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Economia

La sinistra tedesca contro i verdi: «stanno danneggiando la nostra industria»

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In un’intervista del 10 settembre al quotidiano finanziario svizzero Neue Zürcher Zeitung, la politica tedesca del partito di sinistra Die Linke Sahra Wagenknecht ha ribadito la sua valutazione secondo cui i Verdi sono «il partito più pericoloso» in Germania.

 

«I Verdi stanno danneggiando la nostra industria e la prosperità di milioni di persone con i loro la cosiddetta politica climatica, che non fa assolutamente nulla per il clima. Fanno salire i prezzi e aumentano la povertà».

 

La coalizione di governo nazionale che comprende i Verdi «sta aumentando i problemi invece di risolverne anche uno, e ignora profondamente i desideri delle maggioranze. E non ha alcun concetto per il futuro. Per esempio, se si escludesse la Germania dall’energia a basso costo… Il gas a buon mercato è indispensabile per la nostra industria, per l’approvvigionamento energetico e per il riscaldamento – e se non vuoi più comprarlo dalla Russia, bisogna avere un piano su dove altro possiamo ottenerlo. Ma i politici del semaforo [cioè i partiti di governo, rosso verde e giallo] non ne hanno uno» dice l’esponente di Die Linke.

 

«E ora gli alti prezzi dell’energia stanno uccidendo parti importanti della nostra industria, il che è una tragedia». Poi il ministro dell’Economia Robert Habeck dei Verdi presenta la sua legge sul riscaldamento, che spaventa i cittadini perché gli edifici più vecchi non possono essere riscaldati con una pompa di calore senza interventi di ristrutturazione follemente costosi. Piccoli commercianti e proprietari di case si chiedono come se la caveranno» aggiunge la politica tedesca.

 

Alla domanda su cosa pensa che il presidente ucraino dovrebbe fare per porre fine alla guerra contro la Russia, la Wagenknecht, già nota per aver organizzato manifestazioni per la pace, ha risposto: «si dovrebbe essere disposti a scendere a compromessi. Dopotutto, possiamo vedere che, nonostante tutte le forniture di armi, il fronte difficilmente si muove e l’Ucraina non può vincere militarmente questa guerra. Quindi ciò che serve è realismo e volontà di negoziare. Presumo che i russi non lasceranno la Crimea, la flotta russa del Mar Nero è lì da 200 anni e non c’è quasi nessun abitante della Crimea che vorrebbe che gli ucraini la riconquistassero. E nel Donbass la popolazione dovrebbe decidere da sola in un referendum sotto la supervisione delle Nazioni Unite a quale Paese vuole appartenere».

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E come immagina le relazioni russo-tedesche in futuro? «Per quanto questa guerra sia da condannare, abbiamo bisogno di migliorare nuovamente le relazioni con la Russia», ha affermato. «Le sanzioni economiche danneggiano principalmente la Germania, non i russi. Quest’anno l’economia russa cresce dell’1,5%, mentre l’economia tedesca è al collasso. C’è una guerra economica contro il nostro Paese, che il nostro governo sostiene per cecità e stupidità».

 

Della stupidità del governo tedesco aveva parlato durante l’estate anche il fondatore di Die Linke, l’ex ministro delle Finanze tedesco Oskar Lafontaine, denunciando al contempo la politica guerrafondaia di USA e NATO. Secondo Lafontaine, stupidità dell’attuale governo Scholz è causata anche dalla «via militare» imposta dal partito dei Verdi, un cui esponente, il ministro degli Esteri Annalena Baerbock, mesi fa al Consiglio d’Europa aveva di fatto dichiarato guerra alla Russia.

 

Un po’ controintruivamente, il partito dei Verdi tedeschi si è rivelato la forza politica più brutalmente allineato a Washington e al Patto Atlantico. Va ricordato come la Baerbock, allieva della London School for Economics (un tempio della democrazia, certo), in un’altra occasione arrivò a dire che avrebbe sostenuto l’Ucraina anche contro il volere del suo stesso elettorato.

 

Il partito dei Verdi si rivela ogni giorno una realtà grottesca e disperante. Il mese scorso Johannes Wagner, giovane deputato dei Gruenen, ha sostenuto che i tedeschi hanno il «dovere morale» di rinunciare alla loro ricchezza.

