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«Per me, cattolico, è qualcosa che non è umano». Intervista alla guardia svizzera che ha rifiutato il vaccino obbligatorio in Vaticano

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Dopo la lettera aperta pubblicata da Renovatio 21, intervistiamo il suo autore, Pierre-André Udressy, ex guardia svizzera che ha rifiutato di sottoporsi al vaccino in Vaticano e che ora lascia quindi Roma.

 

 

 

Allora signor Udressy, di dove è lei?

Sono ovviamente svizzero. Del Canton Vallese.

 

Quanti anni ha?

Sono del ‘97. Ho 24 anni.

 

Come è entrato nella Guardia svizzera pontificia?

Sono entrato il 3 gennaio 2020, ma era un interesse che avevo già da dieci anni. Prima avevo lavorato cinque anni come falegname. Avendo tutti i requisiti (essere cattolico, aver fatto il militare…), ad un certo punto mi sono detto perché non provare ad entrare nella Guardia. 

 

E cosa la attraeva?

È un privilegio. Un’esperienza unica. È una bella cosa. È bello poter essere al centro della situazione della Chiesa, a fianco al Santo Padre. Non ci sono altre occasioni del genere.

 

Lei ha già avuto il COVID?

Sì. L’ho preso durante le vacanze di Natale 2020. Mi sono sentito affaticato, dolori muscolari, febbre. Qualche giorno dopo ho perso l’odorato. 

 

E cosa ha fatto?

Ho preso solo dei medicinali per la febbre. È durata due giorni. L’olfatto è tornato dopo una settimana. Dopo la quarantena, ho fatto il test ed era negativo. 

 

Quindi, signor Udressy: negli ultimi giorni cosa è successo?

Ci era stata data la possibilità di iscriverci per il programma di vaccinazione verso il Natale 2020. Ma nessuno nella Guardia si era iscritto, perché tutti dubitavano del vaccino. Per questo sono state fatte delle conferenze per convincere le guardie a vaccinarsi.

 

Cosa dicevano in queste conferenze?

C’era un medico del Vaticano che spiegava il vaccino e i suoi princìpi. Poi rispondeva poi a tutte le domande sulla responsabilità del vaccino. Diceva che non era facile ammalarsi di COVID più d’una volta. La conferenza era per persuaderci, tuttavia c’erano delle cose che mi facevano rimanere in dubbio.

 

Quindi cosa hanno detto?

C’erano dei punti che mi dicevano che non era efficace. Dicevano che anche da vaccinati si trasmetteva il virus. Dicevano anche che nonostante il vaccino le restrizioni come le mascherine e il distanziamento sociale non sarebbero sparite. Era duro comprendere l’efficacia del vaccino e la sua utilità.

 

Nella conferenza a cui ha assistito si è parlato del tema delle linee cellulari di feto abortito usate per la produzione del vaccino?

Ne hanno solo accennato rapidamente, dicendo che la Congregazione per la Dottrina della Fede ne aveva già parlato e dato il suo assenso. 

 

Le è sembrato strano?

Sì, sono uscito dalla conferenza stranito. La conferenza mi ha dato più dubbi sul vaccino che altri. Mi ha convinto a non farlo. Ho messo in dubbio tante cose.

 

Quanti colleghi l’hanno pensato come lei?

Quando è arrivata l’estate la maggioranza si era iscritta alle vaccinazioni. Altri avevano ancora dubbi.

 

E poi?

In agosto è uscito un documento che ha scaturito una pressione maggiore. A questo punto, molti altri si sono convinti a iscriversi e a vaccinarsi.

 

Cosa diceva il documento?

Ho ricevuto il documento il 20 agosto. Bisognava dare una risposta per il 15 settembre: o si presentava un’esenzione medica, o bisognava iscriversi per la vaccinazione.

 

Cosa ha pensato?

In quel momento ho cominciato a scrivere la lettera che avete pubblicato. Perché né l’una opzione o l’altra mi riguardavano. Ho capito in quel momento che ero obbligato a fare il vaccino.

 

E i suoi superiori?

Mi hanno convocato. Il comandante nel suo ufficio mi ha spiegato deluso ed afflitto che era una cosa definitiva, le guardie non vaccinate dovevano partire. In pratica le guardie non vaccinate potevano essere licenziate. Mi ha comunicato che la decisione veniva non solo dalla Segreteria di Stato, ma dall’autorità del Vaticano.

 

Vuole dire… dal papa?

È così. È stato anche spiegato che non c’era nessun altra possibilità, nemmeno aspettare un mese in più per un tipo di vaccino tradizionale. Mi è stato spiegato che prendere tempo per discutere era impossibile. La decisione era presa.

