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Economia

Dollaro digitale, le banche USA stanno lanciando il programma pilota

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La Federal Reserve Bank di New York ha annunciato che collaborerà con i giganti finanziari globali per lanciare un programma pilota sul dollaro digitale di 12 settimane.

 

Questo passo avanti nella corsa alla digitalizzazione del danaro avviene proprio mentre lo scandalo della criptovaluta FTX ha scosso la fiducia dei consumatori nelle valute elettroniche. Il programma tuttavia sembra essere portato avanti dalle massime istituzioni senza battere ciglio.

 

L’esperimento della Fed di New York esaminerà come le banche sono in grado di elaborare i token digitali del dollaro all’interno del sistema della banca centrale e quantificare il loro impatto, con l’assistenza di alcune delle più grandi istituzioni finanziarie del mondo. Secondo Reuters, il progetto di tre mesi, che la Fed di New York chiama rete di responsabilità regolamentata, o RLN, sarà condotto in un ambiente di test utilizzando solo dati simulati.

 

Il programma RLN simulerà il denaro digitale che rappresenta i depositi dei clienti delle banche e li regolerà attraverso le riserve della Fed simulate su un registro distribuito condiviso.

 

Il progetto «testerà anche la fattibilità di un progetto di denaro digitale programmabile potenzialmente estendibile ad altre risorse digitali, nonché la fattibilità del sistema proposto all’interno delle leggi e dei regolamenti esistenti», scrive il comunicato stampa.

 

Citigroup, HSBC Holdings, Mastercard e Wells Fargo & Co. sarebbero tra le principali banche a partecipare al processo, condotto dal New York Innovation Center (NYIC) della Fed, secondo un comunicato stampa del 15 novembre.

 

L’annuncio viene dato poco dopo la notizia dello scandalo FTX, con i suoi incredibili risvolti politici (non solo nelle donazioni milionarie a Biden e al Partito Democratico USA, ma pure per i legami con gli stessi enti regolatori) che ha scosso la fiducia dei consumatori nelle valute digitali e nella blockchain.

 

«Il NYIC non vede l’ora di collaborare con i membri della comunità bancaria per far progredire la ricerca sulla tokenizzazione degli asset e sul futuro delle infrastrutture del mercato finanziario negli Stati Uniti man mano che il denaro e le banche si evolvono», afferma Per von Zelowitz, direttore del NYIC.

 

La partenza di tale progetto pilota è da intendersi come segno che le principali istituzioni finanziarie hanno ancora fiducia nell’uso di questa tecnologia.

 

La criptovaluta e la tecnologia blockchain sono diventate fattori importanti nel mondo finanziario negli ultimi dieci anni, dopo lo scetticismo iniziale delle istituzioni tradizionali.

 

Le valute digitali provenienti da banca centrale (CBDC) sono il formato token digitale del denaro emesso dalle banche centrali e potrebbero essere scambiate tra istituti finanziari per integrare i processi di compensazione e regolamento esistenti.

 

«Molte banche centrali in tutto il mondo hanno già annunciato che stavano sviluppando o considerando l’uso futuro delle valute digitali da parte del pubblico, inclusa l’emissione delle proprie CBDC» riporta Epoch Times.

 

Almeno 112 paesi, che rappresentano oltre il 95% del PIL globale, stanno esplorando una soluzione basata su CBDC, secondo il Consiglio Atlantico.

 

La Fed aveva compiuto il primo passo verso la legittima considerazione dell’uso delle CBDC a gennaio, dopo aver pubblicato un documento di discussione sull’argomento e aver aperto un periodo di discussione di quattro mesi per ricevere input dal pubblico. A settembre, il segretario al Tesoro Janet Yellen aveva dichiarato che gli Stati Uniti dovevano essere pronti a lanciare una CBDC, se necessario.

 

Il documento afferma che una CBDC potrebbe semplificare le transazioni internazionali e mantenere ulteriormente il ruolo dominante del dollaro USA come valuta di riserva mondiale e impedire che le valute digitali rivali diventino più popolari. In pratica, la digitalizzazione del danaro potrebbe costituire un rimedio nei confronti della de-dollarizzazione, lampante oramai dall’inizio del conflitto ucraino, dove perdendo il ruolo della propria moneta come riserva mondiale – che, per esempio, sta dietro agli scambi di petrolio – gli USA perderebbero la loro egemonia economica e politica planetaria.

 

Sarà per questo, forse, che i titani finanziari statunitensi ne parlano: a inizio anno, il CEO del colosso BlackRock dichiarò oscuramente che la crisi ucraina avrebbe accelerato il processo di abolizione del contante.

