Pensiero
La tautologia costituzionale. Il COVID e i suoi effetti giuridici

La tautologia è senz’altro il modo più elementare per evitare la spiegazione di un qualunque fenomeno, specie quando una spiegazione non la si sa o non la si vuol dare.
È l’espediente difensivo primordiale del bambino verso chi gli fa una domanda scomoda. Perché l’hai fatto? Perché sì. Più tardi passerà alla forma più sofisticata: «questo è bello perché è bello», o «mi piace perché mi piace».
È un po’ l’espediente adottato da Silvana Sciarra, attuale presidente della Corte Costituzionale che in conferenza stampa ha ribadito grosso modo il ragionamento seguito dalla Corte nel rigettare la eccezione d’incostituzionalità della norma che ha imposto l’obbligo vaccinale.
Alla domanda brutale e forse malposta della giornalista se la Corte nel giudizio di Costituzionalità guardi alla scienza o alla Costituzione, risponde che «per accertare la violazione o meno dei principi costituzionali, teniamo conto dei dati forniti dalla scienza quando questi sono necessari per valutare la ragionevolezza della norma di cui stiamo discutendo».
Fin qui nulla di male in linea teorica, perché è vero che, per accertare se una determinata norma violi in concreto un qualche principio costituzionale, può essere necessario prendere in considerazione se e come il legislatore abbia valutato i presupposti di fatto, anche alla luce di dati tecnico scientifici.
Così ad esempio per stabilire se la norma che fissasse un certo salario per determinate categorie di lavoratori sia tale da assicurare a questi e alle loro famiglie una vita libera e dignitosa, secondo il principio costituzionale, occorrerebbe tenere conto di dati tecnici ed economici che hanno a che fare con il costo della vita, dell’inflazione, etc.
Ma nel nostro caso c’è qualcosa di più del semplice contrasto di una norma con un qualunque principio costituzionale, e non ci sono dati oggettivi di tipo matematico da prendere in considerazione.
C’è infatti sul tappeto anzitutto un problema di conflitto tra diversi principi costituzionali e la necessità di risolverlo in base al criterio del bilanciamento degli interessi secondo un principio di ragionevolezza. Ed è qui che entra in campo il corto circuito del ragionamento della Corte: per il bilanciamento degli interessi occorre accordare la prevalenza alla norma che ha stabilito l’obbligo vaccinale, cioè all’interesse alla salute collettiva assicurata dal vaccino, rispetto al diritto di libertà del singolo.
Questa prevalenza risponde a ragionevolezza perché la situazione pandemica era tale da non potere essere sanata che grazie all’uso massivo di un farmaco di sicura efficacia profilattica e immunizzatrice, e la sua gravità giustificava il sacrificio in capo a pochi o molti, per la salvezza di tutti.
In questo quadro, il concetto di scienza viene a coincidere di fatto con le opinioni di un qualunque cultore della materia, mediaticamente incaricato di sostenere l’indirizzo e gli interessi governativi e, ad essa così personificata, viene accordata dunque la capacità di risolvere la questione giuridica del conflitto tra gli interessi tutelati dalla Costituzione, mentre le sue proposizioni vengono messe al riparo da ogni vaglio critico, secondo una equiparazione a priori, cervellotica quanto arbitraria, di tutto ciò che viene corrivamente elevato, in via puramente nominalistica, alla dignità delle scienze esatte.
Tanto meno si può tenere conto, con questo atto di fede devota e incondizionata, della intrusione di interessi politici, geopolitici, economici, di potere tout court, che con l’interesse collettivo nulla hanno a che fare. Di quelle intrusioni che, purtroppo, condizionano anche le scelte di istituzioni fortemente politicizzate, proprio come la Corte Costituzionale.
Eppure anche in linea teorica qualunque enunciato di tipo tecnico scientifico non può sostituirsi alla valutazione politico giuridica, come il giudice ordinario non può in nessun caso sostituire il giudizio tecnico al giudizio sulla questione di diritto che spetta solo a lui, come nel caso in cui disponga una perizia psichiatrica allo scopo di accertare la capacità di intendere e di volere dell’imputato, che egli può accogliere o disattendere motivando una decisione che spetta solo a lui e della quale si assume tutta la responsabilità.
Insomma, è vero che il giudizio di legittimità costituzionale di una norma può abbracciare anche i dati tecnici o scientifici attinenti ai presupposti di fatto che l’hanno ispirata. Ma ciò non significa che anche questi dati non debbano essere sottoposti a vaglio critico, proprio per l’uso che il legislatore ne abbia fatto nel costruire la norma in questione.
