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Bergoglio e l’«Opus Gay»

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Ad un convegno tradizionalista di una diecina di anni fa incontrai un anziano, coriaceo studioso straniero di cose cattoliche – una persona speciale, un amico. Si occupava di cose di Chiesa da molto prima che nascessi, e aveva ovviamente ancora qualche entratura dentro le strutture del Sacro Palazzo.

 

Eravamo a pochi mesi dal bizzarro conclave che elesse Bergoglio, e si discuteva cosa stesse succedendo in Vaticano. Mi sparò, con stupendo accento oltremontano, una battuta poco politicamente corretta, che disse di aver sentito da un amico che lavorava oltretevere: «a Rhoma ora ci sono tre opuss: opuss dèi, opus ghei, opuss ebrheih».

 

Riguardo alla precisione di questa battuta – da cui prendo ovviamente le distanze – gli anni successivi mi avrebbero dato qualche dimostrazione.

 

L’Opus Dei, pare che contrariamente a quanto previsto scherzosamente abbia invece perso potere, anche se di sforzi per restare a galla deve averne fatti: un po’ il destino di CL, che prese botte dal pontefice per un primo periodo, poi fece un po’ di «aperture» (lato sensu, stricto sensu) per tornare nelle grazie della centrale, e adesso non sappiamo bene che fine abbia fatto.

 

Riguardo agli ebrei, l’immagine che torna è quella di Netanyahu che guida Bergoglio alla tomba di Theodor Herzl, il fondatore del sionismo, che fu ricevuto da papa San Pio X ricevendo secchiate di acqua (santa) fredda riguardo un appoggio cattolico al ritorno degli ebrei in Palestina. Stiamo vedendo, ora, le ramificazioni dell’azione di Herzl, e con le chiese e le suore bombardate a Gaza ci si chiede davvero il significato storico e metastorico della peregrinatio papale alla lapide dell’archetipo sionista.

 

Per quanto concerne l’«Opus gay», davanti ai nostri occhi abbiamo da qualche ora l’ultimo sviluppo. Le agenzie di tutto il mondo hanno battuto la notizia, compreso il portale Vatican News, che ha usato le stesse parole di chiunque altro. Si tratta di una «dichiarazione dottrinale apre alle benedizioni per coppie “irregolari”». C’è quel verbo che torna sempre, «aprire». La Santa Sede «apre».

 

«Con Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede, approvata dal Papa, sarà possibile benedire coppie formate da persone dello stesso sesso ma al di fuori di qualsiasi ritualizzazione e imitazione delle nozze» scrive il sito vaticano.

 

«Di fronte alla richiesta di due persone di essere benedette, anche se la loro condizione di coppia è “irregolare”, sarà possibile per il ministro ordinato acconsentire» è scritto. Nella neolingua catto-orwelliana, «irregolare» significa LGBT, o, per usare una parola biblica, sodomita, et similia. Fiducia supplicans riguarda «la possibilità di benedire le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso» il «Dicastero ha preso in considerazione diverse domande, sia formali che informali, circa la possibilità di benedire coppie dello stesso sesso e circa la possibilità di offrire nuovi chiarimenti, alla luce dell’atteggiamento paterno e pastorale di Papa Francesco».

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Bisogna rendersi conto che erano 23 anni (dalla Dominus Jesus, anno 2000) che il Dicastero della Dottrina della Fede non pubblicava una dichiarazione. Appena arrivato, il cardinale Victor Manuel Fernández, già noto per i sui libri monografici sul bacio, ha pensato bene che era il caso di uscire subito per benedire le coppie omosessuali: si tratta il «significato pastorale delle benedizioni», permettendo «di ampliarne e arricchirne la comprensione classica» attraverso una riflessione teologica «basata sulla visione pastorale di Papa Francesco».