 

Come riportato da Renovatio 21, Pechino lavora da anni a un progetto di yuan digitale, con l’intenzione di costringere i suoi cittadini a pagare beni e servizi senza valuta fisica e integrarla nel suo sistema di punteggio di credito sociale. Alcuni osservatori, come l’investitore americano Kyle Bass, hanno definito lo yuan digitale come un «cancro» che potrebbe infettare il mondo e rendere possibili livelli di corruzione mai visti.

 

È visibile a tutti come il denaro digitalizzato divenga automaticamente un sistema di sorveglianza e controllo – cioè di totale sottomissione della popolazione all’autorità.

 

«Senza privacy, la blockchain è uno strumento perfetto per la sorveglianza finanziaria senza garanzia. Non prendiamoci in giro fingendo il contrario», ha dichiarato Paul Grewal, chief legal officer del banco di criptovalute Coinbase, in un tweet il mese scorso.

 

Un dollaro digitale non sarebbe anonimo, ha ammesso lo stesso presidente della Fed Jerome Powell, che ha messo in discussione l’implementazione di un tale sistema, in quanto potrebbe essere introdotto solo se fosse collegato a un sistema di identificazione digitale – cioè ciò che, come ordinato nei discorsi del World Economic Forum, stanno portando avanti tutti i Paesi, dal Canada alla Francia all’Ucraina – all’Italia.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’euro digitale, ritenuto ora «inevitabile», sarà costruito sul medesimo sistema utilizzato, e sperimentato, per il green pass.

 

Modelli di piattaforme di id digitale che premiano i cittadini a seconda dei loro comportamenti sono stati sperimentati anche a Bologna e a Roma.

 

Non è questione solo di anonimato e privacy: il danaro digitale è danaro programmabile. L’autorità può decidere che il cittadino – divenuto utente della piattaforma – non compri determinati prodotti (carburante, sigarette, o semplicemente il salmone se si è indietro col muto, o le merendine se si è sovrappeso, etc.), oppure non faccia acquisti in determinate aree, o in determinati giorni (pensate ai lockdown…).

 

Di più. Il danaro programmabile rovescerà definitivamente lo stato di diritto anche a livello fiscale: le tasse (e le multe) non verranno più versate dal cittadino, ma prelevate alla fonte. Eventuali reclami dovranno essere fatti allo Stato dopo che il danaro è già stato trasferito. Alcuni sostengono che a breve in Europa partirà uno scorporo dell’IVA di questo tipo, con l’imposta versata all’erario direttamente al momento dell’acquisto di un bene o di un servizio.

 

Ma più terrificante ancora è pensare come questo diverrà con certezza un sistema di controllo del comportamento. Il giudice, o il vigile, o chiunque abbia un «accesso» superiore alla piattaforma (un ruolo, diciamo, di admin) potrà «spegnervi» a piacimento, negandovi ogni transazione, anche quelle per l’affitto o per il cibo. Anche qui: pensate al green pass e capite che questa non è fantascienza distopica: è qualcosa che è già accaduto. Qualcosa che è già accaduto proprio a voi.

 

Vale la pena di tenere a mente  il versetto 17 dell’Apocalisse di San Giovanni, capitolo 13: «nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome».

 

Ecco: ci siamo.

 

Marchio, numero, bestia: celi.

 

 

 

 

 

 

 

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Economia

Le fabbriche italiane «intrappolate nella recessione»

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Le fabbriche in Italia hanno registrato una flessione per sei mesi consecutivi, mentre la produzione continua a diminuire, segno di una profonda recessione industriale, ha riferito lunedì Bloomberg, citando un sondaggio di S&P Global.

 

L’indice basato sulle risposte dei responsabili degli acquisti (in inglese, purchasing manager index o PMI) si è attestato a 46,8 a settembre, rispetto a 45,4 ad agosto, ben al di sotto della soglia di 50, indicando una contrazione.

 

L’industria e il manifatturiero italiani, in particolare, sono stati in difficoltà negli ultimi mesi a causa della mancanza di nuovi ordini a causa dell’indebolimento della domanda globale. Non è chiaro quale sia l’incidenza delle sanzioni contro Mosca, che impediscono alle imprese italiane di vendere prodotti in Russia, fino a qualche anno fa fra i principali mercati per le aziende italiane.

 

«L’economia industriale italiana sembra essere intrappolata in una profonda recessione senza una chiara via d’uscita», ha affermato Tariq Kamal Chaudhry, economista della Hamburg Commercial Bank. «I nuovi ordini, sia nazionali che internazionali, si stanno riducendo, e anche le aspettative sulla produzione futura sono scese ben al di sotto della loro media a lungo termine».

 

Sebbene l’indagine PMI abbia indicato un certo aumento dell’occupazione nelle fabbriche, ha evidenziato principalmente una carenza di lavoratori qualificati, mentre il precedente rapporto di S&P affermava che le fabbriche italiane avevano iniziato a licenziare il personale a causa di una più profonda contrazione della produzione industriale.