Infatti, dire che questa è legittima perché fonda la propria ragionevolezza su dati scientifici tout court, significa prendere questi a scatola chiusa, come intrinsecamente incontrovertibili, e sostituirli alla fatica e al dovere istituzionale di ricercare soluzioni giuridicamente corrette e appropriate. Con la conseguenza che chi fornisce quei dati va a sostituire il legislatore ordinario e alla fine anche il giudice costituzionale che vi si conforma sempre a scatola chiusa…
Mentre i dati «tecnico scientifici» devono essere oggettivamente valutabili secondo criteri altrettanto oggettivi e inattaccabili. Sicché, proprio il bilanciamento degli interessi e la ragionevolezza della scelta normativa vanno posti sul piano concreto alla luce della realtà dei fatti e delle cognizioni che a loro volta devono illuminarli.
E qui si scopre l’equivoco in cui si impaluda il discorso della Sciarra e prima ancora la pseudomotivazione della Corte. Non basta evocare il bilanciamento degli interessi e dare per scontato che, di fronte ad una calamità che coinvolge l’intera collettività, anche il diritto individuale deve arretrare. Perché questa formulazione astratta è del tutto priva di significato se utilizzata per valutare la legittimità di una norma emanata per regolare una situazione particolare concreta come è quella con la quale abbiamo dovuto fare i conti.
Una cosa è il principio del bilanciamento degli interessi in gioco che ha mosso il legislatore penale a prevedere la scriminante della legittima difesa: il diritto alla vita o all’incolumità di chi viola le norme penali soccombe di fronte a quello di chi subisce l’azione delittuosa. Qui la prevalenza di un diritto sull’altro è stata fatta una volta per tutte in via generale e astratta in base ad un criterio di equità e di razionalità che non può più essere più messo in discussione, perché mette sul piano della bilancia valori oggettivamente misurati e determinati nella coscienza comune. Il giudice potrà indagare soltanto se le circostanze di fatto giustificano la applicazione della scriminante.
Ma nel caso in cui si deve giudicare se una norma particolare dettata per fatti contingenti abbia risolto in concreto il conflitto tra interessi costituzionalmente protetti, si deve tenere conto di tutti i fattori che vanno a comporre il quadro concreto, e indagare sulla congruità dei provvedimenti adottati, in relazione alla realtà di fatto, alla fondatezza dei criteri tecnici o scientifici che dir si voglia e alla loro fondatezza, etc., ed è soltanto con il vaglio critico di tutta una serie di dati oggettivi e concreti che si può misurare la proporzionalità del provvedimento, e quella sua ragionevolezza invocata dalla Sciarra.
Invece, nel caso della norma particolare che ha preteso di sacrificare diritti di ogni tipo sull’altare della salute collettiva, sappiamo che la situazione sanitaria è stata manipolata e contraffatta, che le decisioni prese per il contenimento di un fenomeno enfatizzato e persino aggravato attraverso l’applicazione forzata di protocolli sbagliati, sono risultate sproporzionate e controproducenti, che l’imposizione di un farmaco sperimentale e dannoso ha avuto conseguenze devastanti sotto ogni profilo, che si sono calpestati abusivamente e con protervia diritti elementari rimasti in balia della prepotenza di politici e politicanti di turno.
Dunque, qual è la ragionevolezza di un obbligo arbitrario e ingiustificato sotto ogni profilo, risultato tale proprio dagli esiti nefasti della sua imposizione?
E in che modo esso può bilanciare la soppressione di diritti costituzionalmente garantiti?
Poiché non vengono esaminati i presupposti di fatto, si sciorinano solo affermazioni senza contenuto logico reale.
Del resto, con quale logica e con quale senso del diritto la Corte preposta a salvaguardare i principi costituzionali dai possibili arbitrii della legge, ovvero della politica che genera i governi e snatura la funzione dei parlamenti, può definire ragionevole e quindi legittima una norma dissennata e truffaldina? Quando proprio l’arbitrio, la vessazione gratuita, la ottusa e colpevole diffusione di dati falsificati sulla liceità, efficacia e innocuità di un farmaco sperimentale dalle conseguenze spesso letali hanno procurato alla nazione un danno sociale, economico e culturale non riparabile.
Eppure, questa Corte stravagante impersonata dalla sua portavoce, ha potuto giustificare tutto ciò con una tautologia lapidaria: la norma era legittima perché ragionevole e proporzionata. Legittima perché legittima. Ipsa dixit.
Patrizia Fermani
Articolo previamente apparso su Ricognizioni.
