Civiltà
La grande manovra tribale per la distruzione della classe media
Avrete visto tutti il video di quella ragazza ligure, titolare di una panetteria, che scoppia in lacrime perché oramai certa di non poter riaprire più. Il video è stato condiviso ovunque, ed è solo l’eco di tante grida di imprenditori e partite IVA intorno che sento intorno a me.
In breve, stiamo cominciando a capire tutti che i mirabolanti 750 miliardi promessi da Conte non sono altro, in ultima analisi, che un trasferimento ulteriore di danaro dal privato al pubblico.
La cosa mica è nuova: era implicitamente invocata da Monti ed è perfino oggi rivendicata apertis verbis dalla Fornero («prima o poi sarà necessario un intervento straordinario, una forma di trasferimento dalla ricchezza privata alla riduzione del debito pubblico»). On connait la chanson: sono le omelie sui troppi risparmi degli italiani a fronte del debito pubblico da ripianare come da diktat di Bruxelles, Francoforte e dei «mercati». Ce lo chiede la finanza, ce lo chiede l’Europa di mettervi le mani in tasca.
I 750 miliardi promessi da Conte non sono altro che un trasferimento ulteriore di danaro dal privato al pubblico
Ragioniamo: le centinaia di miliardi di Conte non sono uno stimolo fatto da una Zecca indipendente, denaro «fiat», non sono un piano Marshall. Sono prestiti.
A differenza del pur pessimo Emmanuel Macron, che a Marzo annunziava a reti unificate di rinviare le tasse a tutti gli imprenditori che lo volessero, in Italia una simile proposta non è stata presa in considerazione. C’è stato il balletto dell’IVA offerto dal Ministro Gualtieri: comunicato stampa il venerdì sera alle 18:30 per dire che il saldo IVA era rinviato a tempo indeterminato, quando la scadenza era lunedì, e i commercialisti già a casa in famiglia. Molti avevano già pagato, perché l’italiano spesso è certosino e teme le multe draconiane del fisco, e ora pure i server della pubblica amministrazione (caso INPS). A questa enorme presa per i fondelli, si aggiunge il fatto che lo slittamento è stato poi deciso di pochi giorni..
C’est-à-dire: le tasse non sono rinviate per alleviare il disastro coronavirale abbattutosi sulle imprese. Sono state spostate di qualche giorno…
Molti finiranno per cascarci, e indebitarsi, sorvolando sulla logica che un danno immenso prodotto da chi non ha saputo difenderci non dovrebbe essere risolto con il nostro indebitamento
Ora, se questo è il pattern, è chiaro che una certa porzione di quei miliardi finiranno impegnati a pagare le tasse. Si tratta insomma di un rifinanziamento dello Stato tramite i risparmi privati contenuti nelle banche. Le quali banche, almeno sentendo le dichiarazioni del presidente dell’Associazione Banche Italiane Antonio Patuelli, non paiono essere state così coinvolte nella discussione di questa manovra. Dilettanti allo sbaraglio: Conte fa i conti senza l’oste?
Ma torniamo a noi: il risparmio privato, quindi, s’invola verso il pubblico. Molti spergiurano che non chiederanno il prestito. Il popolo italiano è molto più di altri allergico ai debiti. Fino a non troppi anni fa, solo il 3% degli italiani usava una carta di credito. Oltre il 70% vive in una casa di proprietà, talvolta comprata senza mutuo, ma con l’accumulo formichino in banca di decenni di stipendi (alla faccia di chi ci chiama «cicale»).
Molti, presi dalla medesima disperazione di quella ragazza, finiranno per cascarci, e indebitarsi, sorvolando sulla logica che un danno immenso prodotto da chi non ha saputo difenderci non dovrebbe essere risolto con il nostro indebitamento.
Ci cascheranno anche perché il governo ha lanciato un’esca bonaria: 600 euro dall’INPS, quelli sì a fondo perduto. Un gesto di buona volontà. Eccoti 600 euro, ora indebitati per 25.000, o molto di più.
Il governo ha lanciato un’esca bonaria: 600 euro dall’INPS. Eccoteli, ora indebitati per 25.000, o molto di più
Perché lo Stato deve rifinanziarsi? La risposta, credo, non sia quella che pensate di primo acchito: lo Stato si alimenta per sopravvivere, fare andare i servizi primari (acqua-luce-gas), gli ospedali, e garantire l’ordine nelle strade. Ciò decisamente è vero, ma c’è sicuramente un calcolo ulteriore.