 

E i suoi colleghi?

Molti giovani hanno deciso di continuare la propria carriera e hanno accettato di vaccinarsi. Altri hanno fatto la terribile scelta lo hanno fatto per la loro funzione, non avendo veramente scelta. Tre si sono dimessi e tre sono stati licenziati. 

 

Ha parlato con i suoi colleghi che hanno rifiutato come lei?

Sì. Non capiscono cosa succede.

 

Ha già ricevuto la lettera di licenziamento?

Ho avuto una lettera che mi diceva che avevo tempo fino al 6 ottobre per licenziarmi o per fare il vaccino. Dopo quella data, ci sarebbe il licenziamento.

 

Come funziona il green pass vaticano?

La cosa più particolare è che per entrare nel Paese stesso ci vuole il green pass. Serve per entrare in ogni ufficio. In ogni servizio c’è un controllo. Chi non ha il green pass deve fare il tampone, ogni due giorni. Dal primo ottobre, per tutti. 

 

E cosa ne pensa?

In teoria tutti dovrebbero farlo: il rischio è lo stesso tra vaccinati e non vaccinati. 

 

Per le messe in Vaticano ci vuole il green pass?

Il decreto spiega che per le cerimonie liturgiche e l’udienze c’è eccezione. C’è il paradosso che un non vaccinato che abita in vaticano non può tornare a casa ma migliaia di persone da tutto il mondo possono andare alle udienze senza controlli.

 

Sa per caso quale vaccino è inoculato in Vaticano?

Il vaccino proposto a inizio anno era il Pfizer. Ma alla fine dell’estate in Vaticano hanno finito di vaccinare.

 

Perché?

Interessante… hanno detto che la maggior parte era vaccinata. I migranti e i bisognosi in ultima hanno potuto chiedere di essere vaccinati tramite l’elemosiniere.

 

Quindi se lei decidesse di vaccinarsi dovrebbe farlo in Italia?

Sì, è così. Dovrei organizzare la vaccinazione in Italia.

 

Dove avvengono le inoculazioni?

Erano organizzate in Aula Paolo VI. E poi al Braccio di Carlo Magno. Credo per liberare l’aula delle udienze.

 

I membri del clero, dai sacerdoti ai cardinali, sono tutti vaccinati?

No. Qualcuno non è vaccinato e non vuole esserlo. Ho ricevuto i complimenti per la lettera che avete pubblicato da alcuni di essi. 

 

Come fanno a stare in Vaticano?

Fanno il tampone. Loro hanno ancora l’opzione. Secondo il decreto vaticano, il tampone dovrebbe essere tollerato per tutti. Ma non è il caso della Guardia svizzera.

 

Che, al contrario, è stata obbligata al vaccino…

Sì. Hanno cominciato con la Guardia, offrendo l’argomento che siamo una forza di polizia, e siamo vicini al Santo Padre: quindi dovevamo vaccinarci. Per la Guardia è facile: basta dare un ordine, visto che si tratta di un corpo militare.

 

Esiste dentro lo Stato della Città del Vaticano una resistenza a tutto questo?

Con la pressione fatta, come per tutti, è difficile per le persone che resistono di manifestare il proprio pensiero pubblicamente. Alcuni approfittano del fatto che stanno finendo la loro funzione per partire, altri provano discretamente di continuare, ma nessuna resistenza attiva è realizzata.

 

Cosa avrebbe potuto fare la Guardia?

Avremmo potuto riunire le persone interessate e fare una manifestazione. Avremmo potuto porre questioni prima, avremmo potuto anche domandare giustizia, perché molte cose implicate, sul pretesto dell’urgenza, erano ingiuste. Potevamo fare più rumore, anche sui media, ma siamo stati, alla fine, molto docili.

 

E nel suo caso?

Ho preferito scrivere una lettera con la mia posizione, invece che creare problemi. Ho subito tutto il resto.

 

Tornando in aereo dal suo viaggio Centro Europa, il papa ha detto che c’era in Vaticano «un piccolo gruppetto» che non voleva vaccinarsi. A chi si riferiva in particolare?

Si riferiva a tutti quelli che non vogliono vaccinarsi. Non solo alle guardie e non solo ai cardinali.

 

Perché tanti suoi colleghi si sono vaccinati?

Molti che hanno deciso di farlo lo hanno fatto per salvare il loro servizio nella Guardia. La maggioranza, tuttavia, credo l’abbia fatto per fuggire a questa pressione, per poter uscire, andare al ristorante. Non per motivi medici. Per delle false libertà.

 

Quanti nutrivano dubbi etici sui vaccini?