 

Non è chiaro se il cardinale argentino esperto di kissing, sappia di cosa stia parlando. Cioè se ha presente cosa sono le «coppie dello stesso sesso»: abbiamo idea che, nella finzione dell’accrocchio LGBT, non si tratti di bisessuali o transessuali (per loro c’è già un’altra pista di decollo preparata) e anche delle lesbiche, un tempo note per la loro «monogamia» fondamentalista. Parliamo, ovviamente, del gruppo dominante, quello degli omosessuali maschi.

 

E come sia struttura una coppia di omosessuali, oggi, non sappiamo nemmeno se si possa dire. Tempo fa abbiamo cercato informazioni sulla promiscuità omosessuale, rilevando che per Wikipedia non vi sarebbe alcuna differenza con gli eterosessuali, che avrebbero in media lo stesso numero di partner. Noi ricordavamo un’aneddotica diversa: maschi che hanno decine, centinaia di partner nell’arco di poco tempo.

 

L’esempio che sale alla mente è il paziente zero dell’AIDS, allora malattia sconosciuta (la chiamavano GRID, Gay Related Immunodeficiency, ovvero «Immunodeficienza dei gay»), lo steward canadese Gaëtan Dugas, il quale ammise di avere centinaia di partner sessuali all’anno per un computo che superava, nel solo Nordamerica, i 2500 dal 1972. Si dice che grazie alla lista dei suoi amanti occasionali (avevo lo scrupolo di annotare i nomi, cosa non semplice in certi ambienti, come i cessi pubblici, i cespugli, le dark room) si riuscì a costruire una genealogia dell’epidemia di AIDS.

 

La promiscuità dei gay oggi è negata dalle fonti, con studi alla mano: e ai tempi di Tinder potrebbe pure essere vero che gli eterosessuali fanno più o meno così anche loro, del resto Tinder deriva da Grindr, l’app per incontri gay dove si dice tanti sacerdoti siano impigliati e che, idea che porta avanti Renovatio 21, potrebbe essere alla base dell’accordo sino-vaticano (il software, che potrebbe sputtanare chissà quanta gerarchia cattolica, è passato per le mani di una società cinese…).

 

È un fatto: l’eterosessualità, per via culturale (film, serie, articoli di giornale: è la cosiddetta hookup culture, quella del sesso immediato con chi si conosce), modistica (i metrosexual) e perfino informatica, è stata colonizzata dalla sensibilità gay, e lo stesso dicasi per certo mondo lesbico, che pare oggi essersi allontanato dal monogamismo ossessivo di una volta (forse uno dei motivi per i quali la società dei «bigotti» tendeva nei loro confronti ad essere più tollerante). Anche qui: serie TV, film, produzione culturale sulla lesbica promiscua, che fino a poco fa poteva sembrare una contradictio in adiecto.

 

E le «coppie gay»? L’idea che gli omosessuali maschi avessero relazioni stabili monogamiche arrivò al grande pubblico con il film di Tom Hanks Philadelphia (1997). Chi scrive ha notato come con gli anni Duemila hanno cominciato a rendersi visibili all’aperto; non perché si tenessero per mano, ma perché, in alcuni casi, ci si trovava davanti a due persone grottescamente simili: stessa capigliatura, stessa barba, stesso maglione, stessi vestiti, tipo dei gemelli omozigoti, specchiati. Un fenomeno che non ho mai capito fino in fondo, anche se immagino che l’esorcismo del tradimento possa avere un ruolo.

 

(Una sera a Firenze, una coppia di questo tipo si avventò contro una tavolata di amici con cui stavo passando un dopo-conferenza a Firenze: erano stati in silenzio con espressione greve in un tavolino in fondo per tutta la serata, probabilmente, in mancanza dell’umore e di argomenti con cui chiacchierare assieme ad uno che è vestito e pettinato come una tua copia speculare, origliarono molto i nostri gioviali discorsi, e andando via vennero da noi per urlare alla nostra allegra combriccola che Gesù cristo si sarebbe vergognato di noi – già l’uso del tempo passato già diceva molto, ma ricordo ancora come alcuni commensali, cattolici del semplice vecchio tipo, non capirono cosa stesse accadendo)

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Appena ventenne, chi scrive fu portato dalla sua ragazza e da una sua amica – una di quelle attorniata da gay, dette nel loro gergo interno fag-hug – in un bed and breakfast sulle colline sopra Nizza. A gestirlo c’era una «coppia» di personaggi provenienti da varie parti d’Europa: un trentenne, un ragazzo la cui bellezza saltava all’occhio, e un signore, una vita in giro per i mari del mondo, molto più anziano.

