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Geopolitica

È agli Straussiani che la Russia ha dichiarato guerra

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire

 

 

 

La Russia non fa guerra al popolo ucraino, ma a un piccolo gruppo di persone intrinseche al potere statunitense, gruppo che ha trasformato l’Ucraina a sua insaputa: gli Straussiani. Meglio noti come «neocon», neoconservatori. Una consorteria costituitasi mezzo secolo fa e che già ha perpetrato un numero incredibile di crimini in America Latina e in Medio Oriente, senza che il popolo statunitense ne fosse consapevole.

 

 

 

All’alba del 24 febbraio le forze russe sono entrate massicciamente in Ucraina.

 

Secondo il presidente Vladimir Putin, che ha pronunciato nello stesso momento un discorso televisivo, l’operazione speciale è l’inizio della risposta della Russia a «coloro che aspirano a dominare il mondo» e stanno espandendo le infrastrutture della Nato alle porte del Paese.

 

Nel lungo intervento il presidente ha riassunto come la Nato ha distrutto la Jugoslavia, senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, spingendosi fino a bombardare nel 1999 Belgrado.

 

Ha poi ripercorso le distruzioni degli Stati Uniti in Medio Oriente, Iraq, Libia e Siria. Solo dopo questa lunga esposizione ha annunciato l’invio delle truppe in Ucraina con una duplice missione: distruggere le forze armate legate alla NATO e finirla con i gruppi neonazisti armati dalla Nato.

 

Tutti gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica hanno immediatamente denunciato l’occupazione dell’Ucraina, paragonandola a quella della Cecoslovacchia durante la «Primavera di Praga» (1968): la Russia di Vladimir Putin avrebbe adottato la «dottrina Breznev» dell’Unione Sovietica. Per questo motivo il mondo libero deve punire il redivivo «Impero del Male» infliggendogli «costi devastanti».

 

L’interpretazione dell’Alleanza Atlantica vuole innanzitutto privare la Russia del suo principale argomento: certamente la NATO non è una confederazione fra eguali, è una federazione gerarchizzata comandata dagli anglosassoni; ma la Russia agisce allo stesso modo: non riconosce agli ucraini il diritto di scegliere il proprio destino, come fecero i sovietici con i cecoslovacchi.

 

Certamente la NATO si muove violando i principi di sovranità e uguaglianza fra Stati sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, ma non deve essere sciolta, a meno che non sia sciolta anche la Russia.

 

Forse, ma probabilmente no.

 

Il discorso del presidente Putin non era contro l’Ucraina, né contro gli Stati Uniti, ma esplicitamente contro «coloro che ambiscono a dominare il mondo», ossia contro gli «Straussiani» intrinseci al potere statunitense. Era a questi ultimi che si rivolgeva la sua dichiarazione di guerra.

 

Il 25 febbraio il presidente Putin definiva il potere di Kiev «cricca di drogati e neonazisti». Affermazioni, secondo i media atlantisti, di un malato di mente.

 

Nella notte fra il 25 e il 26 febbraio il presidente ucraino Volodymyr Zelensky rivolgeva alla Russia, attraverso l’ambasciata di Cina a Kiev, una proposta di cessate-il-fuoco. Il Cremlino rispondeva immediatamente ponendo le seguenti condizioni:


– arresto di tutti i nazisti (Dmitro Yarosh e il Battaglione Azov, e così via);


– sostituzione di tutti i nomi delle vie e rimozione dei monumenti che glorificano i collaboratori dei nazisti durante la seconda guerra mondiale (Stepan Bandera e altri);


– deposizione delle armi.

 

La stampa atlantista lo ignorava, ma il resto del mondo che lo sapeva tratteneva il fiato. La negoziazione è fallita dopo poche ore per l’intervento di Washington. Solo allora le opinioni pubbliche occidentali ne sono state informate, ma le condizioni dei russi sono state tenute nascoste.

 

Di cosa parla il presidente Putin? Contro chi si batte? E quali sono i motivi che hanno reso cieca e muta la stampa atlantista?

 

Breve storia degli straussiani

È opportuno soffermarsi su questo gruppo, gli Straussiani, del quale gli Occidentali sanno molto poco.

 

Sono personaggi, tutti ebrei, assolutamente non rappresentativi né degli ebrei statunitensi né delle comunità ebraiche nel mondo.

 

Sono stati formati dal filosofo tedesco Leo Strauss, rifugiatosi, all’avvento al potere dei nazisti, negli Stati Uniti, ove divenne professore di filosofia all’università di Chicago.

Molte testimonianze attestano che Strauss plasmava un ristretto gruppo di fidati allievi attraverso l’insegnamento orale, di cui perciò non esistono tracce scritte

 

Molte testimonianze attestano che Strauss plasmava un ristretto gruppo di fidati allievi attraverso l’insegnamento orale, di cui perciò non esistono tracce scritte.