Lo Stato userà i danari delle tasse, per le quali gli imprenditori si sono indebitati, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, che solo in minima parte fanno parte del metabolismo basale della Nazione. Impiegati dei ministeri, degli uffici pubblici, degli enti più o meno inutili, insegnanti. Cioè, il proprio bacino elettorale.
Si tratta, insomma, di una manovra tribale: la ricchezza verrà rubata ad una tribù, quella delle partite IVA che di certo non vota PD e nemmeno ora M5S (che potrebbe aver creato il suo bacino feudale di voti con i recipienti del Reddito di Cittadinanza), e sarà data a quanti invece votano i partiti di governo.
Si useranno i danari delle tasse, per le quali gli imprenditori si sono indebitati, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici. Cioè, il bacino elettorale dei partiti al governo
Una considerazione simile sarebbe da fare per i supermercati, che sono chiaramente luoghi di contagio tenuti aperti. Non si può stare da soli in un bosco, ma si può stare in una giungla di migliaia di persone dentro ad un luogo chiuso. Non ti fanno uscire di casa come nemmeno in guerra, ma non sanno organizzare – come in guerra – una distribuzione razionale degli alimenti, fatta nelle piazza con i camion dell’esercito, o con delle app non intasate. Boh.
L’enigma sparisce quando pensate che il 30% o più della Grande Distribuzione Organizzata è in mano a cooperative, che sono enti che si riferiscono di solito ad un certo partito di governo. Pensate non solo ai supermercati cooperativi, ma a tutta la filiera, packaging, trasporto, etc. Un polmone finanziario enorme – e come qualcuno sostiene riguardo alle scorse regionali in Emilia Romagna, un bacino di voti non indifferente. Questione di interessi della fazione, evidentemente.
La cosa è in tutto e per tutto simile a quello che mi raccontavano quando ero in Africa. Se vince le elezioni un uomo di una determinata tribù (le nazioni africane hanno confini geografici disegnati per lo più dal colonialismo, e confini etnici di razzismo totale da un villaggio all’altro) stai tranquillo che gli aiuti che arrivano dalla carità mondialista (ONU, ONG, UE o Stati singoli come l’Italia etc.) non finiranno mai alla tribù che del presidente eletto è nemica giurata da secoli.
Manovra economica tribale: in Africa se vince le elezioni un uomo di una determinata tribù stai tranquillo che gli aiuti che arrivano dalla carità mondialista non finiranno mai alla tribù che del presidente eletto è nemica giurata da secoli
Alcuni mica lo hanno nascosto. Un intellettuale di sinistra è andato in TV a urlare la sua gioia per la distruzione del tessuto industriale lombardo, le odiate PMI degli industrialotti. Non abbiamo idea se individui così abbiano mai lavorato in fabbrica in vita loro, tuttavia percepiamo in modo netto, il loro odio tribale. L’Italia si sta africanizzando, sì, e non solo con l’immigrazione selvaggia.
L’Italia assomiglia sempre più all’Africa anche per un motivo ulteriore: l’imprevidenza folle dei suoi governanti. Spazzoleranno via i danari dei privati per darli al pubblico, ma la cosa non può durare, perché i conti correnti delle partite IVA si esauriranno (e, con probabilità, anche la stoica pazienza che stanno dimostrando).
Si tratta quindi di un arraffo apocalittico? Lo Stato nel pallone che prende senza dare indietro nulla, per tirare avanti senza nessun piano preciso che non sia il controllo sociale elettronico proposto dalle sue task force che chiedono immunità penale per le loro decisioni? (A proposito: forse che scopriremo che saranno anticostituzionali?)
Da un punto di vista politico ed economico, potrebbe essere. C’è tuttavia un piano storico, e metastorico, da considerare. Procediamo spediti verso la disintegrazione definitiva della classe media. Come da programma.
Nemmeno questa è una novità: un sinonimo di distruzione della classe media occidentale è la parola globalizzazione. Come ho ripetuto varie volte, la globalizzazione è cinese o non è.