 

Avevo maturato l’impressione che il bel ragazzo, sicuro di sé, si facesse un po’ gli affari suoi, andava in una spiaggia determinata, etc. A bordo piscina sotto il sole della prima estate, il fidanzato della nostra amica mi spiegò, con strana naturalezza, come funzionano le cose in certe «coppie»: esiste, raccontava, una regola di alcuni ménage gay per cui se vuoi «tradire» il compagno lo puoi fare a patto che poi porti l’amante occasionale a casa, di modo che lo possa in caso «conoscere» anche il «tradito».

 

Tale idea veniva accettata dal mio interlocutore – un marcantonio romano buono come il pane – con certa normalità, mentre io mi chiedevo se il senso di scandalo e ripulsa che provavo dentro di me fosse giustificato. Entrambe le nostre ragazze lavoravano nel giro della moda a Milano, e quindi l’antropologia omosessuale, per quanto allora ancora non totalmente disinibita, era un elemento inevitabile delle loro vite. È, con evidenza, solo un aneddoto personale: magari mi sono imbattuto in una coppia gay perversa, così come quelle degli etero scambisti, certo. Non credo che troverò studi e statistiche a riguardo su Wikipedia.

 

Tuttavia, quando il cardinale Tucho Fernandez e il papa Bergoglio vogliono che si benedicano le «coppie gay», prima ancora che alla contraddizione ideologica riguardo alla benedizione di qualcosa che la Scrittura giudica «male», io penso a cosa vi sia nelle «coppie» che si presenteranno.

 

Non bisogna farsi illusioni, fa parte solamente di un processo di trasformazione sociale deciso dai signori del mondo e quindi ora propalato, come tutti gli altri – dal vaccino, all’immigrato, all’eco-fascismo alla produzione degli umani in provetta in giù – dal papato del Nuovo Ordine Mondiale.

 

Perché la «coppia gay» è un’operazione politica. Possiamo rileggere dei passaggi del libro Il movimento gay in Italia (1999), quando si parlava delle «unioni civili», poi divenute realtà con Renzi e la Cirinnà: «Le unioni civili sono un obiettivo simbolico formidabile. Rappresentano infatti la legittimazione dell’identità gay e lesbica attraverso una battaglia di libertà come quelle sul divorzio o sull’aborto, che dispone di argomenti semplici e convincenti: primo fra tutti la proclamazione di un modello normativo di omosessualità risolto e rassicurante. Con la torta nel forno e le tendine alle finestre, come l’ha definito una voce maligna».

 

La «torta nel forno e le tendine alle finestre»: definizione mirabile del lavoro percettivo che è stato fatto. Le coppie gay sono coppie – è gente per bene, gente che si vuole bene, sono di fatto famiglie come le altre, cucinano le stesse cose, arredano allo stesso modo.

 

«Il messaggio è più o meno il seguente: i gay non sono individui soli, meschini e nevrotici, ma persone splendide, affidabili ed equilibrate, tanto responsabili da desiderare di mettere su famiglia. Con questo look “affettivo” non esente da rischi di perbenismo si fa appello ai sentimenti più profondi della nazione e si vede a portata di mano il traguardo della normalità». Stiamo sempre prendendo dal movimento gay in Italia (1999), citato in un vecchio seminale articolo dello psicologo Roberto Marchesini apparso su Cristianità.