 

Un altro campione della demenza verde al governo  il vicecancelliere Robert Habeck, personaggio noto per le sue istruzione su come fare la doccia, ha chiesto un cambio di priorità nel «triage energetico» che privilegerebbe l’erogazione di energia alle aziende a discapito dei cittadini, con aumenti drastici delle bollette per le famiglie. Habeck aveva rivelato, ripetendolo in più occasioni, di aspettarsi disordini sociali in autunno ed in inverno a causa delle interruzioni energetiche. Intervistato in TV sui lockdown, pareva chiaro che non era in grado di comprenderne l’economia.

 

Come riportato da Renovatio 21, Berlino rischia di restare senz’acqua a causa delle politiche verdi. Nel frattempo, il Partito è cosa affezionato al Paese che vorrebbe togliere la parola «Germania» dal suo nome.

 

Con un breve ma molto incisivo discorso al Bundestag, due mesi fa una deputata di Alternative fuer Deutschland aveva delineato la realtà della «Piovra verde», ossia i grandi gruppi finanziari internazionali che spingono l’ecologismo dentro e fuori dai Parlamenti.

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Immagine di Die Linke via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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Economia

Draghi della distruzione: reloaded

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La verità è che vi eravate dimenticati di lui. Pensavate di averla fatta franca: del resto, gli italiani hanno votato la Meloni proprio in reazione ai due anni di suo governo. E poi ce lo siamo evitato come presidente della Repubblica con il bis a Mattarella, con nasi tappatissimi un po’ dappertutto. No?   Mario Draghi, invece, riappare. Intonso, pontificante: il suo potere, che non è facile capire bene da dove derivi, pare non essere scalfito in nessuna parte. Draghi invincibili. Draghi intrombabili. E dove trovarli.   E quindi, eccolo che dà, in italiano nel testo, il suo contributo per lanciare l’Italia nel suo futuro di guerra ipersonica e termonucleare.

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«Occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti, e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema di difesa continentale» ha detto in un’audizione al Senato l’ex premier.   Perché, le azioni di Trump – cioè dell’uomo che lavora per la pace mondiale – «hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile»: Washington ha votato con Mosca all’ONU sulla risoluzione a difesa dell’Ucraina, lasciando Bruxelles sola (e con il cerino in mano). I «valori costituenti» dell’Europa sono quindi «posti in discussione».   «La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione Europea».   «Il ricorso al debito comune è l’unica strada. Per attuare molte delle proposte presenti nel rapporto, L’Europa dovrà dunque agire come un solo Stato».   Il contorno di filosofia politica è gustosissimo, con tanto di aneddoti messi a ciliegina. «Diversi di voi mi hanno chiesto: questo significa cedere sovranità?» dice il Super Mario, rispondendo: «ebbehcerto!». Quindi parte la storiella: «guardate, vi racconto una cosa che riguarda il presidente Ciampi… molti anni fa eravamo insieme in uno degli ultimi negoziati sulla costruzione dell’euro. Lui mi diceva: “tutti mi dicono: ma perché vuoi fare l’euro, tu ora sei sovrano della tua politica monetaria… ma che sovrano, io non conto niente, oggi devo fare quello che fa la Bundesbank [la Banca Centrale tedesca, ndr]… domani sto intorno ad un tavolo ed avrò una fettina di sovranità… e questa è la storia, la politica monetaria italiana è stata fondamentalmente non una politica monetaria sovrana».  

