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Armi biologiche

La Turchia ha usato armi chimiche in «almeno 300 attacchi» nel Kurdistan, dice il PKK

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews

 

 

La denuncia dei combattenti curdi, considerati terroristi dai turchi (e da parte dell’Occidente). I vertici del movimento chiedono, invano, una inchiesta internazionale. Fonte di AsiaNews: «Parte di verità», i luoghi montagnosi nel versante iracheno in cui si rifugiano «non possono essere attaccati con armi convenzionali». 

 

 

 

Nei suoi ripetuti attacchi contro i ribelli curdi rifugiati oltre-confine in territorio iracheno, la Turchia avrebbe utilizzato «in almeno 300 occasioni» (anche) armi chimiche nel colpevole silenzio della comunità internazionale, che non ha mai approfondito appelli e denunce. È quanto affermano i miliziani del Partito curdo dei lavoratori (PKK), obiettivo dei raid aerei di Ankara, che chiedono agli organismi internazionali di aprire un’inchiesta; i vertici dell’organizzazione invitano delegazioni indipendenti e istituzioni a visitare la regione del Kurdistan iracheno e ispezionare i tunnel scavati fra le montagne in cerca di prove.

 

Certo la denuncia, rilanciata da Opendemocracy, non si può definire «indipendente» ma altre voci confermerebbero un uso ambiguo delle armi da parte dell’esercito turco.

 

«Vi è una parte di verità» sottolinea ad AsiaNews una fonte autorevole nella regione curda, che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza. «Per mesi – prosegue – si sono verificati pesanti scontri fra l’esercito di Ankara e il PKK nelle aree attorno a Erbil e nei pressi del confine con l’Iran, a Sulaymaniyya. I combattenti curdi usano le grotte nelle montagne, dalle parti di Qandil ci sarebbe una sorta di città, che non possono essere attaccate con armi convenzionali. Per questo avrebbero utilizzato i gas per stanare i miliziani e ne sarebbero morti tanti, compresi i loro familiari».

 

Nella denuncia i combattenti curdi chiedono alla comunità internazionale di visitare i tunnel e di verificare tracce di armi chimiche che ancora persistono sui sedimenti della roccia o di esaminare i cadaveri dei guerriglieri deceduti nelle offensive.

 

A conferma delle affermazioni, il PKK avrebbe pubblicato video e immagini scarti degli attacchi, parti dei corpi degli uccisi e testimonianze dei sopravvissuti, oltre a racconti della popolazione locale, anch’essa vittima delle violenze.

 

L’11 ottobre scorso la Mezopotamya News Agency, filo-curda, ha rilanciato la notizia di almeno 548 ricorse a cure mediche dopo un attacco nei pressi del loro villaggio da parte dell’aviazione turca. Le persone hanno riportato «eccessiva lacrimazione, visione alterata, mal di testa improvvisi, sangue dal naso e difficoltà respiratorie».

 

I vertici del Partito democratico del Kurdistan (KDP), che controllano la regione, avrebbero collaborato con funzionari turchi per far tacere le voci. Il 4 settembre un giornale vicino al KDP ha riferito di una famiglia vittima di un «sospetto attacco chimico» con il governo locale impegnato a soffocare l’inchiesta. In passato armi chimiche sarebbero state utilizzate in territorio siriano, negli anni più bui del conflitto.

 

Per i curdi è «scioccante» che queste denunce non siano sfociate nell’apertura di una inchiesta, o quantomeno una verifica a livello internazionale, soprattutto alla luce dei precedenti all’epoca dei raìs Saddam Hussein che ha utilizzato a più riprese armi chimiche.

 

In diverse occasioni, come è avvenuto il mese scorso in seguito alla richiesta formale di un parlamentare svedese, i vertici dell’Unione europea hanno respinto la richiesta di indagini sottolineando che il PKK è una «organizzazione coinvolta in attacchi terroristi» e oggetto di misure «punitive» di Bruxelles. Ecco perché oggi è necessaria una «indagine indipendente», sebbene sia difficile ottenere prove perché «Ankara blocca le indagini e sfrutta le poche pressioni delle organizzazioni internazionali».

 

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione Asianews e le sue campagne.

 

 

Renovatio 21 ripubblica questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

Immagine di Kurdishstruggle via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0).

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Armi biologiche

Elon Musk: ricerca sulle armi biologiche finanziata dall’USAID

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L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) è un’«organizzazione criminale» che ha finanziato la ricerca sulle armi biologiche, compresi progetti che avrebbero portato all’emergere del COVID-19. Lo sostiene Elon Musk.

 

Il miliardario della tecnologia stava rispondendo a un post su X in cui si sosteneva che i fondi dell’USAID erano stati utilizzati per sostenere la ricerca sull’acquisizione di funzione sui coronavirus presso l’Istituto di Virologia di Wuhano, portando potenzialmente alla creazione del COVID-19.