 

Gli economisti prevedono che la recessione manifatturiera, iniziata in quella che sulla carta è la terza economia dell’Eurozona a metà dello scorso anno, continuerà.

 

Il settore manifatturiero rappresenta circa il 16% della produzione italiana, ma la sua debolezza continua a pesare sull’economia italiana, trascinandola in un’ulteriore contrazione.

 

Le ultime stime mostrano che l’economia del Paese si è contratta dello 0,4% – più dello 0,3% previsto – nel secondo trimestre dell’anno.

 

Sottolineando le preoccupazioni per l’indebolimento dell’economia, il governo italiano la scorsa settimana ha tagliato le sue previsioni di crescita per quest’anno allo 0,8% da una proiezione dell’1% fatta ad aprile, mentre l’obiettivo per il 2024 è stato tagliato all’1,2% dall’1,5%.

 

Come riportato da Renovatio 21, a settembre la stessa testata, Bloomberg, sulla scorta di dati dello stesso indice, aveva parlato di licenziamenti di massa in Italia.

 

Bloomberg il 1° agosto aveva pubblicato un articolo in cui parlava di una contrazione nel terzo quarto dell’anno causata dalla debolezza dell’industria, con il PIL crollato improvvisamente nel secondo quarto pure a seguito di un momento di crescita.

 

In un ulteriore articolo pubblicato a inizio luglioBloomberg scriveva che le fabbriche italiane avevano avuto il loro momento peggiore dai tempi della pandemia.

 

Come riportato da Renovatio 21, la disastrosa situazione è leggibile anche dai dati di consumo energetico: recenti calcoli permettono di dire che la quantità di energia elettrica consumata la scorsa settimana – la 33ª dell’annata 2023 – è inferiore a quella consumata nella 12 ª settimana del 2020, cioè dal 16 al 22 marzo 2020, in pieno lockdown, con fabbriche, ristoranti, scuole, uffici chiusi.

 

 

«Nel 2020, la settimana n.33 vide il consumo di oltre 5 miliardi di kWh (5,06 miliardi). Significa che in Italia le aziende producono meno che durante il lockdown. Unica la causa: il crollo della domanda, interna ed estera» dice il professor Mario Pagliaro, chimico membro della Academia Europæa nonché docente di nuove tecnologie dell’energia al Polo Fotovoltaico della Sicilia.

 

È possibile pensare quindi che, nel mezzo della crisi energetica dovuta all’assenza del gas russo, l’Italia abbia evitato blackout estivi solo grazie allo stato di deindustrializzazione avanzata in cui si trova.

 

 

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Economia

I prezzi del petrolio segnano un forte aumento nel terzo trimestre

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I prezzi mondiali del petrolio hanno registrato un massiccio aumento trimestre su trimestre di quasi il 30% nel periodo luglio-settembre di quest’anno, poiché l’offerta è limitata a causa dei tagli alla produzione concordati dall’OPEC e dai suoi alleati, guidati dalla Russia.

 

Il greggio Brent con consegna a novembre è sceso di quasi lo 0,1%, a 95,31 dollari al barile venerdì, ma è aumentato del 2,2% nella settimana, del 9,7% nel mese e ha guadagnato il 27,3% nel trimestre.

 

Nel frattempo, il greggio WTI di novembre è sceso di un punto percentuale attestandosi a 90,79 dollari al barile, dopo aver segnato un guadagno settimanale dello 0,8%, un progresso mensile dell’8,6% e chiudendo il trimestre in rialzo del 28,5%.

 

Gli esperti prevedono che i tagli all’offerta annunciati dall’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio e dai suoi alleati, noti insieme come OPEC+, domineranno il mercato petrolifero globale per il resto dell’anno, mentre si prevede che i prezzi rimarranno elevati. Il comitato di monitoraggio ministeriale congiunto dell’alleanza è previsto per il 4 ottobre.

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All’inizio di questo mese, l’Arabia Saudita, uno dei pesi massimi produttori di petrolio e leader di fatto dell’OPEC, ha esteso il taglio volontario della produzione petrolifera di un milione di barili al giorno (bpd) fino alla fine dell’anno.

 

Nel frattempo, anche il suo alleato dell’OPEC+ e secondo produttore mondiale di greggio, la Russia, si è recentemente impegnato a estendere il taglio volontario delle esportazioni di petrolio di 300.000 barili giornalieri fino alla fine dell’anno.

 

La settimana scorsa, il governo russo ha introdotto un divieto temporaneo sulle vendite all’estero di diesel e benzina al fine di stabilizzare il mercato interno dei carburanti.