 

Spiegava loro che il solo modo per gli ebrei di sottrarsi a un nuovo genocidio è costituire una propria dittatura.

 

Chiamava gli allievi opliti (i soldati di Sparta) e li spediva a disturbare le lezioni dei rivali.

 

Da ultimo insegnava loro la discrezione ed elogiava la «nobile menzogna». Strauss è morto nel 1973, ma la comunità studentesca si è perpetuata.

 

Mezzo secolo fa, nel 1972, gli Straussiani iniziarono a formare un gruppo politico. Tutti facevano parte della squadra del senatore Democratico Henry «Scoop» Jackson, in particolare Elliott Abrams, Richard Perle e Paul Wolfowitz.

 

Lavoravano a stretto contatto con un gruppo di giornalisti trozkisti, anche loro ebrei, che si erano conosciuti al City College of New York e pubblicavano la rivista Commentary. Venivano chiamati gli «Intellettuali newyorkesi» (New York Intellectuals). Sia gli Straussiani sia gli Intellettuali newyorkesi erano molto legati alla CIA, ma anche, grazie al suocero di Perle, Albert Wohlstetter (stratega militare USA), alla Rand Corporation, il think tank del complesso militare-industriale

 

Molti di questi giovani si sposarono tra loro, fino a formare un gruppo compatto di un centinaio di persone.

 Alcuni loro membri hanno transitato ben cinque volte dal Partito Democratico al Partito Repubblicano e viceversa: l’importante è infiltrare il potere, a qualsiasi ideologia appartenga

 

In piena crisi Watergate (1974) il clan redasse e fece adottare l’«emendamento Jackson-Vanik», che imponeva all’Unione Sovietica di autorizzare l’emigrazione della popolazione ebrea in Israele con minacce di sanzioni economiche. Fu il loro atto fondatore.

 

Nel 1976 Wolfowitz (1) fu un uno degli artefici del Team B, incaricato dal presidente Gerald Ford di valutare la minaccia sovietica (2). L’esito fu un rapporto delirante in cui l’Unione Sovietica veniva accusata di prepararsi a conquistare un’«egemonia globale». La guerra fredda cambiò natura: lo scopo non era più isolare (containment) l’URSS, ma fermarla per salvare il «mondo libero».

 

Gli Straussiani e gli Intellettuali newyorkesi, tutti di sinistra, si misero al servizio del presidente di destra Ronald Reagan.

 

Bisogna capire che entrambi questi gruppi in realtà non sono né di sinistra né di destra. Del resto alcuni loro membri hanno transitato ben cinque volte dal Partito Democratico al Partito Repubblicano e viceversa: l’importante è infiltrare il potere, a qualsiasi ideologia appartenga.

 

Abrams divenne assistente del segretario di Stato. Condusse un’operazione in Guatemala, dove mise al potere un dittatore e sperimentò, con ufficiali del Mossad israeliano, la creazione di riserve per indiani maya, per poterne poi adottare il modello in Israele con gli arabi palestinesi (la Resistenza Maya è valsa a Rigoberta Menchú il premio Nobel per la pace).

 

Abrams continuò i suoi soprusi in Salvador e poi, con l’affare Iran-Contras, contro i sandinisti in Nicaragua.

Gli Intellettuali newyorkesi, ora chiamati Neoconservatori, crearono il Fondo Nazionale per la Democrazia (National Endowment for Democracy – NED) e l’Istituto degli Stati Uniti per la Pace (U.S. Institute of Peace); un dispositivo che organizzò moltissime rivoluzioni colorate

 

Da parte loro gli Intellettuali newyorkesi, ora chiamati Neoconservatori, crearono il Fondo Nazionale per la Democrazia (National Endowment for Democracy – NED) e l’Istituto degli Stati Uniti per la Pace (U.S. Institute of Peace); un dispositivo che organizzò moltissime rivoluzioni colorate, a cominciare dalla Cina, con il tentativo di colpo di Stato del primo ministro Zhao Ziyang e la repressione di piazza Tienanmen che ne seguì.

 

Alla fine del mandato di George H. Bush (padre), Wolfowitz, all’epoca numero tre del segretariato alla Difesa, elaborò un documento (3) attorno a un’idea centrale: dopo la decomposizione dell’URSS, gli Stati Uniti devono prevenire l’emergenza di nuovi rivali, a cominciare dall’Unione Europea.

 

Il testo si concludeva con l’auspicio di azioni unilaterali, ossia di mettere fine alla concertazione delle Nazioni Unite.