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Mario, qua la mano: e grazie della sincerità. Il re è nudo – e nemmeno è sovrano di nulla.   Queste affermazioni, tuttavia, non sono state fatte ad un evento incentrato sul ReArm UE dell’ex bundesministro della Difesa Von der Leyen, ora Commissario Supremo dell’Europa Unita. No: il contesto è quello dell’Audizione presso le Commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue di Camera e Senato in merito al Rapporto sul futuro della competitività europea».   Cioè: in teoria, si parlava di economia, e nel suo discorso Draghi lo ha fatto, pure soffermandosi a lungo sulla questione della guerra, includendo «anche l’intelligenza artificiale, i dati, la guerra elettronica, lo spazio e i satelliti, la silenziosa cyberguerra».   Insomma si parlava di crescita economica, che ora, senza tanti infingimenti, finisce per identificarsi con l’industria delle armi. È evidente a tutti: la Germania – contro la cui rimilitarizzazione sono state create la NATO e forsanche la stessa UE – ora gode perché la Volkswagen, messa in ginocchio dai diktat green, ora può felicemente riconvertirsi alla costruzione di veicoli da guerra come faceva ai tempi di Adolfo – che in un contesto di guerra di droni, robot e missili ipersonici non sappiamo bene a cosa serviranno.   La crescita insomma passa per strumenti di offesa. La nuova creazione del valore passa per la distruzione. Non è che avevamo già sentito questa musica?   Sì. Renovatio 21 ne aveva parlato tre anni fa, quando Draghi, ancora a Palazzo Chigi, parlava di «ricostruzione» del «dopo-emergenza». L’articolo si chiamava «“Ricostruire l’Italia” con i draghi della distruzione», di cui ora bisogna fare il reload.   «La “ricostruzione” che abbiamo davanti non pare in nulla simile a quella del dopoguerra. Soprattutto, perché non è una vera ricostruzione. Essa è, innanzitutto, e sempre più dichiaratamente, distruzione» scrivevamo. Perché non si tratta mica di un’opinione nostra, ma di un concetto economico-filosofico abbracciato alla luce del sole. Eccoci ripiombati nell’idea della «distruzione creatrice».   Possiamo dire che Draghi la distruzione la conosce: anzi, possiamo dire che persino la teorizza e la invoca. Lo si capisce leggendo un testo fatto uscire dal cosiddetto Gruppo dei Trenta, un consorzio elitista transnazionale di finanzieri ed accademici creato decenni fa dalla Rockefeller Foundation a Bellagio – un organismo, anche abbreviato in G30, di cui Draghi ha fatto parte come «membro senior».   A fine 2020 il Gruppo pubblicò saggio di analisi che riguardava i cambiamenti economici del mondo post-COVID chiamato Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-COVID. Nel testo il nome di Mario Draghi compare co-presidente del comitato direttivo. Nelle prime pagine del libro Draghi scrive, con tanto di firma autografa, anche alcuni ringraziamenti «per conto del Gruppo dei Trenta».

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Nel saggio compare apertis verbis la «distruzione creativa», un concetto coniato dall’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950), nominato nel 1919 a pochi mesi dalla fine dell’Impero degli Asburgo ministro delle finanze per la prima Repubblica d’Austria. Non seppe tenere il posto, andando quindi a dirigere una banca, per poi tornare all’accademia ed emigrare oltreoceano nel 1932 approdando alla prestigiosa università di Harvard – cuore intellettuale pulsante del patriziato transatlantico – dove fece il professore fino alla morte.   Qui compose il trattato economico Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), dove lo Schumpeter lancia l’idea della distruzione creatrice (schöpferische Zerstörung) come «processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova».   La distruzione di interi comparti professionali è per l’economista austriaco la condizione ideale per l’economia e la sua necessaria evoluzione. Ora tornate a leggere la data di pubblicazione di questo inno alla distruzione: uscì in America quando la distruzione concreta della guerra si abbatteva sulla guerra, e gli USA di Roosevelt si armavano per entrare in Guerra su due fronti, riconvertendo la propria industria e, di fatto, uscendo così del tutto dalla Grande Depressione.   A questo punto vi viene in mente qualcosa, se guardate dalla finestra?   Schumpeter, nel documento 2020 del Gruppo dei 30 del dicembre 2020, è menzionato una sol volta, tuttavia l’intero testo sembra girare intorno al suo concetto di distruzione creatrice.   «I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni e gli adeguamenti aziendali necessari o desiderabili nell’occupazione.» scrive il testo del Gruppo di Draghi. «Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa” poiché alcune aziende si restringono o chiudono e ne aprono di nuove e poiché alcuni lavoratori devono spostarsi tra aziende e settori, con un’adeguata riqualificazione e assistenza transitoria».   Insomma, il piano è noto. È noto anche ciò che lo anima: non la creazione – un concetto, se vogliamo, cristiano – ma la distruzione, che più che al Dio creatore e salvatore che ha informato l’Europa e legata a concetti oscuri dello shivaismo e del tantrismo, sistemi di pensiero gnostici trapelati nel codice sorgente dell’Occidente moderno.   Il sanscritista britannico Monier-Monier Williams (1819-1899) aveva per questo pensiero delle parole lucidissime: «la perfezione buddista è distruzione». Così: per le filosofie orientali, la scomparsa dell’io (in sanscrito, anatman) o l’estinzione del ciclo cosmico stesso (nirvana) sono i segni dell’illuminazione raggiunta. Illuminazione è distruzione.   Possiamo dire ciò è vero anche per gli arconti che ci governano: gli illuminati sono distruttori. I sapienti esperti ed intoccabili, saliti sulle loro torri ed eurotorri senza che si comprenda davvero perché, ci indicano la via della distruzione come l’unica da seguire.   Vedete come il quadro diviene perfettamente comprensibile: distruggere per procedere, procedere per distruggere. Solo così, comprendendo che la Cultura della Morte è un fondamento del mondo moderno e dei suoi padroni, è possibile spiegare la follia di questi anni, dai sieri genici allo scontro sempre più diretto con la maggiore superpotenza atomica mondiale.   Solo con la Necrocultura della distruzione è possibile spiegarsi la persistenza dei draghi.   Là fuori c’è chi vuole distruggervi – e ve lo dice in faccia, ed è pure pagato da voi. Non è una questione economica, ma materiale, metafisica: perché in gioco c’è la vostra stessa esistenza e quella dei vostri figli. Che sono minacciati di essere disintegrati in quindici minuti dalle scelte dei draghi distruttori.   Roberto Dal Bosco