 

Il testo, scritto da un giornalista militante del movimento omosessuale oramai un quarto di secolo fa, andava avanti con profetico slancio: «A questa porta si bussa con discrezione, assicurando che non si vuole assolutamente il matrimonio omosessuale: questa prospettiva fa inorridire gli stessi gay. E nemmeno si rivendica la possibilità di adottare figli per le coppie omo, perché i tempi non sono maturi. Ci si accontenterebbe di regolare la questione dell’eredità, della pensione, dell’affitto, della reciproca assistenza fra i partner».

 

Sarebbe andata direttamente così: tutti a urlare che le unioni civili approvate non sono un matrimonio, anche se ne hanno tutto l’aspetto, con in più un diritto di cui gli sposati etero non dispongono: nelle unioni civili non vi è (guarda guarda) l’obbligo di fedeltà, cui invece è tenuto chi si sposa sia in chiesa che in comune. All’epoca vi fu il commento del politico omo-piddino, che parlò di retaggio medievale di cui un giorno si sarebbero liberati anche gli eterosessuati. Considerando come è andata con Tinder e la hookup culture, potrebbe avere decisamente ragione. La società intera viene gradualmente omosessualizzata.

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Il libro After the Ball (1989), una sorta di manifesto scritto da un neuropsichiatra e da un dirigente pubblicitario dove era enunciata l’intera strategia di normalizzazione degli omosessuali, riassumeva specificando che «noi non stiamo combattendo per sradicare la Famiglia: stiamo combattendo per il diritto a essere Famiglia (…) non è importante se i nostri messaggi sono bugie; non per noi, perché li stiamo usando per un effetto eticamente buono, per opporci a stereotipi negativi che sono sempre un pochino falsi, e molto di più malvagi; non per i bigotti, perché i messaggi avranno il loro effetto su di loro sia che ci credano sia che non ci credano».

 

Ecco, la nuova famiglia, o il surrogato invertito di essa ora è benedetto dal papa. Il percorso lo abbiamo visto da subito: il favore per l’«opus gay» era intuibile quando la giornalista brasiliana Ilse Scamparini, ancora nel 2013, gli chiese di ritorno dal suo primo viaggio apostolico riguardo al «prelato della lobby gay» (definizione da titolo della copertina de L’Espresso) che era suo ospite a Santa Marta, ottenendo come risposta il famigerato «chi sono io per giudicare?».

 

La faccenda continuò con il caso McCarrick, di cui ci diede testimonianza – pagando – monsignor Carlo Maria Viganò, che raccontò di come gli sembrò che, appena incontrato, il papa gli chiese del cardinale americano, quasi che fosse una trappola, un modo per vedere come reagiva. McCarrick sarebbe stato sberrettato solo in seguito, quando le accuse (oscene davvero: parliamo di ragazzini) rimbalzarono sul New York Times divenendo non più spazzabili sotto il tappeto. McCarrick, ricordiamo, è considerato importante per la stesura dell’accordo sino-vaticano (con l’ondata di martiri conseguente), e si dice che dormisse nel seminario della Chiesa Patriottica cinese, ossia la versione della Chiesa Cattolica secondo il Partito Comunista Cinese.

 

Altri segni li abbiamo visti nel tempo. Esalta a più riprese il gesuita pro-LGBT James Martin. Riceve transessuali in udienza privata, poi permette loro di fare da padrini ai battesimi. Condanna le leggi anti-sodomia dei Paesi africani. Pranza con un pullman di travestiti di Ostia. L’opera omotransessualista ha tanti capitoli, impossibile ricordarseli tutti.

 

Il disegno ad alcuni sembrerà completo, tuttavia non è così.