 

Wolfowitz fu senza dubbio l’ideatore della «Tempesta del deserto», l’operazione di distruzione dell’Iraq che permise agli Stati Uniti di cambiare le regole del gioco e di organizzare un mondo unilaterale. È in questo periodo che gli Straussiani valorizzarono i concetti di «cambiamento di regime» e di «promozione della democrazia».

 

Gary Schmitt, Abram Shulsky e Paul Wolfowitz si sono insinuati nella comunità dell’intelligence statunitense grazie al Gruppo di lavoro per la Riforma dell’Intelligence (Consortium for the Study of Intelligence’s Group on Intelligence Reform). Criticarono la presunzione aprioristica che gli altri governi ragionino come quello degli Stati Uniti(4).

 

Poi criticarono l’assenza di direzione politica dell’Intelligence, che la lascia vagare fra soggetti di poca importanza, invece di concentrarsi su quelli essenziali. Politicizzare l’intelligence era quel che Wolfowitz aveva già fatto con il Team B e che ricominciò a fare nel 2002, con l’Ufficio dei Piani Speciali (Office of Special Plans), inventando pretesti per nuove guerre contro Iraq e Iran (la «nobile menzogna» di Leo Strauss).

Gli Straussiani furono estromessi dal potere durante il mandato di Bill Clinton. S’introdussero allora nei think tank di Washington

 

Gli Straussiani furono estromessi dal potere durante il mandato di Bill Clinton. S’introdussero allora nei think tank di Washington.

 

Nel 1992 William Kristol e Robert Kagan (marito di Victoria Nuland, ampiamente citata negli articoli precedenti) pubblicarono un articolo su Foreign Affairs in cui deploravano la timida politica estera del presidente ed esortavano a un rinnovamento dell’«egemonia disinteressata degli Stati Uniti» (benevolent global hegemony). (5)

 

L’anno successivo fondarono il Progetto per un Nuovo Secolo Americano (Projet for a New American Century, PNAC) nei locali dell’Istituto Americano per l’Impresa (American Entreprise Insitute), di cui Schmitt, Shulsky e Wolfowitz erano membri. Tutti gli estimatori non ebrei di Leo Strauss, fra cui il protestante Francis Fukuyama, l’autore di La fine della storia, si unirono immediatamente.

 

Nel 1994 Richard Perle (alias Principe delle tenebre), all’epoca trafficante d’armi, divenne consigliere del presidente ex nazista Alija Izetbebovič in Bosnia Erzegovina. Fu Perle a far venire dall’Afghanistan Osama Bin Laden e la sua Legione Araba (antesignana di Al Qaeda) per difendere il Paese. Perle sarà anche membro della delegazione bosniaca alla firma degli Accordi di Dayton a Parigi.

 

Nel 1996 membri del PNAC, fra cui Richard Perle, Douglas Feith e David Wurmser, redassero, all’interno dell’Institute for Advanced Strategic and Political Studies, IASP, uno studio per conto del nuovo primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.

 

Il rapporto (6) raccomandava l’eliminazione di Yasser Arafat, l’annessione dei territori palestinesi, la guerra contro l’Iraq per trasferirvi in seguito i palestinesi.

 

Il documento traeva ispirazione non soltanto dalle teorie politiche di Leo Strauss, ma anche da quelle di un amico di Strauss, Ze’ev Jabotinsky, fondatore del «sionismo revisionista», di cui il padre di Netanyahu fu segretario particolare.

 

Il PNAC raccolse fondi per la candidatura di George W. Bush (figlio) e pubblicò prima della sua elezione il celebre rapporto «Ricostruire le difese dell’America» (Rebuilding America’s Defenses), ove auspicava una catastrofe comparabile a quella di Pearl Harbor, pretesto per scaraventare il popolo statunitense in una guerra per l’egemonia globale.

 

Sono esattamente i termini usati l’11 settembre 2001 dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, membro del PNAC.

 

Grazie agli attentati dell’11 Settembre, Perle e Wolfowitz installarono all’ombra di Rumsfeld l’ammiraglio Arthur Cebrowski, che vi svolse un ruolo analogo a quello di Albert Wohlstetter durante la guerra fredda.

 

Impose la strategia della «guerra senza fine»: le forze armate statunitensi non devono più vincere guerre, ma scatenarne tante e farle durare il più a lungo possibile. Lo scopo è distruggere tutte le strutture politiche degli Stati presi di mira per ridurre in miseria le popolazioni e privarle di ogni mezzo per difendersi dagli Stati Uniti (7); una strategia messa in atto da vent’anni in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen…

L’alleanza fra Straussiani e sionisti revisionisti fu suggellata nel 2003, in occasione di una grande conferenza a Gerusalemme

 

L’alleanza fra Straussiani e sionisti revisionisti fu suggellata nel 2003, in occasione di una grande conferenza a Gerusalemme, cui personalità politiche israeliane di ogni genere sfortunatamente si ritennero in dovere di partecipare (8).