La questione etica è stata posta prima di Natale. Dopo il documento della Congregazione della Fede nessuno ne ha più parlato. Il problema non era etico. Il problema era solo di politica del vaccino.

 

Il problema delle linee cellulari da feto abortito era sentito?

No. E io stesso non avevo studiato questo problema prima. Ero più preoccupato dal resto dei problemi. È solo alla fine che ho rilevato questo problema etico. Per me è fondamentalmente un problema di ragione: perché accettare qualcosa che non è per me ragionevole? Poi c’è il problema politico: c’è attorno a questa cosa una pressione che non è normale. Poi c’è il problema etico.

 

Come reputa quello che le è successo?

In generale, trovo scandaloso che sia imposta questa cosa in questo modo per un fatto politico, quando dovrebbe essere qualcosa fatto con coscienza con un medico. È estremamente grave che questo obbligo sia esteso a tutto il mondo. Soprattutto la soppressione della libertà… ed è ancora più grave che ciò accada in Vaticano, in maniera ancora più forte che in altri Paesi. Il Vaticano è il centro della Chiesa, dovrebbe difendere la libertà di coscienza, la libertà in generale. Per me, cattolico, è qualcosa che non è umano.

 

Perché secondo lei il Vaticano ha implementato con questa ferocia la vaccinazione obbligatoria?

È un piccolo Paese. Credo che abbiamo provato a farne un modello.

 

Come Israele?

Sì, effettivamente.

 

Cosa c’è all’origine di questo male in Vaticano?

I medici hanno preso il potere con l’emergenza, e hanno cominciato a decidere loro. Ma non solo, c’è anche un’altra cosa. C’è il fatto che non si cerca più a difendere la verità, ma si cerca di adattarsi a quello che accade fuori, e addirittura essere i primi a applicare i cambiamenti.

 

Cosa farà adesso?

Tornerò in Svizzera. Dovrò riadattarmi alla vita di laggiù. Riprenderò il lavoro di falegname. In tranquillità. Senza green pass – per il momento.

 

Gender

Messaggi dal futuro trans-Conclave. Neanche tanto subliminali

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Questo articolo contiene spoiler, cioè rivelazioni di colpi di scena nella trama, sia di film che di quello che – viene da pensare – potrebbe essere il Conclave del futuro. Secondo quanto sta filtrando in questi giorni, chi unisce i puntini non può evitare di pensare che il Conclave del futuro assomiglierà ad un filmetto fantascientifico, che infatti già sta mandando a noi indietro nel tempo messaggi precisi, non esattamente sottili.

 

Realtà e finzione: partiamo da quest’ultima.

 

Abbiamo visto come, negli ultimi anni, Hollywood abbia confezionato prodotti che interessavano la narrativa globale della chiesa attuale. I due papi (2019), distribuito da Netflix, pareva fatto apposta per normalizzare l’aberrazione del papato bicefalo: come un aiutino per evitare che la gente si chiedesse «perché ho due papi» (che, di fatto, è il titolo di un libro gender per bambini di qualche anno fa). Una domanda che hanno smesso di porsi, tipo subito, anche vaticanisti, giornalisti d’inchiesta, etc. Noi siamo rimasti col dubbio: nessuno ci ha spiegato bene come sono andate le cose (beh, su Renovatio 21 abbiamo parlato di quelle strane anticipazioni cinesi…), al punto che abbiamo brancolato nel buio come quasi quanto, si parva licet, la sostituzione del premier da Letta a Renzi (se qualcuno sa perché, o conserva un articolo di giornale che lo spieghi, ci scriva in privato).

 

Qualcuno ha detto che anche il film L’uomo venuto da Kremlino (1968) di fatto preparava l’avvento di un papa dall’Est comunista, come avvenuto una decade dopo con l’elezione di Karol Wojtyla. Di nostro pensiamo che pure la serie The Young Pope, realizzata dalla rete specializzate in zozzerie HBO, avesse un suo messaggio extracinematografico latente – abbiamo pensato che servisse a preparare l’idea di un papa ateo – tuttavia il realizzatore napoletano si è perso quasi subito nel compiacimento di filmare paramenti sgargianti, suore che si denudano e manierismi autoerotici.

 

Oggi, quando comincia a tirare una certa aria da fine di Regno del papa in carrozzella, si prepara un’altra mossa cine-cattolica interessante.

 

È di prossima uscita una grande pellicola hollywoodiana che si chiama, con semplicità, Conclave. C’è un cast di stelle assolute: il premio Oscar Ralph Fiennes, il bravissimo Stanley Tucci (che, qualsiasi cosa faccia, si lascia guardare davvero), il grandissimo, sottovalutato, John Lithgow, Sergio Castellitto, tutti ad interpretare i cardinali di Santa Romana Chiesa nel momento della sede vacante.