 

Anni fa scrivemmo del caso di Don Milani: incredibilmente, mentre sui giornali nazionali infuriava la polemica su un romanziere che nel suo ultimo libro sembrava suggerire che il sacerdote fosse pedofilo (idea che, secondo alcuni, potrebbe emergere anche da alcune sue lettere) la sua figura veniva celebrata in pompa magna dal ministero dell’Istruzione della Repubblica Italiana e dal papa stesso, che compose messaggi esaltando il Milano e visitando personalmente la tomba del Milani a Barbiana (era lo stesso anno in cui aveva reso omaggio a Herzl con a fianco Netanyahu, il 2017).

 

La schizofrenia diveniva ogni giorno più evidente, la dissonanza cognitiva era tanta: la grande stampa si accapigliava su una presunta pedofilia del Milani; il papato, di contro, non fuggiva, anzi, si produceva in manifestazioni di affetto assoluto per la figura del «maestro». C’era da rimanerci basiti. C’era da cominciare a farsi qualche domanda abissale.

 

Ecco, non siamo sicuri che l’omosessualità sarà l’ultimo fenomeno sdoganato e benedetto dal papato del Male.

 

Come ripetono i Vangeli: Qui habet aures audiendi, audiat.

 

Roberto Dal Bosco

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La chiesa ortodossa loda la legge anti-«propaganda LGBT» in Georgia

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La Chiesa Ortodossa Georgiana ha elogiato il Parlamento del Paese per aver approvato una legge che limita la diffusione di contenuti LGBT e vieta l’intervento di riassegnazione di genere, descrivendola come un «passo avanti positivo» per la nazione conservatrice post-sovietica.   «Nel corso degli anni, sia il Patriarcato della Georgia sia la maggior parte della popolazione hanno preso una posizione ferma su questo tema, impegnandosi ciascuno a proteggere i valori della famiglia in mezzo a sfide crescenti» scrive un comunicato dello scorso venerdì.   Il Patriarcato non è nuovo alla lotta intorno al tema. Qualche anno fa, i libri di testo per studenti e insegnanti avevano scatenato aspre critiche da parte del Patriarcato della Georgia, poiché alcuni argomenti in quei libri di testo, ritenevano i religiosi, sembravano promuovere apertamente l’erosione dei valori familiari.

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Firmata dal presidente del Parlamento georgiano Shalva Papuashvili lo scorso giovedì, la legge «Sui valori della famiglia e la protezione dei minori» proibisce il riconoscimento delle unioni omosessuali, proibisce alle persone transgender di adottare bambini o di sottoporsi a interventi di cambio di sesso e proibisce rappresentazioni positive di relazioni LGBT e incestuose nei media o nei materiali didattici.   Nella dichiarazione di venerdì rilasciata dal servizio di pubbliche relazioni del patriarcato della Chiesa ortodossa georgiana si definisce la legislazione «un passo avanti positivo», descrivendola come «un passo importante e decisivo per proteggere i valori tradizionali che determinano l’identità della nazione georgiana».   Sia il Patriarcato che «la maggioranza della popolazione georgiana» si oppongono alle ideologie LGBT, dice il comunicato, che ricorda come la chiesa abbia fatto pressioni per anni contro l’inclusione di questo materiale nei libri di testo negli anni scorsi.   «Inoltre, la diffusione della propaganda LGBTQ ha spesso creato significative divisioni sociali nella società ed è persino diventata uno strumento di tensione nelle mani di coloro che cercano di approfondire la polarizzazione», ha aggiunto il Patriarcato. «Ci auguriamo che questa legge produca risultati fruttuosi per il benessere della nostra società, poiché rappresenta un passo cruciale e decisivo verso la protezione dei valori tradizionali che definiscono l’identità della nazione georgiana», conclude la dichiarazione.   La legge è stata sostenuta dal partito al governo Sogno Georgiano, ma condannata dagli Stati Uniti, dall’UE e dai partiti di opposizione filo-occidentali in Georgia. La presidente Salomé Zourabichvili, da lungo tempo sostenitrice dei diritti LGBT e di relazioni più strette con l’Occidente, ha rifiutato di firmare il disegno di legge, ma non ha posto il veto, restituendo invece il documento al Parlamento affinché Papuashvili decidesse se firmarlo o meno.