 

Non c’è quindi da meravigliarsi che nel 2006 Victoria Nuland (moglie di Robert Kagan), all’epoca ambasciatrice della Nato, sia intervenuta per proclamare un cessate-il-fuoco in Libano, consentendo all’esercito israeliano battuto di non essere inseguito dallo Hezbollah.

 

C’è qualcuno che, come Bernard Lewis, ha lavorato con i tre gruppi: gli Straussiani, i Neoconservatori e i sionisti revisionisti.

 

Ex agente dell’intelligence britannica, Lewis acquisì la cittadinanza statunitense e quella israeliana, fu consigliere di Benjamin Netanyahu e membro del Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. Lewis, che a metà carriera affermava che l’islam è incompatibile con il terrorismo e che i terroristi arabi sono in realtà agenti sovietici, in seguito cambiò idea e, con massima disinvoltura, assicurò che è l’islam a predicare il terrorismo.

 

Per conto del Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, Lewis inventò la strategia dello «scontro di civiltà», che consiste nella strumentalizzazione delle differenze culturali al fine di mobilitare i mussulmani contro gli ortodossi; concetto reso popolare dal suo assistente al Consiglio, Samuel Huntington, che però non lo presentò come strategia, ma come fatalità contro la quale occorreva agire.

 

Huntington iniziò la carriera come consigliere dei servizi segreti sudafricani dell’apartheid; in seguito scrisse un libro, The Soldier and the State (9), in cui sostiene che i militari, regolari e mercenari, costituiscono una casta a sé, la sola capace di comprendere i bisogni di sicurezza nazionale.

Nell’amministrazione Obama gli Straussiani entrarono nel gabinetto del vicepresidente Joe Biden

 

Dopo la distruzione dell’Iraq, gli Straussiani furono bersaglio di ogni sorta di polemica (10). Tutti si meravigliavano che un gruppo così ristretto, appoggiato da giornalisti neoconservatori, avesse potuto acquisire simile autorevolezza senza che se ne fosse dibattuto pubblicamente.

 

Il Congresso degli Stati Uniti designò un Gruppo di studio sull’Iraq, la Commissione Baker-Hamilton, per valutarne la politica: il rapporto condannò, pur senza nominarla, la strategia Rumsfeld/Cebrowski, deplorando le centinaia di migliaia di morti provocate. Rumsfeld si dimise, ma il Pentagono ne prosegue inesorabilmente la strategia, senza mai adottarla ufficialmente.

 

Nell’amministrazione Obama gli Straussiani entrarono nel gabinetto del vicepresidente Joe Biden.

 

Il suo consigliere per la Sicurezza nazionale, Jacob Sullivan, svolse un ruolo centrale nell’organizzazione delle operazioni contro la Libia, la Siria e il Myanmar; un altro consigliere, Antony Blinken, si concentrò invece sull’Afghanistan, il Pakistan e l’Iran. Fu Blinken a pilotare i negoziati con la Guida suprema Ali Khamenei, che sfociarono nell’arresto e nella reclusione dei principali membri della squadra del presidente Mahmud Ahmadinejad, in cambio dell’accordo sul nucleare.

Il cambiamento di regime a Kiev del 2014 fu organizzato dagli Straussiani

 

Il cambiamento di regime a Kiev del 2014 fu organizzato dagli Straussiani. Il vicepresidente Biden vi s’impegnò risolutamente. Victoria Nuland si recò in Ucraina per sostenere gli elementi neonazisti del Settore Destro e supervisionare il commando israeliano «Delta» (11) in piazza Maidan. Un’intercettazione telefonica rivelò il suo auspicio d’«inculare l’Unione Europea» (sic), nella tradizione del rapporto Wolfowitz del 1992. Ma i dirigenti dell’Unione Europea non capirono e si limitarono a deboli proteste. (12)

 

«Jake» Sullivan e Antony Blinken sistemarono il figlio del vicepresidente Biden, Hunter, nel consiglio di amministrazione di una delle più importanti società di gas, Burisma Holdings, nonostante l’opposizione del segretario di Stato John Kerry. Hunter Biden è un eroinomane che servirà da paravento a una gigantesca truffa a danno del popolo ucraino. Sotto la sorveglianza di Amos Hochstein, il figlio di Biden individuerà parecchi suoi compagni di sballo per farne altri uomini di paglia a capo di diverse società, così da saccheggiare il gas ucraino. Sono costoro che il presidente Putin ha definito «cricca di drogati».