 

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La base è l’omonimo  romanzo del 2016 di Robert Harris, scrittore di romanzi storici molto popolari ed apprezzati, e uomo che ogni tanto lancia qualche raggio interessante: ci riferiamo, soprattutto, a Ghost Writer, di cui Renovatio 21 ha parlato altre volte, in pratica la rivelazione che il premier britannico Tony Blair, tramite la moglie Cherie, sarebbe stato utilizzato come una marionetta dallo Stato Profondo americano. Roman Polanski ne fece un film che ancora oggi stupisce per la brutalità dei suoi riferimenti al mondo reale.

 

E quindi, che questo Conclave contenga qualche segreto su cui vale la pena di mettere la testa?

 

L’intreccio di per sé non è inaudito: ecco la battaglia di voti e di complotti per l’elezioni di un nuovo papa, con la fazione progressista guidata dal cardinale Aldo Bellini (Stanley Tucci), segretario di Stato ed ex arcivescovo di Milano, contro il cardinale Goffredo Tedesco (Castellitto), patriarca di Venezia definito come «tradizionalista» convinto, leader di tutta l’ala conservatrice, intento primariamente ad ammassare 40 voti necessari a bloccare i candidati modernisti.

 

SPOILER: Tra i due litiganti, la spunterà un terzo, il filippino Vincent Benitez, arcivescovo di Baghdad, nominato dal papa morente come cardinale in pectore poco prima di morire. Un prelato le cui opere pie sono leggenda: ha creato rifugi per donne e bambini vittime di abusi nelle Filippine e in Congo.

 

Quando il collegio è informato di attacchi islamisti contro le istituzioni cattoliche, il patriarca veneziano, il conservatore cardinale Tedesco tiene un discorso che indica la necessità di una rappresaglia, mentre il cardinale Benitez dice che mai si può opporre violenza a violenza.

 

Passando direttamente al voto, il cardinale Benitez viene eletto papa con 92 preferenze, due terzi della maggioranza richiesta. Il nuovo papa prende il nome di Innocenzo XIV.

 

È a questo punto che il protagonista, il decano del collegio cardinalizio Thomas Lawrence interpretato da Ralph Fiennes (nel libro era invece il vescovo di Ostia Jacopo Baldassare Lomeli) riceve una notizia sconvolgente, il coup de theatre, tanto significativo per il film e per la realtà dell’ora presente. SPOILER Benitez aveva prenotato e poi disdetto mesi prima un appuntamento in una clinica di cambio di sesso a Ginevra.

 

Il nuovo papa rivela quindi di essere nato intersexual «intersessuale»: una volta si diceva «ermafrodita», ma ora si dice così, ed è quella «I» che talvolta vedete apparire nel sempre cangiante acronimo arcobalenato: LGBTQI. Il papa dice di essere stato cresciuto dai genitori come maschio, e di non aver sospettato mai nulla perché non ha mai avuto contezza dell’anatomia maschile sino a che in Iraq non era stato ferito, con il medico che gli ha detto quale fosse la sua condizione genetica.

 

Il nuovo papa racconta che il papa morto aveva rifiutato la sua lettera di dimissioni addirittura promuovendolo, creandolo cardinale in pectore. Il  decano del collegio, appreso il segreto, decide di coprire tutto, confidando nel disegno di Dio, ma al contempo ammette la bomba ad orologeria: la verità inevitabilmente verrà a galla quando, dopo la sua morte, vi potrebbe essere un’analisi medica sul corpo del papa…

 

Insomma, per farla breve: ecco il papa transessuale.

 

Se credete sia uno stretch di immaginazione troppo grande, vi sbagliate: il messaggio qui è chiarissimo, e lo strumento di persuasione pure. Non abbiamo qui un papa travestito, ma la forma resa accettabile dalla Finestra di Overton: è un ermafrodita, che colpa ne ha, anzi lo ha voluto così Dio. Born this way, nato così, cantava Lady Gaga a Roma davanti ad una folla di gay estasiati al concerto spinto dagli USA in faccia agli ultimi tempi del Vaticano ratzingheriano.

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Bisogna ammettere che il disegno è più complesso del previsto: ma quale «frociaggine», ma quale Fiducia Supplicans –  la vera rivoluzione sessuale in Vaticano la stanno facendo passando direttamente per il transessualismo, la regione più ostica di tutto l’impero arcobaleno.

