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Arte

Ucraina in fiamme, il documentario che racconta il colpo di Stato a Kiev

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Condividiamo il video sottotitolato di Ukraine on fire, documentario del 2016 del regista ucraino Igor Lopatonok.

 

Il film, che si avvale della presenza di Oliver Stone, spiega in dettaglio cosa è successo prima, dopo e durante la cosiddetta «Rivoluzione di Maidan», ossia il colpo di Stato che ha installato a Kiev un potere eterodiretto da Washington e circondato da bande agguerrite e pericolose – la ricetta per l’esplosione di violenza che abbiamo visto per 8 anni in Donbass e che ora si è diffusa in tutto il Paese.

 

Rilevante il fatto che nel documentario parli Yanukovich, il presidente detronizzato da Maidan, di cui nessuno, in Occidente, ha mai sentito la voce: nessun giornale, nessuna TV si è mai peritata di far conoscere la sua versione dei fatti, che qui invece ha lo spazio di raccontare.

 

Particolarmente importanti i passaggi con l’intervista di Oliver Stone a Putin, che spiega con la lucidità che gli riconosciamo perché la Russia non può accettare che l’Ucraina entri nella NATO.

 

Alla domanda di Stone, Putin risponde che la base di Sebastopoli, in Crimea, non è così importante.

 

C’è una «sfumatura» che invece il presidente russo vuole sottolineare

 

«Perché reagiamo con tanta veemenza all’espansione della NATO? Ci preoccupiamo del processo decisionale. So come vengono prese le decisioni» dice Putin.

 

«Non appena il paese diventa membro della NATO, non può resistere alla pressione degli USA. E molto presto qualsiasi cosa può apparire in un paese del genere: sistemi di difesa missilistica, nuove basi o, se necessario, nuovi sistemi di attacco».

 

«Cosa dovremmo fare? Dobbiamo prendere contromisure, nel senso, puntare i nostri sistemi missilistici verso le nuove strutture che riteniamo ci minaccino».

 

«A volte non capisco bene la logica dei nostri partner, a volte sembra che abbiano bisogno di un nemico esterno da tenere al guinzaglio».

 

In questo film c’è tutto: dai cecchini sulla piazza alla telefonata «Fuck the EU» della Nuland, dai neonazisti al volo MH17, dalle rivolte-fotocopia targate Soros alla strage di Odessa.

 

Tutto quello che vedrete qui ha scaturito la presente situazione.

 

È orrendo. Ma ancora più orrenda è la verità che tutto questo potrebbe ripetersi qui.

 

 

 

 

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Arte

Morto Zurab Tsereteli, scultore di titaniche sculture

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Il celebre artista russo-georgiano Zurab Konstantinovic Tsereteli, emblema della scultura russa, è morto all’età di 91 anni, ha annunciato il suo assistente.

 

Secondo quanto riportato, il maestro Tsereteli ha avuto un infarto all’1:30 di martedì a Mosca. Più tardi, il suo staff ha annunciato che una cerimonia di addio si sarebbe tenuta nell’iconica Cattedrale di Cristo Salvatore, ma che sarebbe stato sepolto nella sua natia Georgia.

 

Tsereteli, presidente dell’Accademia Russa delle Arti dal 1997, era ampiamente considerato una figura di spicco dell’arte monumentale sovietica e russa. Tra le sue opere più note c’è l’imponente statua di Pietro il Grande a Mosca. Alta 98 ​​metri, la statua fu inaugurata nel 1997 per commemorare i 300 anni della Marina russa. Rimane una delle statue più alte del mondo.

Immagine Mos.ru via Wikimedia CC BY 4.0

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Il monumento, tuttavia, è stato oggetto di notevoli controversie. I critici ne hanno sottolineato le dimensioni sproporzionate e l’incongruenza con il paesaggio urbano storico di Mosca, descrivendolo come imponente e fuori luogo. Tsereteli negli anni Novanta aveva stretto una personale amicizia con il controverso Yurij Luzhkov, controverso sindaco di Mosca (la cui moglie, in anni successivi, avrebbe pagato Biden), dove partecipò al progetto di ricostruzione della Cattedrale di Cristo Salvatore, della Piazza del Maneggio e dello Zoo.

