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Pensiero

Il Ministero della Verità e la denazificazione virtuale

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Il nazismo, ovvero ciò che fino a ieri dovevamo tutti identificare con il male assoluto, per obbligo di legge oltre che morale, è d’improvviso evaporato.

 

Ed è così che abbiamo scoperto che il Ministero della verità esiste e funziona proprio come nel romanzo di Orwell: dirige il pensiero cancellando la storia, anche in un attimo, anche contro ogni logica sostenibile, anche oltre la dissonanza cognitiva e oltre ogni decenza.

 

Permette al Grande Fratello di operare meraviglie, sterzate clamorose tipo trasformare il Nemico di sempre in nuovo amico, così, con un colpo di bacchetta magica.

 

Il Ministero della Verità si materializza sugli schermi sotto forma di un signore, divenuto per motivi imperscrutabili giornalista di punta da piccolo craxiano che era, che interpreta da par suo la velina per cui «il battaglione Azov non è neonazista».

 

No. I loghi runici, il sole nero e la simbologia da SS, alla cui vista i sinceri democratici ululavano pavlovianamente evocando baffetti, panzer e forni crematori anche di fronte a qualche pittoresco destroide nostrano scappato di casa, diventano di colpo disegnini innocenti. 

 

Ma Mentana non se ne esce dal nulla, qualche significativo antefatto c’era.

 

Un ottimo pezzo di Maria Grazia Bruzzone apparso sul sito de La Stampa nel 2014 raccontava del golpe americano a Kiev in piazza Maidan dove, tra i manifestanti contro il presidente Yanukovich e misteriosi cecchini appostati sui tetti che ammazzavano a caso, spuntavano un po’ di svastichine, un po’ di runette, qualche tatuaggino birichino.

 

La giornalista dava conto di alcune cose sul battaglione Azov e sul fenomeno dell’ucronazismo talmente interessanti che l’articolo, otto anni dopo, aveva ricominciato a circolare. Finché, d’un tratto, il pezzo sparisce dalla rete.

 

Provate voi stessi. Guardate cosa vi dice la pagina.

 

«Ops! Pagina non trovata. Sembrava che quello che stai cercando sia stato spostato o non è mai esistito».

 

Quello che stai cercando non è mai esistito: davvero, più orwelliani di così….

 

Cosa è successo? Come mai è stato oscurato? Come è possibile che un quotidiano appartenente a oligarchi di ascendenza ebraica – il nonno di John Elkann, banchiere e rabbino, fu presidente del Concistoro ebraico di Parigi – censuri un articolo sui nazisti cattivi?

 

Proprio quando si assiste alla concreta risorgenza del nazismo conclamato?

 

Poi arriva Facebook, cioè Meta. La Reuters batte una storia incredibile: un giro di email interne proverebbe che la piattaforma di Zuckerberg prende a consentire agli utenti di incitare alla violenza contro i russi e addirittura di chiedere la soppressione dei loro massimi rappresentanti istituzionali, in particolare sappiamo bene di chi. Una condotta che, in base ai codici vigenti, dovrebbe far sì che il responsabile sia bannato a vita. 

 

Di più, si ammettono elogi al battaglione Azov. Quello che, considerato da fonti non governative come autore di massacri, stupri, torture su scala mostruosa, utilizza iconografia e rituali nazisti e, giusto per dire, a Mariupol ha eretto un idolo al dio slavo del tuono Perun.  

 

Il Ministero della Verità, dunque, non si è insediato solo nell’apparato italiano, ha una centrale operativa sovranazionale che dirama ordini perentori, in omaggio ai principi imperituri di maestro Goebbels.

 

Le nuove verità da martellare sono: il battaglione Azov non è nazista, cancellate ogni prova, nascondete tutto, eliminate le stragi del Donbass, sdoganate svastiche, rune e soli neri.

 

Tutti obbediscono: Zuckerberg,  Mentana, Elkann, etc.

