Geopolitica
I missili erano ucraini. Ad un passo dalla Terza Guerra Mondiale per una menzogna – o per un ammasso di danaro riciclato?
Contrordine, i missili che hanno colpito la Polonia, a quanto pare uccidendo due contadini, erano S-300 ucraini.
In un impeto di sincerità inversamente proporzionale alla preparazione all’apocalisse termonucleare, hanno riconosciuto tutti: da Biden al segretario NATO. Anche la nostra Meloni che dal G20 di Bali ha comunque dato la colpa alla Russia perché la guerra… ecco. Grandissima Giorgia.
In rete scherzano: vuole dire quindi che possiamo invocare l’articolo 5 dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico e attaccare tutti insieme Kiev?
L’immarcescibile Ron Paul lo ha scritto: «abbiamo rischiato di finire nella Terza Guerra Mondiale per mezzo di una menzogna?»
La realtà è che di questa cosa incredibile – una bufala, una fake news che poteva trascinarci in conflitto contro la più grande potenza nucleare del pianeta, la Federazione Russia – vanno cercate le responsabilità.
A partire con la storia dei «missili russi», ripetuta a pappagallo da tutti i media mainstream mondiali, era stata l’agenzia Reuters. Citava fonti anonime nell’Intelligence USA con conoscenza della questione. Ora Reuters ha pubblicato una rettifica – la rettifica del secolo, visto che la notizia rischiava di mettere a rischio miliardi di vite umane.
E quindi, che faceva girare la balla? Sicuro, Kiev: tutto quello che sparano dal regime Zelens’kyj, che non ha una opposizione di controllo né dai partiti né dai giornali perché li ha aboliti, viene preso per oro colato dai maggiordomi della stampa di TV e giornaloni – quelli che in un articolo che ci eravamo dimenticati di aver scritto avevamo chiamato «leccatori di citofoni NATO».
Non stiamo a perdere tempo a ricordarvi la panzana dei martiri dell’Isola dei Serpenti (tutti vivi, e tornati a casa nonostante gli avessero fatto un funerale di Stato!), le accuse di stupri di massa (con il funzionario di Kiev che, sotto il fuoco di domande di una brava giornalista italiana, ammette l’assenza di prove, e si vanta del fatto che il M5S ci era cascato), le stragi (che misteriosamente avvengono quando i russi hanno lasciato la cittadina), il teatro di Mariupol’ (dove non è morto nessuno, e che l’allora ministro Franceschini si era impegnato a ricostruire, a differenza de L’Aquila e Amatrice), l’ospedale di Mariupol’ (con la ragazza incinta che secondo Kiev e i nostri giornali era morta invece è viva e vegeta) i missili trovati nelle scuole con le scritte «Dlja Detej» (salvo poi vedere che non erano missili in dotazione ai russi), le bande neonaziste che in realtà sono «reggimenti nazionalisti» (e le loro svastiche sono antichi simboli indoeuropei»).
I giornaloni, e le TV che ci ritroviamo, e i politici corrotti e venduti a organizzazioni di morte, non riescono ad ammettere questa semplice verità: l’unico modo che Zelens’kyj e i suoi hanno di sopravvivere a tutto questo è trascinare il resto del mondo nella catastrofe della guerra nucleare.
Dubbi non ve ne sono. Pensato a cosa ha detto il braccio destro di Zelens’kyj, quel Mykhailo Podolyak che già settimane fa insisteva in interviste internazionali per attacchi atomici contro Mosca: «la Russia non può continuare nella sua attuale forma di esistenza». Il che vuol dire, guerra e rovesciamento del Paese più grande del mondo, detentore del primo arsenale di distruzione nucleare del mondo, Nazione in grado di sacrificare 20 milioni di uomini nella guerra contro l’invasore – e vincerla.
La guerra totale, quella che può spazzare via centinaia di milioni di persone, e farne morire, nel proseguo, miliardi di fame, è l’unica possibilità per il comico Zelens’kyj e la sua ghenga di rimanere in scena.
Sacrificare tutta l’umanità per il singolo tuo profitto personale – sì, un messaggio contrario a quello cristiano, un messaggio satanico, una plastica rappresentazione dell’idea del sacrificio umano che torna fra gli uomini. Uccidi il prossimo tuo per placare gli dei crudeli e ottieni un vantaggio personale.
Come può qualcuno pensare una cosa del genere? Ebbene, serve, più che fegato, il nichilismo. Quello che hanno «i neonazisti e i drogati», come li ha definiti ad inizio conflitto Putin.