 

Sullivan e Blinken si appoggiano al padrino mafioso Igor Kolomojskij, che possiede la terza ricchezza del Paese. Benché ebreo, finanzia i duri del Settore Destro, organizzazione neonazista che lavora per la NATO e si batté in piazza Maidan al momento del «cambiamento di regime».

 

Kolomojskij approfitta delle sue entrature per prendere il potere nella comunità ebraica europea, ma altri della sua stessa parrocchia si oppongono e lo espellono dalle associazioni internazionali.

 

Ciononostante riesce a far nominare il capo del Settore Destro, Dmytro Yarosh, vicesegretario del Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa ucraino e a farsi nominare governatore della regione di Dnipropetrovsk. I due uomini saranno rapidamente allontanati da ogni incarico politico. È il loro gruppo che il presidente Putin ha definito «cricca di neonazisti».

 

Nel 2017 Blinken fonda WestExec Advisors, società di consulenza di cui fanno parte ex alti funzionari dell’amministrazione Obama e molti Straussiani. L’attività di questa società è estremamente discreta. Utilizza le relazioni politiche degli adepti per fare soldi: ciò che in ogni Stato di diritto sarebbe chiamato corruzione.

 

Gli straussiani sempre uguali a loro stessi

Con il ritorno di Joe Biden alla Casa Bianca, questa volta come presidente degli Stati Uniti, gli Straussiani governano l’insieme del sistema.

 

Sullivan è consigliere nazionale per la Sicurezza, Blinken è segretario di Stato e al suo fianco c’è Victoria Nuland. Come ho riferito nei precedenti articoli, a ottobre 2021 Nuland si reca a Mosca e minaccia di schiacciare l’economia della Russia se questa non si mette in riga. È l’inizio dell’attuale crisi.

A ottobre 2021 Nuland si reca a Mosca e minaccia di schiacciare l’economia della Russia se questa non si mette in riga. È l’inizio dell’attuale crisi

 

A Kiev la sottosegretaria di Stato Nuland tira fuori di nuovo Dmitro Yarosh e lo impone al presidente Zelensky, ex attore televisivo protetto da Igor Kolomojskij, che il 2 novembre 2021 lo nomina consigliere speciale del capo delle forze armate, generale Valerii Zaluzhnyi.

 

Quest’ultimo, autentico democratico, inizialmente si oppone, alla fine accetta. Interrogato dalla stampa sulla sorprendente coppia che forma con Yarosh, Zaluzhnyi si rifiuta di rispondere e allude a un problema di sicurezza nazionale.

 

Yarosh offre tutta la sua collaborazione al «führer bianco», colonnello Andrey Biletsky, e al suo Battaglione Azov. Dall’estate 2021 questa copia della divisione SS Das Reich è inquadrata da ex mercenari statunitensi di Blackwater. (13)

 

Questa lunga digressione, servita a connotare gli Straussiani, ci costringe ad ammettere che l’aspirazione della Russia è comprensibile, perfino auspicabile.

Sbarazzare il mondo dagli Straussiani significherebbe rendere giustizia agli oltre milione di morti che hanno causato e salvare quelli che s’apprestano ad ammazzare. Resta da vedere se l’intervento militare in Ucraina è il mezzo appropriato

 

Sbarazzare il mondo dagli Straussiani significherebbe rendere giustizia agli oltre milione di morti che hanno causato e salvare quelli che s’apprestano ad ammazzare. Resta da vedere se l’intervento militare in Ucraina è il mezzo appropriato.

 

In ogni caso, se la responsabilità degli avvenimenti in corso cade sugli Straussiani, anche tutti coloro che li hanno lasciati agire senza intervenire ne portano la responsabilità.

 

A cominciare da Germania e Francia, che sette anni fa firmarono gli Accordi di Minsk e non hanno fatto nulla per farli rispettare; in secondo luogo la cinquantina di Stati che, sebbene firmatari delle dichiarazioni dell’OSCE che vietano l’estensione della NATO a est della linea Oder–Neisse, non hanno fatto nulla.

 

Solo Israele, che si è sbarazzata dei sionisti revisionisti, ha espresso una posizione non categorica sugli avvenimenti.

 

Ecco una lezione da trarre da questa crisi: i popoli di Paesi retti democraticamente sono responsabili delle decisioni prese da chi li governa e mantenute a lungo, anche dopo alternanze di potere.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

 

NOTE

1)«Paul Wolfowitz, l’âme du Pentagone », Paul Labarique, Réseau Voltaire, 4 ottobre  2004.

2)  Killing Detente: The Right Attacks the CIA, Anne H. Cahn, Pennsylvania State University Press (1998).