L’Italia assomiglia sempre più all’Africa anche per un motivo ulteriore: l’imprevidenza folle dei suoi governanti. Spazzoleranno via i danari dei privati per darli al pubblico, ma la cosa non può durare
Tante famiglie del tessuto produttivo dell’Alta Italia, come quella dello scrivente, hanno iniziato a vedere gli effetti di quello che stava succedendo 30 anni fa. Nei mercati cominciarono a immettersi manifatture di Paesi mai visti, come la Turchia, che – si mormorava – apriva fabbriche enormi con danari di Stato, ci faceva lavorare i bambini e poi otteneva dagli americani (interessati a tenere i loro missili al confine con la Russia meridionale) abolizione di dazi ed agevolazioni varie.
Poi venne la Cina. Altro mistero: era un Paese comunista, un Regno oscuro dove poco prima il più liberale dei Presidenti cinesi, Deng, aveva massacrato migliaia di studenti a Piazza Tian’An Men, senza che nessuna diplomazia occidentale reagisse davvero.
Il virus cinese, la globalizzazione, devastò la classe media. Ad essere trasferita in Cina fu più che la ricchezza, fu l’intera manifattura
La Cina di lì a poco sarebbe entrata nel WTO. Ricordate? Era l’era del cosiddetto «Ulivo Mondiale». Bill Clinton, Blair, Prodi… Lasciando perdere un secondo Blair, che pare venne portato a letto dalla moglie cinese di Rupert Murdoch Wendi Deng, sospettatissima di essere un’agente segreto della Repubblica Popolare, ricordiamo come ci sia una controversia sulle elezione del 1996, con la campagna Clinton accusata di aver preso danari da Pechino (altro che Russiagate). A parlarne fu Bob Woodward, quello del Watergate, non un complottista a caso. Per Prodi invece vi saranno cattedre in Cina, e gioiosi memorandum d’intesa ed eventi all’Università di Bologna con l’ambasciatore cinese Ding Wei. A Prodi piacciono gli eventi all’Alma Mater Studiorum di Bologna. Come sapete, nel 1995 vi si premiò con una laurea ad honorem George Soros, quello che distrusse la Lira italiana.
Procediamo spediti verso la disintegrazione definitiva della classe media. Come da programma
Nel governo a Roma ora ci sono gli stessi poteri, più alcuni di nuovi, che sono – pur se biodegradabili – pure pericolosi, perché ancora più filocinesi.
Avrete capito cosa si vuol dire: venti o trenta anni fa come oggi stesso, qualcuno la globalizzazione, cioè la Cina, l’ha fatta entrare. Esattamente come per il Coronavirus.
Venti o trenta anni fa come oggi stesso, qualcuno la globalizzazione, cioè la Cina, l’ha fatta entrare. Esattamente come per il Coronavirus
Ne son seguite, allora come oggi, morte e distruzione. Il virus cinese, la globalizzazione, devastò la classe media. Un altro trasferimento a suo carico, come quello dei risparmi dati in prestito al fine di pagare le tasse: ad essere trasferita in Cina fu più che la ricchezza, fu l’intera manifattura. Fu disintegrata la possibilità di produrre e creare, fu lo spirito di homo faber del cittadino imprenditore, e soprattutto dei suoi operai. Fu la fine della Civiltà del fare, della Civiltà del concreto e della Civiltà dell’Essere, a favore del magma asiatico, il dumping, la finanza derivativa conseguente, e la maledizione di internet a mangiarsi tutto.
Questa rapina africana, questo mondo infettato dal virus cinese prima del Coronavirus, quest’Italia di poveri e traditori che non assomiglia più in nulla a quel Paese, complicato ma splendido, nel quale siamo cresciuti
Chi vi scrive questa storia di distruzione massiva l’ha vissuta sulla sua pelle. L’ha vista sulla sua famiglia, e su tanti conoscenti a cui è andata peggio che a noi. Siamo, in qualche modo, sopravvissuti – ma non con la malinconia annoiata del principe del Gattopardo, siamo andati avanti con le ossa rotte, impoveriti nelle sostanze e nell’animo, con la morte intorno a noi.
Non so se la classe media italiana, specie quella del Lombardo-veneto, potrà sopravvivere alla trappola tribale che le sta servendo ora lo Stato centrale.
Non so cosa dire, se non che dovremmo ritenere inaccettabile questa rapina africana, questo mondo infettato dal virus cinese prima del Coronavirus, quest’Italia di poveri e traditori che non assomiglia più in nulla a quel Paese, complicato ma splendido, nel quale siamo cresciuti.
Non so cosa dire, se non che l’ira è tanta. E non da ieri. Da tre decenni almeno.