La storia ve l’abbiamo raccontata su Renovatio 21: di fatto lo Zelens’kyj, che è un attore con magari i vizi degli attori, è attorniato da zeloti neonazisti, che di fatto gestiscono il conflitto oltre che la sua sicurezza personale (soprattutto dalla loro stessa minaccia), e che da decenni sono controllati dalla CIA e dal Deep State di Washington.
Quel che si dice è che nazisti tengono Zelens’kyj tranquillo e soddisfatto, su di giri quanto basta e qui non ripeteremo la propaganda russa che indica come. Anche perché, e questo invece è un fatto pubblico, c’è la cortese minaccia, mandata nel 2019 a mezzo stampa appena dopo le elezioni, che se Zelens’kyj arretra di un millimetro, gli ucronazisti lo impiccano ad un albero del Kreshatik, il vialone della capitale che va verso piazza Maidan.
Tuttavia, questo quadretto disfunzionale («drogati e nazisti» che si inventano frottole per far scoppiare la Terza Guerra Mondiale, e i media mondiali che se le bevono, corroborando con le menzogne delle spie, che sono mentitori di professione) potrebbe non essere esaustivo di ciò che sta davvero succedendo.
In America si fa un gran parlare di questa faccenda del crollo del banco di criptovalute FTX. Tucker Carlson ieri sera è arrivato a definirlo in diretta TV «il braccio finanziario del Partito Democratico» USA, dando dettagli sempre più ficcanti, come la presenza del giovane bancarottiere poliamoroso alla Casa Bianca per parlare di misure regolatorie per le cripto – situazione tipo volpe nel pollaio, ma qui sono certe galline che aprono la porta, per qualche tornaconto.
Come riportato da Renovatio 21, FTX aveva messo in piedi anche un affare per il sostegno via cripto del governo ucraino. Le accuse fatte dal sito americano Gateway Pundit, secondo cui questo sarebbe uno schema di riciclaggio del danaro pro-Democrat Party, sono state sdegnosamente respinte da un viceministro ucraino così come dagli interessati. Teorie del complotto. Via.
Tuttavia, vale la pena di guardare, anche solo a livello macroscopico, alle cifre, come ha fatto il giornalista investigativo Glenn Greenwald, quello del caso Snowden.
US funding for war in Ukraine in 9 months:
Mar: $ 13.6 billion
May: $ 40b
Nov: $ 37.7b: Biden's new requestThat $ 91.3 billion is 33% more than Russia's *total military spending for the year*
It's *double* the US's average annual expenditure for its own war in Afghanistan
— Glenn Greenwald (@ggreenwald) November 16, 2022
«Finanziamenti statunitensi per la guerra in Ucraina in 9 mesi: marzo: 13,6 miliardi di dollari; maggio: 40 miliardi di dollari; novembre: 37,7 miliardi di dollari: la nuova richiesta di Biden. Quei 91,3 miliardi di dollari sono il 33% in più della spesa militare totale della Russia per l’anno. È il doppio della spesa annuale media degli Stati Uniti per la propria guerra in Afghanistan».
Si tratta di cifre sproporzionate persino per gli USA, che starebbero dando a Kiev più di quando spendevano per occupare Kabul, e più di quanto costa l’intero apparato militare russo, incluse le 7000 e più testate termonucleari.
E quindi, cosa sta succedendo davvero? Dove finiscono tutti quei 91 (novantuno) miliardi di dollari?
C’è una possibilità, cosa che si sta cominciando a chiedere qualcuno negli USA, che una parte di quella valanga di danaro senza precedenti torni indietro al partito che è riuscito a sopravvivere alle elezioni midterm?
E ancora: è possibile che una guerra con la Russia possa essere il modo migliore per evitare che se ne parli?
Non è che la Terza Guerra Mondiale sia l’unica possibilità di sopravvivenza non solo per il regime di Kiev, ma anche per la palude infame del Deep State di Washington con il suo partito di riferimento?
Se ciò fosse vero, quanto bisogno ci sarebbe, per il bene dell’umanità, di spazzare via tutto questo?
Roberto Dal Bosco
Geopolitica
Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati
Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.
In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».
Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.
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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.
Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.
L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.
«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».
Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».
Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.
«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.
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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato
Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.
L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.
Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.
Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.
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Geopolitica
Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine
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Geopolitica
L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.
Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.
«Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.
Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in Israele.
L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.
La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.
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Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.
Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.
Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.
Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.
Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.
Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».
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Immagine di duma.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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