Sorveglianza
Congelati i conti di Nigel Farage: la persecuzione bancaria arriva in Europa
Il politico britannico Nigel Farage, ritenuto come indomito motore dietro alla Brexit, ha dichiarato che i suoi conti bancari presso istituti britannici sono stati chiusi forzatamente e senza dare alcuna spiegazione.
In un post su Twitter pubblicato giovedì Farage ha affermato che il Regno Unito sta cercando di «costringerlo» a lasciare il Paese e ha definito l’azione «grave persecuzione politica».
Secondo quanto riportato, ben otto banche avrebbero negato al politico di avere un conto personale o professionale.
«Se possono farlo a me, possono farlo anche a te», ha detto l’ex europarlamentare.
The establishment are trying to force me out of the UK by closing my bank accounts.
I have been given no explanation or recourse as to why this is happening to me.
This is serious political persecution at the very highest level of our system.
If they can do it to me, they… pic.twitter.com/O4xQ1h79ub
— Nigel Farage (@Nigel_Farage) June 29, 2023
Farage nel video annesso dichiara di aver avuto un conto presso la stessa banca dal 1980 prima che fosse chiuso di recente.
Se non è in grado di risolvere la situazione, Farage ha detto che potrebbe decidere di lasciare del tutto il Regno Unito poiché non può funzionare senza un modo adeguato per gestire le sue finanze.
In un articolo per il Daily Telegraph pubblicato ieri, Farage dice che dopo questa disavventura teme che «la Gran Bretagna sia persa».
Si tratta con ogni evidenza dell’implementazione del cosiddetto sistema del credito sociale in uso in Cina anche in Europa, con i dissidenti puniti – per reati di opinione, che Orwell chiamava «psicoreati» – con la disintegrazione dei propri mezzi finanziari.
Come riportato da Renovatio 21, l’attacco del governo ai conti bancari dei dissidenti era stato sperimentato contro i camionisti che protestavano contro l’obbligo vaccinale in Canada; in seguito è stato riportato che anche sostenitori di Bolsonaro scesi in piazza dopo le elezioni hanno subito il congelamento dei conti.
Nel caso canadese il ministro delle Finanze Chrystia Freeland aveva deciso di bloccare anche i conti in criptovalute e perfino le raccolte fondi via internet. La Freeland ha posizioni di vertice nel World Economic Forum di Klaus Schwab.
La sottomissione totale del cittadino allo Stato ottenuta con la distruzione della sua sovranità finanziaria – cioè, di sfamare se stesso e la sua famiglia, cosa impossibile senza passare per un conto corrente – è quanto diverrà automatico e innaturale quando il contante sarà abolito e introdotte le valute digitali di Stato, o CBDC, che saranno utilizzate per controllare il comportamento dell’intera popolazione.
L’euro digitale è in arrivo, e la presidente della BCE Christine Lagarde ha già ammesso, pensando di parlare al telefono con Zelens’kyj, che sarà usato per la sorveglianza.
Il danaro programmabile cambierà le vostre vite, di fatto – se lo vorranno dalla stanze dei bottoni – le spegnerà.
Siamo ben oltre il credito sociale cinese. Siamo in un incubo distopico totale.
Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Sorveglianza
L’Australia abbandona i piani per leggi che multano la «disinformazione»
Il governo australiano ha scartato i piani per introdurre multe per le piattaforme di social media che non riescono a fermare la diffusione online di «disinformazione e informazioni errate gravemente dannose».
Il partito laburista al governo ha riconosciuto che il suo Communications Legislation Amendment (Combatting Misinformation and Disinformation) Bill («Progetto di legge di modifica della legislazione sulle comunicazioni (lotta alla disinformazione e alla cattiva informazione)» non aveva alcuna possibilità di ottenere abbastanza sostegno in Parlamento.
Come riportato da Renovatio 21, si sarebbe trattato di una legge che di fatto avrebbe reso il governo come unico arbitro della verità, una prospettiva orwelliana che non sorprende, dopo il biennio pandemico, nel contesto degli antipodi.
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In una dichiarazione di domenica, il ministro delle Comunicazioni Michelle Rowland ha scritto che «sulla base di dichiarazioni pubbliche e impegni con i senatori, è chiaro che non esiste un percorso per legiferare questa proposta attraverso il Senato», accusando gli oppositori del disegno di legge di porre «lo spirito di parte al di sopra di qualsiasi tentativo di navigare nell’interesse pubblico».