 

A livello internazionale, lo Tsereteli è noto per «Il Bene Sconfigge il Male», una scultura in bronzo installata presso la sede delle Nazioni Unite a Nuova York. L’opera raffigura San Giorgio che uccide un drago realizzato con frammenti di missili nucleari sovietici e americani smantellati, a simboleggiare la fine della Guerra Fredda e la vittoria sullo spettro dell’Armageddone nucleare.

 

Immagine Cancillería Ecuador via Wikimedia CC BY-SA 2.0

 

Un’altra opera degna di nota è la «Lacrima del Dolore» (nota anche come «Alla Lotta contro il Terrorismo Mondiale»), un monumento di 10 piani a Bayonne, nel New Jersey, dedicato alle vittime degli attacchi dell’11 settembre. La scultura raffigura una grande lacrima in acciaio inossidabile sospesa all’interno di una torre incrinata. Fu donata dalla Russia e inaugurata nel 2006.

 

Immagine via Wikimedia CC0

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Nel corso della sua lunga carriera, Tsereteli ha creato più di 5.000 opere d’arte che spaziavano dall’architettura alla pittura e agli affreschi. Ha ricevuto numerose onorificenze, tra cui il titolo di Artista del Popolo dell’URSS e la Legion d’Onore francese.

 

La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha espresso le sue condoglianze, descrivendo Tsereteli come «un artista di fama internazionale e una vera figura pubblica che non ha conosciuto confini o barriere nella causa della pace e della creatività (…) Era un vero diplomatico del popolo. Vivrà non solo nei nostri cuori, ma anche nelle sue opere: nelle vetrate e negli smalti che decorano le ambasciate, nei monumenti e nelle sculture collocati in tutto il mondo, nei fiori e nei bouquet rigogliosi che dipingeva con tanta passione. Sapeva amare e donare amore».

 

 

Il maestro negli anni sessanta soggiornò a Parigi dove conobbe Picasso e Chagall. Disegnò in seguito la riviera sovietica sul Mar Nero in Abcasia: le città di Pitsunda e Adler sono ancora ornate delle sue bizzarre fermate degli autobus. Continuò quindi il lavoro con varie cittadine delle repubbliche sovietiche, progettando poi anche ambasciate e consolati dell’URSS in Brasile, in Portogallo e in Giappone.

 

Nel 1980, lo Tsereteli fu nominato capo designer dei XXII Giochi Olimpici di Mosca. Nello stesso anno realizzò l’opera Inno all’uomo, posizionata in cima alla sala concerti e cinema dell’Hotel Izmailovo, costruito per le Olimpiadi, e ricevette l’Ordine dell’Amicizia tra i Popoli. Nel 1981 fu nominato professore presso la sua alma mater, l’Accademia di Tbilisi.

 

Nel 2005, la Russia donò a Israele l’opera Olocausto di Cereteli, installata a Gerusalemme. Tra le sue opere più significative figurano la statua di Nikolaj Gogol’ a Villa Borghese (2002), quella di Honoré de Balzac ad Agde (2003), di Marina Cvetaeva a Saint-Gilles-Croix-de-Vie (2012), il monumento ai Padri fondatori dell’Unione Europea in Lorena (2012) e il monumento a papa Giovanni Paolo II (2014) vicino alla Basilica di Notre-Dame.

Immagine di Emilia Orlandi via Wikimedia CC BY-SA 3.0

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Una statua di San Nicola Taumaturgo è sita a Bari, in piazza San Nicola.

 

 

Notevole anche la sua statua del presidente Vladimir Putin a Mosca.