 

Obbediscono oltre ogni immaginazione, se il direttore de La Stampa (sempre lei) sbatte in prima pagina lo scatto della strage avvenuta a Donetsk per mano dei nazionalisti ucraini attribuendola ai russi e trasferendola a Kiev; o se Amazon si mette a vendere in rete magliette, felpe, tazze, souvenir e gadgetti del battaglione Azov, simboli mistici del III Reich in evidenza.

 

Epperò conviene non fare battute sulla comune origine etnica di certuni dei promotori del nuovo corso, perché si rischia di essere additati come nazisti. La faccenda può provocare dei capogiri, ma va così e bisogna farsene una ragione.

 

Ritrovarsi oggi sotto la guida del Ministero della Verità fa abbastanza paura. Ancora più paura fa pensare a quello che potrà accadere un domani come effetto dell’oltraggio alla verità vera, quella zittita dalla propaganda ministeriale orwelliana.

 

Quest’oltraggio, perpetrato in nome del nulla occidentale, rischia di creare un mostro violento e nichilista, legibus solutus, una creatura dell’odio pronta ad aggirarsi per l’Europa con il suo stesso salvacondotto – e con le armi da essa stessa fornite.

 

È già accaduto. Legittimare, promuovere e finanziare formazioni radicali a fini geopolitici è un’operazione che va a finire sempre male, da sempre: è una regola cosmica, archetipica, di cui la letteratura e il folklore tanto ci hanno parlato.

 

Basterebbe riesumare Frankenstein o, per restare in tema di ebraismo askenazita, il Golem. Basterebbe, se non si fosse eclissata la memoria.

 

Insomma, Putin aveva iniziato la campagna d’Ucraina invocando la sua denazificazione.

 

È stato battuto sul tempo: la denazificazione, virtuale, l’hanno già fatta i media, e l’hanno fatta dappertutto. Se il nazismo non c’è più, cosa c’è allora da denazificare?

 

In realtà, cosa ci sarà mai da denazificare in un mondo divenuto un lager popolato da cavie umane in attesa solo di una nuova, definitiva Norimberga?

 

 

Roberto Dal Bosco

Elisabetta Frezza

 

 

 

 

 

Immagine di iGooch via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-NC-SA 3.0).

Geopolitica

Zakharova e le sanzioni ai media russi: gli USA stanno diventando una «dittatura neoliberista»

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Le ripetute sanzioni volte a limitare la libertà dei media russi negli Stati Uniti sono un segnale dell’erosione dei valori democratici a Washington, ha affermato la portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova.

 

La portavoce ha rilasciato queste dichiarazioni all’agenzia di stampa RIA Novosti a margine dell’Eastern Economic Forum tenutosi mercoledì a Vladivostok, poche ore dopo l’introduzione di un nuovo ciclo di sanzioni da parte degli Stati Uniti.

 

Washington ha imposto severe restrizioni ai media russi in passato, ha osservato Zakharova. L’imposizione di queste nuove sanzioni «testimonia l’irreversibile degrado dello stato democratico negli Stati Uniti e la sua trasformazione in una dittatura neoliberista totalitaria», ha affermato, aggiungendo che i notiziari sono diventati una «merce di scambio nelle dispute di parte e il pubblico è deliberatamente tratto in inganno da insinuazioni su mitiche interferenze nei “processi democratici”».

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Gli attacchi ai media russi sono «il risultato di operazioni attentamente ponderate» pianificate dai servizi segreti e coordinate con i principali organi di informazione, ha affermato la Zakharova.

 

L’obiettivo, ha affermato, è «sterilizzare lo spazio informativo nazionale e, in futuro, globale da qualsiasi forma di opinione dissenziente». Questa nuova «caccia alle streghe» è volta a mantenere «la popolazione in uno stato di stress permanente», oltre a costruire l’immagine di «un nemico esterno», in questo caso la Russia, ha sottolineato la portavoce.

Mercoledì, i dipartimenti di Giustizia, Stato e Tesoro hanno annunciato uno sforzo congiunto per colpire con sanzioni e accuse penali i media russi, tra cui il noto notiziario governativo Russia Today, e gli individui che l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden afferma essere «tentativi sponsorizzati dal governo russo di manipolare l’opinione pubblica statunitense» in vista delle elezioni presidenziali di novembre.

