Economia
Putin delinea la nuova politica del rublo digitale

Il nuovo rublo digitale dovrebbe essere pienamente incorporato nell’economia russa, ora che la fase di test della sua adozione sta volgendo al termine, ha annunciato la settimana scorsa il presidente Vladimir Putin.
Intervenendo a una riunione del governo su questioni economiche, Putin – che aveva avviato da tempo il processo per il rublo digitale – ha affermato che il lancio pilota della moneta elettronica si è rivelato un successo e che il progetto è pronto per un’implementazione più ampia.
«Il lancio pilota della piattaforma del rublo digitale ha dimostrato la sua efficienza e funzionalità. E ora dobbiamo fare il passo successivo, vale a dire muoverci verso un’implementazione più ampia e completa del rublo digitale nell’economia, nelle attività commerciali e nel campo della finanza», ha dichiarato il presidente, aggiungendo che ha intenzione di discutere i passaggi volti ad accelerare questo processo con gli enti regolatori.
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L’idea di introdurre una valuta digitale nazionale è stata svelata dalla Banca di Russia alla fine del 2020 e il rublo digitale è diventato ufficialmente operativo il 1° agosto dell’anno scorso. A differenza delle valute virtuali come Bitcoin, il rublo digitale è una forma elettronica della valuta nazionale russa emessa dalla Banca centrale e sostenuta dalla moneta tradizionale – cioè una cosiddetta CBDC.
Gli enti regolatori affermano che il rublo digitale ha lo scopo di facilitare i trasferimenti di denaro e i pagamenti sia all’interno che all’esterno della Russia, poiché non dipenderà da restrizioni bancarie come commissioni e limiti.
«In sostanza, questa è solo un’altra forma della nostra valuta nazionale. La cosa speciale è che cittadini e aziende possono usare il rublo digitale indipendentemente dalla banca in cui hanno un conto», ha osservato Putin, che ormai parla apertis verbis della creazione di un nuovo sistema finanziario internazionale.
Secondo il presidente, 12 banche, 600 privati e 22 imprese commerciali e di servizi di 11 città in tutta la Russia hanno già preso parte alla fase di prova dell’adozione della valuta. Al 1° luglio, hanno effettuato più di 27.000 trasferimenti e oltre 7.000 pagamenti per beni e servizi utilizzando il rublo digitale.
Secondo la Banca di Russia, altri 21 istituti di credito si stanno preparando ad aderire al progetto, il che potrebbe avvenire già a settembre di quest’anno, scrive RT.
L’ente regolatore ha anche iniziato a testare gli accordi tramite il rublo digitale con diversi partner stranieri della Russia, ha detto a TASS all’inizio di questo mese il suo primo vicepresidente Olga Skorobogatova.
Ad aprile, il governatore della Banca centrale Elvira Nabiullina ha ipotizzato che la piena adozione del rublo digitale su larga scala potrebbe richiedere dai 5 ai 7 anni.
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«Questo sarà un processo naturale perché la scelta delle persone e delle aziende è fondamentale: dovrebbe essere conveniente per loro», ha detto la Nabiullina all’agenzia di stampa RIA Novosti.
Anche la Russia, ,dunque, muove verso le CBDC come tanti altri Paesi in tutto il mondo, dalla Gran Bretagna a Israele, dagli USA alla UE dell’euro digitale, dalla Cina alla Nigeria ai progetti di moneta digitale globale del Fondo Monetario Internazionale.
Secondo alcuni osservatori, il crollo delle banche private testimoniate in questi anni potrebbe favorire l’emergere delle valute elettroniche Banche Centrali, le quali stanno ovunque intensificando la spinta verso le valute digitali.
Come riportato da Renovatio 21, la Russia in passato ha avuto un atteggiamento ambivalente riguardo al Bitcoin.
Ora l’implementazione della valuta digitale in Russia è tutta da verificare. Come è stato per il vaccino COVID (blandamente evitato da quasi tutti i russi) e il codice QR – una sorta di green pass in versione russa – è da vedere se la popolazione russa seguirà i dettami del governo sulla valuta elettronica.
Renovatio 21 ricorda, ancora una volta, il proverbio sovietico :«l’asprezza delle leggi russe è mitigata dal fatto che non è necessario osservarle».
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Economia
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Economia
Gli USA impongono dazi fino al 3.521% sulle importazioni di energia solare legate alla Cina

Washington ha imposto dazi fino al 3.521% sulle importazioni di energia solare dal Sud-Est asiatico, secondo le informazioni pubblicate lunedì dal dipartimento del Commercio degli Stati Uniti. Gli aumenti fanno seguito alle accuse secondo cui i produttori di proprietà cinese che operano nella regione avrebbero violato le norme commerciali. Lo riporta Bloomberg.
Secondo la testata economica neoeboracena, i dazi colpiscono le importazioni da Malesia, Cambogia, Thailandia e Vietnam, Paesi che complessivamente lo scorso anno hanno fornito agli Stati Uniti apparecchiature solari per un valore di oltre 12,9 miliardi di dollari.
Note come dazi antidumping e compensativi, le misure mirano a contrastare l’impatto di quelle che il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ritiene essere pratiche di sussidi e prezzi ingiusti.
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La decisione è stata presa a seguito di una petizione presentata dall’American Alliance for Solar Manufacturing Trade Committee, che rappresenta diversi produttori statunitensi. Le aziende nazionali hanno affermato che i produttori cinesi di pannelli solari con stabilimenti nei quattro paesi del Sud-Est asiatico esportavano pannelli a prezzi inferiori ai costi di produzione e beneficiavano di sussidi ingiusti che compromettevano la competitività dei prodotti americani.
Le sanzioni variano a seconda dell’azienda e del Paese: i prodotti Jinko Solar provenienti dalla Malesia sono soggetti a dazi antidumping e compensativi combinati del 41,56%, i prodotti Trina Solar realizzati in Thailandia sono soggetti a tariffe del 375,19% e i fornitori cambogiani, che non hanno collaborato all’indagine, rischiano tasse punitive fino al 3.521%.
I critici del provvedimento, come la Solar Energy Industries Association (SEIA), sostengono che i dazi danneggerebbero i produttori di energia solare statunitensi, aumentando il costo delle celle importate, che le fabbriche americane utilizzano per assemblare i pannelli, ha osservato Reuters.
La Commissione per il commercio internazionale, un’agenzia federale statunitense indipendente e imparziale che indaga su questioni legate al commercio, voterà a giugno per determinare se l’industria nazionale ha subito danni materiali a causa delle importazioni, un passaggio necessario affinché i dazi entrino in vigore pienamente.
Dopo che circa 12 anni fa erano stati imposti dazi simili sulle importazioni di energia solare dalla Cina, le aziende cinesi hanno reagito aprendo attività in altri Paesi che non erano state interessate dai dazi, ha osservato Bloomberg.
Le nuove imposte si aggiungeranno ai dazi doganali introdotti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che hanno scosso i mercati globali. Finora, Trump ha imposto dazi del 145% sulle importazioni cinesi e ha minacciato un ulteriore possibile aumento al 245%.
La Cina ha accusato gli Stati Uniti di «bullismo», ha reagito imponendo una tassa del 125% sui prodotti statunitensi e ha promesso di «combattere fino alla fine».
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Immagine di AgnosticPreachersKid via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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