 

Motivo di ulteriore preoccupazione è la riduzione delle forniture a Cushing, Oklahoma, hub di consegna dei futures Nymex WTI, poiché le scorte sono diminuite di 943.000 barili nella quarta settimana di settembre a causa della forte domanda di raffinazione e di esportazione.

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Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa la banca d’affari Goldman Sachs ha previsto per il petrolio la domanda «più alta di tutti i tempi». Due mesi prima aveva previsto un imminente aumento del prezzo del greggio, con stime di superamento dei 100 dollari al barile entro l’anno.

 

Gli USA quest’anno ha quindi sostituito la Russia come principale fornitore di petrolio alla UE, che ha rinunciato anche alle importazioni del petrolio venezuelano.

 

Ciononostante, si prevede che la Russia supererà l’Arabia Saudita come il più grande produttore di petrolio OPEC +.

 

Il caos sul tetto al prezzo dell’oro nero piazzato da Bruxelles ha creato caos con petroliere occidentali bloccate sul Bosforo. Il paradosso grottesco dell’ora presente vuole che i Paesi occidentali stiano in qualche modo continuando ad acquistare petrolio e gas russi.

 

Grazie alle sanzioni occidentali, il petrolio sta divenendo anche la leva per la de-dollarizzazione globale, con vari Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, che hanno iniziato a commerciare in altre valute. Pakistan, India, Emirati Arabi hanno eseguito transazioniper il petrolio in yuan o perfino in rupie.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Francia sei mesi fa ha comperato 65 mila tonnellate di gas liquefetto da Pechino pagando in yuan.

 

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Ambiente

Bruxelles impone la prima carbon tax doganale

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Il 1° ottobre, l’Unione Europea ha lanciato la prima fase di un nuovo programma «verde» per imporre una tariffa sulle emissioni di gas serra incorporate in prodotti importati come ferro, acciaio, alluminio, cemento, elettricità, fertilizzanti e idrogeno.   Durante questa prima fase, fino a gennaio 2026, il nuovo sistema, chiamato Carbon Border Adjustment Mechanism, raccoglierà dati sulle importazioni «ad alta intensità di carbonio».   Gli importatori dell’UE sono ora tenuti a segnalare le emissioni di gas serra legate alla produzione dei prodotti di cui sopra.   A partire dal 1° gennaio 2026, dovranno acquistare certificati per «coprire» queste emissioni stimate di anidride carbonica, portando ad un aumento dei prezzi dei beni importati dall’UE.   Il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere dovrebbe impedire che i prodotti stranieri più inquinanti compromettano la transizione verde inflitta dall’élite eurotica alla popolazione del vecchio continente. La misura proteggerà potenzialmente i produttori locali dalle perdite a favore dei concorrenti stranieri, mentre questi investiranno nel raggiungimento degli obiettivi dell’UE per ridurre le emissioni nette del blocco del 55% rispetto ai livelli del 1990, entro il 2030.

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S&PGlobal ha riferito nel marzo 2020 che la tassa era stata inventata nel 2020 e, a quel tempo, il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni l’aveva promossa con il pretesto di «proteggere i produttori locali» e aveva allegramente affermato che uno dei principali ambiti in cui la tassa avrebbe l’impatto sarebbe stato   «L’UE attualmente importa elettricità da paesi extra-UE come Ucraina, Russia e Serbia, e ora anche dal Regno Unito come nuovo paese extra-UE» scrive S&P Global. La Commissione Europea sta facendo attenzione a non descrivere il meccanismo come una tassa, sia per le implicazioni dell’OMC, sia perché tutte le proposte fiscali a livello UE necessitano dell’approvazione unanime dei governi dell’UE per diventare vincolanti, il che è molto difficile da ottenere.   «Il meccanismo previsto fa parte della nuova strategia europea del Green Deal europeo intesa a rendere l’UE neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050» continua S&P.   Tale «meccanismo” aumenterà senza dubbio le tensioni tra l’UE e Washington (gli Stati Uniti avevano chiesto un’esenzione per le proprie esportazioni di acciaio e ferro), così come all’interno della stessa UE.   In un’intervista dell’11 settembre a Politico, il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner ha attaccato «il pacchetto legislativo sul clima “Green Deal” proposto dal presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Esso imporrebbe la ristrutturazione degli edifici più vecchi al fine di “decarbonizzare” il patrimonio immobiliare entro il 2050».   Lindner ha descritto il piano come «enormemente pericoloso» e ha affermato che potrebbe mettere in pericolo la «pace sociale» perché «la gente potrebbe avere l’impressione che il la politica rende loro più difficile vivere nelle proprie case ed essere in grado di pagarlo».   Come riportato da Renovatio 21, alcuni osservatori lamentano che il piano UE «Fit for 55» sia un mezzo per portare al collasso industriale dell’Europa.

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  Immagine di European Parliament via Wikimedia pubblicata su licenza  Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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