 

Quante volte questo sito ne ha parlato? Tante. Talmente tante che un grande giornale americano, ad un certo punto, ci ha chiesto un commento sul tema: papa Francesco e i transessuali.  Gli episodi sono pressoché senza sosta. Transessuali di Ostia a pranzo dal papa (con tanto di filmino delle agenzie di stampa internazionale). Transessuali in udienza (già dai primi anni di pontificato). Transessuali a cui l’elemosiniere del papa fa la carità (Krajewski, sempre lui). Transessuali fatti vaccinare in  Vaticano (sì, eccezionale). Transessuali dichiarati idonei a fare i padrini (madrini) alle cresime (primo colpetto sparato da Tucho Fernandez). Transessuali detti  come da «integrare nella società» (lettera di Bergoglio a Suor Gramick, pochi mesi fa).

 

L’ultima solo pochi giorni fa, gruppo attivista omotransessualista viene incontrato privatamente dal papa, che viene esortato ad accettare i «cambi di sesso». L’incontro è stato segnalato, fotografato, pubblicato. Il messaggio non è subliminale: è bello chiaro, direi.

 

Cosa c’è dietro questa strategia? Qualcuno potrebbe dire: forse il Vaticano modernista crede che l’omosessualità – che affligge programmaticamente una gigantesca parte della gerarchia e del clero tutto – sarà più facilmente sdoganabile attraverso i transessuali, che sono fatti così, irreversibilmente, da Dio o dal chirurgo, e quindi almeno in apparenza rispettano la dicotomia tipica della società umana.

 

Magari la Santa Sede ha il modello dell’Iran: inferno per i gay e paradiso per i transessuali, le cui operazioni di cambio di sesso in terra sciita sono  fiorenti, grazie ad una fatwa dell’ayatollah Khomeini del 1987, dove si dichiarava che non vi erano restrizioni religiose al cambio di sesso.

 

Quindi: i preti vogliono arrivare alla chiesa arcobalenata, dove potranno fare open air quello che ora fanno di nascosto in seminari, monasteri e stanze del Sacro Palazzo (ma poi perché? Si rendono conto che perderanno completamente il piacere di farlo, in segreto, contro la morale verso cui giurano, oltre che contro natura?) e per farlo passano per i «casi umani», le «eccezioni scientifiche», che come sappiamo abbondano nelle prime due fasi di Overton, una volta avviato il processo.

 

È così? O forse c’è qualcosa di più oscuro?

 

Qui finiamo in un girone diverso, con film differenti. C’è un cult-movie di una vita fa, La casa dalle finestre che ridono (1976), un «horror padano» che aveva come rivelazione finale (SPOILER) il fatto che l’assassino seriale era il prete, e che per di più esso… era in realtà una donna. Il climax è di fatto identico a quello di Conclave: con la differenza che allora esprimeva orrore assoluto, mentre ora invece è un segno positivo, quasi divino.

 

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Ricordo come, un quarto di secolo fa, a Milano andai alla presentazione della versione in DVD (allora esistevano) della Casa dalle finestre che ridono: il regista Pupi Avanti raccontava come l’idea gli fosse venuta da storie che sentiva da piccolo, raccontate dagli adulti per terrorizzare i bambini: guarda che se non ti comporti bene arriva il prete-donna. Avati aveva aggiunto anche vi era una leggenda, nell’Emilia di una volta, che diceva che alla morte di un sacerdote si scoprì che non era un uomo – proprio come nel futuro immaginato dal cardinale che decide di insabbiare l’ermafroditismo del nuovo papa di Conclave.

 

L’orrore si appresta a divenire accettato, a divenire realtà?

 

Dobbiamo ricordare che, come sempre nelle cose di Chiesa, non si tratta di una novità – neanche quando si parla di transessualismo teologico e di altri mostri.

 

Nell’aprile 1979, sulla rivista Seminari e teologia, apparve l’articolo di una suora che parlava di «stranissima anomalia» e di «madornale equivoco» nella teologia trinitaria cattolica: lo Spirito Santo è in verità una Spirita santa. Già Romano Amerio commentava che non si può in alcun modo «trovare nuova la stravaganza della Spirita Santa. Essa trovasi notata già in Agobardo e d’altronde gli eretici nominati Osceni facevano femmina la terza persona e la adoravano incarnata nella Guglielmina Boema» (Iota Unum, Fede&Cultura, Verona 2009; p.184).

