Economia
La Russia imbriglia i Bitcoin

La Russia ha annunciato ieri il suo piano per trattare i Bitcoin: saranno completamente regolati dal governo.
Secondo quanto appreso, la criptovaluta non offrirà più alcun anonimato, le operazioni saranno trasparenti e tracciabili.
A quanto dicono, la questione del finanziamento del terrorismo è stata una preoccupazione costante. Secondo la nuova regolamentazione, qualsiasi scambio di Bitcoin registrato in un paradiso fiscale non sarà autorizzato a fare affari in Russia.
Osservatori informati si chiedono se questa mossa preannuncia ulteriori misure russe per reprimere il capitale speculativo internazionale, dato il contesto in cui le sanzioni internazionali e la guerra finanziaria sono dirette al Paese.
«Il governo ha determinato il futuro delle valute digitali in Russia. Il fatturato di tali attività finanziarie sarà regolato dallo Stato con severi obblighi per tutti i partecipanti al mercato professionale e un’enfasi sulla protezione dei diritti degli investitori ordinari» dice il comunicato del governo di Mosca.
«Lo scopo del regolamento è integrare il meccanismo per la circolazione delle valute digitali nel sistema finanziario e garantire il controllo sui flussi di cassa nel circuito degli istituti di credito. La protezione dei diritti dei cittadini, oltre a dividere gli investitori in qualificati e non qualificati, sarà assicurata attraverso requisiti di licenza per le piattaforme di criptovaluta. Questi, a loro volta, dovranno avere basi finanziarie in termini di liquidità e adeguatezza patrimoniale».
«Inoltre, si prevede di introdurre l’obbligo per i partecipanti al mercato di informare i cittadini sui maggiori rischi associati alle valute digitali. L’attuazione del concetto garantirà la creazione del quadro normativo necessario, porterà l’industria della valuta digitale fuori dall’ombra e creerà la possibilità di attività commerciali legali».
«Il Ministero delle Finanze, la Banca di Russia, Rosfinmonitoring, il Servizio di sicurezza federale, il Ministero degli affari interni, il Servizio fiscale federale, il Ministero dello sviluppo economico, la Procura generale hanno preso parte alla discussione sulla regolamentazione del mercato delle criptovalute».
La messa al bando delle criptovalute in Russia era qualcosa di pienamente annunciato, ricordato nelle ultime settimane da questo sito.
Come riportato da Renovatio 21, il Bitcoin potrebbe avere avuto un ruolo anche nelle tensioni kazake dello scorso mese: il Kazakistan è infatti uno dei paradisi del Bitcoin, sia per i bassi costi dell’energia, sia per la generosità fiscale e normativa con cui vengono trattate le nuove società tecnologiche.
Peter Thiel, geniale creatore di Paypal e investitore che per primo finanziò Facebook (ha lasciato il board questa settimana, dopo 18 anni), aveva avvisato che il Bitcoin «potrebbe essere un’arma finanziaria cinese contro gli USA». Tuttavia, la Cina ha bandito la criptovaluta, e Thiel stesso vi ha investito somme enormi, dichiarando pure di avere probabilmente conosciuto il misterioso fondatore del Bitcoin Satoshi Nakamoto.
A inizio mandato, l’amministrazione Biden, a differenza di quella di Obama o di Trump, ha dichiarato che avrebbe attaccato il Bitcoin. Il governo USA ha già dichiarato illegali alcuni NFT, un’altra forma di cripto-investimento ora molto popolare.
Tuttavia, il capo della CIA William Burns due mesi fa ha dichiarato che ‘agenzia di spionaggio starebbe lavorando sulle criptovalute.
Un miliardario in Bitcoin, il 41enne Mircea Popesci, è stato trovato affogato in Costa Rica pochi mesi fa. Nessuno ha idea di dove sia finito il suo immane patrimonio.
Come noto, il sistema della blockchain alla base del sistema di green pass studiato dall’Unione Europea, destinato a diventare il wallet digitale di ogni cittadino: il portafogli/conto corrente con cui pagare ogni cosa (se gli è consentito comprarla) e da cui prelevare automaticamente le tasse.
La tecnologia blockchain, ritenuta «inhackerabile», come dimostrato è stata già stata hackerata.
Economia
Gli USA impongono dazi fino al 3.521% sulle importazioni di energia solare legate alla Cina