 

Queste azioni degli Stati Uniti «contravvengono direttamente ai loro obblighi di garantire il libero accesso alle informazioni e il pluralismo dei media» e non rimarranno senza risposta, ha affermato la Zakharova.

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Immagine di Diana Robinson via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

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Pensiero

JFK: perché le vere repubbliche odiano la censura e necessitano una stampa libera

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Renovatio 21 pubblica il discorso tenuto dal presidente John Fitzgeraldo Kennedy il 27 aprile 1961 davanti all’American Newspaper Publishers Association. Il significato di queste parole pronunziate oramai 63 anni fa è, con ogni evidenza, ancora piuttosto valido per l’ora presente.   La stessa parola «segretezza» è ripugnante in una società libera e aperta; e noi siamo un popolo intrinsecamente e storicamente contrario alle società segrete, ai giuramenti segreti e ai procedimenti segreti.   Abbiamo deciso molto tempo fa che i pericoli di un occultamento eccessivo e ingiustificato di fatti pertinenti superavano di gran lunga i pericoli citati per giustificarlo.   Anche oggi è poco utile opporsi alla minaccia di una società chiusa imitandone le restrizioni arbitrarie. Anche oggi, ha poco valore nel garantire la sopravvivenza della nostra nazione se le nostre tradizioni non sopravvivono insieme ad essa. E c’è il grave pericolo che l’annunciata necessità di maggiore sicurezza venga colta da coloro che sono ansiosi di espanderne il significato fino ai limiti della censura e dell’occultamento ufficiali.   Ciò non intendo permetterlo nella misura in cui è sotto il mio controllo. E nessun funzionario della mia amministrazione, di alto o basso rango, civile o militare, dovrebbe interpretare le mie parole qui stasera come una scusa per censurare le notizie, soffocare il dissenso, coprire i nostri errori o nasconderci alla stampa e ai media rendere pubblici i fatti che meritano di conoscere. (…)

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Perché in tutto il mondo ci si oppone una cospirazione monolitica e spietata che si basa principalmente su mezzi segreti per espandere la propria sfera di influenza: sull’infiltrazione invece che sull’invasione, sulla sovversione invece che sulle elezioni, sull’intimidazione invece che sulla libera scelta, sulla guerriglia notturna invece degli eserciti di giorno.   È un sistema che ha reclutato vaste risorse umane e materiali nella costruzione di una macchina compatta e altamente efficiente che combina operazioni militari, diplomatiche, di intelligence, economiche, scientifiche e politiche. (…)   I suoi preparativi sono nascosti, non pubblicati. I suoi errori sono sepolti, non messi in evidenza. I suoi dissidenti vengono messi a tacere, non elogiati. Nessuna spesa viene messa in discussione, nessuna voce viene stampata, nessun segreto viene rivelato. Conduce la Guerra Fredda, in breve, con una disciplina di guerra che nessuna democrazia spererebbe o desidererebbe mai eguagliare. (…)   Non solo non ho potuto soffocare le polemiche tra i vostri lettori, ma le accolgo con favore. Questa Amministrazione intende essere sincera riguardo ai propri errori; poiché, come disse una volta un uomo saggio: «un errore non diventa un errore finché non rifiuti di correggerlo». Intendiamo accettare la piena responsabilità dei nostri errori; e ci aspettiamo che tu li indichi quando ci mancano. (…)   Senza dibattito, senza critiche, nessuna amministrazione e nessun Paese può avere successo e nessuna repubblica può sopravvivere. Ecco perché il legislatore ateniese Solone decretò che fosse un crimine per qualsiasi cittadino sottrarsi alle controversie. Ed è per questo che la nostra stampa è stata protetta dal Primo Emendamento – l’unica attività in America specificamente protetta dalla Costituzione – non principalmente per divertire e intrattenere, non per enfatizzare il banale e il sentimentale, non semplicemente per «dare al pubblico ciò che vuole» – ma per informare, suscitare, riflettere, dichiarare i nostri pericoli e le nostre opportunità, indicare le nostre crisi e le nostre scelte, guidare, plasmare, educare e talvolta anche far arrabbiare l’opinione pubblica.   «Ciò significa una maggiore copertura e analisi delle notizie internazionali, perché non sono più lontane e straniere ma vicine e locali. Vuol dire maggiore attenzione ad una migliore comprensione delle notizie così come ad una migliore trasmissione. E significa, infine, che il governo, a tutti i livelli, deve adempiere al proprio obbligo di fornirvi la massima informazione possibile al di fuori dei limiti più ristretti della sicurezza nazionale (…)   E così è alla macchina da stampa – a colui che registra le azioni dell’uomo, custode della sua coscienza, corriere delle sue notizie – che cerchiamo forza e assistenza, fiduciosi che con il tuo aiuto l’uomo sarà ciò per cui è nato: essere libero e indipendente.   John F. Kennedy

