presenti e strutturate, forse è tempo di piccole minoranze pronte a sorgere ed insorgere, per combattere la propria piccola battaglia al servizio di Dio.
Forse è il tempo di ricreare quel rapporto interrotto da quella diabolica rivoluzione francese, che come insegnava il compianto Agostino Sanfratello, aveva interrotto, per sempre, quel rapporto più semplice e più genuino fra clero e popolo, nelle campagne, nelle parrocchie vere.
Casomai il vescovo di Reggio Emilia, monsignor Giacomo Morandi, dovesse perdersi su un sentiero di montagna durante una camminata od un’escursione, troverà forse la consapevolezza che, cercando nuove vie potrebbe smarrirsi; tornando indietro, invece, sulla strada principale già percorsa, potrebbe ritrovare la giusta via.
Chi ha orecchie, intenda.
Cristiano Lugli
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Geopolitica
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Pensiero
JFK: perché le vere repubbliche odiano la censura e necessitano una stampa libera
Renovatio 21 pubblica il discorso tenuto dal presidente John Fitzgeraldo Kennedy il 27 aprile 1961 davanti all’American Newspaper Publishers Association. Il significato di queste parole pronunziate oramai 63 anni fa è, con ogni evidenza, ancora piuttosto valido per l’ora presente.
La stessa parola «segretezza» è ripugnante in una società libera e aperta; e noi siamo un popolo intrinsecamente e storicamente contrario alle società segrete, ai giuramenti segreti e ai procedimenti segreti.
Abbiamo deciso molto tempo fa che i pericoli di un occultamento eccessivo e ingiustificato di fatti pertinenti superavano di gran lunga i pericoli citati per giustificarlo.
Anche oggi è poco utile opporsi alla minaccia di una società chiusa imitandone le restrizioni arbitrarie. Anche oggi, ha poco valore nel garantire la sopravvivenza della nostra nazione se le nostre tradizioni non sopravvivono insieme ad essa. E c’è il grave pericolo che l’annunciata necessità di maggiore sicurezza venga colta da coloro che sono ansiosi di espanderne il significato fino ai limiti della censura e dell’occultamento ufficiali.
Ciò non intendo permetterlo nella misura in cui è sotto il mio controllo. E nessun funzionario della mia amministrazione, di alto o basso rango, civile o militare, dovrebbe interpretare le mie parole qui stasera come una scusa per censurare le notizie, soffocare il dissenso, coprire i nostri errori o nasconderci alla stampa e ai media rendere pubblici i fatti che meritano di conoscere. (…)
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Perché in tutto il mondo ci si oppone una cospirazione monolitica e spietata che si basa principalmente su mezzi segreti per espandere la propria sfera di influenza: sull’infiltrazione invece che sull’invasione, sulla sovversione invece che sulle elezioni, sull’intimidazione invece che sulla libera scelta, sulla guerriglia notturna invece degli eserciti di giorno.
È un sistema che ha reclutato vaste risorse umane e materiali nella costruzione di una macchina compatta e altamente efficiente che combina operazioni militari, diplomatiche, di intelligence, economiche, scientifiche e politiche. (…)
I suoi preparativi sono nascosti, non pubblicati. I suoi errori sono sepolti, non messi in evidenza. I suoi dissidenti vengono messi a tacere, non elogiati. Nessuna spesa viene messa in discussione, nessuna voce viene stampata, nessun segreto viene rivelato. Conduce la Guerra Fredda, in breve, con una disciplina di guerra che nessuna democrazia spererebbe o desidererebbe mai eguagliare. (…)
Non solo non ho potuto soffocare le polemiche tra i vostri lettori, ma le accolgo con favore. Questa Amministrazione intende essere sincera riguardo ai propri errori; poiché, come disse una volta un uomo saggio: «un errore non diventa un errore finché non rifiuti di correggerlo». Intendiamo accettare la piena responsabilità dei nostri errori; e ci aspettiamo che tu li indichi quando ci mancano. (…)
Senza dibattito, senza critiche, nessuna amministrazione e nessun Paese può avere successo e nessuna repubblica può sopravvivere. Ecco perché il legislatore ateniese Solone decretò che fosse un crimine per qualsiasi cittadino sottrarsi alle controversie. Ed è per questo che la nostra stampa è stata protetta dal Primo Emendamento – l’unica attività in America specificamente protetta dalla Costituzione – non principalmente per divertire e intrattenere, non per enfatizzare il banale e il sentimentale, non semplicemente per «dare al pubblico ciò che vuole» – ma per informare, suscitare, riflettere, dichiarare i nostri pericoli e le nostre opportunità, indicare le nostre crisi e le nostre scelte, guidare, plasmare, educare e talvolta anche far arrabbiare l’opinione pubblica.
«Ciò significa una maggiore copertura e analisi delle notizie internazionali, perché non sono più lontane e straniere ma vicine e locali. Vuol dire maggiore attenzione ad una migliore comprensione delle notizie così come ad una migliore trasmissione. E significa, infine, che il governo, a tutti i livelli, deve adempiere al proprio obbligo di fornirvi la massima informazione possibile al di fuori dei limiti più ristretti della sicurezza nazionale (…)
E così è alla macchina da stampa – a colui che registra le azioni dell’uomo, custode della sua coscienza, corriere delle sue notizie – che cerchiamo forza e assistenza, fiduciosi che con il tuo aiuto l’uomo sarà ciò per cui è nato: essere libero e indipendente.
John F. Kennedy
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