 

Già, Guglielmina la Boema, guaritrice-strega del XIII secolo il cui culto fu condannato da Bonifacio VIII. Una biografia tedesca la chiama, appunto, Die Päpstin von Mailand, la Papessa di Milano. Se al lettore è suonato un campanello, diciamo che sì, è esattamente lei: quella presso la cui tomba, all’Abbazia di Chiaravalle, si volle far seppellire Raffaele Mattioli, signore del sistema bancario italiano, i cui rapporti con i poteri occulti nazionali non sono chiarissimi, che avrebbe fatto parte del tavoli di spartizione dell’Italia ad una fantomatica cena con De Gasperi e Togliatti: al PCI la cultura e due regioni, alla DC il potere politico, e le banche invece andavano alla…

 

Parliamo di una papessa vera, come quella che appare nelle carte dei tarocchi. E che forse ha, ancora oggi degli estimatori.

 

Già molto era emerso una diecina anni fa, quando sui giornali prese a girare l’ipotesi che il nuovo papa fresco di nomina, già apertamente rivoluzionario (ricordate le telefonate a gente a caso? Ricordate il «chi sono io per giudicare» in replica alla domanda sul monsignore che dava scandalo?) poteva volendo eleggere a cardinale una donna. Cardinala. Cardinalessa. Cardinal*.

 

Il sommovimento fu  tale che anche il canale TV La7, che apparecchia furbamente palinsesti in tempo reale sperando di incidere sulla realtà del Paese, in quei giorni mandò in onda Die Päpstin (2009), un oscuro film tedesco sulla mitologica donna-Papa dove la Chiesa è dipinta come un postribolo di machisti lussoriosi e violenti, uomini insensibili all’amore e alla bellezza, del quale invece sono ovviamente esperte le donne, che – ça va sans dire – sono più adatte a guidare la Chiesa.

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Vedete: è una vecchia storia, è solo una piccola, innocente tradizione gnostica che può essere riattivata a piacimento.

 

Ora, il lettore è informato del fatto che Francesco ha appena ordinato 21 nuovi cardinali. Sono il larga parte sostenitori della Fiducia Supplicans, il documento sulle benedizioni gay che, viene da pensare, con probabilità era solo una trappoletta per i vescovi di tutta la Terra, una cartina tornasole per capire chi è dentro e chi è fuori: di fatto, gli africani, oppostisi in blocco, sono praticamente assenti dalle nuove nomine.

 

Quindi, su quello che può succedere, possiamo avere una mezza idea. O forse no: la realtà, lo abbiamo veduto tante volte, supera la finzione, mentre i segni apocalittici abbondano senza pudore.

 

Il papa-donna è dietro l’angolo. Il papato definitivamente omotrasessualizzato pure.

 

Segni più mostruosi della fine dei tempi, ne abbiamo? No, perché a questo punto, davvero, stanno spoilerando alla stragrande.

 

Roberto Dal Bosco

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Spirito

Nuovi cardinali: Papa Francesco affronta la tentazione del conclave

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L’annuncio di Papa Francesco, il 6 ottobre 2024, dalla finestra dell’appartamento papale che affaccia su piazza San Pietro, della convocazione di un concistoro pubblico ordinario – il decimo del suo pontificato – ha colto di sorpresa non pochi osservatori. Secondo la volontà del romano pontefice, l’8 dicembre verranno creati ventuno nuovi cardinali.   Una decisione che sorprende, perché non è evidente l’urgenza di queste nuove creazioni cardinalizie: il Sacro Collegio contava 121 elettori al 5 ottobre, uno in più rispetto al numero massimo di 120 cardinali aventi diritto effettivo di voto in conclave, un quorum fissato e inciso nella pietra del diritto canonico da Giovanni Paolo II.   Dall’annuncio del 6 ottobre che li integra nel Sacro Collegio, saranno presto 141 quelli che potranno pretendere di eleggere il futuro successore di Pietro. Qualcuno obietterà che quindici di loro dovranno perdere il diritto di voto entro il 2025 a causa del limite di età fissato a 80 anni, ma l’emergenza non viene piuttosto dall’inquilino di Santa Marta, che sembra voler accelerare?   Il profilo dei nuovi cardinali suggerisce infatti alcune intenzioni che hanno guidato il papa nella sua decisione. Innanzitutto, la volontà di improntare quanto più chiaramente possibile la propria linea pastorale al Collegio che dovrà designare il suo successore: con il timore implicito che la sinodalità imposta dal pontefice argentino possa essere messa in discussione in un imprevedibile «dopo Francesco».   Così, mons. Jean-Paul Vesco, arcivescovo di Algeri dal 2021, è molto legato al dialogo con l’Islam e si è posizionato molto chiaramente, dal 2015, a favore dell’integrazione dei divorziati risposati nella pastorale dei sacramenti. Come ricorda Jean-Marie Guénois su Le Figaro dell’8 ottobre, mons. Vesco è «contro il modello “patriarcale” e “anacronistico” della Chiesa attuale» e desidera dare più spazio alle donne.   Il caso di padre Timothy Radcliffe, domenicano progressista favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso, così come quello di mons. Carlos Gustavo Castillo, arcivescovo di Lima e vicino alla teologia della liberazione, lasciano pochi dubbi sulle intenzioni di papa Francesco.