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Alimentazione

Gli USA chiedono uova all’UE

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Il Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha contattato i produttori di diversi paesi dell’UE per assicurarsi ulteriori importazioni di uova a fronte dell’impennata dei prezzi interni, ha riferito venerdì la Reuters, citando l’associazione danese delle uova.

 

La richiesta giunge nonostante le recenti tensioni commerciali tra Washington e Bruxelles a causa dei dazi sulle importazioni imposti dal governo statunitense su vari prodotti dell’UE.

 

Secondo quanto riferito, a fine febbraio un rappresentante dell’USDA in Europa ha inviato richieste formali a diversi paesi produttori di uova, tra cui Danimarca, Svezia e Finlandia.

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I prezzi all’ingrosso delle uova negli Stati Uniti hanno recentemente raggiunto il massimo storico di 8,41 dollari la dozzina, segnando un aumento di oltre il 200% rispetto all’anno precedente, secondo Bloomberg. L’aumento dei prezzi è attribuito a un’epidemia in accelerazione di influenza aviaria tra le galline ovaiole, che ha ridotto significativamente le scorte di uova.

 

«Stiamo ancora aspettando ulteriori indicazioni da Washington sui prossimi passi, ma avete una stima del numero di uova che potrebbero essere fornite agli Stati Uniti (supponendo che soddisfino tutti i requisiti di importazione)», si legge in una lettera di follow-up all’associazione danese delle uova esaminata da Reuters, indicando che la Casa Bianca stava cercando di stimare le quantità di importazione fattibili.

 

Un portavoce dell’associazione ha dichiarato alla Reuters che avrebbero indagato sulla situazione, sottolineando tuttavia che in Europa non vi è alcuna eccedenza di uova.

 

«C’è una carenza di uova ovunque su scala globale, perché il consumo è in aumento e molti sono colpiti dall’influenza aviaria», ha specificato, aggiungendo che le esportazioni di uova negli Stati Uniti potrebbero essere difficili a causa delle normative igieniche e di altri fattori.

 

Il rappresentante dell’industria danese Jorgen Nyberg Larsen ha confermato in un’intervista con AgriWatch che Washington aveva chiesto informazioni su quanto potesse essere potenzialmente fornito, aggiungendo che «hanno anche contattato i miei colleghi nei Paesi Bassi, in Svezia e in Finlandia».