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Come riportato da Renovatio 21, la presidente Zourabichvili, già ministro degli Esteri, in passato aveva fatto dichiarazioni interessanti riguardo alla cosiddetta «Rivoluzione delle Rose », la «rivoluzione colorata» del 2003 che portò al potere a Tbilisi il controverso filoamericano Mikhail Saakashvili, personaggio politico ora in carcere, dopo essere fuggito in Ucraina dove il presidente Poroshenko lo aveva fatto governatore dell’oblast’ di Odessa.   L’ora presidente alla rivista del francese Institute Herodoteaveva parlato di «istituzioni» che «sono state la culla della democratizzazione, in particolare la Fondazione Soros… tutte le ONG che gravitano attorno alla Fondazione Soros hanno innegabilmente portato avanti la rivoluzione. Tuttavia, non si può concludere la propria analisi solo con la rivoluzione e si vede chiaramente che, in seguito, la Fondazione Soros e le ONG sono state integrate al potere».   L’influenza di enti stranieri è per l’appunto l’ulteriore oggetto del contendere tra maggioranza ed opposizione in Georgia e tra il governo di Tbilisi e Bruxelles.   L’UE ha minacciato di revocare un accordo di viaggio senza visto con la Georgia in risposta alla legge e alla legislazione – molto simile peraltro alla legge FARA che vige in USA – che obbliga le ONG finanziate dall’estero a registrarsi come agenti stranieri e a rivelare i propri donatori.   La Georgia è un candidato all’UE e ha ottenuto alcuni privilegi nel suo percorso verso l’adesione al blocco europeo, ma Bruxelles ha accusato Tbilisi di «declino democratico» e ha avvertito che l’approvazione dell’ultima legge avrebbe «importanti ripercussioni» sulle prospettive di adesione della Georgia.

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Secondo un sondaggio del 2021, l’84% dei georgiani ritiene che l’omosessualità sia «sempre sbagliata». La Costituzione della Georgia definisce il matrimonio come un’unione strettamente tra un uomo e una donna. Tuttavia, il Paese ha anche leggi antidiscriminatorie che proteggono i membri della comunità LGBT.   L’adozione della legge antidiscriminazione è stata raccomandata dal Country Progress Report 2013 della Politica Europea di Vicinato (ENP) per la Georgia come prerequisito per la finalizzazione del Visa Liberalization Action Plan tra Georgia e Unione Europea. Il capo della Chiesa Ortodossa Georgiana, il Patriarca Elia II ha affermato che la legge «non sarà accettata dai credenti» e ha aggiunto che «rendere l’illegalità una legge è un peccato enorme».   Come riportato da Renovatio 21, la Georgia rappresentava una delle capitali del cosiddetto «turismo riproduttivo», dove l’utero in affitto era praticato e filierizzato in un’industria fiorente. Un anno fa era emerso che la Georgia intendeva chiudere l’industria, varando dapprima un disegno di legge per mettere al bando l’utero in affitto per gli stranieri.   Lo scorso agosto il partito al governo Sogno Georgiano aveva proposto di designare il cristianesimo ortodosso come religione di Stato.   L’attuale primate della Chiesa apostolica autocefala ortodossa georgiana è il 91enne Elia II, che è in carica dal 1977 e possiede i titoli di Catholicos Patriarca di tutta la Georgia, arcivescovo di Mtskheta e Tbilisi e vescovo metropolita di Abcasia e Bichvinta.

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Squadra di calcio transgender sconfitta 19-0 nella partita d’esordio

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Secondo quanto riportato dalla Reuters, una squadra di calcio composta interamente da uomini transgender (cioè, da quanto è dato a capire donne che vogliono divenire maschi) ha iniziato a giocare in un campionato regionale in Spagna.