Roberto Dal Bosco
Civiltà
Professore universitario mette in guardia dall’«imperialismo cristiano europeo» nello spazio
La preside di scienze sociali della Wesleyan University Mary-Jane Rubenstein, una «filosofa della scienza e della religione» (che è anche affiliata al programma di studi femministi, di genere e sessualità della scuola), afferma di aver notato come «molti dei fattori che hanno guidato l’imperialismo cristiano europeo» siano stati utilizzati in «forme ad alta velocità e alta tecnologia».
La Rubenstein si chiede se «pratiche coloniali» come «lo sfruttamento delle risorse ambientali e la distruzione dei paesaggi», il tutto «in nome di ideali quali il destino, la civiltà e la salvezza dell’umanità», faranno parte dell’espansione dell’uomo nello spazio.
Lo sfruttamento degli altri corpi celesti, quantomeno nel nostro sistema solare, è stata considerata in quanto vi è una ragionevole certezza che su altri pianeti vicini non vi sia la vita, nemmeno a livello microbico. Quindi, che importanza ha se aiutiamo a salvare la Terra sfruttando Marte, Mercurio, la fascia degli asteroidi, per minerali e altre risorse?
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Rubenstein nota che il presidente della Mars Society Robert Zubrin ha sostenuto esattamente questo. In un editoriale del 2020, Zubrin ha attaccato un «manifesto» da un gruppo NASA DEI (diversità, equità e inclusione) che aveva sostenuto «dobbiamo lavorare attivamente per impedire l’estrazione capitalista su altri mondi».
Ciò «dimostra brillantemente come le ideologie responsabili della distruzione dell’istruzione universitaria in discipline umanistiche possano essere messe al lavoro per abortire anche l’esplorazione spaziale», ha scritto lo Zubrin.
Lo Zubrin ha osservato che poiché il gruppo DEI non ha alcun senso su base scientifica, deve ricorrere a «una combinazione di antico misticismo panteistico e pensiero socialista postmoderno» – come affermare che anche se non ci sono prove nemmeno dell’esistenza di microbi su pianeti come Marte, «danneggiarli sarebbe immorale quanto qualsiasi cosa sia stata fatta ai nativi americani o agli africani».
Tuttavia la Rubenstein afferma che varie credenze indigene «sono in netto contrasto con l’insistenza di molti nel settore sul fatto che lo spazio sia vuoto e inanimato».
Tra questi vi sono un gruppo di nativi australiani che affermano che i loro antenati «guidano la vita umana dalla loro casa nella galassia» (e che i satelliti artificiali sono un pericolo per questa «relazione»), gli Inuit che sostengono che i loro antenati vivono in realtà su “corpi celesti” e i Navajo che considerano sacra la luna terrestre.
«Gli appassionati laici dello spazio non hanno bisogno di accettare che lo spazio sia popolato, animato o sacro per trattarlo con la cura e il rispetto che le comunità indigene richiedono all’industria», afferma la Rubenstein.
In effetti, in una recensione del libro di Rubenstein Astrotopia: The Dangerous Religion of the Corporate Space Race, la testata progressista Vox ha osservato che «in effetti, alcuni credono che questi corpi celesti dovrebbero avere diritti fondamentali propri».
Quindi, l’ordine degli accademici è che gli esseri umani dessero priorità alle credenze dei nativi nell’esplorazione dello spazio rispetto a quelle dei cristiani europei?
Dovremmo rinunciare all’estrazione di minerali preziosi da asteroidi, comete e pianeti vicini, perché hanno tutti una sorta di Carta dei diritti «mistica panteistica»?
I limiti posti ai programmi di esplorazione spaziale sono da sempre legati a movimenti antiumanisti che odiano la civiltà – in una parola alla Cultura della Morte.
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Lo stesso Zubrin, ex dipendente NASA frustrato dalla mancanza di un programma per la conquista di Marte e il suo terraforming, ne ha scritto in libri fondamentali come Merchants of Dispair (2013), dove spiega come la pseudoscienza e l’ambientalismo siano di fatto culti antiumani.
Lo Zubrin era animatore della Mars Society, un’associazione dedicata alla promozione dell’espansione su Marte, quando nei primi anni Duemila si presentò ad una serata del gruppo uno sconosciuto, che alla fine lasciò in donazione un assegno con una cifra inusitata per la Society, ben 5.000 dollari: si trattava di Elon Musk.