3) Questo documento è stato rivelato in «US Strategy Plan Calls For Insuring No Rivals Develop », Patrick E. Tyler, New York Times, 8 marzo 1992. Si vedano anche gli estratti pubblicati a pagina 14 : «Excerpts from Pentagon’s Plan : “Prevent the Re-Emergence of a New Rival”». Ulteriori informazioni si possono trovare in «Keeping the US First, Pentagon Would preclude a Rival Superpower» Barton Gellman, The Washington Post, 11 marzo, 1992.

4)  Silent Warfare: Understanding the World of Intelligence, Abram N. Shulsky & Gary J. Schmitt, Potomac Books (1999).

5) «Toward a neo-Reaganite Foreign Policy», Robert Kagan & William Kristol, Foreign Affairs, luglio-agosto 1996, vol. 75 (4), p. 18-32.

6) «A Clean Break : A New Strategy for Securing the Realm», Institute for Advanced Strategic and Political Studies (1996).

7)  «La dottrina Rumsfeld/Cebrowski», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 25 maggio 2021.

9) The Soldier and the State: The Theory and Politics of Civil-Military Relations, Samuel Huntington, Samuel Huntington, Belknap Press (1981).

10) Questa polemica continua ancora oggi. Per scrivere questo articolo ho consultato in particolare questi otto libri: The Political Ideas of Leo Strauss, Shadia B. Drury, Palgrave Macmillan (1988). Leo Strauss and the Politics of American Empire, Anne Norton, Yale University Press (2005). The Truth About Leo Strauss: Political Philosophy and American Democracy, Catherine H. Zuckert & Michael P. Zuckert, University of Chicago Press (2008). Straussophobia: Defending Leo Strauss and Straussians Against Shadia Drury and Other Accusers, Peter Minowitz, Lexington Books (2009). Leo Strauss and the Conservative Movement in America, Paul E. Gottfried, Cambridge University Press (2011). Crisis of the Strauss Divided: Essays on Leo Strauss and Straussianism, East and West, Harry V. Jaffa, Rowman & Littlefield (2012). Leo Strauss, The Straussians, and the Study of the American Regime, Kenneth L. Deutsch, Rowman & Littlefield (2013). Leo Strauss and the Invasion of Iraq: Encountering the Abyss, Aggie Hirst, Routledge (2013).

11) «Qui sont ces anciens soldats israéliens parmi les combattants de rue dans la ville de Kiev ?», AlyaExpress-News.com, 2 marzo 2014. «La nuova Gladio in Ucraina», di Manlio Dinucci, Il Manifesto (Italia) , Rete Voltaire, 18 marzo 2014.

12) «What about apologizing to Ukraine, Mrs. Nuland?», by Andrey Fomin, Oriental Review (Russia) , Voltaire Network, 7 febbraio  2014.

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

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Geopolitica

La Casa Bianca si oppone allo Stato palestinese: documenti trapelati

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Il governo degli Stati Uniti sta esercitando pressioni sui paesi del Consiglio di Sicurezza dell’ONU affinché respingano la richiesta di adesione a pieno titolo dell’Autorità Palestinese. Lo riporta  il sito di giornalismo investigativo The Intercept, citando dispacci diplomatici trapelati.

 

La testata statunitense  ha riferito mercoledì di aver ottenuto copie di cablogrammi non classificati del Dipartimento di Stato americano che contraddicono l’impegno dell’amministrazione Biden di sostenere pienamente una soluzione a due Stati.

 

Secondo quanto riferito, il Consiglio di Sicurezza formato da 15 membri dovrebbe votare venerdì su un progetto di risoluzione che raccomanda all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, composta da 193 membri, che «lo Stato di Palestina sia ammesso come membro delle Nazioni Unite», il che equivarrebbe al riconoscimento della statualità palestinese, a cui il potere israeliano si oppone da sempre.

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Gli Stati Uniti insistono sul fatto che la creazione di uno stato palestinese indipendente dovrebbe avvenire attraverso negoziati diretti tra Israele e Palestina, e non alle Nazioni Unite. Il presidente Joe Biden ha precedentemente affermato categoricamente che Washington sostiene una soluzione a due Stati e sta lavorando per metterla in atto il prima possibile.

 

Secondo quanto riferito da Intercept, i dispacci descrivono dettagliatamente le pressioni esercitate sui membri del Consiglio di Sicurezza. Secondo il rapporto, in particolare all’Ecuador viene chiesto di fare pressione su Malta, presidente di turno del Consiglio questo mese, e su altre nazioni, tra cui la Francia, affinché si oppongano al riconoscimento dell’Autorità Palestinese da parte delle Nazioni Unite.

 

Secondo quanto riportato, il Dipartimento di Stato USA avrebbe sottolineato che la normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Stati arabi è il modo più rapido ed efficace per raggiungere uno stato duraturo e produttivo.