 

La squadra, denominata Fenix ​​FC, ha ufficialmente militato nella quinta divisione maschile della regione spagnola della Catalogna (dove altro, sennò?), dopo essere stata incorporata in un club locale di Sant Feliu de Llobregat, sobborgo di Barcellona, ​​ha affermato l’agenzia in un articolo pubblicato sabato.

 

Ciò rende la squadra catalana la prima squadra composta interamente da transgender ad entrare a far parte di una federazione calcistica in Europa.

 

 

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Il Fenix ​​FC, che prende il nome dal mitico uccello che risorge dalle ceneri, ha giocato la sua prima partita in campionato il 21 settembre e ha perso 19-0.

 

Il fondatore del Fenix ​​FC, Hugo Martinez, ha dichiarato alla Reuters di aver deciso di creare una squadra composta esclusivamente da trans dopo che gli è stato chiesto di lasciare la squadra femminile dopo aver iniziato la transizione verso un uomo attraverso la terapia ormonale.

 


 


 


 

 

Il capitano della squadra, Luke Ibanez, ha dichiarato di essersi unito al club perché temeva di non essere accettato e di poter addirittura subire violenze in una squadra maschile.

 

«Fenix ​​è un team di ragazzi trans creato interamente da ragazzi trans, ma penso che sia più di questo: una famiglia, uno spazio sicuro dove puoi essere libero ed esprimerti come vuoi e come ti senti veramente», ha aggiunto Ibanez.

 

Alla fine del 2022, la Spagna ha approvato una legge che consente ai cittadini di cambiare il loro genere legale senza la necessità di una valutazione psicologica o medica di altro tipo.

 

La Federazione calcistica catalana ha detto a Reuters che i suoi campionati maschili sono stati misti nelle ultime due stagioni, con persone di qualsiasi genere in grado di prendervi parte. I giocatori possono anche competere con un nome diverso dal loro nome legale, ha aggiunto.

 

La fragilità sportiva dei corpi a doppio cromosoma X nei confronti diretti con sfidanti maschili è un tema a cui le cronache internazionali di questi anni ci hanno oramai abituati.

 

Al lettore di Renovatio 21, può tornare in mente il precedente della nazionale femminile USA, sconfitta sul campo 12-0 da una squadra maschile di quarta divisione.

 

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Ma c’è anche il caso grottesco della squadra tutta femminile cilena al campionato internazionale per le forze di polizia.

 

 

Più gravi i casi in cui squadre femminili si sono trovate a gareggiare con transessuali a cromosoma XY – persone nate e cresciute come maschi biologici.

 

Come riportato da Renovatio 21, nel corso dell’anno è emersa la vicenda di una squadra di calcio «femminile» LGBTQ+ composta da cinque giocatori transgender che ha vinto facilmente un torneo in Australia dopo che altre squadre erano state avvertite che avrebbero compiuto «discriminazioni» rifiutandosi di giocare, nonostante le accuse che una delle giocatrici trans avesse rotto in due la gamba di un avversaria.

 

Mesi fa, una squadra di basket femminile di una scuola superiore del Massachusetts è stata costretta a rinunciare alla partita dopo che un giocatore transgender della squadra avversaria ha ferito tre giocatrici.

 


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È notizia di questi giorni la rinuncia al campionato da parte di almeno quattro team femminili universitari di pallavolo statunitensi dovuta, è ritenuto, della presenza di un possibile giocatore transessuale nella squadra dell’Università di San José.

 

A luglio era emerso il caso della pallavolista Payton McNabb, che aveva 17 anni quando una palla lanciata con forza da un avversario transgender la colpì in faccia, la scaraventò a terra e le fece perdere i sensi. L’atleta riportò danni cerebrali e paralisi al lato destro, che hanno messo fine ai suoi sogni di ottenere una borsa di studio universitaria per la pallavolo e hanno reso difficile per lei camminare senza cadere.

 

 

Come riportato da Renovatio 21, traumi ad atlete causate da avversari transessuali si sono visti in vari sport, come la pallavolo, l’hockey, la BMXJu-jitsuMMA.