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Se diminuisce la quota degli europei nel Sacro Collegio, che riflette l’evoluzione della Chiesa, anche il peso della Curia risulta indebolito da queste nuove nomine: da essa escono solo tre nuovi cardinali; osservazione che acquista tutto il suo significato se ricordiamo che l’attuale papa diffida di una Curia romana che non ritiene sufficientemente docile ai suoi orientamenti, e che non esita ad aggirare regolarmente.   Sorge una domanda sull’Africa, quasi assente in questa nomina: gli africani sono stati «puniti», come suggerisce un articolo di Corrispondenza Romana, a causa del rifiuto di Fiducia supplicans? Questo continente, uno dei più floridi numericamente, avrà un solo cardinale, mons. Ignace Dogbo, arcivescovo di Abidjan, mentre vedrà una nomina anche quella piccolissima minoranza di vescovi nordafricani, che ha approvato la benedizione degli omosessuali.   Anche gli europei ne vedranno uno solo; per quanto riguarda l’episcopato americano, esso viene ancora una volta messo da parte, a vantaggio di un canadese. Quanto all’America Latina, ne riceve quattro: è vero che i vescovi di questa parte del continente americano sono spesso (molto) progressisti.   Una cosa è certa: Francesco non ha intenzione di arrendersi. Il prossimo concistoro prevede molti nuovi cardinali, molto giovani, a dimostrazione del desiderio di dare alla Chiesa un orientamento per le generazioni future, e senza dubbio anche di cercare di influenzare il prossimo conclave.   Questo tipo di calcoli è sempre azzardato e nulla viene mai deciso in anticipo, ma proprio questa gioventù, che rende difficile cogliere i problemi della Chiesa con la necessaria maturità, non può che preoccupare chi scruta la composizione del futuro incontro che si terrà eleggere il prossimo papa.   Senza dimenticare, però, che il Capo della Chiesa è Gesù Cristo…   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia    
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Geopolitica

Bergoglio incontra privatamente Zelens’kyj

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Bergoglio ha incontrato in Vaticano il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, segnando il loro terzo incontro da maggio 2023.

 

Venerdì mattina presto, il grande corteo di Zelensky lo ha condotto attraverso Roma per un’udienza privata con Papa Francesco.

 

La visita, durata 35 minuti, era stata annunciata dal Vaticano il 9 ottobre. È il secondo incontro di persona tra Francesco e Zelens’kyj quest’anno: si erano già incontrati durante l’evento del G7 ospitato dall’Italia a giugno.

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In una leggera deviazione dai normali dettagli sommari rilasciati dal Vaticano sulle visite dei capi di stato, il comunicato stampa riguardava solo la conversazione di Zelensky con il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, e il ministro degli esteri, l’arcivescovo Richard Gallagher. Non sono stati forniti dettagli sulla conversazione del Bergoglio con lo Zelens’kyj.

 

 

«I colloqui in Segreteria di Stato sono stati dedicati allo stato della guerra e alla situazione umanitaria in Ucraina, nonché alle vie che potrebbero metterle fine, portando ad una pace giusta e stabile nel Paese» si legge nel comunicato stampa della Santa Sede. «Inoltre, sono state esaminate anche alcune questioni relative alla vita religiosa nel Paese».

 

 

Dopo l’incontro, il presidente ucraino ha pubblicato online che «la questione del rientro a casa del nostro popolo dalla prigionia è stata il tema principale del mio incontro con Papa Francesco».

 

«Contiamo sull’assistenza della Santa Sede per aiutare a riportare indietro gli ucraini fatti prigionieri dalla Russia», ha aggiunto.

 


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Sono degne di nota le discussioni di Zelens’kyj con Parolin e Gallagher sulla vita religiosa in Ucraina, poiché la religione ha rappresentato un importante elemento latente dell’attuale conflitto nella regione.

 

Come riportato da Renovatio 21, il regime di Kiev sta perseguitando la Chiesa Ortodossa Ucraina canonica (UOC), arrestando e condannando i suoi preti e vescovi, privandoli della cittadinanzaproibendo le preghiore in russoassediando con i militari i luoghi di culto facendoli sgombrare dall’antico monastero della Lavra. Bergoglio aveva in passato fatto un timido appello per i monaci di Kiev, a quanto pare inascoltato, o sommerso dalle velleità diplomatiche della nuova Santa Sede, che pure in assenza dell’antico prestigio e potere diplomatico, vorrebbe portare Mosca e Kiev ad un negoziato, ricevendo plateali porte in faccia pure quando ospita Zelens’kyj presso il Sacro Palazzo.