 

Un dispaccio diplomatico, datato 12 aprile, spiegava l’opposizione degli Stati Uniti al voto, citando il rischio di infiammare le tensioni, reazioni politiche e un potenziale taglio dei finanziamenti delle Nazioni Unite da parte del Congresso americano.

 

«Vi esortiamo pertanto a non sostenere alcuna potenziale risoluzione del Consiglio di Sicurezza che raccomandi l’ammissione della “Palestina” come Stato membro delle Nazioni Unite, qualora tale risoluzione fosse presentata al Consiglio di Sicurezza per una decisione nei prossimi giorni e settimane», si legge nel dispaccio trapelato.

 

L’Autorità Palestinese ha presentato domanda di adesione nel 2011, ma la richiesta non è mai stata presentata al Consiglio di Sicurezza. All’epoca, gli Stati Uniti – essendo uno dei cinque membri permanenti del Consiglio – dissero che avrebbero esercitato il loro potere di veto in caso di voto positivo.

 

L’anno successivo, l’ONU ha elevato lo status dello Stato di Palestina da «entità osservatore non membro» a «Stato osservatore non membro», uno status detenuto solo dallo Stato di Palestina e dalla Città Stato del Vaticano.

 

Gli sforzi di lobbying da parte degli Stati Uniti indicano che la Casa Bianca spera di evitare un palese «veto» sulla richiesta di adesione dei palestinesi, ha suggerito The Intercept.

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Come riportato da Renovatio 21, secondo quanto emerso nelle scorse settimane la Casa Bianca ritiene che Netanyahu stia deliberatamente «provocando» gli Stati Uniti, tuttavia questo non ferma il favore di Washington nei confronti dell’esecutivo dello Stato Ebraico, il più di destra e religiosamente estremista della storia. A inizio anno il presidente Biden aveva dichiarato solennemente «sono un sionista».

 

Il Washington Post il mese scorso aveva rivelato che Biden sapeva che Israele stava bombardando indiscriminatamente.

 

La questione non riguarda solo l’attuale amministrazione Democratica USA: ad un incontro pubblico il genero ed ex consigliere senior per la politica estera di Donald Trump Jared Kushner ha dichiarato che è «un peccato» che l’Europa non accolga più rifugiati palestinesi, suggerendo che la «ripulitura» dei palestinesi dalla Striscia di Gaza dovrebbe essere accelerata.

 

Come riportato da Renovatio 21, Kushner, che proviene da una famiglia di palazzinari ebrei sostenitori del Partito Democratico e pure tra i primi finanziatori di Netanyahu, avrebbe poi fatto un’agghiacciante dichiarazione sul futuro del mercato immobiliare a Gaza: «Le proprietà immobiliari sul lungomare di Gaza potrebbero essere molto preziose… se le persone si concentrassero sulla creazione di mezzi di sussistenza»

 

I lanci di aiuti USA nel frattempo, oltre ad aver danneggiato i pannelli solari di un complesso ospedaliero, hanno ucciso almeno cinque palestinesi a Gaza.

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Immagine di Stephen Melkisethian via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

 

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Israele attacca l’Iran

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Israele ha effettuato attacchi in Iran nelle prime ore di venerdì, hanno riferito diversi organi di stampa, citando alti funzionari statunitensi. La notizia arriva meno di una settimana dopo che la Repubblica Islamica ha lanciato una raffica di droni e missili contro Israele.   L’agenzia di stampa iraniana Mehr ha riferito che diverse esplosioni sono state udite intorno alle 4 del mattino, ora locale, nei cieli sopra la città centrale di Isfahan.   L’emittente IRNA ha affermato che le difese aeree sono state attivate in alcune parti dell’Iran. Ha aggiunto che Israele ha colpito obiettivi anche in Siria e Iraq, colpendo aeroporti militari e un sito radar.   Hossein Dalirian, portavoce del programma spaziale civile iraniano, ha scritto su X che diversi droni sono stati abbattuti. Ha aggiunto che non vi è alcuna conferma di un attacco missilistico su Isfahan.   Secondo Al Jazeera, l’Iran ha sospeso i voli in diversi aeroporti, compresi quelli che servono Teheran e Isfahan.   La CNN ha citato un anonimo funzionario americano che ha affermato che i siti nucleari non sono stati presi di mira.   Altre fonti in rete parlano di sette città colpite, comprese fabbriche di armamenti.   Video non verificati caricati su internet dai pasdaran mostrerebbero la contraerea iraniana intercettare i missili israeliani.   Un altro video circolante in rete mostrerebbe una base militare a Isfahan in situazione di calma e normalità.   L’esercito israeliano ha detto all’AFP che «non abbiamo commenti in questo momento» quando gli è stato chiesto delle notizie di esplosioni e attacchi in Iran e Siria. L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha rifiutato di confermare al Times of Israel che Israele è responsabile delle esplosioni udite a Isfahan.   L’attacco è avvenuto, coincidenza, nel giorno dell’85° compleanno dell’ayatollah Khamenei.   Secondo il Jerusalem Post, vi sarebbero stati attacchi anche in Siria – dove sarebbero stati colpiti siti dell’esercito siriano nei governatorati di Suwayda e Daraa – ed in Iraq, dove sarebbero state colpite le aree di Baghdad ed il governatorato di Babil.   Il 1° aprile, Israele ha colpito un edificio del consolato iraniano a Damasco, in Siria, uccidendo sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). L’Iran ha risposto lanciando droni e missili kamikaze contro Israele il 13 aprile. Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno affermato che la maggior parte dei colpi è stata intercettata con successo e ha riportato solo lievi danni a terra. Il costo della difesa per Israele ammonterebbe a circa un miliardo di dollari.   Come riportato da Renovatio 21, è emerso che alcuni droni iraniani sono stati intercettati dalla contraerea saudita.   Gli attacchi all’Iran, che mirano con evidenza ad un’escalation – visto che Teheran aveva specificato in varie sedi che dopo la sua rappresaglia considerava il caso chiuso – potrebbero avere per il gruppo al comando in Israele anche un preciso fine di politica interna.   Secondo il politologo John Mearsheimer «gli israeliani vorrebbero portarci in una guerra con l’Iran… con Hezbollah… Penso che il punto di vista israeliano, nel profondo, sia che quanto più grande è la guerra, tanto maggiore è la possibilità di una pulizia etnica».  