 

Immagine United Nations via Flickr CC BY-NC-ND 2.0

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Immagine di United Nations via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

 

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Arte

Ecco il ritratto che Putin ha regalato a Trump

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Un mese fa, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ricevuto, tramite il suo inviato a Mosca Steve Witkoff, un dono dal presidente Vladimir Putin, un ritratto di Trump che fino a poco fa non era mai stato visto dal pubblico.   Witkoff ha affermato che Trump ne è rimasto «chiaramente colpito». Il dipinto cattura il momento successivo all’attentato di Butler, in Pennsylvania, avvenuto nel luglio 2024, quando Trump alzò il pugno in segno di sfida.   La CNN ora mostra il ritratto, insieme a un’intervista con l’artista.

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L’artista, Nikas Safronov, ha dichiarato alla CNN: «per me era importante mostrare il sangue, la cicatrice e il suo coraggio durante l’attentato. Non si è abbattuto né ha avuto paura, ma ha alzato il braccio per dimostrare di essere tutt’uno con l’America e che le restituirà ciò che merita».   Safronov ha realizzato ritratti di decine di leader mondiali, tra cui il defunto papa Francesco, il primo ministro indiano Narendra Modi e il leader nordcoreano Kim Jong Un. Ha affermato di non sapere inizialmente per conto di chi fosse stato commissionato il dipinto, ma sospettava che fosse il Cremlino.   «Quando ho iniziato a realizzare il ritratto, ho capito che avrebbe potuto avvicinare i nostri Paesi e ho deciso di non chiedere alcun compenso perché sospettavo a cosa servisse questo dipinto».     Alla fine, Putin ha contattato Safronov per comunicargli che il ritratto rappresentava un passo importante per migliorare le relazioni tra Russia e Stati Uniti.   Alcuni possono non apprezzare lo stile semplice del quadro. A costoro diciamo di tenersi il ritratto ufficiale di Re Carlo, uno dei quadri più allucinanti veduti mai, realizzato da un artista controverso.     Si tengano pure i ritratti della regina d’Olanda di Andy Warhol, negli scorsi giorni finiti, con un grande gesto simbolico involontario, nella spazzatura.

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Arte

Municipio olandese butta via un’opera di Andy Warhol: l’equazione “arte contemporanea = spazzatura” è realtà

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Un municipio olandese ha dichiarato che è possibile abbia accidentalmente smaltito diecine di opere d’arte, tra cui un’opera del famoso artista Andy Warhol, durante i recenti lavori di ristrutturazione. Lo riporta l’emittente radiotelevisiva locale Omroep Brabant.

 

Il comune di Maashorst ha dichiarato giovedì che le opere d’arte erano state conservate in un seminterrato durante i vasti lavori di ristrutturazione del municipio effettuati l’anno scorso.

 

Un’indagine commissionata dal comune ha scoperto che 46 opere, tra cui una rara serigrafia degli anni Ottanta raffigurante l’ex regina olandese Beatrice, realizzata da Warhol, erano scomparse, finendo «molto probabilmente» tra i rifiuti ingombranti e difficilmente recuperabili.

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Secondo l’indagine, non erano in vigore politiche o procedure per la gestione delle opere durante i lavori di ristrutturazione. Alcune opere sono state prestate a un museo locale, altre sono state restituite agli artisti, mentre quelle collocate nel seminterrato del municipio sono state danneggiate.

 

Anche la risposta sarebbe stata lenta una volta che si è scoperto che le opere erano scomparse. L’opera di Warhol, stimata intorno ai 22.000 euro, è stata avvistata l’ultima volta nel settembre 2023, secondo il rapporto.

 

Il sindaco di Maashorst, Hans van der Pas, ha dichiarato a Omroep Brabant che l’opera d’arte deve essere finita tra i rifiuti ingombranti durante quel periodo. «Non è questo il modo di trattare oggetti di valore», ha affermato. «Ma è successo. Ce ne pentiamo».