 

«Sapevi che l’USAID, usando i TUOI soldi delle tasse, ha finanziato la ricerca sulle armi biologiche, incluso il COVID-19, che ha ucciso milioni di persone?» ha scritto Musk.

 

Musk non ha fornito ulteriori dettagli sulle accuse, ma nel post a cui ha risposto si legge: «l’inganno della CIA riguardo alle origini del COVID-19 diventa molto più chiaro se si considera la lunga storia dell’USAID come organizzazione di facciata della CIA».

 

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«L’USAID è un’organizzazione criminale», ha scritto Musk in un altro post, rispondendo a un video sul presunto coinvolgimento dell’USAID nella censura di Internet e nel «lavoro illegale della CIA».

 

 

 

EcoHealth Alliance, un’organizzazione non-profit con sede negli Stati Uniti, è stata al centro di controversie a causa del suo lavoro con il laboratorio wuhaniano.

 

L’organizzazione ha negato che il suo lavoro riguardasse la ricerca sul guadagno di funzione, ma a maggio 2024, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti ha sospeso tutti i finanziamenti federali a EcoHealth Alliance, citando preoccupazioni sulla supervisione da parte dell’organizzazione di esperimenti ad alto rischio e sulla mancata segnalazione tempestiva delle attività di ricerca.

 

Come riportato da Renovatio 21, la CIA ritiene che sia «più probabile» che il COVID-19 abbia avuto origine da una fuga di laboratorio piuttosto che da una fonte naturale, ha affermato il portavoce dell’agenzia il mese scorso dopo la conferma di John Ratcliffe come direttore della CIA.

 

Il Ratcliffe, candidato alla direzione dal presidente Donald Trump, è stato un fervente sostenitore della teoria della fuga di notizie dal laboratorio, definendola «l’unica teoria supportata dalla scienza, dall’Intelligence e dal buon senso». Dopo la conferma, Ratcliffe ha anche affermato che la valutazione della CIA sulle origini del Covid sarebbe stata «una cosa da primo giorno per me».

 

USAID ha una storia di finanziamenti per iniziative sanitarie globali, tra cui il programma PREDICT, che mirava a identificare virus con potenziale pandemico e che è stato attivo dal 2009 al 2020 in collaborazione con EcoHealth Alliance. Nel 2021, USAID ha lanciato un programma di follow-up da 125 milioni di dollari noto come Discovery & Exploration of Emerging Pathogens – Viral Zoonoses, ma è stato chiuso prematuramente nel 2023.

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La Croce Rossa denuncia: laboratorio contenente virus mortali a rischio nella Repubblica Democratica del Congo

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Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha lanciato l’allarme: gli scontri in corso nella città di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo orientale, potrebbero causare la fuga di campioni di Ebola e di altri agenti patogeni da un laboratorio. Lo riporta l’agenzia AFP.   Il direttore regionale del CICR per l’Africa, Patrick Youssef, ha dichiarato martedì ai giornalisti a Ginevra che il laboratorio dell’istituto nazionale di ricerca biomedica della nazione centroafricana rischia di subire interruzioni di corrente, affermando che l’organizzazione è «molto preoccupata per la situazione» nel laboratorio, avvertendo di «conseguenze inimmaginabili se i campioni, incluso il virus Ebola, in esso contenuti, dovessero diffondersi».   Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, è apparentemente diventata un campo di battaglia dopo che lunedì i ribelli dell’M23 hanno annunciato di aver conquistato la città dopo settimane di pesanti combattimenti contro i soldati della Repubblica Democratica del Congo e le forze di peacekeeping delle Nazioni Unite.   La Repubblica Democratica del Congo orientale è afflitta dalla violenza da decenni, poiché decine di gruppi armati, tra cui la milizia M23 presumibilmente sostenuta dal Ruanda, competono con il governo per risorse come oro e diamanti.   I funzionari delle Nazioni Unite hanno dichiarato che circa 6,5 ​​milioni di persone sono state sfollate e gli ospedali sono sopraffatti dall’afflusso di pazienti feriti. Reuters ha citato le agenzie umanitarie che hanno riferito che cadaveri erano disseminati per le strade di Goma, mentre gli spari hanno devastato la città in difficoltà martedì.   I dimostranti hanno attaccato un complesso delle Nazioni Unite e le ambasciate, tra cui quelle di Ruanda, Francia e Stati Uniti, nella capitale, Kinshasa, denunciando presunte interferenze straniere. Il Sudafrica ha annunciato martedì che altri quattro dei suoi soldati di mantenimento della pace nell’ex colonia belga erano stati uccisi negli scontri, portando il numero totale delle perdite di Pretoria a 13. Anche l’Uruguay e il Malawi hanno perso soldati nell’escalation delle ostilità.