Immagine della Presidenza della Repubblica Italiana via Wikimedia; fonte Quirinale.it
Pensiero
Professore di studi bellici avverte: molti Paesi europei si trovano in uno stato «pre-guerra civile»

Uno dei massimi esperti studi bellici di guerra ha lanciato l’allarme: molti paesi europei sono sull’orlo della guerra civile e potrebbero aver già superato il punto di non ritorno. Lo riporta Modernity News.
David Betz, professore di guerra nel mondo moderno al King’s College di Londra, afferma che la sua ricerca dimostra che esiste una probabilità statisticamente significativa che entro cinque anni scoppi una guerra civile in un importante paese europeo, con una concreta possibilità che il conflitto possa estendersi alle nazioni vicine.
Parlando con il documentarista Andrew Gold, Betz ha inoltre osservato che probabilmente è troppo tardi per impedire che la situazione in Europa «peggiori molto e che i governi potrebbero solo prepararsi meglio all’inevitabile.
«Probabilmente eviterei le grandi città. Ti suggerirei di ridurre la tua esposizione alle grandi città, se puoi», esortò Betz con tono gelido. «Non c’è niente che possano fare, è insito. Abbiamo già superato il punto di non ritorno, secondo la mia stima… abbiamo superato il punto in cui si verifica una disfatta politica. Abbiamo superato il punto in cui la politica normale è in grado di risolvere il problema».
Betz ha sottolineato che «quasi ogni possibile soluzione da qui in poi, a mio avviso, implica una qualche forma di violenza».
«Qualsiasi cosa il governo cerchi di fare a questo punto… puoi risolvere un tipo di problema, ma nel farlo aggraverai un altro tipo di problema, e tornerai alla violenza», ha continuato il professore.
«Secondo me la questione è come mitigare i costi, non come prevenire il risultato, mi dispiace dirlo… Non ho sentito una soluzione politica credibile e non vedo una sola figura politica che sia credibile nel ruolo di salvatore nazionale, o anche solo incline a farlo», ha aggiunto.
«La conclusione è che non credo che ci sia al momento una soluzione politica a questa situazione, che consista nel far sì che tutto vada per il meglio dopo un periodo di difficoltà», conclude cupamente Betz, osservando «Le cose vanno male ora, ma peggioreranno molto».
«Spero che poi la situazione migliori, ma prima di arrivarci bisognerà attraversare un periodo in cui la situazione è molto peggiore», ha previsto.
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In sostanza, è una spirale discendente. «Capisco che ciò che dico è estremamente spiacevole», ha detto Betz, aggiungendo: «voglio solo dire, care élite, che le conseguenze delle vostre azioni sono arrivate».
Betz osserva che il Regno Unito, la Francia e la Svezia sono tutti già afflitti da una «terribile instabilità sociale», un «declino economico» e una «pusillanimità delle élite», tutti storicamente precursori di conflitti.
Lo studioso stima che una guerra civile nel Regno Unito, che ora ha una popolazione di 70 milioni di persone, potrebbe causare decine di migliaia di morti.
«Le società più instabili sono moderatamente omogenee», ha osservato in precedenza Betz, notando che i gruppi di maggioranza tradizionali sentono che il loro status è minacciato o sta per essere completamente sostituito e sono più propensi a lottare per mantenere il predominio.
Sebbene la ricerca abbia indicato che il Regno Unito è sulla buona strada per diventare un paese abitato da una minoranza bianca entro pochi decenni, Betz prevede che ciò non accadrà realmente perché un numero sufficiente di britannici nativi potrebbe trasferirsi per invertire la tendenza.
«Si potrebbe sostenere un’argomentazione del genere, ma credo che si tratti di fare troppe supposizioni sulla probabile reazione delle persone. Non credo che la società sia così inerte», ha detto il Betz, aggiungendo: «non credo che gli inglesi vogliano essere sfrattati dal proprio Paese… Credo che la gente lo rifiuterà. E la gente sta già percependo l’urgenza di agire per impedire la perdita di qualcosa a cui tiene molto».
Betz ha inoltre affermato che «l’esistenza di questa idea di Inghilterra… è seriamente in pericolo… come le persone reagiranno a questo è la questione. C’è un grave rischio che reagiscano in modi che ci porteranno fuori scala. Spero che ciò non accada, ma siamo in un momento molto pericoloso».
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Scuola, la tempesta sui nostri figli: dal terrore pandemico all’«educazione al consenso»

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Pensiero
La metamorfosi di Trump tra l’Iran e Israele: spietata, sanguinaria arte del deal

Non a tutti è piaciuta quella grafica che Renovatio 21 ha fatto, e piazzato su magliette. Il profilo di Trump che si staglia sulla tenebra, e ti fissa con occhi di fuoco, ha inquietato qualcuno. Ci sono persone che ci hanno scritto per protestare. Altri hanno chiesto spiegazioni.