Il quale, marzianista convinto al punto da realizzare razzi che dice ci porteranno sul pianeta rosso tra quattro anni, è anche uno dei più accesi nemici del politicamente corretto, della cultura woke e soprattutto dell’antinatalismo, oltre che una persona che attivamente, negli anni – lo testimonia la sua costante attenzione per la storia della Roma antica – ha dimostrato di aver compreso il valore, e la fragilità, della civiltà umana.
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Civiltà
L’anarco-tirannia uccide: ieri ad Udine, domani sotto casa vostra
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Civiltà
Tecnologia e scomparsa della specie umana: Agamben su progresso e distruzione
Renovatio 21 pubblica questo scritto di Giorgio Agamben apparso sul sito dell’editore Quodlibet su gentile concessione dell’autore.
Quali che siano le ragioni profonde del tramonto dell’Occidente, di cui stiamo vivendo la crisi in ogni senso decisiva, è possibile compendiarne l’esito estremo in quello che, riprendendo un’icastica immagine di Ivan Illich, potremmo chiamare il «teorema della lumaca».
«Se la lumaca», recita il teorema, «dopo aver aggiunto al suo guscio un certo numero di spire, invece di arrestarsi, ne continuasse la crescita, una sola spira ulteriore aumenterebbe di 16 volte il peso della sua casa e la lumaca ne rimarrebbe inesorabilmente schiacciata».
È quanto sta avvenendo nella specie che un tempo si definiva homo sapiens per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico e, in generale, l’ipertrofia dei dispositivi giuridici, scientifici e industriali che caratterizzano la società umana.
Questi sono stati da sempre indispensabili alla vita di quello speciale mammifero che è l’uomo, la cui nascita prematura implica un prolungamento della condizione infantile, in cui il piccolo non è in grado di provvedere alla sua sopravvivenza. Ma, come spesso avviene, proprio in ciò che ne assicura la salvezza si nasconde un pericolo mortale.
Gli scienziati che, come il geniale anatomista olandese Lodewjik Bolk, hanno riflettuto sulla singolare condizione della specie umana, ne hanno tratto, infatti, delle conseguenze a dir poco pessimistiche sul futuro della civiltà. Nel corso del tempo lo sviluppo crescente delle tecnologie e delle strutture sociali produce una vera e propria inibizione della vitalità, che prelude a una possibile scomparsa della specie.
L’accesso allo stadio adulto viene infatti sempre più differito, la crescita dell’organismo sempre più rallentata, la durata della vita – e quindi la vecchiaia – prolungata.
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«Il progresso di questa inibizione del processo vitale», scrive Bolk, «non può superare un certo limite senza che la vitalità, senza che la forza di resistenza alle influenze nefaste dell’esterno, in breve, senza che l’esistenza dell’uomo non ne sia compromessa. Più l’umanità avanza sul cammino dell’umanizzazione, più essa s’avvicina a quel punto fatale in cui progresso significherà distruzione. E non è certo nella natura dell’uomo arrestarsi di fronte a ciò».
È questa situazione estrema che noi stiamo oggi vivendo. La moltiplicazione senza limiti dei dispositivi tecnologici, l’assoggettamento crescente a vincoli e autorizzazioni legali di ogni genere e specie e la sudditanza integrale rispetto alle leggi del mercato rendono gli individui sempre più dipendenti da fattori che sfuggono integralmente al loro controllo.
Gunther Anders ha definito la nuova relazione che la modernità ha prodotto fra l’uomo e i suoi strumenti con l’espressione: «dislivello prometeico» e ha parlato di una «vergogna» di fronte all’umiliante superiorità delle cose prodotte dalla tecnologia, di cui non possiamo più in alcun modo ritenerci padroni. È possibile che oggi questo dislivello abbia raggiunto il punto di tensione massima e l’uomo sia diventato del tutto incapace di assumere il governo della sfera dei prodotti da lui creati.
All’inibizione della vitalità descritta da Bolk si aggiunge l’abdicazione a quella stessa intelligenza che poteva in qualche modo frenarne le conseguenze negative.
L’abbandono di quell’ultimo nesso con la natura, che la tradizione filosofica chiamava lumen naturae, produce una stupidità artificiale che rende l’ipertrofia tecnologica ancora più incontrollabile.
Che cosa avverrà della lumaca schiacciata dal suo stesso guscio? Come riuscirà a sopravvivere alle macerie della sua casa? Sono queste le domande che non dobbiamo cessare di porci.
Giorgio Agamben
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