Washington ha imposto dazi fino al 3.521% sulle importazioni di energia solare dal Sud-Est asiatico, secondo le informazioni pubblicate lunedì dal dipartimento del Commercio degli Stati Uniti. Gli aumenti fanno seguito alle accuse secondo cui i produttori di proprietà cinese che operano nella regione avrebbero violato le norme commerciali. Lo riporta Bloomberg.
Secondo la testata economica neoeboracena, i dazi colpiscono le importazioni da Malesia, Cambogia, Thailandia e Vietnam, Paesi che complessivamente lo scorso anno hanno fornito agli Stati Uniti apparecchiature solari per un valore di oltre 12,9 miliardi di dollari.
Note come dazi antidumping e compensativi, le misure mirano a contrastare l’impatto di quelle che il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ritiene essere pratiche di sussidi e prezzi ingiusti.
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La decisione è stata presa a seguito di una petizione presentata dall’American Alliance for Solar Manufacturing Trade Committee, che rappresenta diversi produttori statunitensi. Le aziende nazionali hanno affermato che i produttori cinesi di pannelli solari con stabilimenti nei quattro paesi del Sud-Est asiatico esportavano pannelli a prezzi inferiori ai costi di produzione e beneficiavano di sussidi ingiusti che compromettevano la competitività dei prodotti americani.
Le sanzioni variano a seconda dell’azienda e del Paese: i prodotti Jinko Solar provenienti dalla Malesia sono soggetti a dazi antidumping e compensativi combinati del 41,56%, i prodotti Trina Solar realizzati in Thailandia sono soggetti a tariffe del 375,19% e i fornitori cambogiani, che non hanno collaborato all’indagine, rischiano tasse punitive fino al 3.521%.
I critici del provvedimento, come la Solar Energy Industries Association (SEIA), sostengono che i dazi danneggerebbero i produttori di energia solare statunitensi, aumentando il costo delle celle importate, che le fabbriche americane utilizzano per assemblare i pannelli, ha osservato Reuters.
La Commissione per il commercio internazionale, un’agenzia federale statunitense indipendente e imparziale che indaga su questioni legate al commercio, voterà a giugno per determinare se l’industria nazionale ha subito danni materiali a causa delle importazioni, un passaggio necessario affinché i dazi entrino in vigore pienamente.
Dopo che circa 12 anni fa erano stati imposti dazi simili sulle importazioni di energia solare dalla Cina, le aziende cinesi hanno reagito aprendo attività in altri Paesi che non erano state interessate dai dazi, ha osservato Bloomberg.
Le nuove imposte si aggiungeranno ai dazi doganali introdotti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che hanno scosso i mercati globali. Finora, Trump ha imposto dazi del 145% sulle importazioni cinesi e ha minacciato un ulteriore possibile aumento al 245%.
La Cina ha accusato gli Stati Uniti di «bullismo», ha reagito imponendo una tassa del 125% sui prodotti statunitensi e ha promesso di «combattere fino alla fine».
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Immagine di AgnosticPreachersKid via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Economia
Il dollaro ai minimi storici: Trump tira dritto

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Economia
Pubblicato il memorandum sull’accordo dei minerali tra Ucraina e Stati Uniti

Il governo ucraino ha pubblicato un memorandum d’intenti per finalizzare un accordo formale che garantirebbe agli Stati Uniti l’accesso alle risorse naturali del Paese.
Da febbraio, Stati Uniti e Ucraina stanno cercando di trovare un accordo sul cosiddetto «accordo sui minerali». L’amministrazione Trump considera l’accordo un modo per recuperare i soldi spesi da Washington per sostenere Kiev nel suo conflitto con Mosca. L’Ucraina insiste sul fatto che l’assistenza statunitense sia stata fornita incondizionatamente.
Yulia Sviridenko, vice primo ministro e ministro dell’Economia dell’Ucraina, ha rivelato che il memorandum è stato firmato giovedì.
Nel documento, reso pubblico il giorno successivo, si afferma che «gli Stati Uniti d’America e l’Ucraina intendono istituire un fondo di investimento per la ricostruzione», sottolineando che Washington «ha fornito un significativo sostegno finanziario e materiale» a Kiev dal 2022.
Sia il governo statunitense che quello ucraino hanno ribadito il loro impegno a lavorare «rapidamente per completare i documenti necessari».
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Secondo il memorandum, il primo ministro ucraino Denis Shmigal visiterà Washington la prossima settimana, dove dovrebbe incontrare il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent e concludere la «discussione tecnica».
Il documento afferma che si prevede che i negoziati si concludano entro il 26 aprile e che l’accordo sarà firmato poco dopo.
Commentando la firma del memorandum, la Sviridenko ha affermato venerdì che «c’è molto da fare, ma il ritmo attuale e i progressi significativi lasciano supporre che il documento sarà molto vantaggioso per entrambi i Paesi».
Intervenendo durante una conferenza stampa alla Casa Bianca il giorno precedente, Trump ha affermato: «abbiamo un accordo sui minerali che immagino verrà firmato giovedì, giovedì prossimo, presto».
Una versione precedente dell’accordo avrebbe dovuto essere firmata all’inizio di marzo, ma è stata bruscamente ritirata dopo che il leader ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha avuto un acceso alterco con Trump e il vicepresidente statunitense J.D. Vance durante un incontro alla Casa Bianca.
Poco dopo, il presidente Trump ha congelato temporaneamente tutti gli aiuti militari e la condivisione di informazioni di intelligence con Kiev, il che ha spinto Zelensky a segnalare la sua disponibilità a riprendere i negoziati sull’accordo sui minerali.
Secondo l’agenzia Reuters, l’ultima versione dell’accordo è notevolmente più restrittiva rispetto alle versioni precedenti.
Il mese scorso, il presidente degli Stati Uniti ha messo in guardia il leader ucraino dal «tentare di tirarsi indietro dall’accordo sulle terre rare». «Se lo fa, avrà dei problemi, grossi, grossi problemi», ha aggiunto Trump.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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