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Epidemie

Ma il papa si preoccupa del vaiolo delle scimmie perché teme per i suoi cardinali gay?

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All’Angelus di domenica scorsa il papa ha parlato di un tema che gli sta a cuore particolarmente: la nuova epidemia di vaiolo delle scimmie.

 

«Desidero manifestare la mia solidarietà alle migliaia di persone colpite dal vaiolo delle scimmie, che costituisce ormai un’emergenza sanitaria globale» ha detto il Bergoglio dalla finestrella in Piazza San Pietro la scorsa domenica 25 agosto. «Prego per tutte le persone contagiate, specialmente la popolazione della Repubblica Democratica del Congo, così provata. Esprimo la mia vicinanza alle Chiese locali dei Paesi più colpiti da questa malattia e incoraggio i governi e le industrie private a condividere la tecnologia e i trattamenti disponibili affinché a nessuno manchi l’adeguata assistenza medica».

 

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Ci si può chiedere come mai il romano pontefice tanto si interessi di un tema che sta passando, di fatto, un po’ in sordina, nonostante gli sforzi allarmistici dell’etiope OMS Tedros e la bava che sale alla bocca alle virostar catodiche nostrane, che non vedono l’ora di tornare alla TV.

 

Ecco il papa «virologo» che asseconda «i piani criminali dell’élite globalista», ha tuonato monsignor Viganò. «Bergoglio smette provvisoriamente i panni dell’esperto climatologo nei quali ha rilanciato ossessivamente la narrazione dell’agenda green, per indossare il camice del virologo e dare il suo sostegno alla propaganda psicopandemica sul vaiolo delle scimmie, che altro non è se non uno degli effetti avversi indotti dal siero sperimentale che aveva tanto insistentemente raccomandato all’epoca della farsa del COVID».

 

Ma allora, perché gli stia così a cuore questa malattia più di altre?

 

Al di là dell’argomento terzomondista (sappiamo benissimo che per il Bergoglio l’amore per la «periferia» è solo una finzione di facciata: altrimenti non avrebbe fatto adirare l’intero episcopato africano con le benedizioni omofile della Fiducia Supplicans), potrebbe esserci di mezzo una questione profonda, e costante, e strutturale, di questo Papato: Sodoma e i suoi cittadini.

 

Tutti ricorderanno che, due anni fa, quando scoppiò la paura del vaiolo delle scimmie, perfino le autorità sanitarie internazionali iniziarono ad ammettere che il morbo colpiva soprattutto gli «uomini che fanno sesso con altri uomini», espressione neolinguistico-orwelliana per indicare i sodomiti, che secondo il dato britannico costituivano il 99% dei casi.

 

La sanità italiana, rammenterete, salì in cattedra. Il ministero della Salute della Repubblica diede la precedenza ai gay sul resto della popolazione per l’iniezione del vaccino (è legale?), poi passò a fare una lista incredibile della morfologia dell’attività omosessuale moderna.