 

Warhol, ampiamente considerato uno degli artisti più importanti del XX secolo, creò la stampa come parte della sua serie Reigning Queens («regine regnanti») del 1985, due anni prima della sua morte. La serie comprende 16 serigrafie colorate che ritraggono quattro monarchi: Elisabetta II del Regno Unito, Beatrice dei Paesi Bassi, Margherita II di Danimarca e Ntombi Twala di Eswatini (ex Swaziland). Basò ​​le opere su ritratti ufficiali di stato scelti per la loro grande diffusione su francobolli, monete e altri mezzi di comunicazione pubblici.

 

 

In un altro incidente avvenuto lo scorso novembre, diverse serigrafie Reigning Queens di Warhol furono rubate durante un’irruzione notturna nella Galleria MPV nella provincia olandese del Brabante Settentrionale.

 

Inizialmente, i ladri hanno rubato quattro stampe della serie, ma ne hanno abbandonate due nelle vicinanze. Le opere rubate raffiguravano la regina Elisabetta II e Margherita II di Danimarca, mentre le stampe della regina Beatrice dei Paesi Bassi e della regina Ntombi Twala di Eswatini sono state lasciate sul posto perché, a quanto pare, non entravano nell’auto della fuga.

 

Si narra che Donald Trump avesse rifiutato lavori di Warhol che voleva serigrafare i suoi palazzi, perché considerava il prezzo dell’artista troppo esoso. I due si conoscevano perché appartenevano alla scena neoeboracena degli anni Settanta e Ottanta, e condividevano il medesimo avvocato, il controverso Roy Cohn. In un recente film sul rapporto tra Cohn e Trump, The Apprentice, lanciato lo scorso anno per infangare il candidato repubblicano nei giorni del voto presidenziale, è possibile vedere i due incontrarsi ad una festa domestica di Cohn, da cui il giovane Donald fugge dopo aver veduto segni di perversione e degenerazione tipici di certi circoletti gay.

 

Non è la prima volta che l’Olanda si trova dinanzi a questioni di arte contemporanea e spazzatura, e la veritiera equazione che le unisce.

 

Nel suo fondamentale libro sul politicamente corretto La cultura del piagnisteo (1994), il critico d’arte australiano Robert Hughes scriveva proprio di progetti per l’arte del popolo nei Paesi Bassi.

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«In Olanda sperimentano da vent’anni la manna populista per tutti. Il governo ha istituito un fondo per l’acquisto di opere d’arte indipendentemente o quasi da ogni criterio di qualità. Conta solo che l’artista sia olandese e vivente. Nella raccolta così messa insieme sono rappresentati circa ottomila artisti olandesi. Nessuno li espone, e, come in Olanda ammettono ormai tutti tranne gli artisti interessati, il 98% delle opere sono porcherie. Ciascuno degli artisti pensa che sia tutto ciarpame, tranne la sua propria opera» raccontava lo Hughes.

 

Il risultato, continua il saggista, è del progetto per l’arte del popolo si è trasformato in un vero problema ecologico.

 

«Le spese di magazzinaggio, climatizzazione e manutenzione sono diventate tali che bisognerebbe sbarazzarsi di tutto, ma non si può: nessuno vuole quella roba. Non si riesce nemmeno a regalarla. Hanno provato a darla a istituti pubblici, tipo ospedali e manicomi; ma anche i manicomi esigono un minimo di qualità, vogliono scegliere. Sicché la raccolta sta tutta lì, democratica, non gerarchica, non elitaria, non sessista, invendibile e, con grave rammarico del governo olandese, solo parzialmente biodegradabile».

 

Ora con la riduzione a rumenta anche dei ritratti serigrafici della regina del «maestro» della Pop Art Warhol, vediamo con gratitudine come il Regno d’Olanda abbia materialmente portato a termine l’equazione arte contemporanea uguale spazzatura. Non solo la produzione artistica del comune cittadino finisce alla discarica, ma anche quella degli «artisti» contemporanei e dei loro fiancheggiatori (critici, galleristi, collezionisti) che speculano danaro e carriere sul niente che essa offre alla società.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine tagliata

 

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