Secondo Sky News, la coalizione conservatrice Liberal-National, così come i Verdi australiani e un certo numero di senatori trasversali si sono rifiutati di sostenere la legislazione proposta. L’opposizione ha criticato il disegno di legge come un tentativo di sopprimere la libertà di parola.
La Rowland ha esortato quei partiti e legislatori a sostenere altre iniziative presentate dal governo con l’obiettivo dichiarato di «rafforzare le istituzioni democratiche e mantenere gli australiani al sicuro online». Il funzionario ha continuato affermando che «l’80% degli australiani vuole un’azione» per affrontare «la disinformazione e la cattiva informazione gravemente dannose che rappresentano una minaccia per la sicurezza, l’integrità delle elezioni, la democrazia e la sicurezza nazionale».
Il ministro delle comunicazioni ha aggiunto che il disegno di legge silurato «avrebbe inaugurato un livello di trasparenza senza precedenti, tenendo le grandi aziende tecnologiche responsabili dei loro sistemi e processi per prevenire e ridurre al minimo la diffusione di informazioni errate e disinformazione dannose online». La legislazione si sarebbe concentrata in particolare su aspetti come bot, account falsi, deep fake, pubblicità e monetizzazione.
Il disegno di legge prevedeva multe fino al 5% del fatturato globale di una piattaforma di social media in caso di inadempienza. In base a tale legge, le aziende sarebbero state obbligate dalle autorità australiane a presentare codici di condotta, con l’autorità di regolamentazione che avrebbe stabilito i propri standard nel caso in cui una piattaforma di social media avesse trascurato di farlo.
Di recente il governo australiano ha avviato una campagna normativa per limitare i giganti della tecnologia con sede all’estero.
Giovedì, la Rowland aveva presentato in parlamento un emendamento all’Online Safety Act che obbligherebbe le piattaforme di social media ad adottare misure ragionevoli per garantire efficaci protezioni di verifica dell’età. Se approvata, la legge impedirebbe ai bambini di età inferiore ai 16 anni di accedere ai social media, con multe fino a 50 milioni di dollari australiani (circa 30,8 milioni di euro) per le aziende che violano le norme.
Si trattava, con ogni evidenza di una legge in pieno stile orwelliano, in grado di superare financo il totalitarismo della Repubblica Popolare Cinese, avversario «caldo» da cui Canberra, dopo screzi anche significativi, progetta di difendersi in ogni modo.
«Lo scopo principale della legislazione è quello di mettere a tacere i critici della risposta del governo australiano alla crisi del COVID-19. L’obiettivo è garantire che in futuro le autorità sanitarie e la classe politica siano immuni da controlli e critiche» continua LifeSite. «È improbabile che sia efficace. Ciò che hanno fatto invece è dimostrare che l’Australia non ha un’adeguata protezione per la libertà di parola, né è una vera democrazia».
L’Australia, come noto, divenne durante la pandemia COVID il Paese capofila dell’incubo distopico-pandemico.
Come ha già avuto modo di scrivere Renovatio 21, l’Australia raggiunse livelli mostruosità durante il biennio pandemico, quando lo Stato praticò una repressione ferale contro la sua popolazione, con la violenza delle forze dell’ordine portata – e autorizzata – fin dentro le automobili e persino le case delle famiglie, e ordini che proibivano baci e abbracci a capodanno, i regali di Natale, e perfino le conversazioni, nonché gli abbracci tra nonni e nipoti, con i non vaccinati definiti dalle autorità sanitarie come «infelici» e «soli» per tutta la loro vita, e bambini che venivano aggrediti dalla polizia.
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Immagine di DO’Neil via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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Il vicecancelliere tedesco denunzia un pensionato per un meme
Während sich #Habeck als “volksnaher” Kanzlerkandidat präsentiert, werden seine Kritiker unerbittlich verfolgt. Dabei schreckt man nicht davor zurück, Hausdurchsuchungen bei schlafenden Familien durchzuführen, nur weil der Familienvater diese #Schwachkopf-Grafik teilte. Das ist… pic.twitter.com/mHdd3HBLLu
— AfD (@AfD) November 13, 2024
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Sorveglianza
Legge australiana renderà il governo l’unico arbitro della verità
Un un duro colpo alla libertà di parola in Australia, la Bamera bassa del parlamento federale ha approvato un emendamento, noto come Misinformation and Disinformation Bill, al Broadcasting Services Act (la legge sui servizi di diffusione) del 1992.
Il Misinformation and Disinformation Bill impone obblighi ai fornitori di piattaforme di comunicazione digitale di impedire la diffusione di contenuti «che contengono informazioni ragionevolmente verificabili come false, fuorvianti o ingannevoli e che hanno una ragionevole probabilità di causare o contribuire a gravi danni di un tipo specifico (disinformazione e informazione errata)».