 

«Persone gay, transgender, bisessuali e altri uomini che hanno rapporti sessuali con uomini (MSM) che rientrano nei seguenti criteri di rischio: storia recente (ultimi 3 mesi) con più partner sessuali; partecipazione a eventi di sesso di gruppo; partecipazione a incontri sessuali in locali/club/cruising/saune; recente infezione sessualmente trasmessa (almeno un episodio nell’ultimo anno); abitudine alla pratica di associare gli atti sessuali al consumo di droghe chimiche (Chemsex)».

 

Alcuni di questi termini abbiamo notato siano rispuntati anche in questi giorni.

 

Insomma: con gli allarmi epidemici che si alzavano durante i gay pride, e con casi di cronache sconcertanti e rivoltanti che spuntavano fuori ogni giorno, sembrava chiaro che il vaiolo delle scimmie stava per divenire un nuova «malattia dei gay», come è stato per l’AIDS nei primi tempi, prima che si cominciasse a tirare fuori casi come quello del cestista NBA Magic Johnson (o più recentemente gli Oscar al film Texas Buyers Club, dove pure il cattivo era Anthony Fauci…) a dimostrare che, dai, anche gli etero potevano ammalarsi.

 

E quindi ci domandiamo: non è che il papa della «frociaggine», o i suoi pupari, sono preoccupati per la quantità di cardinali gay suoi elettori?

 

Non scriviamo per rivangare la voce secondo cui la lobby gay, da McCarrick in giù, avrebbe complottato per l’elezione di Bergoglio – ottenendo in cambio quello che abbiamo visto, la persecuzione della Messa Antica (partita con quella dei Francescani dell’Immacolata e continuata ora con il prossimo bando totale che segue al motu proprio Traditionis Custodes) nonché la pax omoerotica vaticana, col «chi sono io per giudicare» e con la Fiducia Supplicans.

 

No, parliamo perché abbiamo nelle orecchie una storia ripetuta la settimana scorsa dal geniale investitore miliardario Peter Thiel (ora accusato di essere il puparo della futura amministrazione Trump, in particolare del vicepresidente JD Vance) durante il podcast di Joe Rogan. Parlando di Epstein – che Thiel ha ammesso di aver conosciuto grazie al suo ex socio e ora finanziatore democratico anti-Trump Reid Hoffman – e del kompromat, cioè del materiale compromettente scavato per ricattare qualcuno, il ricco fondatore di PayPal ed allievo di Réné Girard racconta: «si dice che l’80% dei cardinali nella Chiesa cattolica siano gay. Non so se sia vero, ma la direzione è corretta: la tesi di base è che non viene promosso ad essere cardinale se sei eterosessuale, perché dobbiamo fare in modo che tu sia compromesso, così sei sotto controllo, ma fai carriera»

 


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Certo, non è la prima volta che sentiamo questa storia, questa percentuale. Ma tornarci col pensiero fa un po’ male.

 

Se l’80% dei 142 cardinali è omosessuale (ed è, per questo, ricattabile, ricattato, compromesso), ciò significa che i porporati di Sodoma sono almeno 113. E si tratta solo della punta dell’iceberg: per ciascuno di essi, quanti vescovi, quanti sacerdoti che li sostengono sono della cricca invertita?

 

Le domande che uno può porsi si fanno sempre più abissali: che papa può eleggere un conclave gay?

 

Qualcuno insinua che pontefici omofili potrebbero già esserci stati, ma certo non erano frutto di conclavi popolati da una maggioranza di omosessuali organizzati. Non è un caso accidentale singolo: qui parliamo di una struttura vera e propria.

 

Il pensiero da fare, quindi, è: cosa bisogna fare per fermare tutto questo?

 

Cosa è necessario fare per pulire, per resettare questo quadro impazzito?

 

Questa è la vera infezione da combattere. Non il vaiolo scimmiesco, che, lo comprendiamo bene, può preoccupare non poco il personale del Sacro Palazzo sotto l’occupazione omo-modernista.

 

Roberto Dal Bosco

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