Subito ci siamo stupiti: riteniamo quel disegno particolarmente riuscito. L’artigiano che ci segue per le serigrafie la ha messa in esposizione come una delle sue massime opere, e in molti gli domandano come comperarla. Noi la guardiamo e pensiamo: in questa immagine c’è tutto.
Eppure no, taluni non capiscono, lasciandoci interdetti: è come se non vedessero il valore metafisico, metapolitico, metastorico a cui è assurta la figura di Donaldo. Di più: non possono vedere la cifra di determinazione, risoluzione, di giustizia che, infine, arriva – con una parola che ci fa rischiare di sembrare perfino evoliani, non realizzano l’uomo Trump come potenza.
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Ancora: vediamo che essi non ne percepiscono il carattere punitivo.
Nella tragica ora in cui il Medio Oriente si infiamma – e le fiamme sono, ha detto il direttore AIEA Rafael Grossi, radiattive – la metamorfosi di Trump a noi pare più chiara che mai. No, non è più il Trump-45, il presidente impolitico venuto dal business e dalla reality TV (con i quali, va ricordato, ha scalato, da outsider, la scena più ardua e medievale del mondo, Nuova York).
No. Lo abbiamo pensato subito, forse da qualche parte lo abbiamo pure scritto: The Donald è cambiato, molto. Doveva esservi chiaro almeno da quando giurò da presidente, quel 20 gennaio, senza – inedito totale, pure per lui stesso – toccare la Bibbia: un gesto enigmatico, ma pure, qualsiasi fosse l’intenzione, profondamente morale. Trump-47 è un’altra persona, un essere nuovo, trasformato.
Ad inizio aprile il Washington Post aveva scritto, citando un anonimo funzionario della Casa Bianca, che Trump era «at peak of not giving a fuck», cioè «al vertice del non fregarsene un cazzo». Un ultra-nichilismo funzionale al potere, una sorta di satori regale, di illuminazione definitiva del comando monarchico: uno status che pochi hanno raggiunto, e che francamente noi mai abbiamo davvero veduto.
Non crediamo che questa trance metapolitica sia stata raggiunta negli ultimi tempi. Era pienamente intuibile durante il primo attentato, quello che doveva fargli saltare la testa in mondovisione (perché la CNN aveva mandato tutte quelle telecamere per un comizio qualsiasi, in un Paesino della Virginia? Se lo chiedono in diversi). Una traiettoria spiegabile solo con la religione gli sfiora l’orecchio, linee di sangue gli rigano il volto, che diviene la riflessione perfetta della bandiera USA che garrisce sopra di lui. Lui si rialza, non banda agli agenti del Secret Service che devono portarlo via, alza al cielo il pugno, si rivolge al suo popolo, e gli chiede per tre volte di continuare a lottare. «Fight, fight, fight».
Era evidente: a quell’uomo non importa di morire. Con il cuore è decisamente altrove, in un luogo ideale che non conoscevamo e che non sappiamo bene descrivere. È oltre agli interessi individuali, e al contempo calato in modo totalizzante nel suo desiderio di comunione con il popolo, con il suo imperativo interiore di essere, prima che populista, popolare.
Credo di averlo già scritto: Mussolini è morto mentre scappava in Svizzera vestito da soldato tedesco. Hitler (in teoria, OK) si è suicidato nascosto in un bunker tra la puzza di piscio. Questo esemplare di leader sembra diverso.
Non è che lo abbiamo notato solo noi. Prendiamo Naomi Wolf: intellettuale proveniente dalla sinistra liberal (ebrea, studi oxoniani, un passato da abortista sfegatata), già collaboratrice dei Clinton, ora però redpillata nella comprensione del Vero, con indomito sforzo di analizzare la catastrofe pandemica già visibile, dice, nelle carte di Pfizer. Chiedere alla Wolf, che nel frattempo ha cominciato a comprendere verità geodemonologiche sul mondo moderno, di sostenere Trump era tantissimo. Tuttavia un giorno ha dovuto farlo – fu quando, a fine campagna elettorale era uscita la notizia per cui c’erano almeno cinque squadre di assassini, pure dotati di missili terra-aria, attivate per assassinare Trump. Lui di contro, twittava di cose ridicoli, provocando al solito qualcuno che gli stava antipatico. «Mi ci sono voluti anni a riconoscerlo, ma devo dirlo: tipo che sei figo».
Figo, cool: la parola significa anche «freddo». Capace di decisione; al comando della situazione.