Diversi politici dissenzienti hanno espresso indignazione e incredulità per la mossa legislativa. Nola Marino, membro del partito di opposizione di destra Liberal Party, ha affermato di non pensare che l’Australia, una società liberaldemocratica, avrebbe mai «discusso un disegno di legge che è esplicitamente progettato per censurare e mettere a tacere il popolo australiano».
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Keith Pitt, membro del National Party, ha descritto la legislazione come un «abisso spalancato che è incredibilmente (…) pericoloso per questo Paese», esprimendo shock per il fatto che l’emendamento fosse stato presentato, aggiungendo che le democrazie occidentali come l’Australia sono state costruite sulla libertà di espressione e sulla libertà di religione. Tali obiezioni di principio sono state tuttavia ignorate. La legislazione ora deve solo passare al Senato (la camera alta) per diventare legge.
«La prima e più ovvia critica alla legge è che mette l’autorità governativa, l’Australian Communications and Media Authority (ACMA), nella posizione di dover decidere cosa sia e cosa non sia un’informazione “falsa”» scrive LifeSite. «Ciò non è solo assurdo (come potrebbe l’ACMA, ad esempio, esprimere giudizi su argomenti come vaccini o virus), ma significa anche che la legge non può essere applicata universalmente.
«I governi diffondono regolarmente informazioni false, presumibilmente più spesso di quanto non facciano con informazioni vere. Saranno penalizzati? Ovviamente no. Gli inserzionisti presentano informazioni false. Rientreranno nella sua legge? No. Sarà rivolta solo a persone che dicono cose che al governo non piacciono, specialmente in relazione alla politica sanitaria. È politica, non legge» continua il sito cattolico canadese.
«Quando i governi distorcono la legge per fini politici, inevitabilmente si finisce per creare una legislazione mal concepita, ed è quello che è successo qui. La legge dipende per la sua integrità da una semantica chiara, parole la cui definizione è chiara. Ma due parole chiave, “disinformazione” e “disinformazione”, sono fuorvianti nella migliore delle ipotesi».
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Si tratta, con ogni evidenza di una legge in pieno stile orwelliano, in grado di superare financo il totalitarismo della Repubblica Popolare Cinese, avversario «caldo» da cui Canberra, dopo screzi anche significativi, progetta di difendersi in ogni modo.
«Lo scopo principale della legislazione è quello di mettere a tacere i critici della risposta del governo australiano alla crisi del COVID-19. L’obiettivo è garantire che in futuro le autorità sanitarie e la classe politica siano immuni da controlli e critiche» continua LifeSite. «È improbabile che sia efficace. Ciò che hanno fatto invece è dimostrare che l’Australia non ha un’adeguata protezione per la libertà di parola, né è una vera democrazia».
L’Australia, come noto, divenne durante la pandemia COVID il Paese capofila dell’incubo distopico-pandemico.
Come ha già avuto modo di scrivere Renovatio 21, quando l’Australia chiederà scusa per la mostruosità raggiunta dal Paese durante il biennio pandemico?
Quando chiederà scusa per la repressione mostruosa contro la sua popolazione?
Quando chiederà scusa per la violenza delle forze dell’ordine portata – e autorizzata – fin dentro le automobili e persino le case delle famiglie?
Quando chiederà scusa per gli ordini che proibivano baci e abbracci a capodanno, i regali di Natale, e perfino le conversazioni?
Quando chiederà scusa per gli ordini ai nonni australiani di non avvicinarsi ai loro nipoti?
Quando chiederà scusa per gli insulti ai non vaccinati definiti dalle autorità sanitarie come «infelici» e «soli» per tutta la loro vita?
Quando chiederà scusa per la polizia che aggrediva perfino i bambini?
Quando chiederà scusa per l’apartheid biotica effettiva implementata perfino nei supermercati?
Quando chiederà scusa per l’invito alla delazione per i vicini «anti-governo o teorici del complotto del vaccino COVID», che era ripetuto fino a pochi mesi fa?
Quando chiederà scusa per i lager pandemici, allestiti con allucinante rapidità e mostruosa efficienza concetrazionaria?
Quando chiederà scusa per Melbourne, città offesa sino al parossismo, trasformatasi in una vera zona di guerra?
Quando chiederà scusa per le persone picchiate in strada perché prive di «documenti vaccinali»?
Quando chiederà scusa per i danni biologici che il vaccino sta producendo, come attestano gli interventi vari medici e qualche parlamentare, sugli australiani?
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