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Geopolitica

Putin ha parlato con il presidente iraniano

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Il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin ha parlato con il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, in seguito all’attacco di droni e missili di Teheran contro Israele. Lo riporta RT, che cita l’apparato comunicativo del Cremlino.

 

Sabato l’Iran ha lanciato decine di droni e missili contro Israele, come «punizione» per il bombardamento del consolato iraniano a Damasco, in Siria, che all’inizio del mese ha ucciso sette ufficiali di alto rango della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), cioè i pasdaran.

 

Raisi ha telefonato a Putin martedì pomeriggio per discutere della «situazione aggravata» nella regione e delle «misure di ritorsione» adottate da Teheran, secondo la lettura della chiamata.

 

Putin «ha espresso la speranza che tutte le parti mostrino ragionevole moderazione e non permettano un nuovo round di scontro, carico di conseguenze catastrofiche per l’intera regione», ha affermato il Cremlino.

 

Raisi «ha osservato che le azioni dell’Iran sono state forzate e di natura limitata», aggiungendo che Teheran «non era interessata a un’ulteriore escalation delle tensioni».

 

Entrambi i presidenti hanno convenuto che la causa principale dell’attuale conflitto è il conflitto israelo-palestinese irrisolto, chiedendo un «cessate il fuoco immediato» a Gaza, la fornitura di aiuti umanitari e la creazione di condizioni per una soluzione politica e diplomatica.

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Israele ha promesso di fornire una risposta «chiara e decisiva» all’attacco iraniano, che secondo il governo dello Stato Ebraico è stato in gran parte intercettato. Tuttavia, secondo quanto riferito, l’esercito israeliano sta lavorando a un piano che sarebbe accettabile per gli Stati Uniti.

 

Nel frattempo, l’esercito iraniano ha descritto l’attacco come un grande successo. L’«Operazione Vera Promessa» ha dimostrato che le difese israeliane erano «più fragili di una ragnatela», ha detto martedì in una conferenza stampa il generale di brigata Kioumars Heydari, comandante delle forze di terra iraniane.

 

«Le forze armate iraniane hanno infranto il tabù sulle capacità del regime israeliano, hanno dimostrato la loro potenza, hanno chiarito che l’era del mordi e fuggi è finita e hanno definito nuove regole per la regione», ha detto lo Heydari, secondo l’agenzia iraniana Tasnim News.

 

Subito dopo l’attacco iraniano erano circolate su vari gruppi Telegram italiani affermazioni totalmente false secondo cui Putin avrebbe dichiarato subito di appoggiare totalmente l’Iran. Si trattava di una fake news vera e propria mandata in giro tranquillamente da canali e influencer della «dissidenza» rispetto a NATO, vaccini, etc.

 

Chiediamo ai lettori di non frequentare i propalatori di bufale (come quella, di qualche settimana fa, che annunziava solennemente che il re britannico era morto, o quella, circolata l’altro ieri, per cui a spirare stavolta sarebbe stato invece il Klaus Schwab) e concentrarsi su Renovatio 21, vera fonte limpida, veritiera ed approfondita che vuole restare anni luce distante dai drogati di dopamina schermica e dalle panzane stupidi irresponsabili.

 

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