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La Croce Rossa e il Programma Alimentare Mondiale hanno dichiarato che i loro magazzini sono stati saccheggiati.   «Siamo estremamente preoccupati per il deterioramento della situazione nella città di Goma e nei dintorni. Condanniamo il saccheggio del nostro magazzino medico a Goma, quando la cura e la sopravvivenza dei feriti che sosteniamo dipendono da questo», ha scritto il direttore africano della Croce Rossa su X.   Come riportato da Renovatio 21, dichiarazioni di allarme simili sono state lanciate due anni fa dall’OMS anche nel caso del conflitto in Sudan, con rischi riguardo a biolaboratori che, abbiamo appreso, sono siti pure lì.   L’ex capo delle truppe di protezione nucleare, chimica e biologica di Mosca, il tenente generale Igor Kirillov, aveva accusato Washington di usare diversi Paesi, tra cui la Repubblica Democratica del Congo, la Sierra Leone, il Camerun e l’Uganda, come terreni di prova per patogeni pericolosi e trattamenti medici sperimentali.   Come noto, il generale Kirillov è stato assassinato insieme al suo assistente a Mosca il mese scorso.   SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di NIAID via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic  
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La CIA ora crede al virus fuggito dal laboratorio di Wuhano

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La CIA ha riconosciuto che la «teoria della fuga dal laboratorio» è la spiegazione più probabile per le origini del COVID-19. Lo riporta il New York Times.

 

Sabato il NYT ha riferito che la CIA si è finalmente espressa «a favore» della teoria che la maggior parte del mondo ha già accettato da anni: che il COVID-19 abbia avuto origine nel laboratorio biologico BSL-4 dell’Istituto di virologia di Wuhano alla fine del 2019.

 

L’agenzia è giunta a questa nuova conclusione senza ricevere ulteriori informazioni dopo che il nuovo direttore della CIA sotto Trump, John Ratcliffe, ha ordinato la pubblicazione dell’analisi avviata sotto Joe Biden.

 

«Per anni la CIA ha affermato di non avere informazioni sufficienti per stabilire se la pandemia di COVID sia emersa naturalmente da un mercato di Wuhan, in Cina, oppure da una perdita accidentale in un laboratorio di ricerca locale» scrive il quotidiano neoeboraceno. «Tuttavia questa settimana l’agenzia ha pubblicato una nuova valutazione e gli analisti hanno dichiarato di essere ora favorevoli alla teoria del laboratorio».

 

«Non c’è nessuna nuova informazione dietro il cambiamento dell’agenzia, hanno detto i funzionari. Piuttosto si basa sulle stesse prove che sta masticando da mesi. Tuttavia, secondo fonti a conoscenza del lavoro dell’agenzia, l’analisi si basa in parte su uno sguardo più attento alle condizioni nei laboratori di massima sicurezza nella provincia di Wuhan prima dello scoppio della pandemia».

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L’improvviso cambiamento della CIA è degno di nota, dato che nel 2023 un informatore rivelò che l’agenzia aveva corrotto sei dei suoi analisti del team investigativo sulle origini del COVID per respingere la teoria secondo cui il COVID-19 fosse il risultato di una fuga laboratoriale del nuovo coronavirus in Cina, legata a una ricerca congiunta. L’insabbiamento della catastrofe wuhaniana da parte dello spionaggio USA è al centro di un libro di Robert F. Kennedy jr, il quale ha sostenuto che la CIA è coinvolta nel finanziamento del laboratorio.

 

Il dietrofront arriva appena cinque giorni dopo l’insediamento di Trump e con l’agenzia sotto una nuova guida con Ratcliffe, che ha lasciato intendere che sarebbero state rilasciate ulteriori rivelazioni.

 

«Come sapete, ho dichiarato pubblicamente che penso che la nostra Intelligence, la nostra scienza e il nostro buon senso ci dicano tutti che le origini del COVID sono state una fuga di notizie all’Istituto di virologia di Wuhan», aveva dichiarato Ratcliffe al sito Breitbart giovedì. «Ma la CIA non ha fatto quella valutazione o almeno non l’ha fatta pubblicamente. Quindi mi concentrerò su questo e guarderò i dati di Intelligence e mi assicurerò che il pubblico sia consapevole che l’agenzia sta per uscire dai giochi».

 

Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso era emerso che funzionari dell’Intelligence statunitense avrebbero «messo a tacere» i ricercatori che avevano trovato prove che la pandemia di COVID-19 fosse il risultato di una fuga dal laboratorio cinese.

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Immagine di Ureem2805 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; modificata con immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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