 

Nel frattempo, i record di ogni possibile disciplina femminile vengono stracciati dai transessuali, ma forse ora si tratta di un dettaglio minore: ora a essere minacciati non sono i risultati sportivi, ma i copri stessi delle atlete

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Cina

Taiwan annuncia che riconoscerà i matrimoni omosessuali che coinvolgono cittadini della Cina comunista

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Il Consiglio per gli Affari Continentali (MAC) di Taiwan ha dichiarato che le «coppie» omosessuali taiwanesi-cinesi possono registrare legalmente i loro «matrimoni» nel paese, un riconoscimento senza precedenti di tali unioni attraverso lo stretto.   Il termine «attraverso lo stretto» si riferisce alle relazioni politiche tra Cina e Taiwan, separate da poco più di un braccio di mare.   Da qualche tempo l’isola di Formosa è il campo di battaglia tra i sostenitori della famiglia e i sostenitori dell’agenda LGBT, essendo il primo posto in Asia a riconoscere i «matrimoni» tra persone dello stesso sesso nel 2019, in seguito a una sentenza della Corte costituzionale del 2017.

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«D’ora in poi, le coppie dello stesso sesso potranno essere soggette alle regole delle coppie eterosessuali», ha dichiarato il 19 settembre Liang Wen-chieh, portavoce del MAC di Taiwan.   Le «coppie» omosessuali transfrontaliere dovranno prima sposarsi legalmente in uno dei 35 paesi che riconoscono tali «matrimoni». Una volta depositato il certificato e gli altri documenti, «le agenzie competenti condurranno interviste con la coppia», ha riferito UCA News.   «Solo dopo aver superato il colloquio alla frontiera possono entrare nel paese per registrare i loro matrimoni. Questo è il nostro attuale principio per i matrimoni tra due Paesi», ha aggiunto Liang.   Attualmente, secondo il sito web del Dipartimento di registrazione delle famiglie del Ministero degli Interni di Taiwan (MOI), sono circa 35 i paesi che riconoscono i «matrimoni» omosessuali, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia.   In seguito alla recente dichiarazione, «il governo sostiene il principio di trattare equamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso e quello eterosessuale», ha affermato Liang.   Per quanto riguarda la possibilità di un partner omosessuale cinese di ottenere un documento d’identità taiwanese, Liang ha affermato che l’esito dipenderà dall’atteggiamento della Cina nei confronti del «matrimonio» tra persone dello stesso sesso, che attualmente non è riconosciuto nella Cina continentale.   «La nostra attuale regolamentazione è che se riconosciamo il tuo matrimonio, puoi richiedere la residenza (a Taiwan) e, dopo aver completato la procedura, puoi richiedere la residenza permanente», ha affermato Liang.   Tuttavia, nella fase finale della procedura per ottenere i documenti d’identità taiwanesi, i «coniugi» cinesi omosessuali devono annullare la registrazione della loro famiglia in Cina, ha ribadito il portavoce taiwanese.

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L’8 agosto, l’Alta Corte amministrativa di Taipei ha decretato che una coppia omosessuale di due Paesi «sposata» negli Stati Uniti dovrebbe essere trattata come una coppia eterosessuale sposata, compresa la possibilità di richiedere la residenza a Taiwan, ha affermato Liang. «Dopo le discussioni tra le agenzie governative competenti, abbiamo deciso di rispettare la sentenza del tribunale amministrativo».   Nel 2018, il popolo di Taiwan ha votato contro il riconoscimento dei «matrimoni» tra persone dello stesso sesso in una serie di referendum, ma alla fine ha visto comunque la pratica legalizzata.   Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato Taiwan cinque anni fa aveva iniziato la legalizzazione di utero in affitto e matrimonio omosessuale. L’anno passato il governo di Formosa aveva consentito l’adozione dei bambini alle coppie omofile.

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Immagine di YC Lo via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0  
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