 

La scorsa settimana, fonti a conoscenza della questione hanno riferito a Bloomberg che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti aveva avviato un’indagine preliminare sull’impennata dei prezzi delle uova in tutto il Paese. L’indagine si concentrerebbe sulla possibilità che i fornitori locali come Cal-Maine Foods e Rose Acre Farms avessero cospirato per aumentare i prezzi o limitare l’offerta.

 

All’inizio di questa settimana, è entrato in vigore l’aumento del 25% dei dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio dall’UE da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in seguito alla scadenza delle precedenti esenzioni e quote esenti da dazi. La Commissione Europea ha risposto annunciando contro-dazi su 26 miliardi di euro (oltre 28 miliardi di dollari) di beni statunitensi, che dovrebbero iniziare ad aprile.

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Il prezzo alle stelle delle uova è considerato un segno evidente dell’ondata inflattiva che ha colpito gli USA negli anni di Biden. Il problema, che arriva a far mancare del tutto le uova negli scaffali dei supermercati americani, deriva anche dall’abbattimento massivo di volatili per l’isteria dell’influenza aviaria, che ciclicamente per mesi e anni è stata lanciata da stampa ed autorità USA come un nuovo COVID in arrivo.

 

Altri ritengono che si tratti di una scarsità programmata, quasi un’operazione di sabotaggio, tra le altre, che hanno colpito il settore alimentare americano.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi anni si è registrata una strana serie di incidenti ad impianti di produzione alimentare e grandi fattorie degli USA.

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Economia

Trump è peggio del COVID: lo dice il vicepresidente BCE

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Washington sotto la presidenza di Donald Trump ha creato più «incertezza» della pandemia di COVID-19, ha affermato Luis de Guindos, vicepresidente della Banca Centrale Europea (BCE).   L’eurofunzionario ha rilasciato queste dichiarazioni in un’intervista al Sunday Times, durante la quale ha deplorato l’uso delle tariffe da parte di Trump, nonché i piani per riformare le imposte sulle società e deregolamentare il sistema finanziario. Le azioni della nuova amministrazione statunitense hanno causato volatilità a breve termine nei mercati, rendendo al contempo difficili da prevedere le aspettative di inflazione e i tassi di interesse, ha affermato.   «Dobbiamo considerare l’incertezza del contesto attuale, che è persino maggiore di quella durante la pandemia», ha affermato il vicepresidente BCE.   «Quello che stiamo vedendo è che la nuova amministrazione statunitense non è molto aperta a continuare con il multilateralismo, che riguarda la cooperazione tra giurisdizioni e la ricerca di soluzioni comuni per problemi comuni. Questo è un cambiamento molto importante e una grande fonte di incertezza», ha aggiunto.

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Le preoccupazioni su cosa Trump potrebbe fare in seguito hanno danneggiato anche la fiducia dei consumatori, ritiene de Guindos, notando che l’atteso aumento degli investimenti aziendali e dei consumi delle famiglie non è arrivato. Ha attribuito il declino delle proiezioni di crescita dell’Eurozona alle azioni della nuova amministrazione statunitense.   «I salari reali sono aumentati, l’inflazione sta diminuendo, i tassi di interesse stanno scendendo e le condizioni di finanziamento sono migliori. Ma la realtà è che i consumi non stanno riprendendo», ha detto.   «Questo perché i consumatori non sempre reagiscono agli sviluppi del loro reddito disponibile reale a breve termine. Considerano anche cosa potrebbe accadere all’economia nel medio termine, che è offuscata dall’incertezza. La possibilità di una guerra commerciale o di un conflitto geopolitico più ampio ha un impatto sulla fiducia dei consumatori», ha aggiunto il funzionario, descrivendo le guerre commerciali come una «situazione in cui perdono tutti».   L’aumento tariffario del 25% di Trump sulle forniture di acciaio e alluminio dall’UE è entrato in vigore la scorsa settimana dopo la scadenza delle precedenti esenzioni ed esclusioni. Bruxelles ha già promesso di reagire, promettendo quelle che ha definito contromisure «rapide e proporzionate».   La Commissione europea ha condannato i dazi dirompenti e «ingiustificati» di Trump, promettendo di imporre contro-dazi su beni statunitensi per un valore di 26 miliardi di euro a partire da aprile. «I dazi sono tasse, sono cattivi», ha affermato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen quando ha annunciato le misure di ritorsione.

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