 

Ad agosto, papa Francesco aveva condannato pubblicamente la decisione del governo Zelens’kyj di vietare le attività della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca (UOC) nel Paese, accusata dal governo ucraino di essere un mezzo utilizzato dalla Russia per spiare il Paese.

 

In precedenza, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) aveva criticato il governo ucraino per aver fatto irruzione nelle proprietà della Chiesa ortodossa ucraina e per aver arrestato alcuni membri del suo clero a causa dei precedenti legami ufficiali della chiesa con il Patriarcato di Mosca.

 

Poi, nel dicembre 2023, l’ufficio comunicazioni della Chiesa greco-cattolica ucraina (UGCC) ha riferito che le autorità russe hanno vietato la chiesa nella regione occupata di Zaporizhzhia. I russi avrebbero anche vietato i Cavalieri di Colombo e l’organizzazione Caritas cattolica.

 

Parlando con Bergoglio all’inizio di questa settimana, alla vigilia della visita di Zelens’kyj, l’arcivescovo maggiore di Kiev, monsignor Sviatoslav Shevchuk, ha informato il pontefice sulla situazione attuale in Ucraina. Ha aggiunto che Zelens’kyj considera il papa una «voce e un’autorità morale globale», forse dimenticando gli insulti fatti piovere da un consigliere del presidente ucraino sul vertice della Chiesa cattolica e sul cristianesimo tutto qualche mese fa: Mikhailo Podolyak è arrivato a definire il papa uno «strumento della propaganda russa» che «ingannerrebbe l’Ucraina».

 

Va ricordatoBergoglio aveva pure baciato pubblicamente, durante un’udienza dello scorso anno, la bandiera di una «centuria» del golpe di Maidan.

 

Tornando dal viaggio apostolico a Budapest, dove Bergoglio aveva incontrato il metropolita ortodosso Ilarione, religioso di vedute moderniste (e sfrenatamente vaccinisteallontanato dalla gerarchia centrale del Patriarcato di Mosca, aveva millantato ai giornalisti chissà quali manovre dietro le quinte per risolvere il conflitto in corso. All’epoca ci sembrarono vanterie e fandonie improvvisate, e non possiamo ora che confermare la nostra impressione.

 

Ci fu poi la visita, fatta in maglioncino con simboli banderisti, di Zelens’kyj presso la Santa Sede nel suo tour romano, dove ha potuto abbracciare la Meloni, Mattarella e Bruno Vespa. Dal papa, ricorderete tutti, Zelens’kyj si contraddistinse per una boria inflessibile, al punto che, come mostrato dalle TV, contrariamente ad ogni protocollo, si sedette prima che lo facesse il pontefice che lo ospitava. In pratica, l’intera operazione era una grande porta sbattuta di persona dal vertice di Kiev in faccia alle ambizioni diplomatiche del papato.

 

Attualmente è impegnato in un tour di 48 ore nelle capitali europee e tra i leader politici nazionali, dopo aver incontrato il primo ministro britannico Keir Starmer con il nuovo segretario generale della NATO Mark Rutte, il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro italiano Giorgia Meloni.

 

La Santa Sede è stata coinvolta in missioni diplomatiche che cercano di realizzare la pace nell’attuale guerra tra Russia e Ucraina. Dal 2023, tali sforzi sono stati guidati pubblicamente dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della conferenza episcopale italiana, con praticamente nessun risultato, se non l’umiliazione della comprensione che la diplomazia vaticana, un tempo tanto potente, ora non vale più nulla..

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Grazie a questi sforzi è stato effettuato più di una volta uno scambio di prigionieri; in particolare la Santa Sede ha chiesto alla Russia di restituire i bambini all’Ucraina.

 

A luglio, il cardinale Parolin aveva visitato Zelens’kyj in Ucraina. Parolin, che ha guidato la posizione diplomatica della Santa Sede sull’Ucraina a livello internazionale più ampio, in forum come l’ONU, ha costantemente ribadito la richiesta del Papa di dialogo e pace nella regione.

 

Renovatio 21, piuttosto in solitaria, ha fatto notare il caso di un sacerdote greco-cattolico ucraino, quindi in comunione con Roma e Bergoglio, sia stato attaccato e costretto a scusarsi per essersi permesso una preghiera Dio per la pace durante un’omelia. Al momento, per questa grave violazione della libertà religiosa di un sacerdote cattolico, non una parola è stata detta dal Vaticano.

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