È quello che sta mostrando, anche in modo non proprio edificante, in queste ore. Ha scritto, usando il maiuscolo, che i generali iraniani «hardliners», cioè le «teste calde» che si opponevano ai negoziati «sono tutti MORTI». Quello di Israele sembra proprio essere stato un decapitation strike. Un attacco che toglie di mezzo il centro di controllo di un sistema. Lui, piuttosto brutalmente, mostra che ciò è di suo giovamento – perché con evidenza il suo fine è il negoziato, l’arte del deal sulla quale ha costruito tutta la sua vita.
In pratica, Trump pare aver usato Israele per riportare gli ayatollah al tavolo, e alle sue condizioni.
Già qui c’è questa novità enorme: non è Israele che usa l’America, ma l’America che usa Israele. Scusate: anche qui, crediamo di mai aver veduto questa cosa. Cambio di paradigma metafisico.
Trump ha imparato la lezione. Renovatio 21 è una delle poche testate che aveva riportato le parole che mesi fa Trump aveva affidato ad una grande rivista americana, e forse pure ripetuto in altre occasioni: il generale Soleimani lo aveva fatto uccidere su pressioni di Netanyahu (come confermato anche da spie ebraiche), che alla fine però si era tirato indietro all’ultimo minuto.
«Ho avuto una brutta esperienza con Bibi», aveva detto nel maggio 2024 Trump. «È stato qualcosa che non ho mai dimenticato», aveva detto Trump a TIME, aggiungendo che l’incidente «mi ha mostrato qualcosa».
Non che la mossa gli sia costata nulla: lui, e tutta la sua famiglia, passeranno l’esistenza sperando che il Secret Service li scudi dalla vendetta iraniana, giurata perfino su video di computer grafica diffusi da canali ufficiali.
Officials in #Iran have released a 3D animated video depicting the targeting of former President Donald Trump at his Mar-A-Lago golf course. This sequence is in revenge for killing IRGC General Qasem Soleimani. pic.twitter.com/2h1giUrlFx
— Jake Hanrahan (@Jake_Hanrahan) January 13, 2022
Oggi la faccenda è molto cambiata. Trump ha maltrattato Israele e il suo premier, al punto da suggerire, con l’idea bislacca di Gaza resa paradisiaco resort mediterraneo, l’idea che lo Stato Giudaico non avrà mai il controllo della striscia necessaria al compimento del disegno del «Grande Israele». Con evidenza, tuttavia, ha lasciato mano libera, intuendo una debolezza attuale attorno all’Iran.
La Russia e la Cina interverranno a favore di Teheran? Il potere dell’ayatollah sulla popolazione è così saldo? Sono calcoli che deve aver fatto, mentre diviene chiaro a cosa sia servito il viaggio in Arabia dello scorso mese, e quel lungo, denso discorso sulla fine della politica neocon – quindi, per paradosso, la fine della bava alla bocca contro l’Iran. A Riyadh, e negli altri regni del Golfo, Trump ha riprogrammato, deal dopo deal, l’asse del Medio Oriente, orientandolo più verso la Mecca che verso la Repubblica Islamica (che, fuori da regno dei Sauditi, tra i sunniti, godeva comunque di una presa non indifferente).
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Non possiamo sapere cosa accadrà. Il piano potrebbe non funzionare, i calcoli sulla tenuta di Khamenei, o sulla possibilità di tenere a freno lo Stato degli ebrei, potrebbero essere errati. La volontà negoziale messa in questo sforzo era partita nei primi giorni, quando dissero che aveva mandato Elon Musk a Nuova York a trattare con emissari di Teheran. Non molto pare essere stato ottenuto, e la situazione potrebbe ovviamente precipitare definitivamente – atomicamente.
Rimane che quello che stiamo vedendo è il Trump 2.0, il Donaldo scaturigine anni di pressione (con secoli di carcere minacciati dai tribunali) e di violenza, rigenerato nella lotta e nel sangue. È il re arrivato all’illuminazione oscura, al potere più enigmatico: Dark Maga Power.
Aveva scritto The Art of the Deal, l’arte di fare deal, affari. Come il suo cuore, tale arte è divenuta tenebrosa, spietata, perfino, potete dirlo, a tratti sanguinaria.
Non siamo certi che tutto questo sia bello da vedere, né – visto che ci sono di mezzo dei morti – bello. Ma mai avevamo testimoniato il potere politico utilizzato in questa tremenda purezza.
La bellezza – a volte triste, a volta tragica – che ha il castigo. Cioè quello oggi che tutti gli esseri umani rimasti tali nel mondo moderno devono chiedere al Cielo.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificata
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